[Campana] [Campana] [Campana] [Campana] Caro Thay, caro Sangha nei momenti difficili e anche nei momenti non difficili abbiamo la pratica del tornare all'isola dentro di noi abbiamo una canzone "Essere un'isola per me" e la meditazione guidata "Essere un'isola per me" Come un’isola per me c’e' un’isola in me Buddha e' consapevolezza che fa luce sulla Via Dharma e' il mio respiro che protegge e gioia da', liberta' Come un’isola per me dove pace sempre c’e' Sangha e' i cinque skandha che convivono in armonia Mi rifugio in me, io ritorno dentro me. Liberta', liberta', liberta' Quindi questa pratica ci e' stata consigliata soprattutto quando siamo in difficolta', ma per poterlo praticare quando siamo in difficolta' abbiamo bisogno di una formazione dobbiamo allenarci quando non e' difficile, allenarci a tornare a noi stessi Tante volte il Buddha ha parlato del non se' e ora noi stiamo praticando il tornare a noi stessi Il non se' e' un'idea e anche il se' e' un'idea e il non se' e' il modo di curare l'idea del se' Quindi principalmente tornare a noi stessi significa tornare nel corpo Sentire il corpo cosi' com'e' nel momento presente Abbiamo lo strato di pelle all'esterno del corpo Quindi in un certo senso il corpo ha dei limiti ma sappiamo anche che il nostro corpo dipende anche da ogni cosa al di fuori del corpo Ma in questa pratica torniamo principalmente al corpo L'esempio che ha dato il Buddha e' l'esempio di una tartaruga che ha la testa e quattro zampe e una coda e quando la tartaruga e' in un momento difficile la tartaruga ritirera' le zampe, la testa e la coda sotto la sua corazza Quindi per noi significa ritirare i nostri occhi, le orecchie, il naso e tutte quelle cose che percepiscono il mondo intorno a noi non permettendoglielo di uscire, di essere dispersi intorno a noi, ma ritornare cosi' possiamo tornare dentro di noi ed essere li' per noi stessi, per prendersi cura di noi stessi Perche' se non siamo li' per prenderci cura di noi stessi non possiamo davvero essere li' per prenderci cura dell'altra persona e quando ci prendiamo cura di qualcuno che e' molto malato sappiamo benissimo che la prima cosa che dobbiamo fare e' tornare ed essere solidi e stabili in noi stessi Cosi' questo esercizio ci viene insegnato in modo che possiamo essere solidi e possiamo essere stabili nel momento presente. Quando sentiamo il suono della campana torniamo a quell'isola in noi stessi, diventiamo un rifugio per noi stessi. La mente umana ha la tendenza ad andare fuori e cercare di trovare rifugio nelle cose intorno Ma sappiamo che se non siamo stabili in noi stessi, allora non possiamo avere un luogo di rifugio Cosi' pratichiamo il ritornare per essere un rifugio per noi stessi, per essere un'isola per me stesso, un rifugio per me stesso. E ognuno di noi e' quell'isola, e' quel rifugio in cinese e in vietnamita si dice che il Se' e' l'isola, il se' e' il rifugio, e lo stesso in pali Poi il Buddha ci insegna a renderlo piu' chiaro: il Dharma e' la tua isola, il Dharma e' il tuo rifugio Cio' significa che quando torniamo al nostro vero se' possiamo trovare il Buddha in noi stessi, il Dharma in noi stessi e il Sangha in noi stessi Questo meraviglioso insegnamento fu dato ad Ananda, l'assistente del Buddha Tre volte, due volte individualmente e una volta con il resto del Sangha Il Buddha ha dato questo insegnamento alla fine della vita del Buddha, quando il Buddha aveva gia' 80 anni. Forse molte persone hanno preso rifugio nel Buddha, c'era la pratica dei tre rifugi in India a quel tempo, e le persone quando venivano e ascoltavano