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[Campana]
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[Campana]
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[Campana]
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[Campana]
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Caro Thay, caro Sangha
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nei momenti difficili e anche
nei momenti non difficili abbiamo la
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pratica del tornare all'isola
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dentro di noi
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abbiamo una canzone
"Essere un'isola per me"
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e la meditazione guidata
"Essere un'isola per me"
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Come un’isola per me
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c’e' un’isola in me
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Buddha e' consapevolezza
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che fa luce sulla Via
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Dharma e' il mio respiro
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che protegge e gioia da', liberta'
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Come un’isola per me
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dove pace sempre c’e'
-
Sangha e' i cinque skandha
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che convivono in armonia
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Mi rifugio in me,
io ritorno dentro me.
-
Liberta', liberta', liberta'
-
Quindi questa pratica ci e' stata
consigliata soprattutto
-
quando siamo in difficolta',
ma per poterlo praticare
-
quando siamo in difficolta'
abbiamo bisogno di una formazione
-
dobbiamo allenarci quando
non e' difficile,
-
allenarci a tornare a noi stessi
-
Tante volte il Buddha ha parlato
del non se' e ora noi stiamo praticando
-
il tornare a noi stessi
-
Il non se' e' un'idea e anche il se' e' un'idea
-
e il non se' e' il modo di curare l'idea del se'
-
Quindi principalmente tornare a
noi stessi significa tornare nel corpo
-
Sentire il corpo cosi'
com'e' nel momento presente
-
Abbiamo lo strato di pelle
all'esterno del corpo
-
Quindi in un certo senso il corpo
ha dei limiti ma sappiamo anche
-
che il nostro corpo dipende
anche da ogni cosa al di fuori del corpo
-
Ma in questa pratica torniamo
-
principalmente al corpo
-
L'esempio che ha dato il Buddha
-
e' l'esempio di una tartaruga
che ha la testa e quattro zampe
-
e una coda e quando la tartaruga
e' in un momento difficile
-
la tartaruga ritirera' le zampe,
la testa e la coda sotto la sua corazza
-
Quindi per noi significa
ritirare i nostri
-
occhi, le orecchie, il naso
e tutte quelle cose che
-
percepiscono il mondo intorno
a noi non permettendoglielo
-
di uscire, di essere dispersi intorno
a noi, ma ritornare cosi' possiamo tornare
-
dentro di noi ed essere li' per noi stessi,
per prendersi cura di noi stessi
-
Perche' se non siamo li'
per prenderci cura di noi stessi
-
non possiamo davvero essere li'
per prenderci cura dell'altra persona
-
e quando ci prendiamo cura
di qualcuno che e' molto malato
-
sappiamo benissimo che la prima cosa
che dobbiamo fare
-
e' tornare ed essere solidi
e stabili in noi stessi
-
Cosi' questo esercizio ci viene insegnato
in modo che possiamo essere solidi
-
e possiamo essere stabili
nel momento presente.
-
Quando sentiamo il suono della campana
torniamo a quell'isola in noi stessi,
-
diventiamo un rifugio per noi stessi.
La mente umana ha la tendenza ad andare
-
fuori e cercare di trovare rifugio
nelle cose intorno
-
Ma sappiamo che se non siamo stabili
-
in noi stessi, allora non possiamo
avere un luogo di rifugio
-
Cosi' pratichiamo il ritornare
per essere un rifugio per noi stessi,
-
per essere un'isola per me stesso,
un rifugio per me stesso.
-
E ognuno di noi e' quell'isola,
e' quel rifugio
-
in cinese e in vietnamita si dice che
-
il Se' e' l'isola, il se' e' il rifugio,
e lo stesso in pali
-
Poi il Buddha ci insegna
a renderlo piu' chiaro:
-
il Dharma e' la tua isola,
il Dharma e' il tuo rifugio
-
Cio' significa che quando torniamo
al nostro vero se'
-
possiamo trovare il Buddha
in noi stessi, il Dharma in noi stessi
-
e il Sangha in noi stessi
-
Questo meraviglioso insegnamento fu dato
ad Ananda, l'assistente del Buddha
-
Tre volte, due volte individualmente
e una volta con il resto del Sangha
-
Il Buddha ha dato questo
insegnamento alla fine
-
della vita del Buddha, quando il Buddha
-
aveva gia' 80 anni.
