No, no, no: non v'è, non v'è chi trinciar sappia così leggerissimo sciassè. Sì, sì, sì: va bene lì. Meglio lì; no, meglio qui. Risaltar di più mi fa. A quest'arte, a tal beltà sdrucciolare ognun dovrà. A quest'arte, a tal beltà sdrucciolare ognun dovrà. Una volta c'era un re, che a star solo s'annoiò: cerca, cerca, ritrovò; ma il volean sposare in tre. Cosa fa? Sprezza il fasto e la beltà, e alla fin scelse per sé l'innocenza, l'innocenza, l'innocenza e la bontà. Cenerentola, finiscila con la solita canzone. Cenerentola, finiscila con la solita canzone. Presso al fuoco in un cantone via, lasciatemi cantar. Una volta c'era un re... - Una volta... - E due, e tre. La finisci sì o no? Se non taci, ti darò... Una volta... Chi sarà? Chi sarà? Un tantin di carità. Un tantin di carità. Accattoni! Via di qua. Zitto, zitto: su, prendete questo po' di colazione. Forse il ciel il guiderdone pria di notte vi darà. Forse il ciel il guiderdone pria di notte vi darà, sì. Risvegliar dolce passione più di me nessuna sa, no. Zitto, zitto: su, prendete, fate presto, per pietà. Ah, non reggo alla passione, che crudel fatalità! Ma che vedo! Ancora lì! Anche un pane? Anche il caffè? Prendi, prendi: questo a te. - Ah! Soccorso chi mi dà! - Vi fermate, per pietà. O figlie amabili di Don Magnifico, Ramiro il principe or or verrà. Al suo palagio vi condurrà. Si canterà, si danzerà: poi la bellissima fra l'altre femmine sposa carissima per lui sarà. Ma dunque il principe? Or or verrà. E la bellissima? Si sceglierà. Cenerentola, vien qua. Le mie scarpe, il mio bonnè. Cenerentola, vien qua. Le mie penne, il mio colliè. Cenerentola vien qua, Cenerentola va' là, Cenerentola va' su, Cenerentola vien giù. Questo è proprio uno strapazzo! Mi volete far crepar? Sì, mi volete far crepar. Nel cervello ho una fucina; son più bella e vo' trionfar, a un sorriso, a un'occhiatina Don Ramiro ha da cascar. ll cimento si avvicina, il gran punto di trionfar. - Già nel capo una fucina - Son più bella e vo' trionfar. - sta le donne a martellar. - Don Ramiro ha da cascar. Nel cervello una fucina sta le pazze a martellar, ma già pronta è la ruina; voglio ridere e schiattar. Già pronta pronta è la ruina, voglio ridere e schiattar. Cenerentola, presto, prepara i nastri, i manti. - Gli unguenti, le pomate. - I miei diamanti. Uditemi, sorelle... Che sorelle! Non profanarci con sì fatto nome. E guai per te se t'uscirà di bocca. Sempre nuove pazzie soffrir mi tocca. Non v'è tempo da perdere. Nostro padre avvisarne conviene. Essere la prima voglio a dargli tal nuova. Oh! Mi perdoni, io sono la maggior. - No, no, gliel vo' dir io. - È questo il dover mio. lo svegliare lo vo'. Venite appresso. Ah! Non la vincerai. Ecco egli stesso. Miei rampolli femminini, vi ripudio; mi vergogno! Un magnifico mio sogno mi veniste a sconcertar. Vi ripudio; mi vergogno! Come son mortificate! Degne figlie d'un barone! Via: silenzio ed attenzione. State il sogno a meditar. Mi sognai fra il fosco e il chiaro un bellissimo somaro; un somaro, ma solenne. Quando a un tratto, oh che portento! Sulle spalle a cento a cento gli spuntavano le penne ed in aria, sciù, volò! Ed in cima a un campanile come in trono si fermò. Si sentiano per di sotto le campane a dindonar, din, don, din, don. Col cì cì, ciù ciù di botto mi veniste a risvegliar. Col cì cì, col ciù ciù mi faceste risvegliar. Ma d'un sogno sì intralciato ecco il simbolo spiegato. La campana suona a festa? Allegrezza in casa è questa. Quelle penne? Siete voi. Quel gran volo? Plebe, addio. Resta l'asino di poi, ma quell'asino son io. Chi vi guarda vede chiaro che il somaro è il genitor. Fertilissima regina l'una e l'altra diverrà; ed il nonno una dozzina di rampolli abbraccerà. Un re piccolo di qua: servo, servo. Un re bambolo di qua: servo, servo. E la gloria mia sarà, sì, sì, la gloria mia sarà. Fertilissima regina l'una e l'altra diverrà; ed il nonno una dozzina di nepoti abbraccerà. - Sappiate che fra poco... - ll principe Ramiro... Che son tre dì che nella deliziosa... Vicino mezzo miglio venuto è ad abitar... Sceglie una sposa... Ci mandò ad invitar. - E fra momenti... - Arriverà per prenderci... E