[Campana]
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[Campana]
[Campana]
Caro Thay, caro Sangha
nei momenti difficili e anche
nei momenti non difficili abbiamo la
pratica del tornare all'isola
dentro di noi
abbiamo una canzone
"Essere un'isola per me"
e la meditazione guidata
"Essere un'isola per me"
Come un’isola per me
c’e' un’isola in me
Buddha e' consapevolezza
che fa luce sulla Via
Dharma e' il mio respiro
che protegge e gioia da', liberta'
Come un’isola per me
dove pace sempre c’e'
Sangha e' i cinque skandha
che convivono in armonia
Mi rifugio in me,
io ritorno dentro me.
Liberta', liberta', liberta'
Quindi questa pratica ci e' stata
consigliata soprattutto
quando siamo in difficolta',
ma per poterlo praticare
quando siamo in difficolta'
abbiamo bisogno di una formazione
dobbiamo allenarci quando
non e' difficile,
allenarci a tornare a noi stessi
Tante volte il Buddha ha parlato
del non se' e ora noi stiamo praticando
il tornare a noi stessi
Il non se' e' un'idea e anche il se' e' un'idea
e il non se' e' il modo di curare l'idea del se'
Quindi principalmente tornare a
noi stessi significa tornare nel corpo
Sentire il corpo cosi'
com'e' nel momento presente
Abbiamo lo strato di pelle
all'esterno del corpo
Quindi in un certo senso il corpo
ha dei limiti ma sappiamo anche
che il nostro corpo dipende
anche da ogni cosa al di fuori del corpo
Ma in questa pratica torniamo
principalmente al corpo
L'esempio che ha dato il Buddha
e' l'esempio di una tartaruga
che ha la testa e quattro zampe
e una coda e quando la tartaruga
e' in un momento difficile
la tartaruga ritirera' le zampe,
la testa e la coda sotto la sua corazza
Quindi per noi significa
ritirare i nostri
occhi, le orecchie, il naso
e tutte quelle cose che
percepiscono il mondo intorno
a noi non permettendoglielo
di uscire, di essere dispersi intorno
a noi, ma ritornare cosi' possiamo tornare
dentro di noi ed essere li' per noi stessi,
per prendersi cura di noi stessi
Perche' se non siamo li'
per prenderci cura di noi stessi
non possiamo davvero essere li'
per prenderci cura dell'altra persona
e quando ci prendiamo cura
di qualcuno che e' molto malato
sappiamo benissimo che la prima cosa
che dobbiamo fare
e' tornare ed essere solidi
e stabili in noi stessi
Cosi' questo esercizio ci viene insegnato
in modo che possiamo essere solidi
e possiamo essere stabili
nel momento presente.
Quando sentiamo il suono della campana
torniamo a quell'isola in noi stessi,
diventiamo un rifugio per noi stessi.
La mente umana ha la tendenza ad andare
fuori e cercare di trovare rifugio
nelle cose intorno
Ma sappiamo che se non siamo stabili
in noi stessi, allora non possiamo
avere un luogo di rifugio
Cosi' pratichiamo il ritornare
per essere un rifugio per noi stessi,
per essere un'isola per me stesso,
un rifugio per me stesso.
E ognuno di noi e' quell'isola,
e' quel rifugio
in cinese e in vietnamita si dice che
il Se' e' l'isola, il se' e' il rifugio,
e lo stesso in pali
Poi il Buddha ci insegna
a renderlo piu' chiaro:
il Dharma e' la tua isola,
il Dharma e' il tuo rifugio
Cio' significa che quando torniamo
al nostro vero se'
possiamo trovare il Buddha
in noi stessi, il Dharma in noi stessi
e il Sangha in noi stessi
Questo meraviglioso insegnamento fu dato
ad Ananda, l'assistente del Buddha
Tre volte, due volte individualmente
e una volta con il resto del Sangha
Il Buddha ha dato questo
insegnamento alla fine
della vita del Buddha, quando il Buddha
aveva gia' 80 anni.