-
Forse molte persone hanno
preso rifugio nel Buddha,
-
c'era la pratica dei tre rifugi
-
in India a quel tempo, e le persone
quando venivano e ascoltavano
-
l'insegnamento del Buddha, praticavano:
"Prendo rifugio nel Buddha,
-
prendo rifugio nel Dharma,
prendo rifugio nel Sangha"
-
Forse le persone quando
prendevano rifugio nel Buddha
-
stavano prendendo rifugio
in un Buddha fuori di loro,
-
ma quel Buddha come ogni altra cosa
era impermanente e non sarebbe stato li'
-
molto piu' a lungo,
ecco perche' il Buddha ha dato
-
quell'insegnamento ad Ananda.
-
Il venerabile Ananda era
un meraviglioso assistente del Buddha,
-
il venerabile Ananda ha dato
tutta la sua vita,
-
tutto il suo essere
per assistere il Buddha,
-
e quindi non ebbe tanto tempo
per esercitarsi a tornare
-
a se stesso
-
Negli ultimi ritiri delle piogge
-
il Buddha era vivo
-
in Vaishali
-
Il Buddha si ammalo' gravemente
-
e nel sutra si dice che
fu vicino alla morte
-
Quindi il Buddha soffriva molto
e il suo corpo divenne estremamente debole
-
Nei momenti in cui il corpo
-
e' molto dolente e debole
-
e' facile lasciare che il corpo muoia.
-
Il Buddha sapeva che nei momenti
-
in cui era cosi' malato, poteva morire,
-
e sapendolo
-
guardando in profondita' e sapendo
che non aveva preso congedo dal Sangha,
-
non aveva detto addio al Sangha,
forse c'erano delle ultime istruzioni
-
di cui il Sangha aveva ancora bisogno
e che il Buddha non avesse ancora dato
-
Quindi si dice che il Buddha dovette
prendere una forte risoluzione,
-
una forte determinazione
basata sulla forza vitale
-
una forte determinazione a vivere
ancora qualche momento per poter dare
-
gli insegnamenti di cui il Sangha
-
aveva ancora bisogno.
-
Mi ricordo di una volta in cui
-
Thay, il nostro insegnante,
era molto malato in Germania
-
e non ha potuto mangiare nulla
per molto tempo
-
e ha detto:
"Vivo grazie al cibo della volizione".
-
Sappiamo che il cibo della volizione
e' il terzo tipo di cibo
-
un alimento molto importante per noi.
Quindi quando il Buddha
-
ha preso la risoluzione di vivere
ancora per qualche momento
-
il Buddha stava usando il cibo
della volonta', quel cibo che arriva
-
dall'interno, quando torniamo
all'isola del se'
-
Quel cibo non viene da fuori.
-
Se pensiamo alle cinque formazioni
mentali particolari,
-
la prima e' chanda, l'intenzione
-
volere davvero qualcosa, e la seconda e'
-
adimoksha, che significa
-
determinazione e risoluzione.
Sappiamo tutti che nella nostra pratica
-
sviluppiamo queste formazioni mentali,
la formazione mentale
-
della determinazione, perche'
quando ci avviciniamo alla pratica
-
e forse dopo molti anni abbiamo
molte energie dell'abitudine
-
e se vogliamo davvero trasformarle
abbiamo bisogno
-
di una forte determinazione,
una forte risoluzione.