la scelta la più bella sarà. Figlie, che dite! Quel principon! Quantunque io nol conosca... Sceglierà! V'invitò... Sposa... più bella! Io cado in svenimento. Cenerentola, presto, portami il mio caffè. Viscere mie, metà del mio palazzo è già crollata, e l'altra è in agonia. Fatevi onore. Mettiamoci un puntello. Figlie, state in cervello. Parlate in punto e virgola, per carità. Pensate ad abbigliarvi: si tratta nientemen che imprinciparvi. Tutto è deserto. Amici? Nessun risponde. In questa simulata sembianza le belle osserverò. Né viene alcuno? Eppur mi diè speranza il sapiente Alidoro, che qui, saggia e vezzosa, degna di me trovar saprò la sposa. Sposarsi, e non amar! Legge tiranna, che nel fior dei miei giorni alla difficil scelta mi condanna! Cerchiam, vediamo. Una volta c'era... Ah! È fatta. Che cos'è? Che batticuore! Forse un mostro son io? Sì. No, signore. Un soave non so che in quegli occhi scintillò. Io vorrei saper perché il mio cor mi palpitò. Le direi, ma non ardisco. Parlar voglio, e taccio intanto. Una grazia, un certo incanto par che brilli su quel viso. Una grazia, un certo incanto par che brilli su quel viso. Quanto caro è quel sorriso! Scende all'alma e fa sperar. Del baron le figlie io cerco. Dove sono? Qui non le vedo. Stan di là nell'altre stanze. Or verranno. Addio speranze. Ma di grazia, voi chi siete? Io chi sono? Eh, non lo so. - Nol sapete? - Quasi no. Quel ch'è padre, non è padre... Onde poi le due sorelle... Era vedova mia madre... Ma fu madre ancor di quelle... Questo padre pien d'orgoglio... Quel ch'è padre, non è padre... Onde poi le due sorelle... Era vedova mia madre... Questo padre pien d'orgoglio... Sta' a vedere che m'imbroglio. Deh! Scusate, perdonate alla mia semplicità. Mi seduce... Deh! Scusate, perdonate alla mia semplicità. Mi seduce, m'innamora quella sua semplicità. Cenerentola, da me. Questa voce, che cos'è? A ponente ed a levante, a scirocco e a tramontana, non ho calma un solo istante, tutto, tutto tocca a me. Quell'accento, quel sembiante è una cosa sovrumana. Io mi perdo in questo istante; già più me non trovo in me. Addio, signore. - Cenerentola! - Vengo, vengo. - Ah! Ci lascio proprio il core! - Che innocenza! - Questo cor più mio non è. - Che candore! Ah! M'invola proprio il core! Questo cor più mio non è. Non so che dir. Come in sì rozze spoglie sì bel volto e gentil! Ma Don Magnifico non comparisce ancor. Nunziar vorrei del mascherato principe l'arrivo. Fortunato consiglio! Da semplice scudiero il core delle femmine meglio svelar saprò. Dandini intanto recitando da principe... Domando un milion di perdoni. Dica: e Sua Altezza il prence? - Arriva. - E quando? Fra tre minuti. Tre minuti! Ah, figlie, sbrigatevi! Che serve? Le vado ad affrettar. Scusi: con queste ragazze benedette, un secolo è un momento alla toelette. Qual fragor! Non m'inganno, ecco Dandini. Scegli la sposa, affrettati: sen vola via l'età. La principesca linea, se no, s'estinguerà. Come un'ape ne' giorni d'aprile va volando leggera e scherzosa; corre al giglio, poi salta alla rosa, dolce un fiore a cercare per sé; fra le belle m'aggiro e rimiro: ne ho vedute già tante e poi tante, ma non trovo un giudizio, un sembiante, un boccone squisito per me. Prence... Sire... Ma quanti favori! Che diluvio, che abisso di onori! Nulla, nulla. Vezzosa! Graziosa! Dico bene? Son tutte papà. Bestia! Attento! Ti scosta di qua. Per pietà, quelle ciglia abbassate. Galoppando sen va la ragione, e fra i colpi d'un doppio cannone spalancata la breccia è di già. Vezzosa! Graziosa! Son tutte papà. Ma al finir della nostra commedia, che tragedia qui nascer dovrà! - È già cotto, stracotto, spolpato. - Per pietà, quelle ciglia abbassate. - L'eccellenza divien maestà. - Galoppando sen va la ragione. La principesca linea, se no, s'estinguerà. Ma al finir della nostra commedia, che tragedia qui nascer dovrà! Ei mi guarda, sospira, delira, non v'è dubbio, mio schiavo è di già. Dico bene? - Bestia! - Grazie. Ah! Perché qui non viene colei con quell'aria di grazia e bontà? Ma al finir della nostra commedia, che tragedia qui nascer dovrà! Scegli la sposa, affrettati: sen vola via