-
Cari amici,
-
quest'estate è stato davvero
un periodo difficile per tutti noi,
-
c'è stato molto
dolore e sofferenza
-
che tutti noi abbiamo provato,
-
e quel dolore, quella sofferenza, si sono
manifestati anche nei nostri corpi.
-
E la pratica della consapevolezza
e della meditazione
-
consiste prima di tutto nell'imparare
a fermarsi e riconoscere ciò che è presente,
-
presente qui nel
momento presente.
-
Ma nel momento presente è questo corpo
che ci permette di sentire e di essere.
-
A volte potremmo pensare alla meditazione
come a un modo per fuggire, o non sentire,
-
o come un modo di indurre la
nostra mente a pensare in positivo,
-
ma questa è una
percezione sbagliata.
-
Consapevolezza significa identificare
e riconoscere esattamente cosa è qui, e onorarlo.
-
Imparare a chiamarlo
con il suo nome,
-
e questo richiede coraggio,
-
perché quando impariamo a chiamarlo con il suo nome,
allora riconosciamo anche che è vivo dentro di noi.
-
Riconoscere e trattenere il dolore,
-
riconoscere e trattenere la rabbia,
-
riconoscere e trattenere la sofferenza.
-
Possiamo anche essere teneri
con la nostra sofferenza,
-
e questa è un'arte, l'arte di
imparare ad accettare la sofferenza.
-
E questo è un po' lo spirito del Buddismo,
imparare ad essere amici della sofferenza.
-
Imparando a vedere che la
sofferenza non è un nemico,
-
ma è un nutrimento, che può aiutarci
a comprendere più profondamente.
-
E ad avere intuizione, così da
avere un modo di essere presenti,
-
così da poter offrire un nuovo modo
di vedere, un nuovo modo di essere,
-
la gentilezza che esiste profondamente
in tutti noi, e che possiamo generare.
-
Ma per riconoscere queste condizioni,
dobbiamo anche imparare
-
prima di tutto a riconoscere
questo nostro corpo umano.
-
Nella nostra tradizione noi
torniamo sempre alle nostre radici,
-
e le nostre radici sono fortemente
connesse con i nostri antenati genetici,
-
i nostri genitori, e il dono che
ci hanno offerto: questa vita.
-
Gli spiriti di tutti i Maestri,
e di tutti i vecchi saggi,
-
tutti gli insegnanti che ci hanno
trasmesso la loro saggezza
-
affinché potessimo comprendere,
e generare amore.
-
E i nostri antenati della Terra,
-
così come gli antenati di tutti gli esseri
viventi, che sono sempre qui a darci il loro supporto.
-
Tornare a casa nel proprio corpo
può suonare come una cosa semplice,
-
ma può anche essere una sfida,
perché tornare a casa nel proprio corpo
-
significa anche riconoscere
il disagio che c'è dentro di noi.
-
"Sono arrivato, sono a Casa",
ne abbiamo parlato ieri,
-
non è una dichiarazione,
ma è un atto,
-
"Sono arrivato", possiamo imparare
ad arrivare in questo nostro corpo,
-
perché questo nostro corpo è
il fondamento di tutte le nostre azioni,
-
questo corpo è
anche la continuazione
-
dei nostri antenati.
-
Quindi il corpo è un'azione che
trasmettiamo in ogni momento,
-
e che avrà un riverbero nel futuro.
-
Quando impariamo a tornare a Casa,
e osiamo arrivare nel nostro corpo,
-
ci concediamo un momento di riconoscimento
della vita che è presente in noi.
-
E tornando a casa nel corpo,
non rimaniamo solo nel momento presente,
-
perché il momento presente ci permette
anche di prenderci cura del futuro.
-
Il nostro Maestro, e il Buddha stesso,
hanno detto che il passato non c'è più,
-
e il futuro non è ancora qui,
-
c'è solo un momento che possiamo
vivere veramente, e quello è il presente.
-
E questo, di per sé,
è una sfida per tutti noi,
-
imparare a riconoscere che siamo qui,
-
e che questo è un momento
in cui possiamo essere vivi,
-
questo è un momento
in cui possiamo sentire,
-
in cui possiamo davvero essere
presenti per le persone che amiamo,
-
la nostra Comunità.
