Cari amici, quest'estate è stato davvero un periodo difficile per tutti noi, c'è stato molto dolore e sofferenza che tutti noi abbiamo provato, e quel dolore, quella sofferenza, si sono manifestati anche nei nostri corpi. E la pratica della consapevolezza e della meditazione consiste prima di tutto nell'imparare a fermarsi e riconoscere ciò che è presente, presente qui nel momento presente. Ma nel momento presente è questo corpo che ci permette di sentire e di essere. A volte potremmo pensare alla meditazione come a un modo per fuggire, o non sentire, o come un modo di indurre la nostra mente a pensare in positivo, ma questa è una percezione sbagliata. Consapevolezza significa identificare e riconoscere esattamente cosa è qui, e onorarlo. Imparare a chiamarlo con il suo nome, e questo richiede coraggio, perché quando impariamo a chiamarlo con il suo nome, allora riconosciamo anche che è vivo dentro di noi. Riconoscere e trattenere il dolore, riconoscere e trattenere la rabbia, riconoscere e trattenere la sofferenza. Possiamo anche essere teneri con la nostra sofferenza, e questa è un'arte, l'arte di imparare ad accettare la sofferenza. E questo è un po' lo spirito del Buddismo, imparare ad essere amici della sofferenza. Imparando a vedere che la sofferenza non è un nemico, ma è un nutrimento, che può aiutarci a comprendere più profondamente. E ad avere intuizione, così da avere un modo di essere presenti, così da poter offrire un nuovo modo di vedere, un nuovo modo di essere, la gentilezza che esiste profondamente in tutti noi, e che possiamo generare. Ma per riconoscere queste condizioni, dobbiamo anche imparare prima di tutto a riconoscere questo nostro corpo umano. Nella nostra tradizione noi torniamo sempre alle nostre radici, e le nostre radici sono fortemente connesse con i nostri antenati genetici, i nostri genitori, e il dono che ci hanno offerto: questa vita. Gli spiriti di tutti i Maestri, e di tutti i vecchi saggi, tutti gli insegnanti che ci hanno trasmesso la loro saggezza affinché potessimo comprendere, e generare amore. E i nostri antenati della Terra, così come gli antenati di tutti gli esseri viventi, che sono sempre qui a darci il loro supporto. Tornare a casa nel proprio corpo può suonare come una cosa semplice, ma può anche essere una sfida, perché tornare a casa nel proprio corpo significa anche riconoscere il disagio che c'è dentro di noi. "Sono arrivato, sono a Casa", ne abbiamo parlato ieri, non è una dichiarazione, ma è un atto, "Sono arrivato", possiamo imparare ad arrivare in questo nostro corpo, perché questo nostro corpo è il fondamento di tutte le nostre azioni, questo corpo è anche la continuazione dei nostri antenati. Quindi il corpo è un'azione che trasmettiamo in ogni momento, e che avrà un riverbero nel futuro. Quando impariamo a tornare a Casa, e osiamo arrivare nel nostro corpo, ci concediamo un momento di riconoscimento della vita che è presente in noi. E tornando a casa nel corpo, non rimaniamo solo nel momento presente, perché il momento presente ci permette anche di prenderci cura del futuro. Il nostro Maestro, e il Buddha stesso, hanno detto che il passato non c'è più, e il futuro non è ancora qui, c'è solo un momento che possiamo vivere veramente, e quello è il presente. E questo, di per sé, è una sfida per tutti noi, imparare a riconoscere che siamo qui, e che questo è un momento in cui possiamo essere vivi, questo è un momento in cui possiamo sentire, in cui possiamo davvero essere presenti per le persone che amiamo, la nostra Comunità. Nella vera presenza è contenuta anche un offerta a tutti, quando vogliamo amare, lo facciamo offrendo la nostra vera presenza. quando riusciamo ad essere presenti con la nostra piena, vera presenza, quelli che sono di fronte a noi possono sentire che vengono ascoltati, e che ci prendiamo cura di loro, semplicemente con la nostra presenza. E spesso possiamo avere l'aspirazione ad essere pienamente presenti, ma già dopo pochi minuti ci perdiamo nei nostri pensieri, o finiamo per giudicare, o reagire, e creiamo delle barriere per una vera comunicazione, così la presenza del corpo è anche una trasmissione di comunicazione. E