-
No, no, no: non v'è, non v'è
-
chi trinciar sappia così
leggerissimo sciassè.
-
Sì, sì, sì: va bene lì.
-
Meglio lì; no, meglio qui.
-
Risaltar di più mi fa.
-
A quest'arte, a tal beltà
sdrucciolare ognun dovrà.
-
A quest'arte, a tal beltà
sdrucciolare ognun dovrà.
-
Una volta c'era un re,
-
che a star solo s'annoiò:
-
cerca, cerca, ritrovò;
-
ma il volean sposare in tre.
-
Cosa fa?
-
Sprezza il fasto e la beltà,
-
e alla fin scelse per sé
-
l'innocenza,
-
l'innocenza,
-
l'innocenza e la bontà.
-
Cenerentola, finiscila
con la solita canzone.
-
Cenerentola, finiscila
con la solita canzone.
-
Presso al fuoco in un cantone
-
via, lasciatemi cantar.
-
Una volta c'era un re...
-
- Una volta...
- E due, e tre.
-
La finisci sì o no?
-
Se non taci, ti darò...
-
Una volta...
-
Chi sarà?
-
Chi sarà?
-
Un tantin di carità.
-
Un tantin di carità.
-
Accattoni! Via di qua.
-
Zitto, zitto: su, prendete
-
questo po' di colazione.
-
Forse il ciel il guiderdone
-
pria di notte vi darà.
-
Forse il ciel il guiderdone
pria di notte vi darà, sì.
-
Risvegliar dolce passione
più di me nessuna sa, no.
-
Zitto, zitto: su, prendete,
fate presto, per pietà.
-
Ah, non reggo alla passione,
che crudel fatalità!
-
Ma che vedo! Ancora lì!
-
Anche un pane? Anche il caffè?
-
Prendi, prendi: questo a te.
-
- Ah! Soccorso chi mi dà!
- Vi fermate, per pietà.
-
O figlie amabili di Don Magnifico,
Ramiro il principe or or verrà.
-
Al suo palagio vi condurrà.
-
Si canterà, si danzerà:
-
poi la bellissima fra l'altre femmine
-
sposa carissima per lui sarà.
-
Ma dunque il principe?
-
Or or verrà.
-
E la bellissima?
-
Si sceglierà.
-
Cenerentola, vien qua.
-
Le mie scarpe, il mio bonnè.
-
Cenerentola, vien qua.
-
Le mie penne, il mio colliè.
-
Cenerentola vien qua,
Cenerentola va' là,
-
Cenerentola va' su,
Cenerentola vien giù.
-
Questo è proprio uno strapazzo!
Mi volete far crepar?
-
Sì, mi volete far crepar.
-
Nel cervello ho una fucina;
son più bella e vo' trionfar,
-
a un sorriso, a un'occhiatina
Don Ramiro ha da cascar.
-
ll cimento si avvicina,
il gran punto di trionfar.
-
- Già nel capo una fucina
- Son più bella e vo' trionfar.
-
- sta le donne a martellar.
- Don Ramiro ha da cascar.
-
Nel cervello una fucina
sta le pazze a martellar,
-
ma già pronta è la ruina;
voglio ridere e schiattar.
-
Già pronta pronta è la ruina,
voglio ridere e schiattar.
-
Cenerentola, presto,
prepara i nastri, i manti.
-
- Gli unguenti, le pomate.
- I miei diamanti.
-
Uditemi, sorelle...
-
Che sorelle!
Non profanarci con sì fatto nome.
-
E guai per te se t'uscirà di bocca.
-
Sempre nuove pazzie soffrir mi tocca.
-
Non v'è tempo da perdere.
-
Nostro padre avvisarne conviene.
-
Essere la prima
voglio a dargli tal nuova.
-
Oh! Mi perdoni,
io sono la maggior.
-
- No, no, gliel vo' dir io.
- È questo il dover mio.
-
lo svegliare lo vo'.
Venite appresso.
-
Ah! Non la vincerai.
-
Ecco egli stesso.
-
Miei rampolli femminini,
-
vi ripudio; mi vergogno!
-
Un magnifico mio sogno
-
mi veniste a sconcertar.
-
Vi ripudio; mi vergogno!
-
Come son mortificate!
-
Degne figlie d'un barone!
-
Via: silenzio ed attenzione.
-
State il sogno a meditar.
-
Mi sognai fra il fosco e il chiaro
un bellissimo somaro;
-
un somaro, ma solenne.
-
Quando a un tratto, oh che portento!
-
Sulle spalle a cento a cento
gli spuntavano le penne
-
ed in aria, sciù, volò!
-
Ed in cima a un campanile
come in trono si fermò.
-
Si sentiano per di sotto
-
le campane a dindonar,
din, don, din, don.
-
Col cì cì, ciù ciù di botto
mi veniste a risvegliar.
-
Col cì cì, col ciù ciù
mi faceste risvegliar.
-
Ma d'un sogno sì intralciato
-
ecco il simbolo spiegato.
-
La campana suona a festa?
Allegrezza in casa è questa.
-
Quelle penne? Siete voi.
-
Quel gran volo? Plebe, addio.
-
Resta l'asino di poi,
ma quell'asino son io.
-
Chi vi guarda vede chiaro
che il somaro è il genitor.
-
Fertilissima regina
-
l'una e l'altra diverrà;
-
ed il nonno una dozzina
di rampolli abbraccerà.
-
Un re piccolo di qua: servo, servo.
-
Un re bambolo di qua: servo, servo.
-
E la gloria mia sarà,
sì, sì, la gloria mia sarà.
-
Fertilissima regina
-
l'una e l'altra diverrà;
-
ed il nonno una dozzina
di nepoti abbraccerà.
-
- Sappiate che fra poco...
- ll principe Ramiro...
-
Che son tre dì che nella deliziosa...
-
Vicino mezzo miglio
venuto è ad abitar...
-
Sceglie una sposa...