-
Si dice quindi che il Buddha
prese la risoluzione,
-
sulla base della prima delle
6 formazioni mentali universali,
-
le formazioni mentali universali
nella tradizione Theravada,
-
che e' Jivitandriya, la forza vitale
-
che e' presente in tutti noi,
nella nostra coscienza,
-
e cosi' il Buddha ha dato
attenzione a questa
-
formazione mentale, la forza vitale,
-
e cosi' usando la concentrazione,
che e' un'altra
-
delle formazioni mentali particolari,
che sono lo zelo,
-
la risoluzione o determinazione,
la seconda,
-
e la terza e' la consapevolezza,
la concentrazione e' la quarta,
-
e la quinta e' la visione profonda.
Queste sono formazioni mentali
-
che possiamo scegliere
di praticare oppure no.
-
Possiamo scegliere di usarle
in modo salutare o non salutare,
-
sono chiamate
formazioni mentali particolari.
-
Cosi' il Buddha uso' la concentrazione
-
per poter superare il dolore
-
e fu in grado di riprendersi
dalla sua malattia,
-
usci' dalla sua capanna
e si sedette fuori.
-
Ananda vide che il Buddha era seduto
fuori e fu sopraffatto dalla gioia.
-
"Il Buddha e' ancora vivo,
il Buddha vivra'!".
-
Ananda ando' dal Buddha
e disse: "Che meraviglia,
-
che meraviglia, ci sei ancora,
stai meglio
-
e verrai con noi!".
-
Poi Ananda disse:
"Quando il Buddha era cosi' malato
-
le mie ginocchia tremavano,
ho perso la concentrazione
-
la mia mente divenne confusa"
-
E il Buddha disse:
-
"Cosi' non va bene, Ananda"
-
e poi ha dato l'insegnamento di
essere un'isola per se stessi,
-
per trovare il Buddha in se stessi.
Il Buddha disse: "Tra poco
-
il Buddha non sara' piu' con te, quindi
ora e' il momento di praticare l'essere
-
un'isola per te stesso,
essere un rifugio per te stesso,
-
per trovare il Buddha dentro di te".
-
E Ananda disse al Buddha:
"Sebbene tu fossi molto malato,
-
avevo la speranza che tu potessi
riprenderti e stare con noi piu' a lungo,
-
perche' non ci avevi ancora detto
cosa fare quando non ci
-
saresti piu' stato,
non ci avevi detto chi avrebbe
-
guidato il Sangha dopo la tua scomparsa".
-
Allora il Buddha ha detto:
"Oh Ananda, perche'?"
-
Ananda rispose:
-
"Stavamo aspettando che tu facessi
-
qualche annuncio sul Sangha,
-
su chi avrebbe guidato il Sangha"
-
E il Buddha disse:
-
"Che altro si aspetta il Sangha?
Vi ho insegnato tutto,
-
vi ho insegnato tutte le pratiche",
e aggiunse:
-
"Non sono un insegnante col pugno
chiuso, non ho trattenuto nulla,
-
tutto cio' che ho praticato l'ho
trasmesso ai miei discepoli,
-
quindi cos'altro vi aspettate?
Se state aspettando
-
che vi dica chi vi guidera',
-
questo non succedera', perche'
il Buddha non ha mai pensato:
-
"Sono responsabile del Sangha,
guido il Sangha, il Buddha
-
e' solo un Bhikkhu come gli altri.
Quindi, se il Buddha non guida il Sangha,
-
perche' dovrebbe indicare qualcun altro
-
affinche' guidi il Sangha?"
-
Dopodiche',
-
il Buddha parti' per il suo ultimo viaggio,
-
probabilmente con l'intenzione di tornare
-
a Kapilavastu, il luogo da cui
proveniva, dove era cresciuto.
-
Cosi', da Nalanda, da Rajagriha,
si diresse
-
in quella direzione,
e nel sutra si dice che
-
quando arrivo' a Sravasthi
-
il Buddha ricevette la notizia
della morte
-
di Shariputra e Mahamogallana,
ma e' strano perche' Shavasti
-
non e' proprio sulla strada
-
da Rajagriha a Kapilavastu,
serve una deviazione di 200 km.