il corpo è il luogo in cui possiamo imparare a prenderci cura dei nostri sentimenti e delle nostre emozioni. Arrivando a Plum Village per la prima volta ho dovuto imparare ad arrendermi all'amore che posso veramente definire reale. Sono cresciuto in una famiglia di immigrati, c'era molto dolore e molta sofferenza, molti abusi e molta violenza, io sono cresciuto in questo ambiente, quindi in me c'era molta paura, e anche molta solitudine. E quando mio padre mi portò per la prima volta a Plum Village, mi disse: "Andiamo a Parigi", e chi non vorrebbe andare a Parigi? Abbiamo passato due giorni a Parigi, poi abbiamo preso il TGV, siamo arrivati alla stazioncina di Sainte Foy La Grande, e io ho pensato: "Che cos'è questo posto?" Questa era la nostra vacanza estiva, un monastero buddista. Avevo molte sensazioni, ma non mi era stato insegnato ad esprimere i miei sentimenti, quindi mi comportavo un po' come un ribelle. E il primo atto d'amore che ho ricevuto è stato nella sala da pranzo, perché avevo solo 8 anni, e non riuscivo a raggiungere la scodella del Muesli, e uno sconosciuto, non so chi fosse, mi ha detto: "Hei, piccolo, posso aiutarti?" Questa è stata la prima volta che qualcuno mi ha chiesto se poteva aiutarmi, Non sapevo come rispondere, quindi in un certo senso mi sono bloccato, e in quel momento ho imparato a dire: "Sì, per favore, aiutami". E quella è stata la prima volta che ho sperimentato un amore del genere, che non chiedeva nulla in cambio, ed era una sensazione davvero strana, perché non l'avevo mai sperimentata prima. E come un bambino di soli 8 anni, ho iniziato a capire che volevo essere visto, che volevo essere ascoltato, che volevo essere amato. In quel momento ho dovuto anche imparare ad arrendermi, ad accettare, e con l'accettazione ho iniziato anche a vedere il bambino che era in me, che mancava di qualcosa. Qualche anno più tardi sono diventato un monaco, e forse voi penserete che noi monaci siamo sempre felici e sorridenti, e sereni, ma ci sono anche profonde tempeste qui dentro, c'è anche dell'oscurità qui dentro. E io ho dovuto affrontare... ho dovuto affrontare la solitudine che c'era dentro di me, E vivendo in una comunità come Plum Village, imparando a stare con così tante persone, imparando a vedere gli altri come miei fratelli e sorelle, era un'arte, e anche imparare a farsi accettare era un'arte, ma c'erano sempre così tante volte in cui mi sentivo solo, così tante volte in cui mi sentivo così disconnesso. Io avevo un cugino e uno zio nella mia famiglia, che avevano abusato di me, che erano stati molto violenti nei miei confronti, e siccome non sapevo come prendermi cura di quelle emozioni e di quei sentimenti, questi hanno continuato ad affliggermi anche in seguito, e nel nuovo momento presente non facevo altro che proiettare quelle esperienze sugli altri. E ricordo molto chiaramente che, un giorno, due monaci si stavano dirigendo verso di me, e io mi sono irrigidito, avevo così paura, e volevo fuggire, ma mi sono fermato, e ho ascoltato il mio corpo, e mi sono chiesto: "Perché sono così teso? Perché sto abbassando lo sguardo?" "Perché voglio fuggire da due persone che sono forse molto gentili, che stanno solo camminando, e non vogliono farmi del male?" E quello è stato davvero un momento di presa di coscienza, ho capito che nel mio corpo c'era così tanta paura, così tanto dolore e così tanta solitudine. Allora ho messo la mia mano sulla pancia, perché noi abbiamo una pratica di respirazione profonda con il ventre, nei momenti in cui ci sentiamo sopraffatti, la respirazione profonda del ventre è come la radice di un albero, i rami possono essere sbattuti dal vento, le foglie possono essere spazzate via, ma la radice rimane ferma. E mi sono concentrato intensamente sulla mia respirazione, e mi sono centrato, e ho parlato a me stesso, non l'avevo mai fatto prima, ho parlato al ragazzino che era in me, e ho detto... io mi chiamavo Neim prima di diventare monaco, ho detto: "Neim, va tutto bene. Adesso hai un corpo nuovo, sei cresciuto, e sei in grado di riconoscere i tuoi sentimenti, e puoi sorridere alla solitudine, puoi sorridere alla paura, puoi sorridere... puoi