Forse molte persone hanno
preso rifugio nel Buddha,
c'era la pratica dei tre rifugi
in India a quel tempo, e le persone
quando venivano e ascoltavano
l'insegnamento del Buddha, praticavano:
"Prendo rifugio nel Buddha,
prendo rifugio nel Dharma,
prendo rifugio nel Sangha"
Forse le persone quando
prendevano rifugio nel Buddha
stavano prendendo rifugio
in un Buddha fuori di loro,
ma quel Buddha come ogni altra cosa
era impermanente e non sarebbe stato li'
molto piu' a lungo,
ecco perche' il Buddha ha dato
quell'insegnamento ad Ananda.
Il venerabile Ananda era
un meraviglioso assistente del Buddha,
il venerabile Ananda ha dato
tutta la sua vita,
tutto il suo essere
per assistere il Buddha,
e quindi non ebbe tanto tempo
per esercitarsi a tornare
a se stesso
Negli ultimi ritiri delle piogge
il Buddha era vivo
in Vaishali
Il Buddha si ammalo' gravemente
e nel sutra si dice che
fu vicino alla morte
Quindi il Buddha soffriva molto
e il suo corpo divenne estremamente debole
Nei momenti in cui il corpo
e' molto dolente e debole
e' facile lasciare che il corpo muoia.
Il Buddha sapeva che nei momenti
in cui era cosi' malato, poteva morire,
e sapendolo
guardando in profondita' e sapendo
che non aveva preso congedo dal Sangha,
non aveva detto addio al Sangha,
forse c'erano delle ultime istruzioni
di cui il Sangha aveva ancora bisogno
e che il Buddha non avesse ancora dato
Quindi si dice che il Buddha dovette
prendere una forte risoluzione,
una forte determinazione
basata sulla forza vitale
una forte determinazione a vivere
ancora qualche momento per poter dare
gli insegnamenti di cui il Sangha
aveva ancora bisogno.
Mi ricordo di una volta in cui
Thay, il nostro insegnante,
era molto malato in Germania
e non ha potuto mangiare nulla
per molto tempo
e ha detto:
"Vivo grazie al cibo della volizione".
Sappiamo che il cibo della volizione
e' il terzo tipo di cibo
un alimento molto importante per noi.
Quindi quando il Buddha
ha preso la risoluzione di vivere
ancora per qualche momento
il Buddha stava usando il cibo
della volonta', quel cibo che arriva
dall'interno, quando torniamo
all'isola del se'
Quel cibo non viene da fuori.
Se pensiamo alle cinque formazioni
mentali particolari,
la prima e' chanda, l'intenzione
volere davvero qualcosa, e la seconda e'
adimoksha, che significa
determinazione e risoluzione.
Sappiamo tutti che nella nostra pratica
sviluppiamo queste formazioni mentali,
la formazione mentale
della determinazione, perche'
quando ci avviciniamo alla pratica
e forse dopo molti anni abbiamo
molte energie dell'abitudine
e se vogliamo davvero trasformarle
abbiamo bisogno
di una forte determinazione,
una forte risoluzione.
Si dice quindi che il Buddha
prese la risoluzione,
sulla base della prima delle
6 formazioni mentali universali,
le formazioni mentali universali
nella tradizione Theravada,
che e' Jivitandriya, la forza vitale
che e' presente in tutti noi,
nella nostra coscienza,
e cosi' il Buddha ha dato
attenzione a questa
formazione mentale, la forza vitale,
e cosi' usando la concentrazione,
che e' un'altra
delle formazioni mentali particolari,
che sono lo zelo,
la risoluzione o determinazione,
la seconda,
e la terza e' la consapevolezza,
la concentrazione e' la quarta,
e la quinta e' la visione profonda.
Queste sono formazioni mentali
che possiamo scegliere
di praticare oppure no.
Possiamo scegliere di usarle
in modo salutare o non salutare,
sono chiamate
formazioni mentali particolari.
Cosi' il Buddha uso' la concentrazione
per poter superare il dolore
e fu in grado di riprendersi
dalla sua malattia,
usci' dalla sua capanna
e si sedette fuori.
Ananda vide che il Buddha era seduto
fuori e fu sopraffatto dalla gioia.
"Il Buddha e' ancora vivo,
il Buddha vivra'!".
Ananda ando' dal Buddha
e disse: "Che meraviglia,
che meraviglia, ci sei ancora,
stai meglio
e verrai con noi!".