l'età. Che tragedia qui nascer dovrà! Allegrissimamente, che bei quadri! Che bocchino, che ciglia! Siete l'ottava e nona meraviglia. Già, talis patris, talem filias. Grazie! Altezza delle Altezze! Che dice? Mi confonde. Debolezze. Vere figure etrusche! - Dico bene? - Cominci a dirle grosse. Io recito da grande, e grande essendo, grandi le ho da sparar. Bel principotto! Che non vi scappi, attente! Or dunque, seguitando quel discorso che non ho cominciato, dai miei lunghi viaggi ritornato, e il mio papà trovato, che fra i quondam è capitombolato, e spirando ha ordinato che a vista qual cambiale io sia sposato o son diseredato, fatto ho un invito a tutto il vicinato, e trovando un boccone delicato, per me l'ho destinato: ho detto, ho detto, e adesso prendo fiato. Che eloquenza norcina! Ih, che bell'abito! E quell'altro mi guarda. Ecco colei! Mi ripalpita il cor. Belle ragazze, se vi degnate inciambellare il braccio ai nostri cavalieri, il legno è pronto. Andiamo. Papà... Eccellenza, non tardate a venir. Che fai tu qui? Il cappello ed il bastone. Eh! Signor sì. Perseguitate presto con i piè baronali i magnifici miei quarti reali. Monti in carrozza, e vengo. Eppur colei vo' riveder. Ma lasciami. - La sgrida? - Sentite. - ll tempo vola. - Che vorrà? Vuoi lasciarmi? Una parola. Signor, una parola. Signor, in casa di quel principe, un'ora, un'ora sola portatemi a ballar. Cos'è? La bella Venere! Qui fa la statua? Vezzosa, pomposetta! - Sguaiata, covacenere! - Silenzio, ed osserviamo. Lasciami, lasciami, deggio andar. Ma andiamo o non andiamo? Mi sento lacerar. Ma una mezz'ora, un quarto. - O lasciami, o ti stritolo. - Fermate. Serenissima! Ma vattene. Altezzissima! Servaccia ignorantissima! Serva? - Serva? - Cioè... Vilissima, d'un'estrazion bassissima. Vuol far la sufficiente, la cara, l'avvenente, e non è buona a niente. Va' in camera, va' in camera la polvere a spazzar. - Or ora la mia collera - Ma caro Don Magnifico, - non posso più frenar. - via, non la strapazzar. Ah! Sempre fra la cenere, sempre dovrò restar? Signori, persuadetelo; portatemi a ballar. Star sempre fra la cenere? - Signori, persuadetelo. - Va' in camera, va' in camera. Portatemi a ballar. Or ora la mia collera non posso più frenar. Qui nel mio codice delle zitelle, con Don Magnifico stan tre sorelle. Or che va il principe la sposa a scegliere, la terza figlia io vi domando. Che terza figlia mi va figliando? Terza sorella. Ella... morì. Eppur nel codice non è così. Ah! Di me parlano! No, no, non morì. Sta' zitta lì. Guardate qui! Se tu respiri, ti scanno qui. Ella morì? Altezza, morì! Nel volto estatico di questo e quello si legge il vortice del lor cervello che ondeggia e dubita e incerto sta. Nel volto estatico di questo e quello si legge il vortice del lor cervello che ondeggia e dubita e incerto sta. Se tu più mormori solo una sillaba, un cimitero qui si farà. Deh, soccorretemi, deh, non lasciatemi. Ah! Di me misera che mai sarà? Via, meno strepito: fate silenzio, o qualche scandalo qui nascerà. Via, consolatevi: signor lasciatela. Già la mia furia crescendo va. Io sono un principe, o sono un cavolo? Vi mando al diavolo: venite qua. Nel volto estatico di questo e quello si legge il vortice del lor cervello che ondeggia e incerto sta. Sì, tutto cangerà. Quel folle orgoglio poca polve sarà, gioco del vento; e al tenero lamento succederà il sorriso. Figlia, figlia... Figlia voi mi chiamate? Oh questa è bella! ll padrigno barone non vuole essermi padre, e voi... Peraltro, guardando i stracci vostri e i stracci miei degna d'un padre tal figlia sarei. Taci, figlia, e vieni meco. Teco? E dove? Del principe al festino. Tu mi vieni a burlar? No! Sublima il pensiero! Tutto cangiò per te! Calpesterai men che fango i tesori, rapirai tutti i cuori. Vien meco e non temer: per te dall'alto m'ispira un nume a cui non crolla il trono. E se dubiti ancor, mira chi sono! Là del ciel, là del ciel nell'arcano profondo, del poter sull'altissimo trono veglia un nume, signore del mondo, al cui piè basso mormora il tuono. Tutto sa, tutto vede, e non lascia nell'ambascia perir la bontà, no, no, nell'ambascia perir la bontà. Fra la