-
Ci mandò ad invitar.
-
- E fra momenti...
- Arriverà per prenderci...
-
E la scelta la più bella sarà.
-
Figlie, che dite! Quel principon!
-
Quantunque io nol conosca...
-
Sceglierà! V'invitò...
Sposa... più bella!
-
Io cado in svenimento.
-
Cenerentola, presto,
portami il mio caffè.
-
Viscere mie, metà del mio palazzo
è già crollata, e l'altra è in agonia.
-
Fatevi onore. Mettiamoci un puntello.
-
Figlie, state in cervello.
-
Parlate in punto e virgola, per carità.
-
Pensate ad abbigliarvi:
-
si tratta nientemen che imprinciparvi.
-
Tutto è deserto.
-
Amici?
-
Nessun risponde.
-
In questa simulata sembianza
le belle osserverò.
-
Né viene alcuno?
-
Eppur mi diè speranza
il sapiente Alidoro,
-
che qui, saggia e vezzosa,
degna di me trovar saprò la sposa.
-
Sposarsi, e non amar!
-
Legge tiranna,
-
che nel fior dei miei giorni
alla difficil scelta mi condanna!
-
Cerchiam,
-
vediamo.
-
Una volta c'era...
-
Ah! È fatta.
-
Che cos'è?
-
Che batticuore!
-
Forse un mostro son io?
-
Sì.
-
No, signore.
-
Un soave non so che
-
in quegli occhi scintillò.
-
Io vorrei saper perché
-
il mio cor mi palpitò.
-
Le direi, ma non ardisco.
-
Parlar voglio, e taccio intanto.
-
Una grazia, un certo incanto
par che brilli su quel viso.
-
Una grazia, un certo incanto
par che brilli su quel viso.
-
Quanto caro è quel sorriso!
-
Scende all'alma e fa sperar.
-
Del baron le figlie io cerco.
-
Dove sono?
-
Qui non le vedo.
-
Stan di là nell'altre stanze.
-
Or verranno.
-
Addio speranze.
-
Ma di grazia, voi chi siete?
-
Io chi sono? Eh, non lo so.
-
- Nol sapete?
- Quasi no.
-
Quel ch'è padre, non è padre...
Onde poi le due sorelle...
-
Era vedova mia madre...
Ma fu madre ancor di quelle...
-
Questo padre pien d'orgoglio...
-
Quel ch'è padre, non è padre...
Onde poi le due sorelle...
-
Era vedova mia madre...
Questo padre pien d'orgoglio...
-
Sta' a vedere che m'imbroglio.
-
Deh! Scusate, perdonate
alla mia semplicità.
-
Mi seduce...
-
Deh! Scusate, perdonate
alla mia semplicità.
-
Mi seduce, m'innamora
quella sua semplicità.
-
Cenerentola,
-
da me.
-
Questa voce, che cos'è?
-
A ponente ed a levante,
a scirocco e a tramontana,
-
non ho calma un solo istante,
tutto, tutto tocca a me.
-
Quell'accento, quel sembiante
è una cosa sovrumana.
-
Io mi perdo in questo istante;
già più me non trovo in me.
-
Addio, signore.
-
- Cenerentola!
- Vengo, vengo.
-
- Ah! Ci lascio proprio il core!
- Che innocenza!
-
- Questo cor più mio non è.
- Che candore!
-
Ah! M'invola proprio il core!
Questo cor più mio non è.
-
Non so che dir.
-
Come in sì rozze spoglie
sì bel volto e gentil!
-
Ma Don Magnifico
non comparisce ancor.
-
Nunziar vorrei
del mascherato principe l'arrivo.
-
Fortunato consiglio!
-
Da semplice scudiero il core
delle femmine meglio svelar saprò.
-
Dandini intanto recitando da principe...
-
Domando un milion di perdoni.
-
Dica: e Sua Altezza il prence?
-
- Arriva.
- E quando?
-
Fra tre minuti.
-
Tre minuti!
Ah, figlie, sbrigatevi!
-
Che serve?
Le vado ad affrettar.
-
Scusi: con queste ragazze benedette,
un secolo è un momento alla toelette.
-
Qual fragor!
-
Non m'inganno, ecco Dandini.
-
Scegli la sposa, affrettati:
-
sen vola via l'età.
-
La principesca linea,
se no, s'estinguerà.
-
Come un'ape ne' giorni d'aprile
va volando leggera e scherzosa;
-
corre al giglio, poi salta alla rosa,
dolce un fiore a cercare per sé;
-
fra le belle m'aggiro e rimiro:
-
ne ho vedute già tante e poi tante,
-
ma non trovo un giudizio, un sembiante,
-
un boccone squisito per me.
-
Prence...
-
Sire...
-
Ma quanti favori!
-
Che diluvio, che abisso di onori!
-
Nulla, nulla.
-
Vezzosa! Graziosa!
-
Dico bene?
-
Son tutte papà.
-
Bestia! Attento! Ti scosta di qua.
-
Per pietà, quelle ciglia abbassate.
-
Galoppando sen va la ragione,
-
e fra i colpi d'un doppio cannone
-
spalancata la breccia è di già.
-
Vezzosa! Graziosa! Son tutte papà.
-
Ma al finir della nostra commedia,
che tragedia qui nascer dovrà!
-
- È già cotto, stracotto, spolpato.
- Per pietà, quelle ciglia abbassate.
-
- L'eccellenza divien maestà.
- Galoppando sen va la ragione.
-
La principesca linea,
se no, s'estinguerà.
-
Ma al finir della nostra commedia,
che tragedia qui nascer dovrà!
-
Ei mi guarda, sospira, delira,
non v'è dubbio, mio schiavo è di già.
-
Dico bene?
-
- Bestia!
- Grazie.
-
Ah! Perché qui non viene colei
con quell'aria di grazia e bontà?
-
Ma al finir della nostra commedia,
che tragedia qui nascer dovrà!