Poi Ananda disse:
"Quando il Buddha era cosi' malato
le mie ginocchia tremavano,
ho perso la concentrazione
la mia mente divenne confusa"
E il Buddha disse:
"Cosi' non va bene, Ananda"
e poi ha dato l'insegnamento di
essere un'isola per se stessi,
per trovare il Buddha in se stessi.
Il Buddha disse: "Tra poco
il Buddha non sara' piu' con te, quindi
ora e' il momento di praticare l'essere
un'isola per te stesso,
essere un rifugio per te stesso,
per trovare il Buddha dentro di te".
E Ananda disse al Buddha:
"Sebbene tu fossi molto malato,
avevo la speranza che tu potessi
riprenderti e stare con noi piu' a lungo,
perche' non ci avevi ancora detto
cosa fare quando non ci
saresti piu' stato,
non ci avevi detto chi avrebbe
guidato il Sangha dopo la tua scomparsa".
Allora il Buddha ha detto:
"Oh Ananda, perche'?"
Ananda rispose:
"Stavamo aspettando che tu facessi
qualche annuncio sul Sangha,
su chi avrebbe guidato il Sangha"
E il Buddha disse:
"Che altro si aspetta il Sangha?
Vi ho insegnato tutto,
vi ho insegnato tutte le pratiche",
e aggiunse:
"Non sono un insegnante col pugno
chiuso, non ho trattenuto nulla,
tutto cio' che ho praticato l'ho
trasmesso ai miei discepoli,
quindi cos'altro vi aspettate?
Se state aspettando
che vi dica chi vi guidera',
questo non succedera', perche'
il Buddha non ha mai pensato:
"Sono responsabile del Sangha,
guido il Sangha, il Buddha
e' solo un Bhikkhu come gli altri.
Quindi, se il Buddha non guida il Sangha,
perche' dovrebbe indicare qualcun altro
affinche' guidi il Sangha?"
Dopodiche',
il Buddha parti' per il suo ultimo viaggio,
probabilmente con l'intenzione di tornare
a Kapilavastu, il luogo da cui
proveniva, dove era cresciuto.
Cosi', da Nalanda, da Rajagriha,
si diresse
in quella direzione,
e nel sutra si dice che
quando arrivo' a Sravasthi
il Buddha ricevette la notizia
della morte
di Shariputra e Mahamogallana,
ma e' strano perche' Shavasti
non e' proprio sulla strada
da Rajagriha a Kapilavastu,
serve una deviazione di 200 km.
Quindi forse e' un errore,
non era in Sravasthi ma altrove.
Cosi' poi,
Se guardiamo nel Samyutta Nikaya
nel capitolo 47,
che riguarda la pratica della
consapevolezza, troveremo tre sutra
sulla fine della vita del Buddha.
Il primo e' il sutra numero 9
che si chiama Gelanna Sutta, che
significa malattia, e riguarda il tempo
in cui il Buddha era malato.
E il secondo, il numero 13,
si chiama Chunda, che e' il nome
dell'assistente
del venerabile Shariputra.
Shariputra veniva da Nalanda,
e ritorno' a Nalanda
con il Buddha, e quando il Buddha
e Shariputra erano
a Nalanda forse Shariputra sapeva
che non avrebbe incontrato piu' il Buddha,
e cosi' ando' dal Buddha e gli disse:
"Di tutti i Buddha
che ci sono stati in passato,
che ci saranno in futuro e che ci sono
nel momento presente,
tu sei il piu' importante,
sei il primo Buddha, e il Buddha
rispose a Shariputra:
"Come puoi dire questo, Shariputra?
Conoscevi tutti i Buddha
in passato, conosci tutti
i Buddha nel presente
e nel futuro per dire che sono il primo?"
Shariputra dovette ammettere di non
conoscere tutti quei Buddha, ma disse:
"Quando guardo la pratica del Buddha,
come il Buddha custodisce i sei sensi,
pratica sempre la consapevolezza, non posso
pensare che alcun essere umano
potrebbe mai
praticare meglio di cosi', ed e' per
questo che dico che il Buddha e' il
principale di tutti i Buddha.