l'insegnamento del Buddha, praticavano: "Prendo rifugio nel Buddha, prendo rifugio nel Dharma, prendo rifugio nel Sangha" Forse le persone quando prendevano rifugio nel Buddha stavano prendendo rifugio in un Buddha fuori di loro, ma quel Buddha come ogni altra cosa era impermanente e non sarebbe stato li' molto piu' a lungo, ecco perche' il Buddha ha dato quell'insegnamento ad Ananda. Il venerabile Ananda era un meraviglioso assistente del Buddha, il venerabile Ananda ha dato tutta la sua vita, tutto il suo essere per assistere il Buddha, e quindi non ebbe tanto tempo per esercitarsi a tornare a se stesso Negli ultimi ritiri delle piogge il Buddha era vivo in Vaishali Il Buddha si ammalo' gravemente e nel sutra si dice che fu vicino alla morte Quindi il Buddha soffriva molto e il suo corpo divenne estremamente debole Nei momenti in cui il corpo e' molto dolente e debole e' facile lasciare che il corpo muoia. Il Buddha sapeva che nei momenti in cui era cosi' malato, poteva morire, e sapendolo guardando in profondita' e sapendo che non aveva preso congedo dal Sangha, non aveva detto addio al Sangha, forse c'erano delle ultime istruzioni di cui il Sangha aveva ancora bisogno e che il Buddha non avesse ancora dato Quindi si dice che il Buddha dovette prendere una forte risoluzione, una forte determinazione basata sulla forza vitale una forte determinazione a vivere ancora qualche momento per poter dare gli insegnamenti di cui il Sangha aveva ancora bisogno. Mi ricordo di una volta in cui Thay, il nostro insegnante, era molto malato in Germania e non ha potuto mangiare nulla per molto tempo e ha detto: "Vivo grazie al cibo della volizione". Sappiamo che il cibo della volizione e' il terzo tipo di cibo un alimento molto importante per noi. Quindi quando il Buddha ha preso la risoluzione di vivere ancora per qualche momento il Buddha stava usando il cibo della volonta', quel cibo che arriva dall'interno, quando torniamo all'isola del se' Quel cibo non viene da fuori. Se pensiamo alle cinque formazioni mentali particolari, la prima e' chanda, l'intenzione volere davvero qualcosa, e la seconda e' adimoksha, che significa determinazione e risoluzione. Sappiamo tutti che nella nostra pratica sviluppiamo queste formazioni mentali, la formazione mentale della determinazione, perche' quando ci avviciniamo alla pratica e forse dopo molti anni abbiamo molte energie dell'abitudine e se vogliamo davvero trasformarle abbiamo bisogno di una forte determinazione, una forte risoluzione. Si dice quindi che il Buddha prese la risoluzione, sulla base della prima delle 6 formazioni mentali universali, le formazioni mentali universali nella tradizione Theravada, che e' Jivitandriya, la forza vitale che e' presente in tutti noi, nella nostra coscienza, e cosi' il Buddha ha dato attenzione a questa formazione mentale, la forza vitale, e cosi' usando la concentrazione, che e' un'altra delle formazioni mentali particolari, che sono lo zelo, la risoluzione o determinazione, la seconda, e la terza e' la consapevolezza, la concentrazione e' la quarta, e la quinta e' la visione profonda. Queste sono formazioni mentali che possiamo scegliere di praticare oppure no. Possiamo scegliere di usarle in modo salutare o non salutare, sono chiamate formazioni mentali particolari. Cosi' il Buddha uso' la concentrazione per poter superare il dolore e fu in grado di riprendersi dalla sua malattia, usci' dalla sua capanna e si sedette fuori. Ananda vide che il Buddha era seduto fuori e fu sopraffatto dalla gioia. "Il Buddha e' ancora vivo, il Buddha vivra'!". Ananda