-
Nella vera presenza è
contenuta anche un offerta a tutti,
-
quando vogliamo amare, lo facciamo
offrendo la nostra vera presenza.
-
quando riusciamo ad essere presenti
con la nostra piena, vera presenza,
-
quelli che sono di fronte a noi
possono sentire che vengono ascoltati,
-
e che ci prendiamo cura di loro,
semplicemente con la nostra presenza.
-
E spesso possiamo avere l'aspirazione
ad essere pienamente presenti,
-
ma già dopo pochi minuti
ci perdiamo nei nostri pensieri,
-
o finiamo per giudicare, o reagire,
-
e creiamo delle barriere
per una vera comunicazione,
-
così la presenza del corpo è anche
una trasmissione di comunicazione.
-
E il corpo è il luogo in cui possiamo imparare a prenderci
cura dei nostri sentimenti e delle nostre emozioni.
-
Arrivando a Plum Village
per la prima volta
-
ho dovuto imparare ad arrendermi
-
all'amore che posso
veramente definire reale.
-
Sono cresciuto in una
famiglia di immigrati,
-
c'era molto dolore
e molta sofferenza,
-
molti abusi e molta violenza,
-
io sono cresciuto in questo ambiente,
quindi in me c'era molta paura,
-
e anche molta solitudine.
-
E quando mio padre mi portò
per la prima volta a Plum Village,
-
mi disse: "Andiamo a Parigi",
e chi non vorrebbe andare a Parigi?
-
Abbiamo passato due giorni a Parigi,
poi abbiamo preso il TGV,
-
siamo arrivati alla stazioncina
di Sainte Foy La Grande,
-
e io ho pensato:
"Che cos'è questo posto?"
-
Questa era la nostra vacanza
estiva, un monastero buddista.
-
Avevo molte sensazioni,
-
ma non mi era stato insegnato
ad esprimere i miei sentimenti,
-
quindi mi comportavo
un po' come un ribelle.
-
E il primo atto d'amore che ho
ricevuto è stato nella sala da pranzo,
-
perché avevo solo 8 anni, e non riuscivo
a raggiungere la scodella del Muesli,
-
e uno sconosciuto, non so chi fosse,
mi ha detto: "Hei, piccolo, posso aiutarti?"
-
Questa è stata la prima volta che
qualcuno mi ha chiesto se poteva aiutarmi,
-
Non sapevo come rispondere,
quindi in un certo senso mi sono bloccato,
-
e in quel momento ho imparato
a dire: "Sì, per favore, aiutami".
-
E quella è stata la prima volta che
ho sperimentato un amore del genere,
-
che non chiedeva nulla in cambio,
-
ed era una sensazione davvero strana,
perché non l'avevo mai sperimentata prima.
-
E come un bambino di soli 8 anni,
-
ho iniziato a capire
che volevo essere visto,
-
che volevo essere ascoltato,
che volevo essere amato.
-
In quel momento ho dovuto anche
imparare ad arrendermi, ad accettare,
-
e con l'accettazione ho iniziato anche
a vedere il bambino che era in me,
-
che mancava di qualcosa.
-
Qualche anno più tardi
sono diventato un monaco,
-
e forse voi penserete che noi monaci
siamo sempre felici e sorridenti,
-
e sereni, ma ci sono anche
profonde tempeste qui dentro,
-
c'è anche dell'oscurità qui dentro.
-
E io ho dovuto affrontare...
-
ho dovuto affrontare
la solitudine che c'era dentro di me,
-
E vivendo in una comunità
come Plum Village,
-
imparando a stare
con così tante persone,
-
imparando a vedere gli altri
come miei fratelli e sorelle,
-
era un'arte, e anche imparare
a farsi accettare era un'arte,
-
ma c'erano sempre così tante
volte in cui mi sentivo solo,
-
così tante volte in cui
mi sentivo così disconnesso.
-
Io avevo un cugino e uno zio nella
mia famiglia, che avevano abusato di me,
-
che erano stati molto
violenti nei miei confronti,
-
e siccome non sapevo come prendermi cura
di quelle emozioni e di quei sentimenti,
-
questi hanno continuato ad
affliggermi anche in seguito,
-
e nel nuovo momento presente non facevo
altro che proiettare quelle esperienze sugli altri.