Naturalmente,
praticano anche i Buddha
del passato e del futuro
per custodire i sesti sensi".
ma alla fine il Buddha
disse a Shariputra:
"Questo e' un buon insegnamento
che puoi dare
alle persone, e cioe' che il Buddha
e' colui che pratica
il custodire in ogni momento i sei sensi.
Ma Shariputra non avrebbe
vissuto a lungo
e dopo che il Buddha lascio' Nalanda,
Shariputra chiese di restare indietro,
e anche Shariputra si ammalo' gravemente
e mori', e il suo attendente Chunda,
dopo la cremazione,
porto' le ceneri,
porto' la veste e la ciotola
al Buddha, dovunque fosse il Buddha.
E come prima cosa quando Chunda
arrivo' dov'era il Buddha
ando' da Ananda e racconto' ad Ananda
quello che era successo,
che il venerabile Shariputra era morto,
e Ananda rispose che era una notizia
che insieme avrebbero dovuto portare
al Buddha. Cosi' insieme
Chunda e Ananda andarono dal Buddha
e raccontarono al Buddha quello che
era successo, e poi Ananda disse di nuovo:
"Quando ho sentito che Shariputra era morto,
le mie ginocchia hanno tremato,
ho perso la stabilita',
mi sono sentito mentalmente confuso
perche'
abbiamo perso il nostro fratello
maggiore. Il Buddha rispose:
"Morendo, Shariputra ha portato
con se' la tua consapevolezza?
Ti ha portato via la tua concentrazione
e la tua visione profonda?"
Ananda rispose: "No, non l'ha fatto,
ma Shariputra era un fratello maggiore,
in cui tutti abbiamo preso rifugio,
sapevamo che avrebbe potuto offrirci
gli insegnamenti di cui avevamo bisogno,
e ora non e' piu' presente nel Sangha".
E allora per la seconda volta
il Buddha insegno' ad Ananda:
"Ananda, dovresti essere un'isola per te
stesso, essere un rifugio per te stesso,
lascia che il Dharma sia la tua isola,
lascia che il Dharma
sia il tuo rifugio,
e non prendere rifugio
in nessun'altra persona,
in nessun'altra cosa".
Quindi questa e' stata la seconda volta
in cui Ananda ha ricevuto l'insegnamento
sull'essere un'isola per se stesso.
La terza volta e' riportata in un sutra
che tutti conosciamo,
perche' fa parte
del nostro libro dei canti,
chiamato il "Discorso sul
prendere rifugio in se stessi",
e' cosi' che l'abbiamo tradotto.
Se cerchiamo
Samyukta Agama 639
vedremo che viene chiamato
Uposatha Sutra,
questo perche' Uposatha
indica il giorno in cui vengono
recitati i precetti
e accadde che fosse
il giorno della luna piena
quando il Buddha offri' questo sutra.
In pali e' nel Samyutta Nikaya,
il numero 14 e si chiama Ocacela (?),
che e' solo il nome
del luogo in cui il Buddha
ha dato questo insegnamento.
"Ho sentito queste parole del
Buddha una volta quando il signore
stava nel boschetto di mango, all'ombra
fresca degli alberi di mango,
lungo la riva del fiume Gange,
nella foresta di Maghada.
Gli anziani Shariputra e Maudgalya'yana
erano morti da poco
Era il giorno di luna piena,
dedicato alla cerimonia dell’Uposatha
e alla recitazione dei precetti.
Il Buddha dispose la sua stuoia e sedette
rivolto verso la comunita' li' riunita
Dopo averla abbracciata
con lo sguardo, disse:
“Mentre osservo la nostra comunita',
sento l’enorme vuoto lasciato
dai Venerabili Shariputra e Maudgalya'yana"
Nella versione pali dice:
"Mi sembra che ci sia uno spazio vuoto
nel nostro Sangha". "Sembrava"
che ci fosse uno spazio vuoto
perche' dove erano stati
Shariputra e Maudgalya'yana,
li' nel Sangha,
non era piu' possibile vederli.
Ah, ho dimenticato di dire che due
settimane dopo la morte di Shariputra
mori' anche il venerabile Maudgalya'yana.