ando' dal Buddha e disse: "Che meraviglia, che meraviglia, ci sei ancora, stai meglio e verrai con noi!". Poi Ananda disse: "Quando il Buddha era cosi' malato le mie ginocchia tremavano, ho perso la concentrazione la mia mente divenne confusa" E il Buddha disse: "Cosi' non va bene, Ananda" e poi ha dato l'insegnamento di essere un'isola per se stessi, per trovare il Buddha in se stessi. Il Buddha disse: "Tra poco il Buddha non sara' piu' con te, quindi ora e' il momento di praticare l'essere un'isola per te stesso, essere un rifugio per te stesso, per trovare il Buddha dentro di te". E Ananda disse al Buddha: "Sebbene tu fossi molto malato, avevo la speranza che tu potessi riprenderti e stare con noi piu' a lungo, perche' non ci avevi ancora detto cosa fare quando non ci saresti piu' stato, non ci avevi detto chi avrebbe guidato il Sangha dopo la tua scomparsa". Allora il Buddha ha detto: "Oh Ananda, perche'?" Ananda rispose: "Stavamo aspettando che tu facessi qualche annuncio sul Sangha, su chi avrebbe guidato il Sangha" E il Buddha disse: "Che altro si aspetta il Sangha? Vi ho insegnato tutto, vi ho insegnato tutte le pratiche", e aggiunse: "Non sono un insegnante col pugno chiuso, non ho trattenuto nulla, tutto cio' che ho praticato l'ho trasmesso ai miei discepoli, quindi cos'altro vi aspettate? Se state aspettando che vi dica chi vi guidera', questo non succedera', perche' il Buddha non ha mai pensato: "Sono responsabile del Sangha, guido il Sangha, il Buddha e' solo un Bhikkhu come gli altri. Quindi, se il Buddha non guida il Sangha, perche' dovrebbe indicare qualcun altro affinche' guidi il Sangha?" Dopodiche', il Buddha parti' per il suo ultimo viaggio, probabilmente con l'intenzione di tornare a Kapilavastu, il luogo da cui proveniva, dove era cresciuto. Cosi', da Nalanda, da Rajagriha, si diresse in quella direzione, e nel sutra si dice che quando arrivo' a Sravasthi il Buddha ricevette la notizia della morte di Shariputra e Mahamogallana, ma e' strano perche' Shavasti non e' proprio sulla strada da Rajagriha a Kapilavastu, serve una deviazione di 200 km. Quindi forse e' un errore, non era in Sravasthi ma altrove. Cosi' poi, Se guardiamo nel Samyutta Nikaya nel capitolo 47, che riguarda la pratica della consapevolezza, troveremo tre sutra sulla fine della vita del Buddha. Il primo e' il sutra numero 9 che si chiama Gelanna Sutta, che significa malattia, e riguarda il tempo in cui il Buddha era malato. E il secondo, il numero 13, si chiama Chunda, che e' il nome dell'assistente del venerabile Shariputra. Shariputra veniva da Nalanda, e ritorno' a Nalanda con il Buddha, e quando il Buddha e Shariputra erano a Nalanda forse Shariputra sapeva che non avrebbe incontrato piu' il Buddha, e cosi' ando' dal Buddha e gli disse: "Di tutti i Buddha che ci sono stati in passato, che ci saranno in futuro e che ci sono nel momento presente, tu sei il piu' importante, sei il primo Buddha, e il Buddha rispose a Shariputra: "Come puoi dire questo, Shariputra? Conoscevi tutti i Buddha in passato, conosci tutti i Buddha nel presente e nel futuro per dire che sono il primo?" Shariputra dovette ammettere di non conoscere tutti quei Buddha, ma disse: "Quando guardo la pratica del Buddha, come il Buddha custodisce i sei sensi, pratica sempre la consapevolezza, non posso pensare che alcun essere umano potrebbe mai praticare meglio di cosi', ed e' per questo che dico che il Buddha e' il principale di tutti i Buddha. Naturalmente, praticano anche i Buddha del passato e del futuro per custodire i sesti sensi". ma alla fine il