-
E ricordo molto chiaramente che, un giorno,
due monaci si stavano dirigendo verso di me,
-
e io mi sono irrigidito, avevo
così paura, e volevo fuggire,
-
ma mi sono fermato,
e ho ascoltato il mio corpo,
-
e mi sono chiesto: "Perché sono così teso?
Perché sto abbassando lo sguardo?"
-
"Perché voglio fuggire da due
persone che sono forse molto gentili,
-
che stanno solo camminando,
e non vogliono farmi del male?"
-
E quello è stato davvero un
momento di presa di coscienza,
-
ho capito che nel mio corpo c'era così
tanta paura, così tanto dolore e così tanta solitudine.
-
Allora ho messo
la mia mano sulla pancia,
-
perché noi abbiamo una pratica
di respirazione profonda con il ventre,
-
nei momenti in cui ci sentiamo sopraffatti, la respirazione
profonda del ventre è come la radice di un albero,
-
i rami possono essere
sbattuti dal vento,
-
le foglie possono essere spazzate
via, ma la radice rimane ferma.
-
E mi sono concentrato
intensamente sulla mia respirazione,
-
e mi sono centrato,
e ho parlato a me stesso,
-
non l'avevo mai fatto prima, ho
parlato al ragazzino che era in me,
-
e ho detto... io mi chiamavo Neim
prima di diventare monaco,
-
ho detto: "Neim, va tutto bene.
-
Adesso hai un corpo nuovo,
sei cresciuto,
-
e sei in grado di
riconoscere i tuoi sentimenti,
-
e puoi sorridere alla solitudine,
-
puoi sorridere alla paura,
-
puoi sorridere... puoi sorridere
al ragazzino che è in te,
-
e farti forza,
in questo momento presente,
-
in questo tuo corpo".
-
Allora le mie spalle si sono distese,
il mio corpo si è rilassato,
-
e lentamente, ho fatto
alcuni passi in avanti.
-
È stato un momento così semplice,
-
ma, dentro di me, stavo
imparando ad avere coraggio,
-
e ad avere la comprensione che con il mio corpo,
precisamente in quel momento, stavo trasformando il passato,
-
stavo guarendo le
ferite interiori che portavo.
-
E che stavo presentando un nuovo
me, precisamente in quel momento.
-
Questa è spesso la montagna che possiamo
stabilire nella coltivazione della nostra forza.
-
Il nostro Maestro di Dharma ci dice sempre che
abbiamo tutti una montagna da coltivare dentro di noi,
-
la montagna che non ci lascia influenzare
dalle emozioni e dai sentimenti,
-
ma possiamo riconoscerli, possiamo
accettarli, e possiamo invitarli
-
a stare con la montagna,
così da esserne trasformati.
-
Quello è stato un momento di risveglio
per me, capire che avevo questa capacità
-
e vi confesso che quel momento
non ha cambiato tutto,
-
non è stato un momento
di "Aha!", e io ero illuminato,
-
ma quel momento di paura,
quel momento di dubbio, è continuato,
-
e ogni volta che si è ripresentato
-
dal momento che avevo avuto
quell'esperienza di presa di coscienza,
-
ora avevo la comprensione
-
che potevo prendermi cura di me,
-
del mio corpo e dei miei sentimenti.
-
Anche oggi, semplicemente per venire qui,
quel complesso di inferiorità si è ripresentato ancora.
-
Abbiamo anche una pratica
di meditazione camminata lenta,
-
nell'ambito dei nostri
Addestramenti alla Consapevolezza,
-
la meditazione camminata lenta è una pratica per trovare
pienamente rifugio, semplicemente con i nostri passi,
-
con l'inspirazione,
troviamo rifugio in un passo,
-
ed espirando... c'è questa sensazione
-
dei piedi, delle dita
fermamente ancorate al terreno,
-
e concentriamo il nostro corpo
sulla nostra presenza ad ogni passo.
-
Invitiamo le nostre paure ad
essere realmente presenti.
-
E mentre invitiamo le nostre
emozioni a rifugiarsi nei nostri passi,
-
queste emozioni hanno un'opportunità, proprio come
per un bambino, di essere abbracciate e curate teneramente,
-
tenute con tenerezza,
-
e donandogli l'amore che noi
generiamo con l'essere presenti.
