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Petrarca: l'uomo che cambiò per sempre la poesia italiana

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    Oggi parliamo di una delle figure culturali 
    più importanti di tutta la storia italiana.
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    È un autore ed è un caso storico e letterario 
    straordinario: secondo la leggenda, studiava
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    così tanto che è morto reclinando la testa 
    sulle proprie carte; è il primo essere umano
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    della storia su cui abbiamo ricevuto così tante 
    informazioni, e per di più da fonti di prima mano;
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    ed è anche l’autore di una delle opere 
    più influenti della letteratura italiana,
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    a un punto tale che nemmeno Shakespeare sarebbe 
    stato al 100% lo Shakespeare che tutti conosciamo,
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    se non ci fosse stato lo zampino dell’opera in 
    questione. Sto parlando di Francesco Petrarca,
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    che con Dante e Boccaccio fa parte delle 
    cosiddette Tre Corone, i tre maggiori autori
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    del tardo medioevo fiorentino, fondamentali nella 
    storia della lingua e della letteratura italiana.
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    Questo è il secondo video al riguardo, dopo 
    quello di qualche anno fa su Dante: naturalmente,
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    in futuro non potrà non arrivare il terzo, su 
    Giovanni Boccaccio.
Ma veniamo subito a Petrarca:
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    una fermata nel suo mondo è un passaggio quasi 
    obbligato, se si vuole iniziare a studiare e
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    comprendere la letteratura italiana, perché questo 
    autore ha influenzato per sempre non solo le sorti
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    della letteratura del Belpaese, ma anche le 
    sorti della lingua letteraria in generale,
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    e in particolare della lingua della 
    poesia. In un primo momento, dunque,
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    ci soffermeremo sulla vita dell’autore e sulla 
    sua fortuna, intesa come successo. Poi daremo
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    un’occhiata alla sua opera più conosciuta e 
    studiata, ovverosia il Canzoniere; e, per finire,
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    cercheremo di capire quale sia l’eredità 
    culturale, letteraria e linguistica che
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    Petrarca ci ha lasciato. Io sono Davide e questo 
    è Podcast Italiano, un canale per chi impara o ama
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    l’italiano. Se impari la lingua di Dante, Petrarca 
    e Boccaccio, trovi la trascrizione di tutto
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    quello che dico sul mio sito. Ti lascio il link in 
    descrizione. E se ti serve, attiva i sottotitoli.
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    Francesco Petrarca nasce nel 1304 ad Arezzo, 
    in Toscana; tra il 19 e il 20 luglio,
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    secondo la tradizione. È figlio di un 
    notaio bandito da Firenze, dove nei decenni
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    precedenti erano infuriate grandi battaglie 
    politiche. Si tratta delle stesse battaglie
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    che portarono all’esilio di Dante, che – tra 
    parentesi – il padre di Petrarca conosceva.
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    Ma torniamo subito dal nostro Francesco Petrarca. 
    Già da piccolo, diventa un viaggiatore: nel 1312,
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    infatti, il padre porta la famiglia a vivere 
    ad Avignone, nella Francia meridionale, dove
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    Petrarca viene istruito da un italiano a sua volta 
    esule. L’accesso a questi studi non era comune:
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    il giovanissimo Francesco nasce in una condizione 
    abbastanza agiata, e suo padre non gli nega
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    l’acquisto di diversi manoscritti utili per gli 
    studi. Considerate che ci troviamo nel XIV secolo,
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    prima dell’invenzione della stampa: spesso, 
    per aver accesso a un testo, i più ricchi
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    ne potevano commissionare la riproduzione a 
    un copista, che ricopiava tutto; altrimenti,
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    bisognava direttamente acquistare l’originale 
    o una copia già prodotta in precedenza,
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    o ancora – pensate – copiare il testo da sé, se 
    possibile – pensate che fatica –: in tutti i casi,
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    si trattava di un investimento, spesso 
    di denaro o, alternativamente, di tempo.