-
Scegli la sposa, affrettati:
sen vola via l'età.
-
Che tragedia qui nascer dovrà!
-
Allegrissimamente, che bei quadri!
-
Che bocchino, che ciglia!
-
Siete l'ottava
-
e nona meraviglia.
-
Già,
-
talis patris, talem filias.
-
Grazie!
-
Altezza delle Altezze!
Che dice? Mi confonde.
-
Debolezze.
-
Vere figure etrusche!
-
- Dico bene?
- Cominci a dirle grosse.
-
Io recito da grande, e grande essendo,
grandi le ho da sparar.
-
Bel principotto!
Che non vi scappi, attente!
-
Or dunque, seguitando quel discorso
che non ho cominciato,
-
dai miei lunghi viaggi ritornato,
-
e il mio papà trovato,
-
che fra i quondam è capitombolato,
-
e spirando ha ordinato
-
che a vista qual cambiale io sia sposato
o son diseredato,
-
fatto ho un invito a tutto il vicinato,
-
e trovando un boccone delicato,
per me l'ho destinato:
-
ho detto, ho detto,
e adesso prendo fiato.
-
Che eloquenza norcina!
-
Ih, che bell'abito!
-
E quell'altro mi guarda.
-
Ecco colei! Mi ripalpita il cor.
-
Belle ragazze,
-
se vi degnate inciambellare il braccio
ai nostri cavalieri,
-
il legno è pronto.
-
Andiamo.
-
Papà...
-
Eccellenza, non tardate a venir.
-
Che fai tu qui?
Il cappello ed il bastone.
-
Eh! Signor sì.
-
Perseguitate presto con i piè baronali
i magnifici miei quarti reali.
-
Monti in carrozza, e vengo.
-
Eppur colei vo' riveder.
-
Ma lasciami.
-
- La sgrida?
- Sentite.
-
- ll tempo vola.
- Che vorrà?
-
Vuoi lasciarmi?
-
Una parola.
-
Signor, una parola.
-
Signor, in casa di quel principe,
-
un'ora, un'ora sola
portatemi a ballar.
-
Cos'è?
-
La bella Venere!
-
Qui fa la statua?
-
Vezzosa, pomposetta!
-
- Sguaiata, covacenere!
- Silenzio, ed osserviamo.
-
Lasciami, lasciami, deggio andar.
-
Ma andiamo o non andiamo?
-
Mi sento lacerar.
-
Ma una mezz'ora, un quarto.
-
- O lasciami, o ti stritolo.
- Fermate.
-
Serenissima!
-
Ma vattene.
-
Altezzissima!
Servaccia ignorantissima!
-
Serva?
-
- Serva?
- Cioè...
-
Vilissima,
d'un'estrazion bassissima.
-
Vuol far la sufficiente,
-
la cara, l'avvenente,
e non è buona a niente.
-
Va' in camera, va' in camera
la polvere a spazzar.
-
- Or ora la mia collera
- Ma caro Don Magnifico,
-
- non posso più frenar.
- via, non la strapazzar.
-
Ah! Sempre fra la cenere,
sempre dovrò restar?
-
Signori, persuadetelo;
portatemi a ballar.
-
Star sempre fra la cenere?
-
- Signori, persuadetelo.
- Va' in camera, va' in camera.
-
Portatemi a ballar.
-
Or ora la mia collera
non posso più frenar.
-
Qui nel mio codice delle zitelle,
-
con Don Magnifico stan tre sorelle.
-
Or che va il principe
la sposa a scegliere,
-
la terza figlia io vi domando.
-
Che terza figlia mi va figliando?
-
Terza sorella.
-
Ella... morì.
-
Eppur nel codice non è così.
-
Ah! Di me parlano!
-
No, no, non morì.
-
Sta' zitta lì.
-
Guardate qui!
-
Se tu respiri, ti scanno qui.
-
Ella morì?
-
Altezza,
-
morì!
-
Nel volto estatico
di questo e quello
-
si legge il vortice
del lor cervello
-
che ondeggia e dubita
e incerto sta.
-
Nel volto estatico
di questo e quello
-
si legge il vortice
del lor cervello
-
che ondeggia e dubita
e incerto sta.
-
Se tu più mormori solo una sillaba,
un cimitero qui si farà.
-
Deh, soccorretemi, deh, non lasciatemi.
Ah! Di me misera che mai sarà?
-
Via, meno strepito: fate silenzio,
o qualche scandalo qui nascerà.
-
Via, consolatevi: signor lasciatela.
Già la mia furia crescendo va.
-
Io sono un principe, o sono un cavolo?
Vi mando al diavolo: venite qua.
-
Nel volto estatico
di questo e quello
-
si legge il vortice
del lor cervello
-
che ondeggia e incerto sta.
-
Sì, tutto cangerà.
-
Quel folle orgoglio poca polve sarà,
gioco del vento;
-
e al tenero lamento
succederà il sorriso.
-
Figlia, figlia...
-
Figlia voi mi chiamate?
-
Oh questa è bella! ll padrigno barone
non vuole essermi padre,
-
e voi...
-
Peraltro, guardando i stracci vostri
e i stracci miei
-
degna d'un padre tal figlia sarei.
-
Taci, figlia, e vieni meco.
-
Teco? E dove?
-
Del principe al festino.
-
Tu mi vieni a burlar?
-
No! Sublima il pensiero!
-
Tutto cangiò per te!
-
Calpesterai men che fango i tesori,
rapirai tutti i cuori.
-
Vien meco e non temer:
-
per te dall'alto m'ispira un nume
-
a cui non crolla il trono.
-
E se dubiti ancor,
-
mira chi sono!
-
Là del ciel,
-
là del ciel nell'arcano profondo,
-
del poter sull'altissimo trono
-
veglia un nume, signore del mondo,
-
al cui piè basso mormora il tuono.
-
Tutto sa, tutto vede, e non lascia
-
nell'ambascia perir la bontà,
-
no, no, nell'ambascia perir la bontà.