Cosi' nel momento in cui Buddha
offri' questo sutra sia Shariputra
che Maudgalya'yana erano morti.
Quindi, il Buddha dice:
"Mi sembra che ci sia uno spazio vuoto.
Prima potevamo sempre fare affidamento
su Maudgalya'yana e Shariputra
e ora vediamo che non ci sono".
Il Buddha usa la parola
"sembra" per dire che
sembra cosi' ma non e' proprio cosi',
volendo possiamo ancora trovare
Shariputra e Maudgalya'yana.
"Nel nostro Sangha questi venerabili erano
i monaci piu' eloquenti nel dare
discorsi di Dharma, i piu' abili
a incoraggiare e istruire tutti gli
altri monaci, le monache e i laici".
Poi il Buddha usa la parola
"cercando", "rincorrendo":
Monaci, la gente cerca
due tipi di ricchezze:
quelle materiali e quelle di Dharma.
Nella loro ricerca di ricchezze materiali
possono rivolgersi alla gente del mondo.
Nella ricerca delle ricchezze di Dharma
possono sempre rivolgersi a persone
come i Venerabili Shariputra e
Maudgalya'yana. Il Tathagata, invece,
e' colui che non cerca piu' nulla, ne'
di materiale ne' relativo al Dharma".
Se ricordate, c'e' un verso nel
Dharmapada in sanscrito
che dice che il cervo
si rifugia nei campi,
gli uccelli si rifugiano nel cielo,
coloro che discriminano
si rifugiano nel Dharma
e gli arhat, coloro
che sono illuminati,
si rifugiano nel nirvana
Quindi noi siamo coloro che discriminano,
nel senso di distinguere
tra cio' che e' salutare
e cio' che e' malsano;
che facciamo affidamento sulla pratica
dei precetti, della consapevolezza,
concentrazione e visione profonda
per allenarci
nella nostra vita quotidiana.
Cosi' qui si dice che
possiamo prendere rifugio
nei nostri insegnanti
per le ricchezze del Dharma,
e noi siamo sempre alla ricerca
delle ricchezze del Dharma,
per aiutarci a trasformare
le nostre afflizioni.
Coloro che hanno trasformato
le loro afflizioni non hanno piu' bisogno
di cercare il Dharma, forse hanno
trovato il Dharma dentro di se',
e quindi semplicemente praticano
la consapevolezza, la concentrazione
e la visione profonda.
Dovremmo ricordare che anche
se non cercano piu' nulla,
gli arhat praticano comunque
la consapevolezza,
tutte le quattro le coppie e gli otto
tipi di persone sante nel Sangha
da coloro che sono entrati nella
corrente agli arhat, tutti loro
praticano la consapevolezza, la
concentrazione e la visione profonda.
Quando diventi un arhat non smetti
di praticare la consapevolezza.
Questo, quindi, significa che
quando cerchiamo il Dharma
non siamo in grado di essere
in contatto con il nirvana?
No, non significa questo, il nirvana
e' disponibile per noi
quando entriamo nella corrente
o anche prima,
ma non possiamo essere in contatto
con il nirvana per tutto il tempo,
quindi dobbiamo continuare
ad ascoltare il Dharma,
contemplare il Dharma
e metterlo in pratica
per poter essere in contatto
con il nirvana in ogni momento
Quindi il Buddha da' l'esempio
dell'albero, un grande albero
un grande albero molto vecchio,
come la quercia a Lower Hamlet,
e il Buddha ha detto che quell'albero
e' fatto di buon legno,
ha al suo interno dell'ottimo legno,
non e' marcio dentro,
e quell'albero e' il Sangha,
che ha otto tipi e quattro coppie
di persone sante il Sangha,
che pratica la consapevolezza.
la concentrazione e la visione
profonda e' come un albero,
un albero che all'inizio aveva due
grandi rami, che sono i rami piu' antichi,
il fratello maggiore o la sorella
maggiore dei rami del Sangha,
e poi affidandosi a tutti quei rami
sono cresciuti anche altri rami sull'albero,
proprio come un albero di banana ha
le foglie, e le prime due foglie
nutrono tutte le altre foglie
che nascono dopo,
Quindi Shariputra e Maudgalya'yana
erano come i rami grandi
e quando si sono rotti, spezzati,
c'erano ancora tutti gli altri rami
e l'albero, il Sangha, era ancora li'.