sorridere al ragazzino che è in te, e farti forza, in questo momento presente, in questo tuo corpo". Allora le mie spalle si sono distese, il mio corpo si è rilassato, e lentamente, ho fatto alcuni passi in avanti. È stato un momento così semplice, ma, dentro di me, stavo imparando ad avere coraggio, e ad avere la comprensione che con il mio corpo, precisamente in quel momento, stavo trasformando il passato, stavo guarendo le ferite interiori che portavo. E che stavo presentando un nuovo me, precisamente in quel momento. Questa è spesso la montagna che possiamo stabilire nella coltivazione della nostra forza. Il nostro Maestro di Dharma ci dice sempre che abbiamo tutti una montagna da coltivare dentro di noi, la montagna che non ci lascia influenzare dalle emozioni e dai sentimenti, ma possiamo riconoscerli, possiamo accettarli, e possiamo invitarli a stare con la montagna, così da esserne trasformati. Quello è stato un momento di risveglio per me, capire che avevo questa capacità e vi confesso che quel momento non ha cambiato tutto, non è stato un momento di "Aha!", e io ero illuminato, ma quel momento di paura, quel momento di dubbio, è continuato, e ogni volta che si è ripresentato dal momento che avevo avuto quell'esperienza di presa di coscienza, ora avevo la comprensione che potevo prendermi cura di me, del mio corpo e dei miei sentimenti. Anche oggi, semplicemente per venire qui, quel complesso di inferiorità si è ripresentato ancora. Abbiamo anche una pratica di meditazione camminata lenta, nell'ambito dei nostri Addestramenti alla Consapevolezza, la meditazione camminata lenta è una pratica per trovare pienamente rifugio, semplicemente con i nostri passi, con l'inspirazione, troviamo rifugio in un passo, ed espirando... c'è questa sensazione dei piedi, delle dita fermamente ancorate al terreno, e concentriamo il nostro corpo sulla nostra presenza ad ogni passo. Invitiamo le nostre paure ad essere realmente presenti. E mentre invitiamo le nostre emozioni a rifugiarsi nei nostri passi, queste emozioni hanno un'opportunità, proprio come per un bambino, di essere abbracciate e curate teneramente, tenute con tenerezza, e donandogli l'amore che noi generiamo con l'essere presenti. La meditazione camminata lenta, è stata un caro amico per molti di noi, e anche io stesso ho trovato rifugio nella sua pratica. Ogni volta che sento la tempesta arrivare, perché, se sto seduto immobile, la mia TV ha troppi canali, e io non ho forza e chiarezza a sufficienza per concentrarmi, ma essendo presente nel mio corpo, posso sentirlo, posso generare la mia energia attraverso il mio corpo. Quindi la meditazione camminata lenta è una pratica che vorrei trasmettervi, è una pratica che ci aiuta a restare fermamente sulla terra, nel momento presente, nel nostro corpo, così che possiamo sentirci radicati, così che possiamo ricordarci che "siamo abbastanza", "io vado bene così come sono". Non ho bisogno di fuggire, ho l'intuizione, ho la comprensione, posso generare chiarezza parlando, interagendo con gli altri, essendo presente. E sappiamo che la presenza è l'essenza della comunicazione, dell'azione, ed è per questo che per noi è una pratica fondamentale, imparare a trovare rifugio nel nostro corpo, così da poter agire, e da poter esprimere azioni di coraggio e di chiarezza, quindi è una trasmissione di completa presenza. Molte volte, quando ero con Thay, il nostro Maestro, quando facevamo dei tour di divulgazione, forse penserete che Lui non sentisse la tensione, invece la sentiva, e allora, la semplice pratica del camminare era una, e poi ce n'era un'altra che lui amava fare, e che tutti noi amiamo fare, che è bere una tazza di té. Nel Monastero, bere una tazza di tè è per noi un rito fondamentale. Io non avevo mai bevuto té verde nel Monastero, e come assistente di Thay, una delle prime cose da imparare era come fare il té, e io ero molto desideroso di diventare un buon preparatore del té. È molto semplice, basta prendere una manciata di foglie di té, metterle nella teiera, versare dell'acqua calda, poi risciacquare le foglie, e versare nuovamente acqua calda fino a riempire la teiera. Ma io ero così desideroso