Buddha disse a Shariputra: "Questo e' un buon insegnamento che puoi dare alle persone, e cioe' che il Buddha e' colui che pratica il custodire in ogni momento i sei sensi. Ma Shariputra non avrebbe vissuto a lungo e dopo che il Buddha lascio' Nalanda, Shariputra chiese di restare indietro, e anche Shariputra si ammalo' gravemente e mori', e il suo attendente Chunda, dopo la cremazione, porto' le ceneri, porto' la veste e la ciotola al Buddha, dovunque fosse il Buddha. E come prima cosa quando Chunda arrivo' dov'era il Buddha ando' da Ananda e racconto' ad Ananda quello che era successo, che il venerabile Shariputra era morto, e Ananda rispose che era una notizia che insieme avrebbero dovuto portare al Buddha. Cosi' insieme Chunda e Ananda andarono dal Buddha e raccontarono al Buddha quello che era successo, e poi Ananda disse di nuovo: "Quando ho sentito che Shariputra era morto, le mie ginocchia hanno tremato, ho perso la stabilita', mi sono sentito mentalmente confuso perche' abbiamo perso il nostro fratello maggiore. Il Buddha rispose: "Morendo, Shariputra ha portato con se' la tua consapevolezza? Ti ha portato via la tua concentrazione e la tua visione profonda?" Ananda rispose: "No, non l'ha fatto, ma Shariputra era un fratello maggiore, in cui tutti abbiamo preso rifugio, sapevamo che avrebbe potuto offrirci gli insegnamenti di cui avevamo bisogno, e ora non e' piu' presente nel Sangha". E allora per la seconda volta il Buddha insegno' ad Ananda: "Ananda, dovresti essere un'isola per te stesso, essere un rifugio per te stesso, lascia che il Dharma sia la tua isola, lascia che il Dharma sia il tuo rifugio, e non prendere rifugio in nessun'altra persona, in nessun'altra cosa". Quindi questa e' stata la seconda volta in cui Ananda ha ricevuto l'insegnamento sull'essere un'isola per se stesso. La terza volta e' riportata in un sutra che tutti conosciamo, perche' fa parte del nostro libro dei canti, chiamato il "Discorso sul prendere rifugio in se stessi", e' cosi' che l'abbiamo tradotto. Se cerchiamo Samyukta Agama 639 vedremo che viene chiamato Uposatha Sutra, questo perche' Uposatha indica il giorno in cui vengono recitati i precetti e accadde che fosse il giorno della luna piena quando il Buddha offri' questo sutra. In pali e' nel Samyutta Nikaya, il numero 14 e si chiama Ocacela (?), che e' solo il nome del luogo in cui il Buddha ha dato questo insegnamento. "Ho sentito queste parole del Buddha una volta quando il signore stava nel boschetto di mango, all'ombra fresca degli alberi di mango, lungo la riva del fiume Gange, nella foresta di Maghada. Gli anziani Shariputra e Maudgalya'yana erano morti da poco Era il giorno di luna piena, dedicato alla cerimonia dell’Uposatha e alla recitazione dei precetti. Il Buddha dispose la sua stuoia e sedette rivolto verso la comunita' li' riunita Dopo averla abbracciata con lo sguardo, disse: “Mentre osservo la nostra comunita', sento l’enorme vuoto lasciato dai Venerabili Shariputra e Maudgalya'yana" Nella versione pali dice: "Mi sembra che ci sia uno spazio vuoto nel nostro Sangha". "Sembrava" che ci fosse uno spazio vuoto perche' dove erano stati Shariputra e Maudgalya'yana, li' nel Sangha, non era piu' possibile vederli. Ah, ho dimenticato di dire che due settimane dopo la morte di Shariputra mori' anche il venerabile Maudgalya'yana. Cosi' nel momento in cui Buddha offri' questo sutra sia Shariputra che Maudgalya'yana erano morti. Quindi, il Buddha dice: "Mi sembra che ci sia uno spazio vuoto. Prima potevamo sempre fare affidamento su Maudgalya'yana e Shariputra e ora