-
Quindi forse e' un errore,
-
non era in Sravasthi ma altrove.
-
Cosi' poi,
-
Se guardiamo nel Samyutta Nikaya
-
nel capitolo 47,
che riguarda la pratica della
-
consapevolezza, troveremo tre sutra
-
sulla fine della vita del Buddha.
Il primo e' il sutra numero 9
-
che si chiama Gelanna Sutta, che
significa malattia, e riguarda il tempo
-
in cui il Buddha era malato.
E il secondo, il numero 13,
-
si chiama Chunda, che e' il nome
dell'assistente
-
del venerabile Shariputra.
-
Shariputra veniva da Nalanda,
e ritorno' a Nalanda
-
con il Buddha, e quando il Buddha
e Shariputra erano
-
a Nalanda forse Shariputra sapeva
-
che non avrebbe incontrato piu' il Buddha,
e cosi' ando' dal Buddha e gli disse:
-
"Di tutti i Buddha
che ci sono stati in passato,
-
che ci saranno in futuro e che ci sono
-
nel momento presente,
tu sei il piu' importante,
-
sei il primo Buddha, e il Buddha
rispose a Shariputra:
-
"Come puoi dire questo, Shariputra?
Conoscevi tutti i Buddha
-
in passato, conosci tutti
i Buddha nel presente
-
e nel futuro per dire che sono il primo?"
-
Shariputra dovette ammettere di non
conoscere tutti quei Buddha, ma disse:
-
"Quando guardo la pratica del Buddha,
-
come il Buddha custodisce i sei sensi,
pratica sempre la consapevolezza, non posso
-
pensare che alcun essere umano
potrebbe mai
-
praticare meglio di cosi', ed e' per
questo che dico che il Buddha e' il
-
principale di tutti i Buddha.
Naturalmente,
-
praticano anche i Buddha
del passato e del futuro
-
per custodire i sesti sensi".
-
ma alla fine il Buddha
disse a Shariputra:
-
"Questo e' un buon insegnamento
che puoi dare
-
alle persone, e cioe' che il Buddha
e' colui che pratica
-
il custodire in ogni momento i sei sensi.
-
Ma Shariputra non avrebbe
vissuto a lungo
-
e dopo che il Buddha lascio' Nalanda,
-
Shariputra chiese di restare indietro,
-
e anche Shariputra si ammalo' gravemente
-
e mori', e il suo attendente Chunda,
dopo la cremazione,
-
porto' le ceneri,
porto' la veste e la ciotola
-
al Buddha, dovunque fosse il Buddha.
-
E come prima cosa quando Chunda
arrivo' dov'era il Buddha
-
ando' da Ananda e racconto' ad Ananda
quello che era successo,
-
che il venerabile Shariputra era morto,
e Ananda rispose che era una notizia
-
che insieme avrebbero dovuto portare
al Buddha. Cosi' insieme
-
Chunda e Ananda andarono dal Buddha
-
e raccontarono al Buddha quello che
era successo, e poi Ananda disse di nuovo:
-
"Quando ho sentito che Shariputra era morto,
-
le mie ginocchia hanno tremato,
-
ho perso la stabilita',
mi sono sentito mentalmente confuso
-
perche'
-
abbiamo perso il nostro fratello
maggiore. Il Buddha rispose:
-
"Morendo, Shariputra ha portato
con se' la tua consapevolezza?
-
Ti ha portato via la tua concentrazione
e la tua visione profonda?"
-
Ananda rispose: "No, non l'ha fatto,
-
ma Shariputra era un fratello maggiore,
in cui tutti abbiamo preso rifugio,
-
sapevamo che avrebbe potuto offrirci
gli insegnamenti di cui avevamo bisogno,
-
e ora non e' piu' presente nel Sangha".
-
E allora per la seconda volta
il Buddha insegno' ad Ananda:
-
"Ananda, dovresti essere un'isola per te
stesso, essere un rifugio per te stesso,
-
lascia che il Dharma sia la tua isola,
lascia che il Dharma
-
sia il tuo rifugio,
e non prendere rifugio
-
in nessun'altra persona,
in nessun'altra cosa".
