Il fu Mattia Pascal Capitolo 1 – Una vita sbagliata Mi chiamo Mattia Pascal. O almeno… così mi chiamavo. Ho vissuto per anni in un  piccolo paese della Liguria, in una casa che non sentivo mia, con una moglie che non ho mai amato davvero e una suocera che sembrava nata  per rendermi la vita impossibile. Dopo la morte di mio padre, la nostra fortuna è sparita in fretta. Due uomini poco onesti hanno  gestito i nostri soldi, e io ho potuto solo guardarli svanire. Per vivere ho accettato un lavoro noioso, in una biblioteca comunale. Nessuno mi rispettava, né in casa né fuori. Mia moglie Romilda è diventata sempre più amara, mia suocera più crudele. Ogni giorno tornavo a casa col peso del mondo sulle spalle. Nessuno mi ascoltava, nessuno mi capiva. E io, piano piano, ho iniziato a sparire dentro me stesso. Poi, in un momento come tanti, ho deciso di scappare. Senza dire niente a nessuno sono salito su un treno, diretto a caso. Non avevo un piano, non avevo speranze. Volevo solo cambiare vita. Per sempre. Non potevo immaginare che pochi giorni dopo ci sarei riuscito. Anche troppo bene. Capitolo 2 – La fuga e la fortuna Sono arrivato a Montecarlo quasi per caso. Avevo ancora qualche soldo in tasca e una gran voglia di dimenticare tutto. Ho preso una stanza in un albergo modesto e sono entrato nel casinò, più per curiosità che per altro. Non ero mai stato fortunato in vita mia, ma quella sera è cambiato tutto. Ho puntato pochi franchi… e ho vinto. Ho rigiocato… ho vinto ancora. Le mani mi tremavano, ma non mi sono fermato. Continuavo a vincere, come se il destino volesse risarcirmi per tutto ciò che mi aveva tolto. Alla fine sono uscito con una somma enorme. Avevo in tasca più denaro di quanto ne avessi mai visto. Per la prima volta mi sono sentito leggero. Libero. Mi sono seduto su una panchina, guardando il mare. Ho pensato: "e se non tornassi più indietro? E se ricominciassi da zero? Con una nuova identità, una nuova vita?" Mentre facevo questi pensieri, ho comprato un giornale. Lì, su una delle pagine, ho letto una notizia: un cadavere era stato trovato nel mio paese. E tutti pensavano che fossi io. In quel momento ho capito: il destino mi stava offrendo un’occasione. Una sola. Capitolo 3 – Il morto sbagliato Ho letto quell’articolo tre volte. Diceva che un uomo si era gettato nel canale, vicino casa mia, e che il cadavere era irriconoscibile. Aveva vestiti e oggetti che sembravano miei. La gente, la polizia, perfino mia moglie… tutti erano sicuri: quel morto ero io. All’inizio ho avuto un brivido. Poi, lentamente, un’idea ha cominciato a crescere dentro di me. Nessuno mi cercava. Nessuno sapeva che ero vivo. Se fossi rimasto zitto, potevo scomparire davvero. Ho passato la notte a camminare. Pensavo a mia moglie, alla suocera, alla mia vita grigia. Lì, tra le luci di Montecarlo, tutto sembrava così lontano. E così ho deciso: non sarei più tornato. Mattia Pascal era morto. Con i soldi della vincita  ho cominciato a viaggiare: prima Nizza, poi Marsiglia, infine l’Italia. Ho tagliato i baffi, cambiato pettinatura, comprato vestiti nuovi. Ho bruciato il mio vecchio portafoglio. Ho scelto un nome nuovo: Adriano Meis. Mi sentivo rinato. Leggero come non mai. Ma sotto quella libertà c’era anche una strana inquietudine. Non avevo più un passato. E senza un passato… costruire un futuro poteva non essere così facile. Ma questo l’avrei capito solo più tardi. Capitolo 4 – Adriano Meis Con il nome di Adriano Meis ho attraversato l’Italia come un fantasma. Col