vediamo che non ci sono". Il Buddha usa la parola "sembra" per dire che sembra cosi' ma non e' proprio cosi', volendo possiamo ancora trovare Shariputra e Maudgalya'yana. "Nel nostro Sangha questi venerabili erano i monaci piu' eloquenti nel dare discorsi di Dharma, i piu' abili a incoraggiare e istruire tutti gli altri monaci, le monache e i laici". Poi il Buddha usa la parola "cercando", "rincorrendo": Monaci, la gente cerca due tipi di ricchezze: quelle materiali e quelle di Dharma. Nella loro ricerca di ricchezze materiali possono rivolgersi alla gente del mondo. Nella ricerca delle ricchezze di Dharma possono sempre rivolgersi a persone come i Venerabili Shariputra e Maudgalya'yana. Il Tathagata, invece, e' colui che non cerca piu' nulla, ne' di materiale ne' relativo al Dharma". Se ricordate, c'e' un verso nel Dharmapada in sanscrito che dice che il cervo si rifugia nei campi, gli uccelli si rifugiano nel cielo, coloro che discriminano si rifugiano nel Dharma e gli arhat, coloro che sono illuminati, si rifugiano nel nirvana Quindi noi siamo coloro che discriminano, nel senso di distinguere tra cio' che e' salutare e cio' che e' malsano; che facciamo affidamento sulla pratica dei precetti, della consapevolezza, concentrazione e visione profonda per allenarci nella nostra vita quotidiana. Cosi' qui si dice che possiamo prendere rifugio nei nostri insegnanti per le ricchezze del Dharma, e noi siamo sempre alla ricerca delle ricchezze del Dharma, per aiutarci a trasformare le nostre afflizioni. Coloro che hanno trasformato le loro afflizioni non hanno piu' bisogno di cercare il Dharma, forse hanno trovato il Dharma dentro di se', e quindi semplicemente praticano la consapevolezza, la concentrazione e la visione profonda. Dovremmo ricordare che anche se non cercano piu' nulla, gli arhat praticano comunque la consapevolezza, tutte le quattro le coppie e gli otto tipi di persone sante nel Sangha da coloro che sono entrati nella corrente agli arhat, tutti loro praticano la consapevolezza, la concentrazione e la visione profonda. Quando diventi un arhat non smetti di praticare la consapevolezza. Questo, quindi, significa che quando cerchiamo il Dharma non siamo in grado di essere in contatto con il nirvana? No, non significa questo, il nirvana e' disponibile per noi quando entriamo nella corrente o anche prima, ma non possiamo essere in contatto con il nirvana per tutto il tempo, quindi dobbiamo continuare ad ascoltare il Dharma, contemplare il Dharma e metterlo in pratica per poter essere in contatto con il nirvana in ogni momento Quindi il Buddha da' l'esempio dell'albero, un grande albero un grande albero molto vecchio, come la quercia a Lower Hamlet, e il Buddha ha detto che quell'albero e' fatto di buon legno, ha al suo interno dell'ottimo legno, non e' marcio dentro, e quell'albero e' il Sangha, che ha otto tipi e quattro coppie di persone sante il Sangha, che pratica la consapevolezza. la concentrazione e la visione profonda e' come un albero, un albero che all'inizio aveva due grandi rami, che sono i rami piu' antichi, il fratello maggiore o la sorella maggiore dei rami del Sangha, e poi affidandosi a tutti quei rami sono cresciuti anche altri rami sull'albero, proprio come un albero di banana ha le foglie, e le prime due foglie nutrono tutte le altre foglie che nascono dopo, Quindi Shariputra e Maudgalya'yana erano come i rami grandi e quando si sono rotti, spezzati, c'erano ancora tutti gli altri rami e l'albero, il Sangha, era ancora li'. Cosi' il Buddha ha dato quell'esempio, nel Sangha del Tathagata, Shariputra