-
Fra la cenere, il pianto, l'affanno,
-
ei ti vede, o fanciulla innocente,
-
ei ti vede, fanciulla innocente,
-
e cangiando il tuo stato tiranno,
-
fra l'orror vibra un lampo innocente.
-
No, no, no, non temer,
si è cambiata la scena:
-
la tua pena cangiando va.
-
Un crescente mormorio
non ti sembra d'ascoltar?
-
Ah, sta' lieta: è il cocchio mio
su cui voli a trionfar!
-
Tu mi guardi? Ti confondi?
-
Ehi, ragazza, non rispondi?
-
Sconcertata è la tua testa
-
e rimbalza qua e là,
-
come nave in gran tempesta
-
che di sotto in su sen va.
-
Sì, sì.
-
Ma già il nembo è terminato,
scintillò serenità.
-
Il destino s'è cangiato:
-
l'innocenza brillerà.
-
Ma bravo, bravo, bravo!
Caro il mio Don Magnifico!
-
Di vigne, di vendemmie e di vini
mi avete fatto una dissertazione.
-
Lodo il vostro talento.
-
Si vede che ha studiato.
-
Si porti sul momento
dove sta il nostro vino conservato.
-
E se sta saldo e intrepido
-
al trivigesimo assaggio
lo promovo all'onor di cantiniero.
-
Io distinguo i talenti
e premio il saggio.
-
Prence! L'Altezza Vostra
è un pozzo di bontà.
-
Più se ne cava, più ne resta a cavar.
-
Figlie! Vedete?
Non regge al vostro merto;
-
n'è la mia promozione indizio certo.
-
Clorinduccia,
-
Tisbina,
-
tenete allegro il re.
-
Vado in cantina.
-
Esamina, disvela, e fedelmente
tutto mi narrerai.
-
Eseguite trottando il cenno mio.
-
Udiste?
-
Udii.
-
Fido vassallo, addio.
-
Ora sono da voi. Scommetterei
che siete fatte al torno,
-
e che il guercetto amore
-
è stato il tornitore.
-
Con permesso:
-
la maggiore son io, onde la prego
darmi la preferenza.
-
Con sua licenza: la minore son io,
invecchierò più tardi.
-
Scusi: quella è fanciulla,
proprio non sa di nulla.
-
Permetta: questa è un'acqua senza sale,
non fa né ben né male.
-
Di grazia: i dritti miei
la prego bilanciar.
-
Perdoni: veda, io non tengo rossetto.
-
Ascolti: quel suo bianco
è di bianchetto.
-
- Senta...
- Mi favorisca...
-
Anime belle, mi volete spaccar?
-
Non dubitate. Ho due occhi reali
e non adopro occhiali.
-
Fidati pur di me, mio caro oggetto.
-
Per te sola mi batte il core in petto.
-
M'inchino a Vostra Altezza.
-
Anzi all'Altezza Vostra.
-
Verrò a portarle qualche memoriale.
-
Lectum.
-
Ce la vedremo.
-
Forse sì, forse no.
-
Poter del mondo!
-
Le faccio riverenza!
-
E mi sprofondo!
-
Conciosiacosaché trenta botti già gustò,
-
e bevuto ha già per tre
-
e finor non barcollò!
-
È piaciuto a Sua Maestà
nominarlo cantinier:
-
intendente dei bicchier
con estesa autorità,
-
presidente al vendemmiar,
direttor dell'evoè;
-
onde tutti intorno a te
ci affolliamo qui a ballar.
-
Intendente? Direttor?
-
Presidente? Cantinier?
-
Grazie, grazie!
-
Che piacer! Che girandola ho nel cor!
-
Si venga a scrivere quel che dettiamo.
-
Seimila copie poi ne vogliamo.
-
Già pronti a scrivere tutti siam qui.
-
Noi Don Magnifico...
-
Questo in maiuscole.
-
Bestie! Maiuscole!
-
Bravi! Così.
-
Noi Don Magnifico, duca e barone
-
dell'antichissimo Montefiascone,
-
grand'intendente, gran presidente,
-
con gli altri titoli,
con venti etcetera,
-
in splenitudine d'autorità,
-
riceva l'ordine chi leggerà:
-
di più non mescere per anni quindici
-
nel vino amabile d'acqua una gocciola,
-
alias capietur et strangulatur.
-
Perché etcetera, laonde etcetera,
nell'anno etcetera, barone etcetera.
-
Barone etcetera, è fatto già.
-
Ora affiggetelo per la città.
-
Il pranzo in ordine andiamo a mettere.
-
Vino a diluvio si beverà.
-
Premio bellissimo di piastre sedici
a chi più Malaga si beverà.
-
Zitto zitto, piano piano,
senza strepito e rumore.
-
Delle due qual è l'umore?
Esattezza e verità.
-
Sottovoce, a mezzo tono,
in estrema confidenza,
-
sono un misto d'insolenza,
di capriccio e vanità.
-
E Alidoro mi diceva
che una figlia del barone...
-
Ah! ll maestro è un gran testone;
oca eguale non si dà.
-
Alidoro mi diceva
che una figlia del barone...
-
Ah! ll maestro è un gran testone;
oca eguale non si dà.
-
Ah! ll maestro è un gran testone;
oca eguale non si dà.
-
Se le sposi pur chi vuole,
seguitiamo a recitar.
-
Son due vere banderuole,
ma convien dissimular.
-
Principino, dove siete?
-
Principino, dove state?
-
Ah! Perché m'abbandonate?
Mi farete disperar.
-
- lo vi voglio...
- Vi vogl'io...
-
Ma non diamo in bagattelle.
-
Maritarmi a due sorelle
tutte insieme non si può!
-
Una sposa.
-
E l'altra?
-
E l'altra?
-
E l'altra,
-
all'amico la darò.
-
No, no, no. Un scudiero! Oibò, oibò!
-
Sarò docile, amoroso...