-
La meditazione camminata lenta,
-
è stata un caro
amico per molti di noi,
-
e anche io stesso ho trovato
rifugio nella sua pratica.
-
Ogni volta che sento
la tempesta arrivare,
-
perché, se sto seduto immobile,
-
la mia TV ha troppi canali,
-
e io non ho forza e chiarezza
a sufficienza per concentrarmi,
-
ma essendo presente nel
mio corpo, posso sentirlo,
-
posso generare la mia energia
attraverso il mio corpo.
-
Quindi la meditazione camminata lenta
-
è una pratica che vorrei trasmettervi,
-
è una pratica che ci aiuta
a restare fermamente sulla terra,
-
nel momento presente,
nel nostro corpo,
-
così che possiamo
sentirci radicati,
-
così che possiamo ricordarci
che "siamo abbastanza",
-
"io vado bene così come sono".
-
Non ho bisogno di fuggire,
-
ho l'intuizione, ho la comprensione,
-
posso generare chiarezza parlando,
interagendo con gli altri, essendo presente.
-
E sappiamo che la presenza è l'essenza
della comunicazione, dell'azione,
-
ed è per questo che per noi
è una pratica fondamentale,
-
imparare a trovare
rifugio nel nostro corpo,
-
così da poter agire,
-
e da poter esprimere azioni
di coraggio e di chiarezza,
-
quindi è una trasmissione
di completa presenza.
-
Molte volte, quando ero con
Thay, il nostro Maestro,
-
quando facevamo dei
tour di divulgazione,
-
forse penserete che Lui non sentisse
la tensione, invece la sentiva,
-
e allora, la semplice pratica
del camminare era una,
-
e poi ce n'era un'altra che lui amava
fare, e che tutti noi amiamo fare,
-
che è bere una tazza di té.
-
Nel Monastero, bere una tazza di tè
è per noi un rito fondamentale.
-
Io non avevo mai bevuto
té verde nel Monastero,
-
e come assistente di Thay, una delle prime
cose da imparare era come fare il té,
-
e io ero molto desideroso di
diventare un buon preparatore del té.
-
È molto semplice, basta prendere
una manciata di foglie di té,
-
metterle nella teiera,
-
versare dell'acqua calda,
poi risciacquare le foglie,
-
e versare nuovamente acqua
calda fino a riempire la teiera.
-
Ma io ero così desideroso di
preparare e servire il té subito,
-
e allora, in quel momento,
Thay mi ha detto: "Fermati"
-
"Lascia che il té faccia
la meditazione seduta".
-
Disse: "Qualunque cosa che faccia
meditazione seduta, ha un gusto migliore"
-
Perché quando lasci che il té
riposi per due o tre minuti
-
avvolto dall'acqua calda,
-
ha l'opportunità di rilasciare
tutta la sua fragranza,
-
la sua essenza può diventare
un tutt'uno con l'acqua,
-
e poi Thay ha anche detto:
-
"Ogni qualvolta ti ritrovi nel chaos,
siediti e rimani immobile,
-
proprio come questa teiera,
-
e concediti di sprofondare
nel tuo seme di immobilità,
-
che puoi coltivare respirando, camminando,
o quando tieni tra le mani una tazza di té,
-
tienila con entrambe le mani,
-
e concentra tutta la tua
attenzione sulla tazza di té,
-
e sentine il calore.
-
E, prima di bere,
-
assaporane l'odore.
-
È un'azione molto semplice,
ma è un'azione di connessione,
-
di inter-essere, di quanto sia meraviglioso
tenere tra le mani questa tazza di té.
-
Da tutti i luoghi da cui può essere
provenuta, adesso è qui nelle mie mani,
-
la tengo con tutto me stesso,
e ne godo profondamente.
-
Quindi, una cosa semplice
come bere il té
-
puo diventare una pratica
di completa presenza.
-
È una pratica spirituale,
un momento Zen.
-
Lo Zen è molto semplice,
-
Zen è quando possiamo toccare le meraviglie
della vita che sono presenti qui attorno a noi.
-
Una tazza di té,
-
una Comunità.
-
Spero che abbiate sentito il canto
degli uccelli questa mattina,
-
essere in grado di vedere
ciò che è presente,
-
così da poter anche...