-
Quindi questa e' stata la seconda volta
in cui Ananda ha ricevuto l'insegnamento
-
sull'essere un'isola per se stesso.
-
La terza volta e' riportata in un sutra
che tutti conosciamo,
-
perche' fa parte
del nostro libro dei canti,
-
chiamato il "Discorso sul
prendere rifugio in se stessi",
-
e' cosi' che l'abbiamo tradotto.
Se cerchiamo
-
Samyukta Agama 639
-
vedremo che viene chiamato
Uposatha Sutra,
-
questo perche' Uposatha
-
indica il giorno in cui vengono
recitati i precetti
-
e accadde che fosse
il giorno della luna piena
-
quando il Buddha offri' questo sutra.
-
In pali e' nel Samyutta Nikaya,
-
il numero 14 e si chiama Ocacela (?),
che e' solo il nome
-
del luogo in cui il Buddha
ha dato questo insegnamento.
-
"Ho sentito queste parole del
Buddha una volta quando il signore
-
stava nel boschetto di mango, all'ombra
fresca degli alberi di mango,
-
lungo la riva del fiume Gange,
nella foresta di Maghada.
-
Gli anziani Shariputra e Maudgalya'yana
erano morti da poco
-
Era il giorno di luna piena,
dedicato alla cerimonia dell’Uposatha
-
e alla recitazione dei precetti.
-
Il Buddha dispose la sua stuoia e sedette
rivolto verso la comunita' li' riunita
-
Dopo averla abbracciata
con lo sguardo, disse:
-
“Mentre osservo la nostra comunita',
sento l’enorme vuoto lasciato
-
dai Venerabili Shariputra e Maudgalya'yana"
-
Nella versione pali dice:
"Mi sembra che ci sia uno spazio vuoto
-
nel nostro Sangha". "Sembrava"
che ci fosse uno spazio vuoto
-
perche' dove erano stati
Shariputra e Maudgalya'yana,
-
li' nel Sangha,
non era piu' possibile vederli.
-
Ah, ho dimenticato di dire che due
settimane dopo la morte di Shariputra
-
mori' anche il venerabile Maudgalya'yana.
-
Cosi' nel momento in cui Buddha
offri' questo sutra sia Shariputra
-
che Maudgalya'yana erano morti.
Quindi, il Buddha dice:
-
"Mi sembra che ci sia uno spazio vuoto.
-
Prima potevamo sempre fare affidamento
su Maudgalya'yana e Shariputra
-
e ora vediamo che non ci sono".
-
Il Buddha usa la parola
"sembra" per dire che
-
sembra cosi' ma non e' proprio cosi',
-
volendo possiamo ancora trovare
Shariputra e Maudgalya'yana.
-
"Nel nostro Sangha questi venerabili erano
i monaci piu' eloquenti nel dare
-
discorsi di Dharma, i piu' abili
a incoraggiare e istruire tutti gli
altri monaci, le monache e i laici".
-
Poi il Buddha usa la parola
-
"cercando", "rincorrendo":
-
Monaci, la gente cerca
due tipi di ricchezze:
-
quelle materiali e quelle di Dharma.
-
Nella loro ricerca di ricchezze materiali
possono rivolgersi alla gente del mondo.
-
Nella ricerca delle ricchezze di Dharma
possono sempre rivolgersi a persone
-
come i Venerabili Shariputra e
Maudgalya'yana. Il Tathagata, invece,
-
e' colui che non cerca piu' nulla, ne'
di materiale ne' relativo al Dharma".