di preparare e servire il té subito, e allora, in quel momento, Thay mi ha detto: "Fermati" "Lascia che il té faccia la meditazione seduta". Disse: "Qualunque cosa che faccia meditazione seduta, ha un gusto migliore" Perché quando lasci che il té riposi per due o tre minuti avvolto dall'acqua calda, ha l'opportunità di rilasciare tutta la sua fragranza, la sua essenza può diventare un tutt'uno con l'acqua, e poi Thay ha anche detto: "Ogni qualvolta ti ritrovi nel chaos, siediti e rimani immobile, proprio come questa teiera, e concediti di sprofondare nel tuo seme di immobilità, che puoi coltivare respirando, camminando, o quando tieni tra le mani una tazza di té, tienila con entrambe le mani, e concentra tutta la tua attenzione sulla tazza di té, e sentine il calore. E, prima di bere, assaporane l'odore. È un'azione molto semplice, ma è un'azione di connessione, di inter-essere, di quanto sia meraviglioso tenere tra le mani questa tazza di té. Da tutti i luoghi da cui può essere provenuta, adesso è qui nelle mie mani, la tengo con tutto me stesso, e ne godo profondamente. Quindi, una cosa semplice come bere il té puo diventare una pratica di completa presenza. È una pratica spirituale, un momento Zen. Lo Zen è molto semplice, Zen è quando possiamo toccare le meraviglie della vita che sono presenti qui attorno a noi. Una tazza di té, una Comunità. Spero che abbiate sentito il canto degli uccelli questa mattina, essere in grado di vedere ciò che è presente, così da poter anche... nutrire la gratitudine che è presente dentro di noi. E sappiamo cosa stiamo proteggendo, per cosa lavoriamo, e tutto questo ritorna, e ci ricorda delle nostre azioni. A volte ci perdiamo nel servizio che offriamo, e a volte ci ritroviamo a competere per un risultato, a competere per il successo, e finiamo per dimenticare ciò che realmente vogliamo proteggere, ma, allo stesso tempo, avere anche la capacità di tenere tra le mani una tazza di té, essere presenti per noi stessi, per i nostri colleghi, per i nostri fratelli e le nostre sorelle, per ascoltare, per soffrire insieme, per provare i sentimenti importanti, e onorarli insieme. E anche per ricordarci di bere una tazza di té insieme, per sentirsi vivi, per sentirsi ristorati da questo momento presente. Adesso ascoltiamo il suono della campana insieme, tornando al nostro corpo, e nutrendo il nostro corpo con il respiro consapevole. Abbiamo parlato del prenderci cura delle nostre emozioni e dei nostri sentimenti, anche quando sono dolorosi, ma quando impariamo a tornare a casa nel nostro corpo, questo ci dà anche l'opportunità di ristorarci. In questo ritiro vedremo la meditazione profonda guidata, che serve ad imparare a rilassarsi e a sciogliere la tensione, ne daremo dimostrazione dopo pranzo, fa parte della nostra tradizione, dopo pranzo osserviamo sempre un periodo di riposo, e un piccolo riposo, o un sonnellino, puo davvero ristorare tutto il nostro essere. Ma la pratica dell'imparare a rilassarsi ci dà anche l'opportunità di realizzare quanto siamo tesi, per tutto il dolore che si è accumulato negli anni, quindi tornare a casa nel corpo significa anche imparare ad amarsi, e a donarci la tenerezza e l'attenzione di cui siamo stati privati. E quando siamo tesi, ogni volta che sentiamo il suono della campana, il nostro corpo diventa il suono della campana, così che possiamo allentare la tensione e rilassarci. Impariamo a farci amico il nostro respiro, il respiro per noi è il fondamento della meditazione, perché, finche siamo vivi, il nostro respiro è sempre con noi, e può diventare il nostro ritiro spirituale portatile, dovunque andiamo. No c'è bisogno di essere in un centro di ritiro, o in una sala di meditazione, ma ovunque siamo, quando sentiamo il bisogno di tornare a casa, il respiro diventa la nostra via per riconnetterci con noi stessi. E il nostro respiro ci accompagnerà tutta la vita. Un nostro amico, che era in prigione, ci ha scritto, perché aveva ricevuto uno dei libri del nostro Maestro, "La pace ad ogni passo", lui viveva in una piccola cella, e avrebbe voluto tanto partecipare ad un ritiro, anche se forse non ne avrebbe avuto la possibilità in questa