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    Qualche anno dopo, Petrarca inizia gli studi 
    di legge a Montpellier, sempre in Francia,
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    che tuttavia affronta di malavoglia. Sempre 
    nel periodo della prima giovinezza, visita
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    anche Rimini, Venezia e, soprattutto, Bologna, 
    destinazione molto importante per affinare
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    le proprie competenze letterarie. La città 
    infatti, al tempo, era un importantissimo centro
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    d’irradiazione della poesia in lingua volgare, 
    cioè, in questo caso specifico, in una delle tante
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    lingue d’Italia che si erano evolute a partire 
    dal latino. Tra parentesi oggi, in italiano,
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    volgare significa tipicamente grossolano, rozzo, 
    scurrile o, in altri termini, maleducato. Nel
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    gergo tecnico, però, questa parola indica, 
    soprattutto quando si parla del medioevo, perché
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    poi in futuro si inizia a parlare di dialetti, 
    indica, dicevo, le lingue parlate dal volgo,
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    cioè dal popolo, in contrapposizione alla lingua 
    letteraria più alta e nobile, che era il latino.
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    Nel 1326, c’è una svolta: il padre del nostro 
    giovane studioso muore, portando la famiglia a un
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    periodo di difficoltà economica. Proprio in questa 
    occasione Petrarca abbandona definitivamente
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    gli studi di legge e, forse, inizia a sua 
    volta a produrre opere in lingua volgare.
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    Presto si stabilisce ad Avignone, dove al tempo, 
    tra l’altro, si trovava la sede della curia
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    papale. Come alcuni di voi sapranno, infatti, per 
    gran parte del XIV secolo il papa non risiedette
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    a Roma, bensì proprio ad Avignone, in Francia. 
    A proposito di religione… Ad Avignone, Petrarca
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    decide di prendere gli ordini minori, che, in 
    breve, rappresentano un’affiliazione alla Chiesa
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    che comporta qualche compito, ma, soprattutto, che 
    garantisce tutti i benefici economici che al tempo
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    erano riservati agli uomini di chiesa. Furbo, 
    il nostro Francesco. Questa pratica in realtà
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    non era rara, proprio perché non richiedeva grandi 
    sforzi, ma dava notevoli vantaggi. In questo modo,
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    Petrarca si libera fondamentalmente 
    delle maggiori preoccupazioni economiche,
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    e ha la possibilità di fare quello che gli piace.
    Gli anni della giovinezza sono caratterizzati,
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    almeno a detta di Petrarca, da un certo abbandono 
    alla vita mondana – anche se dobbiamo considerare
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    che parliamo dei criteri di un uomo severo, 
    che vuole dare una certa immagine di sé,
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    e ne parleremo dopo. In questo periodo, 
    forse, Petrarca si abbandona anche all’amore
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    per una donna, della quale, ancora una volta, 
    sappiamo poco: alcuni studiosi credono di aver
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    addirittura trovato la sua identità, mentre 
    altri ne dubitano fortemente. Ad ogni modo,
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    questa relazione verrà poi ripresa nell’opera più 
    importante di Petrarca, quindi teniamola a mente.
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    Intanto gli anni passano, e il nostro Francesco 
    si avvicina, grazie alla propria cultura e alle
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    proprie conoscenze, a personalità importanti, per 
    visitare le quali compie diversi altri viaggi.
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    Ci troviamo ormai intorno agli anni Trenta quando 
    vediamo dei grossi passi avanti anche negli studi:
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    Petrarca, infatti, era molto vicino ai testi 
    dell’antichità, e cercava costantemente di
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    comprendere e analizzare i testi latini. Produce 
    addirittura delle edizioni, per esempio di
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    un’opera del celebre autore latino Livio; e, 
    forse ancor più sorprendentemente, scopre i
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    manoscritti di alcuni testi importantissimi della 
    latinità, come quello del Pro Archia di Cicerone.