-
Se ricordate, c'e' un verso nel
Dharmapada in sanscrito
-
che dice che il cervo
si rifugia nei campi,
-
gli uccelli si rifugiano nel cielo,
-
coloro che discriminano
si rifugiano nel Dharma
-
e gli arhat, coloro
che sono illuminati,
-
si rifugiano nel nirvana
-
Quindi noi siamo coloro che discriminano,
nel senso di distinguere
-
tra cio' che e' salutare
e cio' che e' malsano;
-
che facciamo affidamento sulla pratica
dei precetti, della consapevolezza,
concentrazione e visione profonda
-
per allenarci
nella nostra vita quotidiana.
-
Cosi' qui si dice che
possiamo prendere rifugio
-
nei nostri insegnanti
per le ricchezze del Dharma,
-
e noi siamo sempre alla ricerca
delle ricchezze del Dharma,
-
per aiutarci a trasformare
le nostre afflizioni.
-
Coloro che hanno trasformato
le loro afflizioni non hanno piu' bisogno
-
di cercare il Dharma, forse hanno
trovato il Dharma dentro di se',
-
e quindi semplicemente praticano
-
la consapevolezza, la concentrazione
e la visione profonda.
-
Dovremmo ricordare che anche
se non cercano piu' nulla,
-
gli arhat praticano comunque
la consapevolezza,
-
tutte le quattro le coppie e gli otto
tipi di persone sante nel Sangha
-
da coloro che sono entrati nella
corrente agli arhat, tutti loro
-
praticano la consapevolezza, la
concentrazione e la visione profonda.
-
Quando diventi un arhat non smetti
di praticare la consapevolezza.
-
Questo, quindi, significa che
quando cerchiamo il Dharma
-
non siamo in grado di essere
in contatto con il nirvana?
-
No, non significa questo, il nirvana
e' disponibile per noi
-
quando entriamo nella corrente
o anche prima,
-
ma non possiamo essere in contatto
con il nirvana per tutto il tempo,
-
quindi dobbiamo continuare
ad ascoltare il Dharma,
-
contemplare il Dharma
e metterlo in pratica
-
per poter essere in contatto
con il nirvana in ogni momento
-
Quindi il Buddha da' l'esempio
dell'albero, un grande albero
-
un grande albero molto vecchio,
-
come la quercia a Lower Hamlet,
-
e il Buddha ha detto che quell'albero
e' fatto di buon legno,
-
ha al suo interno dell'ottimo legno,
non e' marcio dentro,
-
e quell'albero e' il Sangha,
che ha otto tipi e quattro coppie
-
di persone sante il Sangha,
che pratica la consapevolezza.
-
la concentrazione e la visione
profonda e' come un albero,
-
un albero che all'inizio aveva due
grandi rami, che sono i rami piu' antichi,
-
il fratello maggiore o la sorella
maggiore dei rami del Sangha,
-
e poi affidandosi a tutti quei rami
sono cresciuti anche altri rami sull'albero,
-
proprio come un albero di banana ha
le foglie, e le prime due foglie
-
nutrono tutte le altre foglie
-
che nascono dopo,
-
Quindi Shariputra e Maudgalya'yana
erano come i rami grandi
-
e quando si sono rotti, spezzati,
-
c'erano ancora tutti gli altri rami
-
e l'albero, il Sangha, era ancora li'.
-
Cosi' il Buddha ha dato quell'esempio,
-
nel Sangha del Tathagata,
Shariputra e Maudgalya'yana
-
erano i migliori studenti,
quindi era naturale
-
che sarebbero entrati
per primi nel nirvana.
-
Il paragrafo successivo riguarda
cio' che e' naturale.
-
In realta', se ci riferiamo
alla versione cinese,
-
dice: "Tutti i fenomeni che nascono
o sorgono o si creano
-
o sono fenomeni condizionati,
-
tutti questi fenomeni
-
devono disintegrarsi,
devono decadere,
-
non possono esistere senza
che un giorno si decompongano,
-
senza disintegrarsi".
-
Poi dice:
-
"Se vuoi che qualsiasi fenomeno
-
non decada, questo e' qualcosa
di impossibile".
-
In qualche modo nella mente abbiamo
un'idea di qualcosa che e' impossibile.