cenere, il pianto, l'affanno, ei ti vede, o fanciulla innocente, ei ti vede, fanciulla innocente, e cangiando il tuo stato tiranno, fra l'orror vibra un lampo innocente. No, no, no, non temer, si è cambiata la scena: la tua pena cangiando va. Un crescente mormorio non ti sembra d'ascoltar? Ah, sta' lieta: è il cocchio mio su cui voli a trionfar! Tu mi guardi? Ti confondi? Ehi, ragazza, non rispondi? Sconcertata è la tua testa e rimbalza qua e là, come nave in gran tempesta che di sotto in su sen va. Sì, sì. Ma già il nembo è terminato, scintillò serenità. Il destino s'è cangiato: l'innocenza brillerà. Ma bravo, bravo, bravo! Caro il mio Don Magnifico! Di vigne, di vendemmie e di vini mi avete fatto una dissertazione. Lodo il vostro talento. Si vede che ha studiato. Si porti sul momento dove sta il nostro vino conservato. E se sta saldo e intrepido al trivigesimo assaggio lo promovo all'onor di cantiniero. Io distinguo i talenti e premio il saggio. Prence! L'Altezza Vostra è un pozzo di bontà. Più se ne cava, più ne resta a cavar. Figlie! Vedete? Non regge al vostro merto; n'è la mia promozione indizio certo. Clorinduccia, Tisbina, tenete allegro il re. Vado in cantina. Esamina, disvela, e fedelmente tutto mi narrerai. Eseguite trottando il cenno mio. Udiste? Udii. Fido vassallo, addio. Ora sono da voi. Scommetterei che siete fatte al torno, e che il guercetto amore è stato il tornitore. Con permesso: la maggiore son io, onde la prego darmi la preferenza. Con sua licenza: la minore son io, invecchierò più tardi. Scusi: quella è fanciulla, proprio non sa di nulla. Permetta: questa è un'acqua senza sale, non fa né ben né male. Di grazia: i dritti miei la prego bilanciar. Perdoni: veda, io non tengo rossetto. Ascolti: quel suo bianco è di bianchetto. - Senta... - Mi favorisca... Anime belle, mi volete spaccar? Non dubitate. Ho due occhi reali e non adopro occhiali. Fidati pur di me, mio caro oggetto. Per te sola mi batte il core in petto. M'inchino a Vostra Altezza. Anzi all'Altezza Vostra. Verrò a portarle qualche memoriale. Lectum. Ce la vedremo. Forse sì, forse no. Poter del mondo! Le faccio riverenza! E mi sprofondo! Conciosiacosaché trenta botti già gustò, e bevuto ha già per tre e finor non barcollò! È piaciuto a Sua Maestà nominarlo cantinier: intendente dei bicchier con estesa autorità, presidente al vendemmiar, direttor dell'evoè; onde tutti intorno a te ci affolliamo qui a ballar. Intendente? Direttor? Presidente? Cantinier? Grazie, grazie! Che piacer! Che girandola ho nel cor! Si venga a scrivere quel che dettiamo. Seimila copie poi ne vogliamo. Già pronti a scrivere tutti siam qui. Noi Don Magnifico... Questo in maiuscole. Bestie! Maiuscole! Bravi! Così. Noi Don Magnifico, duca e barone dell'antichissimo Montefiascone, grand'intendente, gran presidente, con gli altri titoli, con venti etcetera, in splenitudine d'autorità, riceva l'ordine chi leggerà: di più non mescere per anni quindici nel vino amabile d'acqua una gocciola, alias capietur et strangulatur. Perché etcetera, laonde etcetera, nell'anno etcetera, barone etcetera. Barone etcetera, è fatto già. Ora affiggetelo per la città. Il pranzo in ordine andiamo a mettere. Vino a diluvio si beverà. Premio bellissimo di piastre sedici a chi più Malaga si beverà. Zitto zitto, piano piano, senza strepito e rumore. Delle due qual è l'umore? Esattezza e verità. Sottovoce, a mezzo tono, in estrema confidenza, sono un misto d'insolenza, di capriccio e vanità. E Alidoro mi diceva che una figlia del barone... Ah! ll maestro è un gran testone; oca eguale non si dà. Alidoro mi diceva che una figlia del barone... Ah! ll maestro è un gran testone; oca eguale non si dà. Ah! ll maestro è un gran testone; oca eguale non si dà. Se le sposi pur chi vuole, seguitiamo a recitar. Son due vere banderuole, ma convien dissimular. Principino, dove siete? Principino, dove state? Ah! Perché m'abbandonate? Mi farete disperar. - lo vi voglio... - Vi vogl'io... Ma non diamo in bagattelle. Maritarmi a due sorelle tutte insieme non si può! Una sposa. E l'altra? E l'altra? E l'altra, all'amico la darò. No, no, no. Un scudiero! Oibò, oibò! Sarò