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    Al contempo, questi testi facevano da maestri 
    a Petrarca, che assorbe le sottigliezze della
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    lingua latina e le riproduce con maestria. Una 
    maestria davanti a cui i contemporanei non restano
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    indifferenti: nel 1341, Petrarca viene incoronato 
    poeta a Roma, in Campidoglio, da nientemeno che
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    il re Roberto d’Angiò, che al tempo era il sovrano 
    del Regno di Napoli. Questo rito voleva riprendere
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    esplicitamente la tradizione latina, nella quale, 
    secondo le informazioni disponibili all’epoca,
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    s’era usato rendere onore alla gloria poetica 
    in questo modo. E Petrarca viene incoronato
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    proprio per la sua produzione in latino, che 
    era considerata la più bella: per adesso,
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    i suoi versi in lingua volgare non sono ancora 
    pronti a risplendere, anche se, come si suol dire,
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    qualcosa bolle in pentola. Sulla testa 
    del nostro autore, intanto, viene dunque
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    posata una corona d’alloro, rendendolo, per così 
    dire, un VIP della sua epoca; e a ragion veduta,
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    perché non ci dimentichiamo che Petrarca è uno dei 
    più grandi autori in lingua latina del suo tempo.
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    Ma il nostro Petrarca non si adagia sugli 
    allori: i viaggi continuano, grazie ai
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    benefici ecclesiastici e, ancor più ormai, grazie 
    alla protezione dei potenti, che con piacere
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    sostengono un intellettuale di questo calibro. 
    Nel 1348, quando l’Italia e l’Europa sono in
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    ginocchio a causa di un’epidemia di peste, 
    Petrarca supera la crisi incolume, ma la donna
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    che ama – ricordate? – invece non sopravvive. 
    Anche questo evento sarà molto importante per ciò
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    che diremo più tardi, quindi teniamolo a mente.
    Nel 1350, finalmente, il poeta visita Firenze:
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    l’esilio della famiglia era stato revocato, 
    nel frattempo, e in città ci sono amici e
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    ammiratori. Inoltre, il nostro poeta incontra 
    un altro scrittore importantissimo per la sua
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    epoca e per i secoli futuri, la terza corona di 
    cui parleremo, vale a dire Giovanni Boccaccio,
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    peraltro influenzandone la produzione artistica. 
    I viaggi, tra Italia e Francia, ancora non si
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    fermano, finché, nel 1352, Petrarca lascia 
    definitivamente la Francia per Milano. In
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    quell’anno, infatti, Innocenzo VI diventa 
    papa; e i rapporti con Petrarca non erano
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    esattamente dei migliori. Ricordate che 
    il papa, al tempo, si trovava in Francia;
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    così il nostro amico decide che è il caso di 
    fare la valigie e tornare nella madrepatria.
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    A partire dal soggiorno milanese, l’attività 
    letteraria cresce ulteriormente, anche se non
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    mancano i viaggi e gli impegni politici. 
    Ai potenti del tempo non dispiaceva avere
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    al proprio servizio un grande intellettuale, né 
    affidargli, per esempio, missioni diplomatiche.
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    Con il tempo, però, Petrarca decide di 
    volersi dedicare ai suoi studi in pace:
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    a partire dal 1369-70 si stabilisce, per quanto 
    possibile, ad Arquà, non lontano da Padova,
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    in Veneto, dove muore nel 1374. 
    Oggi, in suo onore, Arquà è un
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    villaggio conosciuto anche con il nome di 
    Arquà Petrarca, dove è tutt’oggi possibile
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    visitare la casa in cui visse il grande poeta. 
    Grande, sì – e ora vedremo perché – al punto che,
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    dopo la morte, ammiratori e studiosi iniziano 
    a cercare i suoi libri. E fino a oggi arriva
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    un’enorme quantità di materiale: opere, appunti, 
    lettere. Lettere poi accuratamente copiate e,
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    sempre sulla falsariga dei grandi modelli 
    latini, pensate per essere effettivamente lette
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    dai posteri. Petrarca sapeva che le sue lettere 
    sarebbero state lette, e proprio per questo non
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    possiamo fidarci ciecamente del loro contenuto: 
    l’autore voleva tracciare un’autobiografia
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    ideale, in modo da mostrare al mondo e 
    ai posteri di aver ripercorso quanto più
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    possibile i passi di un grande romano ideale. 
