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Il fu Mattia Pascal
Capitolo 1 – Una vita sbagliata
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Mi chiamo Mattia Pascal.
O almeno… così mi chiamavo.
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Ho vissuto per anni in un
piccolo paese della Liguria,
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in una casa che non sentivo mia,
con una moglie che non ho mai amato davvero
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e una suocera che sembrava nata
per rendermi la vita impossibile.
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Dopo la morte di mio padre,
la nostra fortuna è sparita in fretta.
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Due uomini poco onesti hanno
gestito i nostri soldi,
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e io ho potuto solo guardarli svanire.
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Per vivere ho accettato un lavoro noioso,
in una biblioteca comunale.
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Nessuno mi rispettava, né in casa né fuori.
Mia moglie Romilda è diventata sempre più amara,
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mia suocera più crudele.
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Ogni giorno tornavo a casa
col peso del mondo sulle spalle.
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Nessuno mi ascoltava,
nessuno mi capiva.
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E io, piano piano,
ho iniziato a sparire dentro me stesso.
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Poi, in un momento come tanti,
ho deciso di scappare.
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Senza dire niente a nessuno
sono salito su un treno,
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diretto a caso.
Non avevo un piano,
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non avevo speranze.
Volevo solo cambiare vita.
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Per sempre.
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Non potevo immaginare
che pochi giorni dopo
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ci sarei riuscito.
Anche troppo bene.
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Capitolo 2 – La fuga e la fortuna
Sono arrivato a Montecarlo quasi per caso.
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Avevo ancora qualche soldo in tasca
e una gran voglia di dimenticare tutto.
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Ho preso una stanza in un albergo modesto
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e sono entrato nel casinò,
più per curiosità che per altro.
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Non ero mai stato fortunato in vita mia,
ma quella sera è cambiato tutto.
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Ho puntato pochi franchi… e ho vinto.
Ho rigiocato… ho vinto ancora.
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Le mani mi tremavano, ma non mi sono fermato.
Continuavo a vincere,
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come se il destino volesse risarcirmi
per tutto ciò che mi aveva tolto.
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Alla fine sono uscito
con una somma enorme.
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Avevo in tasca più denaro
di quanto ne avessi mai visto.
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Per la prima volta mi sono sentito leggero.
Libero.
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Mi sono seduto su una panchina,
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guardando il mare.
Ho pensato:
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"e se non tornassi più indietro?
E se ricominciassi da zero?
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Con una nuova identità,
una nuova vita?"
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Mentre facevo questi pensieri,
ho comprato un giornale.
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Lì, su una delle pagine, ho letto una notizia:
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un cadavere era stato trovato nel mio paese.
E tutti pensavano che fossi io.
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In quel momento ho capito:
il destino mi stava offrendo
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un’occasione.
Una sola.
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Capitolo 3 – Il morto sbagliato
Ho letto quell’articolo tre volte.
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Diceva che un uomo si era gettato nel canale,
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vicino casa mia,
e che il cadavere era irriconoscibile.
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Aveva vestiti e oggetti che sembravano miei.
La gente, la polizia,
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perfino mia moglie…
tutti erano sicuri: quel morto ero io.
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All’inizio ho avuto un brivido.
Poi, lentamente,
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un’idea ha cominciato a crescere dentro di me.
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Nessuno mi cercava.
Nessuno sapeva che ero vivo.
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Se fossi rimasto zitto,
potevo scomparire davvero.
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Ho passato la notte a camminare.
Pensavo a mia moglie, alla suocera,
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alla mia vita grigia.
Lì, tra le luci di Montecarlo,
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tutto sembrava così lontano.
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E così ho deciso:
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non sarei più tornato.
Mattia Pascal era morto.
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Con i soldi della vincita
ho cominciato a viaggiare:
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prima Nizza, poi Marsiglia,
infine l’Italia.
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Ho tagliato i baffi,
cambiato pettinatura,
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comprato vestiti nuovi.
Ho bruciato il mio vecchio portafoglio.
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Ho scelto un nome nuovo:
Adriano Meis.
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Mi sentivo rinato.
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Leggero come non mai.
Ma sotto quella libertà
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c’era anche una strana inquietudine.
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Non avevo più un passato.
E senza un passato…
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costruire un futuro poteva non essere così facile.
Ma questo l’avrei capito solo più tardi.
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Capitolo 4 – Adriano Meis
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Con il nome di Adriano Meis
ho attraversato l’Italia
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come un fantasma.
Col portafoglio pieno,
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nessuno mi conosceva,
nessuno mi faceva domande.
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Era una sensazione strana,
quasi dolce.
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Potevo essere chiunque,
dire qualsiasi cosa.
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A Venezia ho fatto il turista.
A Firenze ho passato giorni nei musei.
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A Roma ho affittato una stanza tranquilla,
vicino al Tevere.
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Dicevo che venivo dalla Svizzera,
che ero lì per motivi di salute.
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Tutti mi credevano,
nessuno sospettava.
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Ma presto ho capito una cosa:
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ero libero, sì…
ma anche invisibile.
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Senza documenti veri
non potevo firmare contratti,
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aprire un conto,
sposarmi.
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Una volta ho tentato di fermare un ladro
e la polizia mi ha chiesto i documenti.
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Sono dovuto scappare.
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E poi è arrivata Adriana,
la figlia del padrone di casa.
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Dolce, intelligente,
con due occhi pieni di malinconia.
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Abbiamo iniziato a parlare ogni giorno,
poi a passeggiare insieme.
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Mi guardava con fiducia.
E io… io non ero nessuno.
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Non potevo dirle la verità,
ma nemmeno continuare a mentire.