vita, ma quel libro dice che "Ovunque tu sia, quello può essere il tuo ritiro". Così ha iniziato a perfezionare l'arte della respirazione consapevole, e anche a fare della meditazione camminata, nella sua piccola cella, e faceva questo due volte al giorno, la mattina presto e la sera tardi. E ha scritto questa lettera a Thay, il nostro Maestro, e quando lui l'ha ricevuta, l'ha letta a tutta la Comunità, e ha detto: "Molti di noi possono godere della piena libertà, ma siamo davvero liberi? Stiamo davvero compiendo dei passi che possano offrirci gioia, felicità, presenza, o siamo invece imprigionati dalle paure e dalle preoccupazioni? E diventiamo vittime di tutte queste emozioni, e perdiamo la nostra stabilità e la nostra presenza." Quindi questo è un invito, per ognuno di noi, che anche nei momenti più difficili, possiamo avere la libertà, anche nelle crisi in cui ci troviamo non trascuriamo la sfida, la paura, la rabbia, il dolore, ma abbiamo la libertà di accogliere quel dolore, perché abbiamo la capacità di accettarlo e riconoscerlo, E allo stesso tempo, possiamo ricorrere alla consapevolezza, per accettare quei sentimenti. E quando ascoltiamo il nostro dolore, ascoltiamo la nostra rabbia, è come una campana di consapevolezza, ci consente di agire, e possiamo anche generare la cura, la chiarezza, la virtù, quando parliamo, quando camminiamo, e quando ci presentiamo, e possiamo invitare queste altre qualità a prendere il nostro dolore per mano, e prendere per mano la rabbia, e la sofferenza. Così che possiamo essere esattamente noi stessi in questo momento. C'è stato un momento... quando abbiamo costituto una nostra Comunità in Vietnam, era il 2005, e il nostro Maestro era stato esiliato dal Vietnam per quasi 40 anni, e dopo quasi 40 anni il governo Vietnamita decise di riammettere il nostro Maestro, così ci fu reso possibile di fondare un Monastero. Ma dopo solo 3 anni, fummo nuovamente cacciati via, in maniera molto violenta. In quel frangente il nostro Maestro era qui in Francia, e quando seppe la notizia, soffrì molto, ci fu molto dolore, e direi anche molta rabbia. Io ero il suo assistente, e ho potuto vedere la sua reazione al ricevere questa notizia. La prima cosa che fece fu la meditazione camminata, io camminavo dietro a lui, e potevo sentire come lui stesse gestendo le sue emozioni, e attraverso questo processo di accettazione delle sue emozioni, riuscì ad ottenere chiarezza su ciò che bisognava fare. Fu quindi in grado di scrivere, di chiamare, alcuni di noi riuscirono ad andare in Vietnam per guidare delle manifestazioni. Il nostro Maestro scrisse degli articoli sull'assenza di libertà di religione che c'era in Vietnam, e fummo aggrediti, ma in quel momento noi eravamo fedeli a noi stessi e alla virtù e al coraggio del nostro Maestro di dire ciò che andava detto. Lui era libero, in quel momento, perché era stato capace di comprendere e accettare ciò che accadeva in maniera amorevole, chiara ed onesta. Quindi, queste pratiche di presenza, del corpo, del camminare, possono sembrare banali, ma per me, nella mia esperienza, nei momenti più difficili questo è ciò a cui torno sempre. Quei passi, quel respiro, tenere nelle mani una tazza di té caldo, così come la presenza degli altri. Sappiamo molto bene che la nostra presenza ha anche un impatto su chi ci circonda. Possiamo essere di esempio con il corpo, possiamo trasmettere con le parole, ma un'altra cosa che impariamo nello Zen, e che possiamo comunicare anche con la sola nostra presenza, con l'insegnamento del nostro corpo. E tutti noi qui... possiamo trasmettere la nostra intuizione non soltanto attraverso le nostre parole, o la nostra creatività, o attraverso la scrittura, ma possiamo trasmettere la nostra presenza, e quella presenza può avere un impatto davvero profondo. Grazie amici. Adesso ascolteremo il suono della campana, poi faremo una pausa di 15 minuti, per rinfrescarci un po', prenderci cura del nostro corpo, e poi torneremo alle 10:00, per la seconda parte con la nostra Sorella. Continuate a praticare il Nobile Silenzio, godetevi il sole, e a più tardi. Sottotitoli: La Stele di Rosetta www.youtube.com/@marioleonardi3891