    Per tutto il XIV secolo e per parte del XV,
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    Petrarca viene ammirato come fine poeta 
    latino; finché qualcosa non cambia:
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    a partire dal secondo Quattrocento, l’attenzione 
    per il Petrarca latino diminuisce, mentre la fama
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    del poeta in lingua volgare aumenta. Ben 
    presto, il nostro poeta diventa il poeta,
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    il modello insuperabile di poesia, sia 
    nella Penisola italiana, sia al di fuori.
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    Ma grazie a quale opera, esattamente? 
    L’opera in questione è chiamata tipicamente
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    Canzoniere, parola in realtà generica che, 
    in italiano, indica una raccolta di poesie.
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    Inutile dire che quello di Petrarca è diventato 
    il canzoniere per antonomasia, ed ecco servito
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    il titolo dell’opera. In realtà però, il 
    vero titolo era Rerum vulgarium fragmenta,
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    cioè frammenti di cose volgari, cioè 
    testi vari scritti in lingua volgare.
  • 12:13 - 12:21
    In tutto, ci sono arrivati 72 fogli di pergamena, 
    che contengono tutte le 366 poesie che compongono
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    l’opera (una per ogni giorno dell’anno, se 
    escludiamo la poesia che fa da introduzione
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    all’opera). Su questi fogli di pergamena 
    scrissero sia lo stesso Petrarca, sia un copista
  • 12:32 - 12:38
    che lavorava sotto la sua diretta sorveglianza. 
    Questi fogli furono rilegati, cioè messi insieme,
  • 12:38 - 12:43
    dopo la scomparsa dell’autore, e ora si 
    trovano nella Biblioteca Apostolica Vaticana,
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    con il nome di codice Vaticano latino 3195: quasi 
    non c’è studioso di letteratura italiana che non
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    conosca questo numero. Il fatto che abbiamo 
    un’intera opera di Petrarca scritta dallo
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    stesso Petrarca è straordinario: basti pensare 
    che di Dante non abbiamo una sola parola scritta
  • 13:04 - 13:09
    di prima mano, né, in realtà, scritta sotto 
    la sua diretta sorveglianza (in questi casi,
  • 13:09 - 13:15
    in gergo tecnico, si parla di testo idiografo). 
    Ma c’è un fatto ancora più straordinario: ci
  • 13:15 - 13:21
    sono giunte addirittura le carte contenenti gli 
    abbozzi dell’opera, e altri abbozzi ancora (il
  • 13:21 - 13:27
    manoscritto, in questo caso, si chiama Vaticano 
    latino 3196). Queste carte ci dànno la possibilità
  • 13:27 - 13:34
    di studiare come il testo sia stato migliorato, 
    rimaneggiato e portato alla sua forma finale:
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    oggi questo esercizio potrebbe sembrare ovvio, 
    ma al tempo non lo era, e proprio le carte di
  • 13:39 - 13:45
    Petrarca ebbero il ruolo di propulsore, di motore 
    che diede una spinta a queste riflessioni.
  • 13:45 - 13:50
    A questo punto, ormai, è impossibile non 
    chiederselo: di che cosa parla l’opera?
  • 13:50 - 13:56
    Il Canzoniere racconta dell’amore di Petrarca 
    per Laura, una donna bellissima che rappresenta
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    non soltanto l’oggetto di un amore terreno, 
    ma anche la stessa gloria poetica. Questa
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    Interpretazione nasce dal fatto che Petrarca 
    accosta continuamente il nome di Laura con una
  • 14:08 - 14:14
    serie di parole che hanno lo stesso etimo, cioè 
    la stessa origine, e che rimandano all’alloro:
  • 14:14 - 14:20
    questa pianta, detta anche lauro, è la stessa 
    di cui era composta la corona con cui – vi
  • 14:20 - 14:27
    ricordate – Petrarca fu incoronato, ed è proprio 
    un simbolo che rappresenta la poesia. Tra l’altro,
  • 14:27 - 14:32
    è anche per questo che in Italia, quando si 
    finisce l’università, ci si laurea, da “lauro”, e
  • 14:32 - 14:39
    nella cerimonia si indossa una corona d’alloro.