-
nutrire la gratitudine che
è presente dentro di noi.
-
E sappiamo cosa stiamo
proteggendo, per cosa lavoriamo,
-
e tutto questo ritorna,
e ci ricorda delle nostre azioni.
-
A volte ci perdiamo
nel servizio che offriamo,
-
e a volte ci ritroviamo
a competere per un risultato,
-
a competere per il successo,
-
e finiamo per dimenticare ciò che
realmente vogliamo proteggere,
-
ma, allo stesso tempo, avere anche la capacità
di tenere tra le mani una tazza di té,
-
essere presenti per noi stessi,
per i nostri colleghi,
-
per i nostri fratelli e le
nostre sorelle, per ascoltare,
-
per soffrire insieme, per provare i
sentimenti importanti, e onorarli insieme.
-
E anche per ricordarci
-
di bere una tazza di té insieme,
-
per sentirsi vivi, per sentirsi
ristorati da questo momento presente.
-
Adesso ascoltiamo il suono
della campana insieme,
-
tornando al nostro corpo,
-
e nutrendo il nostro corpo
con il respiro consapevole.
-
Abbiamo parlato del prenderci cura delle
nostre emozioni e dei nostri sentimenti,
-
anche quando sono dolorosi,
-
ma quando impariamo a
tornare a casa nel nostro corpo,
-
questo ci dà anche
l'opportunità di ristorarci.
-
In questo ritiro vedremo la
meditazione profonda guidata,
-
che serve ad imparare a rilassarsi
e a sciogliere la tensione,
-
ne daremo dimostrazione dopo pranzo,
-
fa parte della nostra tradizione, dopo pranzo
osserviamo sempre un periodo di riposo,
-
e un piccolo riposo,
o un sonnellino,
-
puo davvero ristorare
tutto il nostro essere.
-
Ma la pratica dell'imparare
a rilassarsi
-
ci dà anche l'opportunità di
realizzare quanto siamo tesi,
-
per tutto il dolore che si
è accumulato negli anni,
-
quindi tornare a casa nel corpo
significa anche imparare ad amarsi,
-
e a donarci la tenerezza e
l'attenzione di cui siamo stati privati.
-
E quando siamo tesi, ogni volta che
sentiamo il suono della campana,
-
il nostro corpo diventa
il suono della campana,
-
così che possiamo allentare
la tensione e rilassarci.
-
Impariamo a farci
amico il nostro respiro,
-
il respiro per noi è il
fondamento della meditazione,
-
perché, finche siamo vivi,
il nostro respiro è sempre con noi,
-
e può diventare il nostro ritiro
spirituale portatile, dovunque andiamo.
-
No c'è bisogno di essere in un centro
di ritiro, o in una sala di meditazione,
-
ma ovunque siamo, quando sentiamo
il bisogno di tornare a casa,
-
il respiro diventa la nostra via
per riconnetterci con noi stessi.
-
E il nostro respiro ci
accompagnerà tutta la vita.
-
Un nostro amico, che era
in prigione, ci ha scritto,
-
perché aveva ricevuto uno dei libri del
nostro Maestro, "La pace ad ogni passo",
-
lui viveva in una piccola cella,
-
e avrebbe voluto tanto partecipare ad un ritiro, anche se
forse non ne avrebbe avuto la possibilità in questa vita,
-
ma quel libro dice che "Ovunque tu sia,
quello può essere il tuo ritiro".
-
Così ha iniziato a perfezionare l'arte
della respirazione consapevole,
-
e anche a fare della meditazione
camminata, nella sua piccola cella,
-
e faceva questo due volte al giorno,
la mattina presto e la sera tardi.
-
E ha scritto questa lettera a
Thay, il nostro Maestro,
-
e quando lui l'ha ricevuta,
l'ha letta a tutta la Comunità,
-
e ha detto: "Molti di noi possono
godere della piena libertà,
-
ma siamo davvero liberi?
-
Stiamo davvero compiendo dei
passi che possano offrirci gioia,
-
felicità, presenza,
-
o siamo invece imprigionati
dalle paure e dalle preoccupazioni?
-
E diventiamo vittime di tutte queste emozioni,
e perdiamo la nostra stabilità e la nostra presenza."