-
"Tutti i fenomeni" significa
fenomeni psicologici,
-
fenomeni fisiologici,
-
fenomeni fisici, tutti si disintegrano
-
dopo un po' di tempo.
-
Ma nella mente abbiamo l'idea
che devono esserci cose
-
che non si disintegreranno,
-
le persone che amiamo
non si disintegreranno,
-
e per questo quando
questo accade soffriamo,
-
perche' non siamo preparati.
-
Quindi cio' che facciamo
nella pratica e' prepararci.
-
La stessa meditazione che
abbiamo fatto questa mattina,
-
"Sono della natura di ammalarmi",
e' un modo per prepararci
-
ad affrontare la realta' di cio'
che accade, in modo da non vivere
-
in un mondo di cose che
non sono possibili,
-
da non desiderare cose
che non sono possibili.
-
Qui si parla di "cose che sono nate",
e con questo si intende
-
esseri viventi che nascono
-
dal grembo materno o dall'uovo.
-
Poi si parla di "cose che sorgono",
intendendo cose che nascono
-
in modo dipendente da altre cose, cose
che sorgono come i fiori, gli alberi,
-
e le "cose che sono fatte" sono cio'
che un essere umano puo' fare,
-
quei fenomeni
-
come i vestiti che indossiamo,
anche loro si disintegrano.
-
Non c'e' niente che possa sfuggire
alla disintegrazione,
-
non solo gli esseri umani.
-
E tutte le cose che vengono indicate
come "fenomeni condizionati"
-
sono cose che per essere presenti
si basano su cio' che non sono.
-
Quindi ad esempio noi siamo fenomeni
condizionati in quanto facciamo
affidamento sul cibo che mangiamo,
-
facciamo affidamento
su chi ci circonda per continuare
-
a manifestarci. Se ci guardiamo intorno,
la maggior parte delle cose
-
sono condizionate, quasi tutto
e' dharma condizionato.
-
Si dice che solo una cosa
non e' condizionata,
-
e questo e' il nirvana,
perche' il nirvana e'
-
la rimozione di tutti i concetti.
-
"Tutto cio' che amiamo
e abbiamo a cuore oggi,
-
dovremo lasciarlo andare
ed esserne separati.
-
Tra poco moriro' anch'io,
-
quindi esercitati a essere
un'isola per te stesso,
-
sappi prendere rifugio in te stesso
e non prendere rifugio
-
in nessuno o in qualsiasi altra cosa.
Praticando il prendere rifugio
-
nell'isola del Dharma - il Dharma qui
-
significa la pratica
della consapevolezza -
-
meditando sul corpo nel corpo,
-
nutrendo la retta comprensione
e la retta consapevolezza"
-
In questa versione si parla
solo di meditare sul
-
corpo nel corpo, ma se leggiamo il sutra,
-
scopriamo che di dice anche di meditare
sulle sensazioni nelle sensazioni,
-
sulle percezioni nelle percezioni,
sulla mente nella mente,
-
e sui dharma nei dharma,
includendo quindi tutti e quattro
-
fondamenti della consapevolezza.
-
Anche se il Buddha si riprese
dalla sua malattia,
-
il suo corpo era molto debole,
-
e disse ad Ananda che praticava
qualcosa dal nome
-
animitta cetosamadhi, che significa
-
il samadhi, la concentrazione
sull'assenza di segni.
-
Animitta significa "segno",
-
la sofferenza e' un segno,
e anche nessuna sofferenza e' un segno,
-
la permanenza e' un segno,
anche l'impermanenza e' un segno.
-
un segno significa una caratteristica,
un segno appunto di com'e' qualcosa.
-
Quindi in inglese possiamo chiamarlo
assenza di segni (signlessness).
-
Quando abbiamo dolore nel corpo,
in genere questo si accompagna
-
a una sofferenza mentale, normalmente
e' cosi': non appena c'e' dolore nel corpo
-
la mente comincia a sentire dolore,
-
ed e' per questo che a volte
diciamo mente e corpo
-
soffrono all'unisono,
o la mente e il corpo
-
sono felici all'unisono,
si puo' dire cosi'.