    Il nostro Petrarca, dunque, ama una donna e ama
  • 14:39 - 14:45
    la gloria poetica: vi starete chiedendo, forse, 
    quale sia il problema. Il fatto è che Petrarca
  • 14:45 - 14:51
    vorrebbe amare le cose eterne, e quindi dedicare 
    il suo spirito all’adorazione di Dio. Ciò genera
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    un conflitto interiore: o si amano le cose 
    terrene, o si amano le cose ultraterrene, e non
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    c’è una via di mezzo possibile. Eppure Petrarca 
    fatica a lasciar andare il suo amore per Laura:
  • 15:04 - 15:11
    lui stesso ci dice, pensando al sé del passato, 
    che ora è un uomo diverso, ma solo «in parte» (e
  • 15:11 - 15:16
    usa esattamente queste due parole, “in parte”). 
    Questa lotta interiore dura una vita intera,
  • 15:16 - 15:22
    e condanna Petrarca a un’eterna inquietudine: 
    non può godersi l’amore e la gloria poetica,
  • 15:22 - 15:28
    perché si sente in colpa; e, al contempo, non può 
    godersi l’amore per Dio, perché l’amore per Laura
  • 15:28 - 15:35
    non muore mai del tutto, per quanto l’opera ci 
    porti costantemente verso l’adorazione di Dio.
  • 15:35 - 15:41
    Vediamo, o meglio leggiamo con i nostri occhi: di 
    seguito ascolterete la poesia (o più precisamente
  • 15:41 - 15:47
    il sonetto) che, in quattordici versi, 
    fa da introduzione a tutta l’opera.
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    Voi ch’ascoltate in rime sparse il suono
    di quei sospiri ond’io nudriva ’l core
  • 15:53 - 16:00
    in sul mio primo giovenile errore
    quand’era in parte altr’uom da quel ch’i’ sono,
  • 16:00 - 16:05
    del vario stile in ch’io piango et ragiono
    fra le vane speranze e ’l van dolore,
  • 16:05 - 16:12
    ove sia chi per prova intenda amore,
    spero trovar pietà, nonché perdono.
  • 16:12 - 16:16
    Ma ben veggio or sì come al popol tutto
  • 16:16 - 16:23
    favola fui gran tempo, onde sovente
    di me medesmo meco mi vergogno;
  • 16:23 - 16:25
    et del mio vaneggiar vergogna è ’l frutto,
  • 16:25 - 16:33
    e ’l pentersi, e ’l conoscer chiaramente
    che quanto piace al mondo è breve sogno.
  • 16:33 - 16:38
    Petrarca, con questo testo, si rivolge a chi 
    sta leggendo il testo, e in particolare a chi,
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    come lui e molti di noi, ha sofferto per amore: 
    la sua speranza è quella di essere compreso e
  • 16:45 - 16:51
    perdonato per aver commesso l’errore di amare 
    Laura. Il suo errore giovanile lo ha portato a
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    essere preso in giro, a pentirsi, e soprattutto 
    a capire che le cose terrene sono soltanto un
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    breve sogno, nel senso che non sono eterne 
    come le cose divine. Eppure il cambiamento
  • 17:03 - 17:08
    di Petrarca non è completo: è avvenuto, 
    come abbiamo già visto, solo “in parte”.
  • 17:08 - 17:13
    Non c’è il tempo necessario per analizzare 
    il testo nel dettaglio o leggerne altri,
  • 17:13 - 17:19
    ma vi faccio notare, intanto, che fondamentalmente 
    l’italiano di Petrarca è anche il nostro italiano,
  • 17:19 - 17:25
    per buona parte, e questo perché proprio Petrarca 
    ha contribuito indirettamente a creare l’italiano
  • 17:25 - 17:30
    letterario, e perché proprio il volgare 
    fiorentino, che era poi la lingua di Petrarca,
  • 17:30 - 17:36
    nei secoli, come sapete, sarebbe stato eletto 
    come lingua di riferimento per gli italiani.