-
Quindi questo è un invito,
-
per ognuno di noi, che anche nei momenti
più difficili, possiamo avere la libertà,
-
anche nelle crisi in cui ci troviamo
-
non trascuriamo la sfida,
la paura, la rabbia, il dolore,
-
ma abbiamo la libertà
di accogliere quel dolore,
-
perché abbiamo la capacità
di accettarlo e riconoscerlo,
-
E allo stesso tempo, possiamo
ricorrere alla consapevolezza,
-
per accettare quei sentimenti.
-
E quando ascoltiamo
il nostro dolore,
-
ascoltiamo la nostra rabbia, è
come una campana di consapevolezza,
-
ci consente di agire,
-
e possiamo anche generare la cura,
-
la chiarezza, la virtù,
-
quando parliamo, quando camminiamo,
e quando ci presentiamo,
-
e possiamo invitare queste altre qualità
a prendere il nostro dolore per mano,
-
e prendere per mano la
rabbia, e la sofferenza.
-
Così che possiamo essere esattamente
noi stessi in questo momento.
-
C'è stato un momento...
-
quando abbiamo costituto
una nostra Comunità in Vietnam,
-
era il 2005, e il nostro Maestro era stato
esiliato dal Vietnam per quasi 40 anni,
-
e dopo quasi 40 anni il governo Vietnamita
decise di riammettere il nostro Maestro,
-
così ci fu reso possibile
di fondare un Monastero.
-
Ma dopo solo 3 anni,
fummo nuovamente cacciati via,
-
in maniera molto violenta.
-
In quel frangente il nostro
Maestro era qui in Francia,
-
e quando seppe la notizia,
soffrì molto,
-
ci fu molto dolore,
e direi anche molta rabbia.
-
Io ero il suo assistente,
-
e ho potuto vedere la sua
reazione al ricevere questa notizia.
-
La prima cosa che fece
fu la meditazione camminata,
-
io camminavo dietro a lui, e potevo sentire
come lui stesse gestendo le sue emozioni,
-
e attraverso questo processo
di accettazione delle sue emozioni,
-
riuscì ad ottenere chiarezza
su ciò che bisognava fare.
-
Fu quindi in grado di scrivere,
di chiamare,
-
alcuni di noi riuscirono ad andare in
Vietnam per guidare delle manifestazioni.
-
Il nostro Maestro scrisse degli articoli sull'assenza
di libertà di religione che c'era in Vietnam,
-
e fummo aggrediti, ma in quel momento
noi eravamo fedeli a noi stessi
-
e alla virtù e al coraggio del nostro
Maestro di dire ciò che andava detto.
-
Lui era libero, in quel momento,
-
perché era stato capace di comprendere e
accettare ciò che accadeva in maniera amorevole,
-
chiara ed onesta.
-
Quindi, queste pratiche di presenza,
del corpo, del camminare,
-
possono sembrare banali,
-
ma per me, nella mia esperienza, nei momenti
più difficili questo è ciò a cui torno sempre.
-
Quei passi, quel respiro, tenere
nelle mani una tazza di té caldo,
-
così come la presenza degli altri.
-
Sappiamo molto bene che la nostra presenza
ha anche un impatto su chi ci circonda.
-
Possiamo essere di esempio con il corpo,
possiamo trasmettere con le parole,
-
ma un'altra cosa
che impariamo nello Zen,
-
e che possiamo comunicare anche
con la sola nostra presenza,
-
con l'insegnamento del nostro corpo.
-
E tutti noi qui...
-
possiamo trasmettere la nostra intuizione non soltanto
attraverso le nostre parole, o la nostra creatività,
-
o attraverso la scrittura, ma possiamo
trasmettere la nostra presenza,
-
e quella presenza può avere
un impatto davvero profondo.
-
Grazie amici. Adesso ascolteremo
il suono della campana,
-
poi faremo una pausa
di 15 minuti,
-
per rinfrescarci un po',
prenderci cura del nostro corpo,
-
e poi torneremo alle 10:00, per la
seconda parte con la nostra Sorella.
-
Continuate a praticare
il Nobile Silenzio,
-
godetevi il sole,
e a più tardi.
-
Sottotitoli: La Stele di Rosetta
www.youtube.com/@marioleonardi3891