e Maudgalya'yana erano i migliori studenti, quindi era naturale che sarebbero entrati per primi nel nirvana. Il paragrafo successivo riguarda cio' che e' naturale. In realta', se ci riferiamo alla versione cinese, dice: "Tutti i fenomeni che nascono o sorgono o si creano o sono fenomeni condizionati, tutti questi fenomeni devono disintegrarsi, devono decadere, non possono esistere senza che un giorno si decompongano, senza disintegrarsi". Poi dice: "Se vuoi che qualsiasi fenomeno non decada, questo e' qualcosa di impossibile". In qualche modo nella mente abbiamo un'idea di qualcosa che e' impossibile. "Tutti i fenomeni" significa fenomeni psicologici, fenomeni fisiologici, fenomeni fisici, tutti si disintegrano dopo un po' di tempo. Ma nella mente abbiamo l'idea che devono esserci cose che non si disintegreranno, le persone che amiamo non si disintegreranno, e per questo quando questo accade soffriamo, perche' non siamo preparati. Quindi cio' che facciamo nella pratica e' prepararci. La stessa meditazione che abbiamo fatto questa mattina, "Sono della natura di ammalarmi", e' un modo per prepararci ad affrontare la realta' di cio' che accade, in modo da non vivere in un mondo di cose che non sono possibili, da non desiderare cose che non sono possibili. Qui si parla di "cose che sono nate", e con questo si intende esseri viventi che nascono dal grembo materno o dall'uovo. Poi si parla di "cose che sorgono", intendendo cose che nascono in modo dipendente da altre cose, cose che sorgono come i fiori, gli alberi, e le "cose che sono fatte" sono cio' che un essere umano puo' fare, quei fenomeni come i vestiti che indossiamo, anche loro si disintegrano. Non c'e' niente che possa sfuggire alla disintegrazione, non solo gli esseri umani. E tutte le cose che vengono indicate come "fenomeni condizionati" sono cose che per essere presenti si basano su cio' che non sono. Quindi ad esempio noi siamo fenomeni condizionati in quanto facciamo affidamento sul cibo che mangiamo, facciamo affidamento su chi ci circonda per continuare a manifestarci. Se ci guardiamo intorno, la maggior parte delle cose sono condizionate, quasi tutto e' dharma condizionato. Si dice che solo una cosa non e' condizionata, e questo e' il nirvana, perche' il nirvana e' la rimozione di tutti i concetti. "Tutto cio' che amiamo e abbiamo a cuore oggi, dovremo lasciarlo andare ed esserne separati. Tra poco moriro' anch'io, quindi esercitati a essere un'isola per te stesso, sappi prendere rifugio in te stesso e non prendere rifugio in nessuno o in qualsiasi altra cosa. Praticando il prendere rifugio nell'isola del Dharma - il Dharma qui significa la pratica della consapevolezza - meditando sul corpo nel corpo, nutrendo la retta comprensione e la retta consapevolezza" In questa versione si parla solo di meditare sul corpo nel corpo, ma se leggiamo il sutra, scopriamo che di dice anche di meditare sulle sensazioni nelle sensazioni, sulle percezioni nelle percezioni, sulla mente nella mente, e sui dharma nei dharma, includendo quindi tutti e quattro fondamenti della consapevolezza. Anche se il Buddha si riprese dalla sua malattia, il suo corpo era molto debole, e disse ad Ananda che praticava qualcosa dal nome animitta cetosamadhi, che significa il samadhi, la concentrazione sull'assenza di segni. Animitta significa "segno", la sofferenza e' un segno, e anche nessuna sofferenza e' un segno, la permanenza e' un segno, anche l'impermanenza e' un segno. un segno significa una caratteristica, un segno appunto di com'e' qualcosa. Quindi in inglese possiamo chiamarlo