-
Un scudiero! No, signore.
Un scudiero! Questo no.
-
...tenerissimo di cuore.
-
Un scudiero! No, signore.
Un scudiero! Questo no.
-
- Con un'anima plebea!
- Sarò buono,
-
- Con un'aria dozzinale!
- amoroso.
-
- Con un'anima plebea!
- Sarò buono,
-
- Con un'aria dozzinale!
- amoroso.
-
Mi fa male, mi fa male
solamente a immaginar.
-
La scenetta è originale:
veramente da contar.
-
Mi fa male, mi fa male
solamente a immaginar.
-
Venga, inoltri, avanzi il piè.
-
Anticamera non v'è, no, no, no, no.
-
Sapientissimo Alidoro,
-
questo strepito cos'è?
-
Dama incognita qui vien.
-
Sopra il volto un velo tien.
-
Una dama!
-
Signor sì.
-
Ma chi è?
-
Nol palesò.
-
Sarà bella?
-
Sì e no.
-
Chi sarà?
-
Ma non si sa.
-
Non parlò?
-
Signora no.
-
- E qui vien?
- Chi sa perché?
-
Chi sarà? Chi è? Perché?
-
Non si sa.
-
Si vedrà.
-
Chi sarà? Chi è? Perché?
-
Non si sa.
-
Si vedrà.
-
Gelosia già già mi lacera,
già il cervel più in me non è.
-
Gelosia già già le rosica,
più il cervello in lor non è.
-
- Un ignoto arcano palpito
- Diventato son di zucchero!
-
- ora m'agita, perché?
- Quante mosche intorno a me!
-
Ah! Se velata ancor
dal seno il cor ci hai tolto,
-
se svelerai quel volto, che sarà?
-
Sprezzo quei don che versa
-
fortuna capricciosa.
-
M'offra, chi mi vuol sposa,
-
rispetto, amor, bontà.
-
Di quella voce il suono
-
ignoto al cor non scende;
-
perché la speme accende,
di me maggior mi fa.
-
Begli occhi che dal velo
-
vibrate un raggio acuto,
-
svelatevi un minuto
-
almen per civiltà.
-
Vedremo il gran miracolo
di questa rarità.
-
- Vedremo il gran miracolo
- Svelatevi.
-
- di questa rarità.
- Ah!
-
Parlar, pensar, vorrei,
-
parlar, pensar, non so.
-
Quest'è un inganno, oh dei!
Quel volto m'atterrò.
-
Parlar, pensar, vorrei,
-
parlar, pensar, non so.
-
Quest'è un incanto, oh dei!
Quel volto m'atterrò.
-
Parlar, pensar, vorrei,
-
parlar, pensar, non so,
no, no, no, no.
-
Quest'è un incanto, oh dei!
Quel volto m'atterrò.
-
Parlar, pensar, vorrebbe,
-
parlar, pensar, non può.
-
Amar già la dovrebbe,
il colpo non sbagliò.
-
Signora Altezza, in tavola.
-
Che... co... chi... sì...
-
Che... che bestia!
-
Quando si dice i simili!
-
Non sembra Cenerentola?
-
- Pareva ancora a noi,
- ma a riguardarla poi,
-
- la nostra è goffa e attratta,
- questa è un po' più ben fatta.
-
Ma poi non è una Venere
da farci spaventar.
-
Quella sta nella cenere,
ha stracci sol per abiti.
-
Il vecchio guarda e dubita.
-
Mi guarda e par che palpiti.
-
Ma non facciam le statue,
patisce l'individuo.
-
Andiamo, andiamo a tavola,
-
poi balleremo il Taice,
-
e quindi la bellissima
con me s'ha da sposar.
-
Andiamo, andiamo a tavola,
si voli a giubilar.
-
Oggi che fo da principe
per quattro vo' mangiar.
-
Mi par d'essere sognando
fra giardini, fra boschetti.
-
I ruscelli sussurrando,
gorgheggiando gli augelletti
-
in un mare di delizie
fanno l'animo nuotar.
-
Sussurrando, sussurrando
fanno l'animo nuotar.
-
Ma ho timor che sotto terra
-
piano piano, a poco a poco
-
si sviluppi un certo foco,
-
e improvviso a tutti ignoto
-
balzi fuori un terremoto,
che crollando, strepitando,
-
fracassando, sconquassando
poi mi venga a risvegliar,
-
balzi fuori un terremoto,
che crollando, strepitando,
-
fracassando, sconquassando
poi mi venga a risvegliar.
-
E ho paura che il mio sogno
vada in fumo a dileguar.
-
Mi par che quei birbanti
ridessero di noi sotto cappotto.
-
Corpo del mosto cotto,
fo un cavaliericidio.
-
Papà, non v'inquietate.
-
Ho nella testa quattromila pensieri.
-
Ci mancava quella madama anonima.
-
E credete che del principe
il core ci contrasti?
-
Somiglia a Cenerentola, e vi basti.
-
Somiglia tanto e tanto
che son due gocce d'acqua.
-
Già già, questa figliastra
fino in chi la somiglia è a noi funesta.
-
Ma sai tu che tempesta
mi piomberebbe addosso,
-
se scopre alcuno come ho dilapidato
il patrimonio suo!
-
Per abbigliarvi, al verde l'ho ridotta.
-
È diventata un vero sacco d'ossa.
-
Ah, se si scopre,
avrei trovato il resto del carlino.
-
E paventar potete a noi vicino?
-
Vi son buone speranze?
-
Ah! Niente, niente.
Posso dir ch'è certezza.
-
Io quasi quasi
potrei dar delle cariche.
-
In segreto m'ha detto: anima mia,
ha fatto un gran sospiro,
-
è andato via.
-
Un sospiro cos'è?
-
Quando mi vede, subito ride.
-
Ah! Dunque qui sospira, e qui ride.
-
Dite, papà barone,
voi che avete un testone:
-
qual è il vostro pensier?