Cosi' il Buddha ha dato quell'esempio,
nel Sangha del Tathagata,
Shariputra e Maudgalya'yana
erano i migliori studenti,
quindi era naturale
che sarebbero entrati
per primi nel nirvana.
Il paragrafo successivo riguarda
cio' che e' naturale.
In realta', se ci riferiamo
alla versione cinese,
dice: "Tutti i fenomeni che nascono
o sorgono o si creano
o sono fenomeni condizionati,
tutti questi fenomeni
devono disintegrarsi,
devono decadere,
non possono esistere senza
che un giorno si decompongano,
senza disintegrarsi".
Poi dice:
"Se vuoi che qualsiasi fenomeno
non decada, questo e' qualcosa
di impossibile".
In qualche modo nella mente abbiamo
un'idea di qualcosa che e' impossibile.
"Tutti i fenomeni" significa
fenomeni psicologici,
fenomeni fisiologici,
fenomeni fisici, tutti si disintegrano
dopo un po' di tempo.
Ma nella mente abbiamo l'idea
che devono esserci cose
che non si disintegreranno,
le persone che amiamo
non si disintegreranno,
e per questo quando
questo accade soffriamo,
perche' non siamo preparati.
Quindi cio' che facciamo
nella pratica e' prepararci.
La stessa meditazione che
abbiamo fatto questa mattina,
"Sono della natura di ammalarmi",
e' un modo per prepararci
ad affrontare la realta' di cio'
che accade, in modo da non vivere
in un mondo di cose che
non sono possibili,
da non desiderare cose
che non sono possibili.
Qui si parla di "cose che sono nate",
e con questo si intende
esseri viventi che nascono
dal grembo materno o dall'uovo.
Poi si parla di "cose che sorgono",
intendendo cose che nascono
in modo dipendente da altre cose, cose
che sorgono come i fiori, gli alberi,
e le "cose che sono fatte" sono cio'
che un essere umano puo' fare,
quei fenomeni
come i vestiti che indossiamo,
anche loro si disintegrano.
Non c'e' niente che possa sfuggire
alla disintegrazione,
non solo gli esseri umani.
E tutte le cose che vengono indicate
come "fenomeni condizionati"
sono cose che per essere presenti
si basano su cio' che non sono.
Quindi ad esempio noi siamo fenomeni
condizionati in quanto facciamo
affidamento sul cibo che mangiamo,
facciamo affidamento
su chi ci circonda per continuare
a manifestarci. Se ci guardiamo intorno,
la maggior parte delle cose
sono condizionate, quasi tutto
e' dharma condizionato.
Si dice che solo una cosa
non e' condizionata,
e questo e' il nirvana,
perche' il nirvana e'
la rimozione di tutti i concetti.
"Tutto cio' che amiamo
e abbiamo a cuore oggi,
dovremo lasciarlo andare
ed esserne separati.
Tra poco moriro' anch'io,
quindi esercitati a essere
un'isola per te stesso,
sappi prendere rifugio in te stesso
e non prendere rifugio
in nessuno o in qualsiasi altra cosa.
Praticando il prendere rifugio
nell'isola del Dharma - il Dharma qui
significa la pratica
della consapevolezza -
meditando sul corpo nel corpo,
nutrendo la retta comprensione
e la retta consapevolezza"
In questa versione si parla
solo di meditare sul
corpo nel corpo, ma se leggiamo il sutra,
scopriamo che di dice anche di meditare
sulle sensazioni nelle sensazioni,
sulle percezioni nelle percezioni,
sulla mente nella mente,
e sui dharma nei dharma,
includendo quindi tutti e quattro
fondamenti della consapevolezza.
Anche se il Buddha si riprese
dalla sua malattia,
il suo corpo era molto debole,
e disse ad Ananda che praticava
qualcosa dal nome
animitta cetosamadhi, che significa
il samadhi, la concentrazione
sull'assenza di segni.
Animitta significa "segno",
la sofferenza e' un segno,
e anche nessuna sofferenza e' un segno,
la permanenza e' un segno,
anche l'impermanenza e' un segno.
un segno significa una caratteristica,
un segno appunto di com'e' qualcosa.