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Stavo vivendo una vita falsa,
e cominciavo a volerla vera.
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Per la prima volta,
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volevo restare.
E questo… era un problema.
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Capitolo 5 – L’incontro con la verità
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Adriana mi piaceva davvero.
Con lei parlavo in modo sincero,
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anche se non dicevo tutto.
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Ogni giorno aspettavo il momento per vederla,
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sentire la sua voce.
In casa cominciavano a fidarsi di me.
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Anche il padre,
un uomo difficile, sembrava apprezzarmi.
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A volte sognavo di restare lì per sempre.
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Di sposarla.
Di costruire una vita normale.
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Ma ogni volta che ci pensavo davvero,
qualcosa dentro di me si spezzava.
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Chi ero io per chiedere la mano
di una ragazza onesta?
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Non avevo un’identità,
non avevo documenti,
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non avevo storia.
Solo bugie.
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Un giorno ho sentito Adriana
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parlare con una sua amica.
Diceva che forse mi amava.
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Mi sono sentito felice
e colpevole allo stesso tempo.
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Quella notte non ho dormito.
Il giorno dopo, davanti allo specchio,
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ho guardato il mio volto.
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Non vedevo più né Adriano Meis,
né Mattia Pascal.
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Solo un uomo
che non sapeva chi fosse.
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Avevo creato una gabbia elegante,
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piena di silenzi e illusioni.
Non potevo più andare avanti così.
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Allora ho deciso:
anche Adriano Meis doveva sparire.
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Avrei cancellato ancora una volta la mia identità.
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Capitolo 6 – Il ritorno impossibile
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Per far sparire Adriano Meis
ho scelto un gesto semplice:
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ho lasciato i miei vestiti su un ponte
e una lettera d’addio.
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Tutto sembrava indicare
che non sarei più tornato.
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Così tutti avrebbero creduto
che Adriano era scomparso per sempre.
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Poi sono salito su un treno.
Destinazione: casa.
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Volevo tornare a essere Mattia Pascal.
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Pensavo che, una volta lì,
tutto si sarebbe sistemato.
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Mi sbagliavo.
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Quando sono arrivato al paese
nessuno mi ha riconosciuto subito.
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E quando finalmente ho parlato con mia madre,
lei è quasi svenuta.
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Non riusciva a credere che ero vivo.
Ma la notizia che mi ha colpito di più
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è stata un’altra:
mia moglie si era risposata.
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Avevano fatto un funerale.
Avevano pianto per me.
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E poi…
la vita era andata avanti.
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Romilda aveva un nuovo marito,
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una nuova casa,
una nuova pace.
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E io…
ero un morto tornato troppo tardi.
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Nessuno poteva accettare il mio ritorno.
Neanche la legge.
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Per il mondo,
Mattia Pascal era morto.
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Non potevo riprendere la mia vecchia vita.
Non potevo tornare indietro.
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Avevo perso tutto.
Anche il diritto di esistere.
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Capitolo 7 – Il fu Mattia Pascal
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Ho provato a spiegare la verità,
ma la verità ormai non serviva più.
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Mia moglie mi guardava
come si guarda un fantasma.
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Suo marito era un altro,
e io ero solo un ricordo che camminava.
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Mi sono rivolto a un avvocato,
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ma anche lui mi ha confermato quello che temevo:
per lo Stato ero legalmente morto.
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Non potevo riprendere il mio nome,
né riavere i miei diritti.
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Non potevo neanche chiedere giustizia,
perché avrei dovuto denunciare me stesso
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per falsa identità.
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Mi sono chiesto:
chi sono adesso?
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Adriano Meis è morto nel fiume.
Mattia Pascal è morto anni fa,
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almeno per tutti gli altri.
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E io, in mezzo…
cosa sono?
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Un’ombra.
Un’idea.
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Una persona che non esiste.
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Non avevo più una casa,
né un futuro,
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né un passato che potessi riprendere.
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Solo un corpo
che camminava nel mondo senza scopo.
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Così ho fatto l’unica cosa possibile:
me ne sono andato,
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in silenzio,
senza più cercare nulla.
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Non avevo più niente da perdere.
E nel vuoto che mi circondava,
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ho cominciato a capire qualcosa.
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Forse la vera prigione
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non era la mia vecchia vita.
Era la libertà assoluta.
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Capitolo 8 – Vivo, ma non troppo
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Ora vivo in una stanzetta modesta
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e passo le giornate
tra libri e silenzi.
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Sono tornato alla biblioteca
dove lavoravo prima,
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ma nessuno sa chi sono davvero.
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Mi chiamano “quello strano”
e va bene così.
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Ogni tanto mi capita
di incrociare qualcuno del passato.
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Mi guardano con un misto
di dubbio e indifferenza.
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Nessuno ha il coraggio di chiedere.
Forse temono la verità.
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Non ho più provato a vedere mia moglie.
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So che è felice.
O almeno tranquilla.
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Non voglio disturbarla.
Non voglio essere un’ombra che rovina tutto.
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Scrivo questo
per fissare i miei pensieri,
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come se servisse a qualcosa.
Ma lo faccio lo stesso.
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Ho vissuto due vite
e alla fine
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non ne ho salvata nemmeno una.
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Mi chiamo Mattia Pascal.
O meglio,
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il fu Mattia Pascal.
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Perché anche se respiro,
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mangio e cammino…
io non esisto più davvero.
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Sono un uomo
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che ha perso il diritto
di essere qualcuno.
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E forse, dopotutto,
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è proprio questa
la mia libertà.
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Una libertà vuota.
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Silenziosa.
Ma mia.