docile, amoroso... Un scudiero! No, signore. Un scudiero! Questo no. ...tenerissimo di cuore. Un scudiero! No, signore. Un scudiero! Questo no. - Con un'anima plebea! - Sarò buono, - Con un'aria dozzinale! - amoroso. - Con un'anima plebea! - Sarò buono, - Con un'aria dozzinale! - amoroso. Mi fa male, mi fa male solamente a immaginar. La scenetta è originale: veramente da contar. Mi fa male, mi fa male solamente a immaginar. Venga, inoltri, avanzi il piè. Anticamera non v'è, no, no, no, no. Sapientissimo Alidoro, questo strepito cos'è? Dama incognita qui vien. Sopra il volto un velo tien. Una dama! Signor sì. Ma chi è? Nol palesò. Sarà bella? Sì e no. Chi sarà? Ma non si sa. Non parlò? Signora no. - E qui vien? - Chi sa perché? Chi sarà? Chi è? Perché? Non si sa. Si vedrà. Chi sarà? Chi è? Perché? Non si sa. Si vedrà. Gelosia già già mi lacera, già il cervel più in me non è. Gelosia già già le rosica, più il cervello in lor non è. - Un ignoto arcano palpito - Diventato son di zucchero! - ora m'agita, perché? - Quante mosche intorno a me! Ah! Se velata ancor dal seno il cor ci hai tolto, se svelerai quel volto, che sarà? Sprezzo quei don che versa fortuna capricciosa. M'offra, chi mi vuol sposa, rispetto, amor, bontà. Di quella voce il suono ignoto al cor non scende; perché la speme accende, di me maggior mi fa. Begli occhi che dal velo vibrate un raggio acuto, svelatevi un minuto almen per civiltà. Vedremo il gran miracolo di questa rarità. - Vedremo il gran miracolo - Svelatevi. - di questa rarità. - Ah! Parlar, pensar, vorrei, parlar, pensar, non so. Quest'è un inganno, oh dei! Quel volto m'atterrò. Parlar, pensar, vorrei, parlar, pensar, non so. Quest'è un incanto, oh dei! Quel volto m'atterrò. Parlar, pensar, vorrei, parlar, pensar, non so, no, no, no, no. Quest'è un incanto, oh dei! Quel volto m'atterrò. Parlar, pensar, vorrebbe, parlar, pensar, non può. Amar già la dovrebbe, il colpo non sbagliò. Signora Altezza, in tavola. Che... co... chi... sì... Che... che bestia! Quando si dice i simili! Non sembra Cenerentola? - Pareva ancora a noi, - ma a riguardarla poi, - la nostra è goffa e attratta, - questa è un po' più ben fatta. Ma poi non è una Venere da farci spaventar. Quella sta nella cenere, ha stracci sol per abiti. Il vecchio guarda e dubita. Mi guarda e par che palpiti. Ma non facciam le statue, patisce l'individuo. Andiamo, andiamo a tavola, poi balleremo il Taice, e quindi la bellissima con me s'ha da sposar. Andiamo, andiamo a tavola, si voli a giubilar. Oggi che fo da principe per quattro vo' mangiar. Mi par d'essere sognando fra giardini, fra boschetti. I ruscelli sussurrando, gorgheggiando gli augelletti in un mare di delizie fanno l'animo nuotar. Sussurrando, sussurrando fanno l'animo nuotar. Ma ho timor che sotto terra piano piano, a poco a poco si sviluppi un certo foco, e improvviso a tutti ignoto balzi fuori un terremoto, che crollando, strepitando, fracassando, sconquassando poi mi venga a risvegliar, balzi fuori un terremoto, che crollando, strepitando, fracassando, sconquassando poi mi venga a risvegliar. E ho paura che il mio sogno vada in fumo a dileguar. Mi par che quei birbanti ridessero di noi sotto cappotto. Corpo del mosto cotto, fo un cavaliericidio. Papà, non v'inquietate. Ho nella testa quattromila pensieri. Ci mancava quella madama anonima. E credete che del principe il core ci contrasti? Somiglia a Cenerentola, e vi basti. Somiglia tanto e tanto che son due gocce d'acqua. Già già, questa figliastra fino in chi la somiglia è a noi funesta. Ma sai tu che tempesta mi piomberebbe addosso, se scopre alcuno come ho dilapidato il patrimonio suo! Per abbigliarvi, al verde l'ho ridotta. È diventata un vero sacco d'ossa. Ah, se si scopre, avrei trovato il resto del carlino. E paventar potete a noi vicino? Vi son buone speranze? Ah! Niente, niente. Posso dir ch'è certezza. Io quasi quasi potrei dar delle cariche. In segreto m'ha detto: anima mia, ha fatto un gran sospiro, è andato via. Un sospiro cos'è? Quando mi vede, subito ride. Ah! Dunque qui sospira, e qui ride. Dite, papà barone, voi che avete un testone: qual è il vostro pensier? Ditelo