  • 17:36 - 17:42
    Pensiamo soltanto al primo verso: Voi ch’ascoltate 
    in rime sparse il suono. Foneticamente, tutte le
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    parole sono rimaste identiche. Sarebbe davvero 
    difficile dire lo stesso di un verso scritto
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    in inglese, in francese, in tedesco, in greco 
    o in cinese nel XIV secolo, è sorprendente.
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    Quanto al significato, rime sparse si potrebbe 
    piuttosto tradurre con poesie sciolte, cioè non
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    raccolte in un’opera ben ordinata e conclusa. In 
    generale, però, la poesia è abbastanza facile,
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    tutto sommato, da comprendere per un 
    italiano del 2024, a condizione ovviamente
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    che venga fornita qualche indicazione. 
    Il messaggio è che l’italiano di Petrarca,
  • 18:17 - 18:22
    per una serie di motivi, è molto simile 
    al nostro italiano, e ciò vale per una
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    buona fetta dell’italiano letterario. Questa 
    è un’ottima notizia per chi già sa e per chi
  • 18:27 - 18:33
    studia l’italiano, perché significa che chi 
    conosce la lingua contemporanea può anche,
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    con un po’ d’impegno e pazienza, accedere a 
    ottocento anni di letteratura. Non è male, vero?
  • 18:43 - 18:49
    Prima di chiudere il video, vorrei cercare di 
    spiegare più esplicitamente perché Petrarca
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    è un autore così importante e perché 
    gli ho dedicato un video così lungo.
  • 18:53 - 18:57
    Innanzitutto, ci ha lasciato una 
    grandissima eredità culturale e
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    letteraria, sia con le sue opere latine e 
    volgari, sia con le opere che ha scoperto,
  • 19:03 - 19:07
    sia con le opere che ha studiato e commentato. 
    Ma se questo è un merito anche di diversi altri
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    autori, con Petrarca invece c’è dell’altro. Con il 
    Canzoniere sono fondamentalmente state fissate in
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    modo definitivo le forme poetiche dell’italiano: 
    si va dalla canzone, che è la forma più nobile,
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    usata per gli argomenti più alti e politici, 
    alle sestine, le ballate e i madrigali,
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    fino al sonetto, cioè la forma usata per scrivere 
    la poesia che abbiamo letto poco fa, composta da
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    quattordici versi. Nel Canzoniere, il sonetto 
    è la forma quantitativamente più rappresentata,
  • 19:38 - 19:44
    e in generale, a partire da Petrarca, 
    sarà spesso usata per trattare argomenti
  • 19:44 - 19:49
    un po’ più leggeri rispetto a quelli della 
    canzone, e in particolare ovviamente l’amore.
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    Si tratta, tra parentesi, di una forma tutta 
    italiana, visto che nasce in Italia nel primo
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    Duecento, ben presto si diffonde in tutta la 
    penisola e, grazie a Petrarca, supera anche i
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    confini dell’Italia. Nel Cinquecento infatti, 
    Henry Howard, poeta inglese, traduce diversi
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    testi di Petrarca. Thomas Wyatt, a sua volta 
    poeta, tende invece a usare di meno la traduzione
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    e l’imitazione, e piuttosto scrive sonetti 
    propri, sempre sulla base della forma stabilita
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    da Petrarca. A partire da questi input, e poi 
    dai contributi di altri seguaci del Petrarca,
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    il sonetto si diffonde sempre di più. Il numero 
    di questi seguaci è elevato a un punto tale per
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    cui possiamo parlare di un vero e proprio fenomeno 
    artistico, detto petrarchismo: nel XVI secolo ne
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    troviamo i segni, oltre che in Inghilterra, anche 
    in Francia e in Spagna, e non solo. Shakespeare
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    probabilmente lesse solo in parte le opere di 
    Petrarca, anche perché non conosceva molto bene
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    l’italiano; tuttavia, non poteva non conoscere i 
    petrarchisti della sua epoca, e infatti i sonetti
  • 20:59 - 21:00
    shakespeariani non sono privi di questa influenza. 