Ditelo schietto.
-
Giocato ho un ambo e vincerò l'eletto.
-
Tra voi due non si scappa.
C'intenderem fra noi.
-
Viscere mie, mi raccomando a voi.
-
Sia qualunque delle figlie
che fra poco andrà sul trono,
-
ah, non lasci in abbandono,
-
ah, non lasci in abbandono
un magnifico papà.
-
Già mi par che questo e quello,
conficcandomi a un cantone
-
e cavandosi il cappello, incominci:
-
sior barone, alla figlia sua regale
porterebbe un memoriale?
-
Prenda: per la cioccolata,
-
e una doppia ben coniata
faccia intanto scivolar.
-
Io rispondo: eh sì, vedremo.
-
Già è di peso? Parleremo.
-
Da palazzo può passar, sì,
da palazzo può passar.
-
Già è di peso? Sì, vedremo.
Da palazzo può passar.
-
Mi rivolto, e vezzosetta,
tutta odori e tutta unguenti,
-
mi s'inchina una scuffietta
fra sospiri e complimenti:
-
baroncino! Si ricordi quell'affare,
-
e già m'intende;
senza argento parla ai sordi.
-
La manina alquanto stende,
fa una piastra sdrucciolar.
-
Io galante: occhietti bei!
-
Ah! Per voi che non farei!
-
Io vi voglio contentar!
-
Una piastra! lo vi voglio contentar!
-
Mi risveglio a mezzogiorno:
-
suono appena il campanello,
-
che mi vedo al letto intorno
-
supplichevole drappello:
quello cerca protezione;
-
quello ha torto e vuol ragione;
chi vorrebbe un impieguccio;
-
chi una cattedra ed è un ciuccio;
-
chi l'appalto delle spille;
chi la pesca dell'anguille;
-
ed intanto in ogni lato
sarò zeppo e contornato
-
di memorie e petizioni,
di galline, di storioni,
-
di bottiglie, di broccati,
di candele e marinati,
-
di ciambelle e pasticcetti,
di canditi e di confetti,
-
di piastroni, di dobloni,
di vaniglia e di caffè.
-
D'ogni lato, d'ogni lato
sono zeppo e contornato
-
di ciambelle e pasticcetti,
di canditi e di confetti,
-
di piastroni, di dobloni,
di vaniglia e di caffè.
-
Basta, basta: non portate!
-
Terminate: ve ne andate?
-
Non portate!
Basta, basta, in verità!
-
Serro l'uscio a catenaccio.
-
Importuni, seccatori,
fuori, fuori, via da me.
-
Serro l'uscio a catenaccio.
-
Importuni, seccatori,
fuori, fuori, via da me.
-
Presto, presto, via di qua.
-
Ah! Questa bella incognita,
con quella somiglianza all'infelice,
-
che mi colpì stamane,
-
mi va destando in petto
certa ignota premura.
-
Anche Dandini ne sembra innamorato.
-
Eccoli: udirli or qui potrò celato.
-
Ma non fuggir, per bacco! Quattro volte
m'hai fatto misurar la galleria.
-
O mutate linguaggio, o vado via.
-
Ma che? ll parlar d'amore
è forse una stoccata!
-
Ma s'io d'un altro sono innamorata!
-
E me lo dici in faccia?
-
Ah, mio signore, deh, non andate
in collera se vi parlo sincero.
-
- Ed ami?
- Scusi...
-
- Ed ami?
- ll suo scudiero.
-
Ah gioia! Anima mia!
-
Va a meraviglia!
-
Ma il grado e la ricchezza
non seduce il tuo core?
-
Mio fasto è la virtù,
ricchezza è amore.
-
Dunque saresti mia?
-
Piano, tu devi pria ricercarmi,
conoscermi, vedermi,
-
esaminar la mia fortuna.
-
Io teco, cara, verrò volando.
-
Fermati: non seguirmi.
Io tel comando.
-
E come dunque?
-
Tieni, cercami, e alla mia destra
il compagno vedrai;
-
e allor, se non ti spiaccio,
allor m'avrai.
-
Dandini, che ne dici?
-
Eh! Dico che da principe
sono passato a far da testimonio.
-
E allor, se non ti spiaccio,
allor m'avrai.
-
Quali accenti son questi?
-
Ah! Mio sapiente, venerato maestro.
-
Il cor m'ingombra misterioso amor.
-
Che far degg'io?
-
Quel che consiglia il core.
-
Principe più non sei:
-
di tante sciocche
si vuoti il mio palazzo.
-
Olà, miei fidi!
-
Sia pronto il nostro cocchio,
e fra momenti...
-
Così potessi aver l'ali dei venti.
-
Sì, ritrovarla io giuro.
-
Amor, amor mi muove:
-
se fosse in grembo a Giove,
-
io la ritroverò.
-
Pegno adorato e caro
che mi lusinghi almeno,
-
- ah, come al labbro e al seno,
- Oh, qual tumulto ha in seno!
-
- come ti stringerò!
- Comprenderlo non so.
-
Ah, come al labbro e al seno
ti stringerò!
-
Noi voleremo, domanderemo,
-
ricercheremo, ritroveremo.
-
Dolce speranza, freddo timore
dentro al mio core stanno a pugnar.
-
Dolce speranza, freddo timore
dentro al suo core stanno a pugnar.
-
Noi voleremo,
-
domanderemo.
-
Amore, amore m'hai da guidar.
-
- Ricercheremo, domanderemo.
- Noi voleremo, domanderemo.
-
- Amore, amore m'hai da guidar.
- Amore, amore l'ha da guidar.
-
Ma dunque io sono un ex?
-
Dal tutto al niente
precipito in un tratto?
-
Veramente ci ho fatto
una bella figura!
-
Scusi la mia premura,
-
ma quelle due ragazze
stan con la febbre a freddo.
-
Si potrebbe sollecitar la scelta?
-
- È fatta, amico.
- È fatta!