schietto. Giocato ho un ambo e vincerò l'eletto. Tra voi due non si scappa. C'intenderem fra noi. Viscere mie, mi raccomando a voi. Sia qualunque delle figlie che fra poco andrà sul trono, ah, non lasci in abbandono, ah, non lasci in abbandono un magnifico papà. Già mi par che questo e quello, conficcandomi a un cantone e cavandosi il cappello, incominci: sior barone, alla figlia sua regale porterebbe un memoriale? Prenda: per la cioccolata, e una doppia ben coniata faccia intanto scivolar. Io rispondo: eh sì, vedremo. Già è di peso? Parleremo. Da palazzo può passar, sì, da palazzo può passar. Già è di peso? Sì, vedremo. Da palazzo può passar. Mi rivolto, e vezzosetta, tutta odori e tutta unguenti, mi s'inchina una scuffietta fra sospiri e complimenti: baroncino! Si ricordi quell'affare, e già m'intende; senza argento parla ai sordi. La manina alquanto stende, fa una piastra sdrucciolar. Io galante: occhietti bei! Ah! Per voi che non farei! Io vi voglio contentar! Una piastra! lo vi voglio contentar! Mi risveglio a mezzogiorno: suono appena il campanello, che mi vedo al letto intorno supplichevole drappello: quello cerca protezione; quello ha torto e vuol ragione; chi vorrebbe un impieguccio; chi una cattedra ed è un ciuccio; chi l'appalto delle spille; chi la pesca dell'anguille; ed intanto in ogni lato sarò zeppo e contornato di memorie e petizioni, di galline, di storioni, di bottiglie, di broccati, di candele e marinati, di ciambelle e pasticcetti, di canditi e di confetti, di piastroni, di dobloni, di vaniglia e di caffè. D'ogni lato, d'ogni lato sono zeppo e contornato di ciambelle e pasticcetti, di canditi e di confetti, di piastroni, di dobloni, di vaniglia e di caffè. Basta, basta: non portate! Terminate: ve ne andate? Non portate! Basta, basta, in verità! Serro l'uscio a catenaccio. Importuni, seccatori, fuori, fuori, via da me. Serro l'uscio a catenaccio. Importuni, seccatori, fuori, fuori, via da me. Presto, presto, via di qua. Ah! Questa bella incognita, con quella somiglianza all'infelice, che mi colpì stamane, mi va destando in petto certa ignota premura. Anche Dandini ne sembra innamorato. Eccoli: udirli or qui potrò celato. Ma non fuggir, per bacco! Quattro volte m'hai fatto misurar la galleria. O mutate linguaggio, o vado via. Ma che? ll parlar d'amore è forse una stoccata! Ma s'io d'un altro sono innamorata! E me lo dici in faccia? Ah, mio signore, deh, non andate in collera se vi parlo sincero. - Ed ami? - Scusi... - Ed ami? - ll suo scudiero. Ah gioia! Anima mia! Va a meraviglia! Ma il grado e la ricchezza non seduce il tuo core? Mio fasto è la virtù, ricchezza è amore. Dunque saresti mia? Piano, tu devi pria ricercarmi, conoscermi, vedermi, esaminar la mia fortuna. Io teco, cara, verrò volando. Fermati: non seguirmi. Io tel comando. E come dunque? Tieni, cercami, e alla mia destra il compagno vedrai; e allor, se non ti spiaccio, allor m'avrai. Dandini, che ne dici? Eh! Dico che da principe sono passato a far da testimonio. E allor, se non ti spiaccio, allor m'avrai. Quali accenti son questi? Ah! Mio sapiente, venerato maestro. Il cor m'ingombra misterioso amor. Che far degg'io? Quel che consiglia il core. Principe più non sei: di tante sciocche si vuoti il mio palazzo. Olà, miei fidi! Sia pronto il nostro cocchio, e fra momenti... Così potessi aver l'ali dei venti. Sì, ritrovarla io giuro. Amor, amor mi muove: se fosse in grembo a Giove, io la ritroverò. Pegno adorato e caro che mi lusinghi almeno, - ah, come al labbro e al seno, - Oh, qual tumulto ha in seno! - come ti stringerò! - Comprenderlo non so. Ah, come al labbro e al seno ti stringerò! Noi voleremo, domanderemo, ricercheremo, ritroveremo. Dolce speranza, freddo timore dentro al mio core stanno a pugnar. Dolce speranza, freddo timore dentro al suo core stanno a pugnar. Noi voleremo, domanderemo. Amore, amore m'hai da guidar. - Ricercheremo, domanderemo. - Noi voleremo, domanderemo. - Amore, amore m'hai da guidar. - Amore, amore l'ha da guidar. Ma dunque io sono un ex? Dal tutto al niente precipito in un tratto? Veramente ci ho fatto una bella figura! Scusi la mia premura, ma quelle due ragazze