    Se non avessimo avuto Petrarca, non avremmo
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    nemmeno avuto lo Shakespeare che conosciamo, né 
    avremmo avuto diverse altre opere come le abbiamo
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    conosciute, sia in Italia, sia all’estero. 
    Quanto alla lingua italiana, il petrarchismo
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    è arrivato nel momento giusto, perché 
    a inizio Cinquecento il dibattito sulla
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    lingua è piuttosto intenso: la Penisola 
    era divisa in tante entità politiche,
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    non esisteva una nazione, come sapete, e ciò 
    nonostante si cercava una lingua per l’Italia,
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    per scrivere e comunicare tra le varie ragioni. 
    È a questo punto che entra in scena Pietro Bembo,
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    intellettuale italiano di cui parleremo più 
    dettagliatamente in un futuro video. Bembo,
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    intellettuale e letterato italiano, capisce che 
    scegliere un volgare d’Italia come lingua di
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    riferimento significa anche far prevalere una 
    lingua su tutte le altre, e capisce anche che
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    questa imposizione può avvenire con successo solo 
    se si basa sul prestigio. Per questo, come modello
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    per la prosa (cioè la scrittura non poetica) 
    sceglie il celebre Decameron di Boccaccio,
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    l’autore che ho citato prima, che Petrarca 
    incontrò a Firenze nel 1350, ne parleremo;
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    e come modello di lingua poetica, invece, indica 
    il Canzoniere del nostro Petrarca. Forse Bembo
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    indica l’unica soluzione vincente, l’unica 
    possibile in quel preciso contesto culturale,
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    storico e geografico. Nel Quattrocento c’era 
    stata molta più eterogeneità linguistica,
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    ma il Cinquecento, il primo vero secolo 
    della stampa, esigeva maggiore uniformità;
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    e Bembo dà le proposte giuste nel momento giusto. 
    Nel 1525 compone le Prose della volgar lingua,
  • 22:42 - 22:47
    in cui vengono dati i modelli appena citati, 
    costituendo così una sorta di grammatica del
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    toscano letterario trecentesco, cioè di due 
    secoli prima rispetto al suo tempo. In più,
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    Bembo stesso compone, su queste basi, diversi 
    testi, che poi verranno presi come esempio.
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    La proposta funziona, funziona incredibilmente 
    bene: Petrarca resta indiscutibilmente il
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    massimo modello poetico per oltre 
    cinquecento – cinquecento! – anni,
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    tant’è che ancora nelle poesie ottocentesche 
    possiamo vederne chiaramente l’influenza.
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    Prendiamo Il sabato del villaggio, poesia scritta 
    da Giacomo Leopardi nel 1829. A un certo punto,
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    troviamo «su la scala a filar la 
    vecchierella»; nel Canzoniere, invece,
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    troviamo «levata era a filar la vecchiarella»: 
    non solo la lingua è molto simile, ma anche le
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    immagini poetiche che Leopardi seleziona sono 
    spesso d’ispirazione petrarchesca. E ancora:
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    leggiamo «già tutta l’aria imbruna» nel Sabato 
    del villaggio, mentre nel Canzoniere troviamo
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    «et l’aere nostro et la mia mente imbruna». 
    Abbiamo insomma scoperto un autore italiano
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    importante: importante sotto ogni punto di vista 
    (culturale, letterario, linguistico), anche a
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    livello europeo. Gli esempi non si conterebbero: 
    basti pensare a quanti intellettuali della Vienna
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    settecentesca conoscevano l’italiano grazie al 
    Canzoniere… E poi, grazie al suo ruolo di grande
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    modello di lingua poetica, Petrarca ha influenzato 
    per sempre le sorti dell’italiano, anche se la
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    storia è molto più lunga. Nel prossimo video di 
    questa serie parleremo della terza corona, ovvero
  • 24:20 - 24:25
    Giovanni Boccaccio. Nel frattempo, se non l’hai 
    ancora visto, ti lascio qui il mio video su Dante.
Title:
Petrarca: l'uomo che cambiò per sempre la poesia italiana
Description:

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Video Language:
Italian
Team:
Podcast Italiano
Duration:
24:42

Italian subtitles

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