-
Ah, per pietà! Dite, parlate!
-
È fatta!
-
E i miei germogli,
in questi luoghi a vegetar verranno?
-
Tutti poi lo sapranno: per ora
-
- è un gran segreto.
- E quale, e quale?
-
Clorindina,
-
o Tisbetta?
-
- Non giudicate in fretta.
- Lo dica ad un papà.
-
Ma
-
- silenzio.
- Si sa; via, dica presto.
-
Non ci ode alcuno?
-
In aria non si vede una mosca.
-
È un certo arcano che farà sbalordir.
-
Sto sulle spine.
-
Poniamoci a sedere.
-
Presto, per carità.
-
Voi sentirete un caso assai bizzarro.
-
Che volesse maritarsi con me?
-
- Mi raccomando.
- Ma si lasci servir.
-
Sia sigillato
quanto ora udrete dalla bocca mia.
-
Io tengo in corpo una segreteria.
-
Un segreto d'importanza,
un arcano interessante
-
io vi devo palesar.
-
È una cosa stravagante,
-
vi farà strasecolar.
-
Senza battere le ciglia,
-
senza manco trarre il fiato,
-
io mi pongo ad ascoltar.
-
Starò qui pietrificato
-
ogni sillaba a contar.
-
Uomo saggio e stagionato
sempre meglio ci consiglia.
-
Se sposassi una sua figlia,
come mai l'ho da trattar?
-
Consiglier son già stampato.
Ma che eccesso di clemenza!
-
Mi stia dunque Sua Eccellenza,
bestia, Altezza, ad ascoltar.
-
Abbia sempre pronti in sala
trenta servi in piena gala,
-
centosedici cavalli,
-
duchi, conti e marescialli,
a dozzine convitati,
-
pranzi sempre coi gelati,
poi carrozze e poi bombè.
-
Vi rispondo senza arcani
che noi siamo assai lontani.
-
Io non uso far de' pranzi,
mangio sempre degli avanzi,
-
non m'accosto a' gran signori,
tratto sempre servitori,
-
me ne vado sempre a piè.
-
- Mi corbella?
- Gliel prometto.
-
- Questo dunque?
- È un romanzetto.
-
È una burla il principato,
-
sono un uomo mascherato.
-
Ma è tornato il vero principe,
m'ha strappata alfin la maschera.
-
Io ritorno al mio mestiere:
-
son Dandini il cameriere.
-
Son Dandini il cameriere.
-
Rifar letti, spazzar abiti,
far la barba e pettinar.
-
Far la barba e pettinar!
-
Di quest'ingiuria, di quest'affronto
il vero principe mi renda conto.
-
Ah, non s'incomodi, non farà niente:
ma parta subito, immantinente.
-
- Non partirò.
- Lei partirà.
-
- Sono un barone.
- Pronto è il bastone.
-
Ci rivedremo. Ci parleremo.
-
- Non partirò.
- Lei partirà.
-
Ci rivedremo. Ci parleremo.
-
Pronto è il bastone, lei partirà.
-
Non partirò.
-
Tengo nel cerebro un contrabbasso,
che basso basso frullando va.
-
Da cima a fondo, poter del mondo!
Che scivolata, che gran cascata!
-
Eccolo, eccolo, tutti diranno,
mi burleranno per la città.
-
Povero diavolo!
Vostr'Eccellenza, abbia prudenza.
-
Saprò arricciarla, sbarbificarla.
Ah, ah! Guardatelo, l'allocco è là.
-
Una volta c'era un re,
-
che a star solo s'annoiò:
-
cerca, cerca, ritrovò;
-
ma il volean sposare in tre.
-
Cosa fa?
-
Sprezza il fasto e la beltà,
-
e alla fin scelse per sé
-
l'innocenza, l'innocenza,
-
l'innocenza e la bontà.
-
Quanto sei caro!
-
E quegli cui dato ho il tuo compagno,
è più caro di te.
-
Qual rumore!
-
Chi vedo! Che ceffi! Già di ritorno!
-
Non credea che tornaste avanti giorno.
-
Ma ve l'avevo detto...
-
Ma cospetto, cospetto!
Similissime sono affatto affatto.
-
Quella è l'original,
questa è il ritratto.
-
- Hai fatto tutto?
- Tutto.
-
Perché quel ceffo brutto
voi mi fate così?
-
Perché, perché... Per una certa strega
che rassomiglia a te.
-
Su le tue spalle
quasi mi sfogherei.
-
Povere spalle mie,
cosa ci hanno che far?
-
Ah, fa mal tempo!
Minaccia un temporale.
-
Altro che temporale!
-
Un fulmine vorrei
che incenerisse il cameriere.
-
Ma dite, cosa è accaduto?
-
Avete qualche segreta pena?
-
Sciocca, va' là,
va' a preparar la cena.
-
Vado, sì, vado.
-
Oh, che cattivo umore!
-
Ah! Lo scudiero mio mi sta nel core.
-
Scusate, amici.
-
La carrozza del principe ribaltò.
-
- Ma chi vedo?
- Ah, siete voi!
-
Ma il principe dov'è?
-
Lo conoscete!
-
Lo scudiero!
-
Uh, guardate.
-
Signore, perdonate,
se una combinazione...
-
Che dice? Si figuri!
-
Mio padrone.
-
Non senza perché venuto è qua.
La sposa, figlie mie, fra voi sarà.
-
Ehi, presto, Cenerentola,
porta la sedia nobile.
-
No, no: pochi minuti.
Altra carrozza pronta ritornerà.
-
Ma che! Gli pare?
-
- Ti sbriga, Cenerentola.
- Son qui.
-
Dalla al principe, bestia.
-
Eccolo lì.
-
Questo! Ah, che vedo!
-
- Principe!
- T'arresta!
-
Che! Lo smaniglio! È lei!
-
Che gioia è questa!
-
Siete voi?
-
Voi prence siete?
-
Qual sorpresa!
-
Il caso è bello.