stan con la febbre a freddo. Si potrebbe sollecitar la scelta? - È fatta, amico. - È fatta! Ah, per pietà! Dite, parlate! È fatta! E i miei germogli, in questi luoghi a vegetar verranno? Tutti poi lo sapranno: per ora - è un gran segreto. - E quale, e quale? Clorindina, o Tisbetta? - Non giudicate in fretta. - Lo dica ad un papà. Ma - silenzio. - Si sa; via, dica presto. Non ci ode alcuno? In aria non si vede una mosca. È un certo arcano che farà sbalordir. Sto sulle spine. Poniamoci a sedere. Presto, per carità. Voi sentirete un caso assai bizzarro. Che volesse maritarsi con me? - Mi raccomando. - Ma si lasci servir. Sia sigillato quanto ora udrete dalla bocca mia. Io tengo in corpo una segreteria. Un segreto d'importanza, un arcano interessante io vi devo palesar. È una cosa stravagante, vi farà strasecolar. Senza battere le ciglia, senza manco trarre il fiato, io mi pongo ad ascoltar. Starò qui pietrificato ogni sillaba a contar. Uomo saggio e stagionato sempre meglio ci consiglia. Se sposassi una sua figlia, come mai l'ho da trattar? Consiglier son già stampato. Ma che eccesso di clemenza! Mi stia dunque Sua Eccellenza, bestia, Altezza, ad ascoltar. Abbia sempre pronti in sala trenta servi in piena gala, centosedici cavalli, duchi, conti e marescialli, a dozzine convitati, pranzi sempre coi gelati, poi carrozze e poi bombè. Vi rispondo senza arcani che noi siamo assai lontani. Io non uso far de' pranzi, mangio sempre degli avanzi, non m'accosto a' gran signori, tratto sempre servitori, me ne vado sempre a piè. - Mi corbella? - Gliel prometto. - Questo dunque? - È un romanzetto. È una burla il principato, sono un uomo mascherato. Ma è tornato il vero principe, m'ha strappata alfin la maschera. Io ritorno al mio mestiere: son Dandini il cameriere. Son Dandini il cameriere. Rifar letti, spazzar abiti, far la barba e pettinar. Far la barba e pettinar! Di quest'ingiuria, di quest'affronto il vero principe mi renda conto. Ah, non s'incomodi, non farà niente: ma parta subito, immantinente. - Non partirò. - Lei partirà. - Sono un barone. - Pronto è il bastone. Ci rivedremo. Ci parleremo. - Non partirò. - Lei partirà. Ci rivedremo. Ci parleremo. Pronto è il bastone, lei partirà. Non partirò. Tengo nel cerebro un contrabbasso, che basso basso frullando va. Da cima a fondo, poter del mondo! Che scivolata, che gran cascata! Eccolo, eccolo, tutti diranno, mi burleranno per la città. Povero diavolo! Vostr'Eccellenza, abbia prudenza. Saprò arricciarla, sbarbificarla. Ah, ah! Guardatelo, l'allocco è là. Una volta c'era un re, che a star solo s'annoiò: cerca, cerca, ritrovò; ma il volean sposare in tre. Cosa fa? Sprezza il fasto e la beltà, e alla fin scelse per sé l'innocenza, l'innocenza, l'innocenza e la bontà. Quanto sei caro! E quegli cui dato ho il tuo compagno, è più caro di te. Qual rumore! Chi vedo! Che ceffi! Già di ritorno! Non credea che tornaste avanti giorno. Ma ve l'avevo detto... Ma cospetto, cospetto! Similissime sono affatto affatto. Quella è l'original, questa è il ritratto. - Hai fatto tutto? - Tutto. Perché quel ceffo brutto voi mi fate così? Perché, perché... Per una certa strega che rassomiglia a te. Su le tue spalle quasi mi sfogherei. Povere spalle mie, cosa ci hanno che far? Ah, fa mal tempo! Minaccia un temporale. Altro che temporale! Un fulmine vorrei che incenerisse il cameriere. Ma dite, cosa è accaduto? Avete qualche segreta pena? Sciocca, va' là, va' a preparar la cena. Vado, sì, vado. Oh, che cattivo umore! Ah! Lo scudiero mio mi sta nel core. Scusate, amici. La carrozza del principe ribaltò. - Ma chi vedo? - Ah, siete voi! Ma il principe dov'è? Lo conoscete! Lo scudiero! Uh, guardate. Signore, perdonate, se una combinazione... Che dice? Si figuri! Mio padrone. Non senza perché venuto è qua. La sposa, figlie mie, fra voi sarà. Ehi, presto, Cenerentola, porta la sedia nobile. No, no: pochi minuti. Altra carrozza pronta ritornerà. Ma che! Gli pare? - Ti sbriga, Cenerentola. - Son qui. Dalla al principe, bestia. Eccolo lì. Questo! Ah, che vedo! - Principe! - T'arresta! Che! Lo smaniglio! È lei! Che gioia è questa! Siete voi? Voi prence siete? Qual