Quindi in inglese possiamo chiamarlo
assenza di segni (signlessness).
Quando abbiamo dolore nel corpo,
in genere questo si accompagna
a una sofferenza mentale, normalmente
e' cosi': non appena c'e' dolore nel corpo
la mente comincia a sentire dolore,
ed e' per questo che a volte
diciamo mente e corpo
soffrono all'unisono,
o la mente e il corpo
sono felici all'unisono,
si puo' dire cosi'.
Ma se pratichi, puoi riconoscere
che il dolore nel corpo non deve essere
dolore nella mente,
puoi prenderti cura della mente
in modo che il dolore
non influenzi la mente.
A quel punto
non sei catturato
dal segno della sofferenza.
Nel sutra Vajracchedika (o del Diamante)
si insegna semplicemente a non essere
catturati dai segni,
non essere catturati dai fenomeni,
ma anche non essere
catturati dai segni.
In questo sutra si parla
di diversi tipi di segni,
come il se', l'essere umano,
gli esseri viventi
e la durata della vita,
ma ci sono molti altri segni
in cui possiamo essere catturati,
tra cui anche la sofferenza
in cui essere intrappolati.
Infatti, quando nel buddismo
Theravada si parla dei tre segni,
la sofferenza e' uno di essi, insieme
all'impermanenza e al non se'.
Ma la sofferenza ha un opposto
il cui nome "non sofferenza" e in
termini delle Quattro Nobili Verita'
la prima di esse e' la sofferenza
e la terza e'
la non sofferenza, la fine,
la cessazione della sofferenza.
Se la sofferenza e' un segno,
allora lo e' anche la non sofferenza,
e possiamo essere catturati dal segno
della sofferenza ma possiamo anche
esserlo dal segno della non sofferenza.
Secondo il Buddha pratichiamo
la via di mezzo,
che e' non essere catturati
in nessuno dei due estremi.
Quindi praticando questo samadhi,
questa concentrazione di non essere
catturati dai segni, il Buddha
era in grado di vivere
quanto necessario negli ultimi mesi
della vita del Buddha
per dare l'insegnamento
di essere un'isola per se stessi.
Se il Buddha non avesse vissuto
quegli ultimi mesi,
potremmo non avere ora l'insegnamento
su come essere un'isola per se stessi,
qualcosa che tutti possiamo praticare
nella nostra vita quotidiana.
Abbiamo bisogno di esercitarci
nella vita quotidiana,
in modo che quando ci imbattiamo in
difficolta', possiamo davvero ritornare
e prenderci cura della mente,
e in questo modo possiamo anche
prenderci cura del corpo.
Quindi, tornare alla
consapevolezza del corpo e'
il primo fondamento della consapevolezza,
e il secondo fondamento e'
tornare alle nostre sensazioni
e prendercene cura.
Le sensazioni sono la causa
sia della sofferenza che
della non sofferenza, che sono
dovute a due tipi di sensazioni.
Quando pratica la concentrazione
sull'assenza di segni,
dobbiamo anzitutto riconoscere
che quella e' sofferenza,
questa sensazione e' sofferenza,
ma poi dobbiamo andare oltre
il segno e riconoscere
che quella sensazione proviene solo
da cio' che sta accadendo nel nostro corpo
e non deve influenzare la mente,
e che la sensazione
non ha un se' separato,
e' impermanente e cambia in ogni momento.
Cosi' possiamo concentrarci sull'isola
in noi stessi in termini
delle nostre sensazioni e non solo
in termini di corpo. Ma quando iniziamo
a concentrarci sull'isola in noi stessi,
torniamo al corpo e quindi
riconosciamo le sensazioni.
Il Buddha ha detto che quei praticanti,
monaci, monache, laici o laiche,
che riescono a tornare all'isola del se',
a prendere rifugio nell'isola del se',
a ritornare all'isola della Dharma,
a prendere rifugio
nell'isola del Dharma,
sono i migliori praticanti, sia nel
momento in cui il Buddha era ancora vivo
e anche dopo che il Buddha
non sarebbe stato piu' in vita.
[Campana]