-
- Ma...
- Tacete.
-
Addio cervello.
-
- Se...
- Silenzio.
-
Silenzio.
-
Che sarà!
-
Questo è un nodo avviluppato,
questo è un gruppo rintrecciato.
-
Chi sviluppa più inviluppa,
chi più sgruppa, più raggruppa.
-
Ed intanto la mia testa
vola, vola e poi s'arresta.
-
Vo tenton per l'aria oscura,
e comincio a delirar.
-
Donna sciocca! Alma di fango!
-
Cosa cerchi? Che pretendi?
-
Fra noi gente d'alto rango
l'arrestarsi è inciviltà.
-
Serva audace, e chi t'insegna
di star qui fra tanti eroi?
-
Va' in cucina, serva indegna,
non tornar mai più di qua.
-
Alme vili, invan tentate
d'insultar colei che adoro.
-
Alme vili, paventate:
il mio fulmine cadrà.
-
Già sapea che la commedia
si cangiava al second'atto.
-
Ecco aperta la tragedia,
me la godo in verità.
-
Son di gelo.
-
Son di stucco.
-
Diventato è un mammalucco.
-
- Ma una serva...
- Olà, tacete.
-
L'ira mia più fren non ha!
-
Ah, signor, s'è ver che in petto
qualche amor per me serbate,
-
compatite, perdonate,
e trionfi la bontà.
-
- Quelle lagrime mirate.
- Ah, l'ipocrita guardate!
-
- Qual candore, qual bontà!
- Oh, che bile che mi fa!
-
Oh, che rabbia che mi fa!
-
Ma in somma delle somme,
Altezza, cosa vuole?
-
Piano: non più parole.
-
Questa sarà mia sposa.
-
Ah! Ah! Dirà per ridere.
-
Non vedi che ti burlano?
-
Lo giuro.
-
Lo giuro: mia sarà.
-
Ma fra i rampolli miei,
mi par che a creder mio...
-
Per loro non son io.
-
Ho l'anima plebea,
ho l'aria dozzinale.
-
Alfine, alfine sul bracciale
ecco, ecco il pallon tornò;
-
e il giocator maestro
in aria il ribalzò.
-
Vieni a regnar, vieni, l'impongo.
-
Su questa mano almeno,
-
e prima a questo seno...
-
Ti scosta. Ti allontana.
-
Perfida gente insana!
Io vi farò tremar.
-
Quello brontola e borbotta,
-
questo strepita e s'adira,
-
quello freme, questo fiotta,
-
chi minaccia, chi sospira.
-
Va a finir che a' pazzarelli
ci dovranno trascinar.
-
Dove son? Che incanto è questo?
-
Io felice! Oh, qual evento!
-
È un inganno! Ah, se mi desto!
-
Che improvviso cangiamento!
-
Sta in tempesta il mio cervello,
posso appena respirar.
-
Vieni, amor ti guiderà
a regnar, a trionfar.
-
Dunque noi siam burlate?
-
Dalla rabbia io non vedo più lume.
-
Mi pare di sognar.
-
- La Cenerentola...
- Principessa sarà.
-
Chi siete?
-
Io vi cercai la carità,
voi mi scacciaste.
-
E l'Angiolina, quella
che non fu sorda ai miseri,
-
che voi teneste come vile ancella,
fra la cenere e i cenci,
-
or salirà sul trono.
-
Che fia di noi, frattanto?
-
Il bivio è questo.
-
O terminar fra la miseria i giorni,
-
o curve a piè del trono
implorar grazia ed impetrar perdono.
-
Nel vicin atrio io stesso,
-
presago dell'evento,
la festa nuziale ho preparata.
-
Questo, questo è il momento.
-
Abbassarmi con lei!
-
Son disperata!
-
La pillola è un po' dura:
ma inghiottirla dovrà; non v'è rimedio.
-
E voi, cosa pensate?
-
Cosa penso? Mi accomodo alla sorte:
se mi umilio, alla fin non vado a morte.
-
Giusto ciel! Ti ringrazio!
I voti miei non han più che sperar.
-
L'orgoglio è oppresso.
-
Sarà felice il caro alunno.
-
In trono trionfa la bontà.
-
Contento io sono.
-
Della fortuna instabile
la revolubil ruota
-
mentre ne giunge al vertice
per te s'arresta immota.
-
Cadde l'orgoglio in polvere,
-
trionfa la bontà.
-
Cadde l'orgoglio in polvere,
trionfa la bontà.
-
Sposa...
-
Signore, perdona la tenera incertezza
che mi confonde ancor.
-
Poc'anzi, il sai,
fra la cenere immonda,
-
ed or sul trono,
e un serto mi circonda.
-
Altezza, a voi mi prostro.
-
Né m'udrò mai chiamar la figlia vostra?
-
- Quelle orgogliose...
- Ah, prence, io cado ai vostri piè.
-
Le antiche ingiurie
mi svanir dalla mente.
-
Sul trono io salgo,
e voglio starvi maggior del trono,
-
e sarà mia vendetta
-
il lor perdono.
-
Nacqui all'affanno e al pianto.
-
Soffrì tacendo il core;
-
ma per soave incanto,
dell'età mia nel fiore,
-
come un baleno rapido
-
la sorte mia cangiò.
-
No, no; tergete il ciglio,
-
perché tremar, perché?
-
A questo sen volate.
-
Figlia, sorella, amica,
-
tutto trovate in me.
-
M'intenerisce e m'agita,
è un nume agli occhi miei.
-
Padre, sposo, amico, oh, istante!
-
Degna del tron tu sei,
-
ma è poco un trono a te.
-
Sì, degna del tron tu sei,
ma è poco un trono a te.
-
Non più mesta accanto al fuoco
starò sola a gorgheggiar, no.
-
Ah, fu un lampo, un sogno, un gioco
il mio lungo palpitar.
-
Tutto cangia a poco a poco,
cessa alfin di sospirar.