sorpresa! Il caso è bello. - Ma... - Tacete. Addio cervello. - Se... - Silenzio. Silenzio. Che sarà! Questo è un nodo avviluppato, questo è un gruppo rintrecciato. Chi sviluppa più inviluppa, chi più sgruppa, più raggruppa. Ed intanto la mia testa vola, vola e poi s'arresta. Vo tenton per l'aria oscura, e comincio a delirar. Donna sciocca! Alma di fango! Cosa cerchi? Che pretendi? Fra noi gente d'alto rango l'arrestarsi è inciviltà. Serva audace, e chi t'insegna di star qui fra tanti eroi? Va' in cucina, serva indegna, non tornar mai più di qua. Alme vili, invan tentate d'insultar colei che adoro. Alme vili, paventate: il mio fulmine cadrà. Già sapea che la commedia si cangiava al second'atto. Ecco aperta la tragedia, me la godo in verità. Son di gelo. Son di stucco. Diventato è un mammalucco. - Ma una serva... - Olà, tacete. L'ira mia più fren non ha! Ah, signor, s'è ver che in petto qualche amor per me serbate, compatite, perdonate, e trionfi la bontà. - Quelle lagrime mirate. - Ah, l'ipocrita guardate! - Qual candore, qual bontà! - Oh, che bile che mi fa! Oh, che rabbia che mi fa! Ma in somma delle somme, Altezza, cosa vuole? Piano: non più parole. Questa sarà mia sposa. Ah! Ah! Dirà per ridere. Non vedi che ti burlano? Lo giuro. Lo giuro: mia sarà. Ma fra i rampolli miei, mi par che a creder mio... Per loro non son io. Ho l'anima plebea, ho l'aria dozzinale. Alfine, alfine sul bracciale ecco, ecco il pallon tornò; e il giocator maestro in aria il ribalzò. Vieni a regnar, vieni, l'impongo. Su questa mano almeno, e prima a questo seno... Ti scosta. Ti allontana. Perfida gente insana! Io vi farò tremar. Quello brontola e borbotta, questo strepita e s'adira, quello freme, questo fiotta, chi minaccia, chi sospira. Va a finir che a' pazzarelli ci dovranno trascinar. Dove son? Che incanto è questo? Io felice! Oh, qual evento! È un inganno! Ah, se mi desto! Che improvviso cangiamento! Sta in tempesta il mio cervello, posso appena respirar. Vieni, amor ti guiderà a regnar, a trionfar. Dunque noi siam burlate? Dalla rabbia io non vedo più lume. Mi pare di sognar. - La Cenerentola... - Principessa sarà. Chi siete? Io vi cercai la carità, voi mi scacciaste. E l'Angiolina, quella che non fu sorda ai miseri, che voi teneste come vile ancella, fra la cenere e i cenci, or salirà sul trono. Che fia di noi, frattanto? Il bivio è questo. O terminar fra la miseria i giorni, o curve a piè del trono implorar grazia ed impetrar perdono. Nel vicin atrio io stesso, presago dell'evento, la festa nuziale ho preparata. Questo, questo è il momento. Abbassarmi con lei! Son disperata! La pillola è un po' dura: ma inghiottirla dovrà; non v'è rimedio. E voi, cosa pensate? Cosa penso? Mi accomodo alla sorte: se mi umilio, alla fin non vado a morte. Giusto ciel! Ti ringrazio! I voti miei non han più che sperar. L'orgoglio è oppresso. Sarà felice il caro alunno. In trono trionfa la bontà. Contento io sono. Della fortuna instabile la revolubil ruota mentre ne giunge al vertice per te s'arresta immota. Cadde l'orgoglio in polvere, trionfa la bontà. Cadde l'orgoglio in polvere, trionfa la bontà. Sposa... Signore, perdona la tenera incertezza che mi confonde ancor. Poc'anzi, il sai, fra la cenere immonda, ed or sul trono, e un serto mi circonda. Altezza, a voi mi prostro. Né m'udrò mai chiamar la figlia vostra? - Quelle orgogliose... - Ah, prence, io cado ai vostri piè. Le antiche ingiurie mi svanir dalla mente. Sul trono io salgo, e voglio starvi maggior del trono, e sarà mia vendetta il lor perdono. Nacqui all'affanno e al pianto. Soffrì tacendo il core; ma per soave incanto, dell'età mia nel fiore, come un baleno rapido la sorte mia cangiò. No, no; tergete il ciglio, perché tremar, perché? A questo sen volate. Figlia, sorella, amica, tutto trovate in me. M'intenerisce e m'agita, è un nume agli occhi miei. Padre, sposo, amico, oh, istante! Degna del tron tu sei, ma è poco un trono a te. Sì, degna del tron tu sei, ma è poco un trono a te. Non più mesta accanto al fuoco starò sola a gorgheggiar, no. Ah, fu un lampo, un sogno, un gioco il mio lungo palpitar. Tutto cangia a poco a poco, cessa alfin di sospirar.