assenza di segni (signlessness). Quando abbiamo dolore nel corpo, in genere questo si accompagna a una sofferenza mentale, normalmente e' cosi': non appena c'e' dolore nel corpo la mente comincia a sentire dolore, ed e' per questo che a volte diciamo mente e corpo soffrono all'unisono, o la mente e il corpo sono felici all'unisono, si puo' dire cosi'. Ma se pratichi, puoi riconoscere che il dolore nel corpo non deve essere dolore nella mente, puoi prenderti cura della mente in modo che il dolore non influenzi la mente. A quel punto non sei catturato dal segno della sofferenza. Nel sutra Vajracchedika (o del Diamante) si insegna semplicemente a non essere catturati dai segni, non essere catturati dai fenomeni, ma anche non essere catturati dai segni. In questo sutra si parla di diversi tipi di segni, come il se', l'essere umano, gli esseri viventi e la durata della vita, ma ci sono molti altri segni in cui possiamo essere catturati, tra cui anche la sofferenza in cui essere intrappolati. Infatti, quando nel buddismo Theravada si parla dei tre segni, la sofferenza e' uno di essi, insieme all'impermanenza e al non se'. Ma la sofferenza ha un opposto il cui nome "non sofferenza" e in termini delle Quattro Nobili Verita' la prima di esse e' la sofferenza e la terza e' la non sofferenza, la fine, la cessazione della sofferenza. Se la sofferenza e' un segno, allora lo e' anche la non sofferenza, e possiamo essere catturati dal segno della sofferenza ma possiamo anche esserlo dal segno della non sofferenza. Secondo il Buddha pratichiamo la via di mezzo, che e' non essere catturati in nessuno dei due estremi. Quindi praticando questo samadhi, questa concentrazione di non essere catturati dai segni, il Buddha era in grado di vivere quanto necessario negli ultimi mesi della vita del Buddha per dare l'insegnamento di essere un'isola per se stessi. Se il Buddha non avesse vissuto quegli ultimi mesi, potremmo non avere ora l'insegnamento su come essere un'isola per se stessi, qualcosa che tutti possiamo praticare nella nostra vita quotidiana. Abbiamo bisogno di esercitarci nella vita quotidiana, in modo che quando ci imbattiamo in difficolta', possiamo davvero ritornare e prenderci cura della mente, e in questo modo possiamo anche prenderci cura del corpo. Quindi, tornare alla consapevolezza del corpo e' il primo fondamento della consapevolezza, e il secondo fondamento e' tornare alle nostre sensazioni e prendercene cura. Le sensazioni sono la causa sia della sofferenza che della non sofferenza, che sono dovute a due tipi di sensazioni. Quando pratica la concentrazione sull'assenza di segni, dobbiamo anzitutto riconoscere che quella e' sofferenza, questa sensazione e' sofferenza, ma poi dobbiamo andare oltre il segno e riconoscere che quella sensazione proviene solo da cio' che sta accadendo nel nostro corpo e non deve influenzare la mente, e che la sensazione non ha un se' separato, e' impermanente e cambia in ogni momento. Cosi' possiamo concentrarci sull'isola in noi stessi in termini delle nostre sensazioni e non solo in termini di corpo. Ma quando iniziamo a concentrarci sull'isola in noi stessi, torniamo al corpo e quindi riconosciamo le sensazioni. Il Buddha ha detto che quei praticanti, monaci, monache, laici o laiche, che riescono a tornare all'isola del se', a prendere rifugio nell'isola del se', a ritornare all'isola della Dharma, a prendere rifugio nell'isola del Dharma, sono i migliori praticanti, sia nel momento in cui il Buddha era ancora vivo e anche dopo che il Buddha non sarebbe stato piu' in vita. [Campana]