-
Ma se pratichi, puoi riconoscere
-
che il dolore nel corpo non deve essere
-
dolore nella mente,
puoi prenderti cura della mente
-
in modo che il dolore
non influenzi la mente.
-
A quel punto
-
non sei catturato
dal segno della sofferenza.
-
Nel sutra Vajracchedika (o del Diamante)
si insegna semplicemente a non essere
-
catturati dai segni,
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non essere catturati dai fenomeni,
ma anche non essere
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catturati dai segni.
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In questo sutra si parla
di diversi tipi di segni,
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come il se', l'essere umano,
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gli esseri viventi
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e la durata della vita,
ma ci sono molti altri segni
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in cui possiamo essere catturati,
tra cui anche la sofferenza
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in cui essere intrappolati.
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Infatti, quando nel buddismo
Theravada si parla dei tre segni,
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la sofferenza e' uno di essi, insieme
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all'impermanenza e al non se'.
Ma la sofferenza ha un opposto
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il cui nome "non sofferenza" e in
termini delle Quattro Nobili Verita'
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la prima di esse e' la sofferenza
e la terza e'
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la non sofferenza, la fine,
la cessazione della sofferenza.
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Se la sofferenza e' un segno,
allora lo e' anche la non sofferenza,
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e possiamo essere catturati dal segno
della sofferenza ma possiamo anche
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esserlo dal segno della non sofferenza.
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Secondo il Buddha pratichiamo
la via di mezzo,
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che e' non essere catturati
in nessuno dei due estremi.
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Quindi praticando questo samadhi,
questa concentrazione di non essere
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catturati dai segni, il Buddha
era in grado di vivere
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quanto necessario negli ultimi mesi
della vita del Buddha
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per dare l'insegnamento
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di essere un'isola per se stessi.
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Se il Buddha non avesse vissuto
quegli ultimi mesi,
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potremmo non avere ora l'insegnamento
su come essere un'isola per se stessi,
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qualcosa che tutti possiamo praticare
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nella nostra vita quotidiana.
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Abbiamo bisogno di esercitarci
nella vita quotidiana,
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in modo che quando ci imbattiamo in
difficolta', possiamo davvero ritornare
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e prenderci cura della mente,
e in questo modo possiamo anche
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prenderci cura del corpo.
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Quindi, tornare alla
consapevolezza del corpo e'
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il primo fondamento della consapevolezza,
e il secondo fondamento e'
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tornare alle nostre sensazioni
e prendercene cura.
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Le sensazioni sono la causa
sia della sofferenza che
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della non sofferenza, che sono
dovute a due tipi di sensazioni.
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Quando pratica la concentrazione
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sull'assenza di segni,
dobbiamo anzitutto riconoscere
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che quella e' sofferenza,
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questa sensazione e' sofferenza,
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ma poi dobbiamo andare oltre
il segno e riconoscere
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che quella sensazione proviene solo
da cio' che sta accadendo nel nostro corpo
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e non deve influenzare la mente,
e che la sensazione
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non ha un se' separato,
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e' impermanente e cambia in ogni momento.
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Cosi' possiamo concentrarci sull'isola
in noi stessi in termini
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delle nostre sensazioni e non solo
in termini di corpo. Ma quando iniziamo
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a concentrarci sull'isola in noi stessi,
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torniamo al corpo e quindi
riconosciamo le sensazioni.
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Il Buddha ha detto che quei praticanti,
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monaci, monache, laici o laiche,
che riescono a tornare all'isola del se',
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a prendere rifugio nell'isola del se',
a ritornare all'isola della Dharma,
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a prendere rifugio
nell'isola del Dharma,
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sono i migliori praticanti, sia nel
momento in cui il Buddha era ancora vivo
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e anche dopo che il Buddha
non sarebbe stato piu' in vita.
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[Campana]