portafoglio pieno, nessuno mi conosceva, nessuno mi faceva domande. Era una sensazione strana, quasi dolce. Potevo essere chiunque, dire qualsiasi cosa. A Venezia ho fatto il turista. A Firenze ho passato giorni nei musei. A Roma ho affittato una stanza tranquilla, vicino al Tevere. Dicevo che venivo dalla Svizzera, che ero lì per motivi di salute. Tutti mi credevano, nessuno sospettava. Ma presto ho capito una cosa: ero libero, sì… ma anche invisibile. Senza documenti veri non potevo firmare contratti, aprire un conto, sposarmi. Una volta ho tentato di fermare un ladro e la polizia mi ha chiesto i documenti. Sono dovuto scappare. E poi è arrivata Adriana, la figlia del padrone di casa. Dolce, intelligente, con due occhi pieni di malinconia. Abbiamo iniziato a parlare ogni giorno, poi a passeggiare insieme. Mi guardava con fiducia. E io… io non ero nessuno. Non potevo dirle la verità, ma nemmeno continuare a mentire. Stavo vivendo una vita falsa, e cominciavo a volerla vera. Per la prima volta, volevo restare. E questo… era un problema. Capitolo 5 – L’incontro con la verità Adriana mi piaceva davvero. Con lei parlavo in modo sincero, anche se non dicevo tutto. Ogni giorno aspettavo il momento per vederla, sentire la sua voce. In casa cominciavano a fidarsi di me. Anche il padre, un uomo difficile, sembrava apprezzarmi. A volte sognavo di restare lì per sempre. Di sposarla. Di costruire una vita normale. Ma ogni volta che ci pensavo davvero, qualcosa dentro di me si spezzava. Chi ero io per chiedere la mano di una ragazza onesta? Non avevo un’identità, non avevo documenti, non avevo storia. Solo bugie. Un giorno ho sentito Adriana parlare con una sua amica. Diceva che forse mi amava. Mi sono sentito felice e colpevole allo stesso tempo. Quella notte non ho dormito. Il giorno dopo, davanti allo specchio, ho guardato il mio volto. Non vedevo più né Adriano Meis, né Mattia Pascal. Solo un uomo che non sapeva chi fosse. Avevo creato una gabbia elegante, piena di silenzi e illusioni. Non potevo più andare avanti così. Allora ho deciso: anche Adriano Meis doveva sparire. Avrei cancellato ancora una volta la mia identità. Capitolo 6 – Il ritorno impossibile Per far sparire Adriano Meis ho scelto un gesto semplice: ho lasciato i miei vestiti su un ponte e una lettera d’addio. Tutto sembrava indicare che non sarei più tornato. Così tutti avrebbero creduto che Adriano era scomparso per sempre. Poi sono salito su un treno. Destinazione: casa. Volevo tornare a essere Mattia Pascal. Pensavo che, una volta lì, tutto si sarebbe sistemato. Mi sbagliavo. Quando sono arrivato al paese nessuno mi ha riconosciuto subito. E quando finalmente ho parlato con mia madre, lei è quasi svenuta. Non riusciva a credere che ero vivo. Ma la notizia che mi ha colpito di più è stata un’altra: mia moglie si era risposata. Avevano fatto un funerale. Avevano pianto per me. E poi… la vita era andata avanti. Romilda aveva un nuovo marito, una nuova casa, una nuova pace. E io… ero un morto tornato troppo tardi. Nessuno poteva accettare il mio ritorno. Neanche la legge. Per il mondo, Mattia Pascal era morto. Non potevo riprendere la mia vecchia vita. Non potevo tornare indietro. Avevo perso tutto. Anche il diritto di esistere. Capitolo 7 – Il fu Mattia Pascal Ho provato a spiegare la verità, ma la verità ormai non serviva più. Mia moglie mi guardava come si guarda un fantasma. Suo marito era un altro, e io ero solo un ricordo che camminava. Mi sono rivolto a un avvocato, ma anche lui mi ha confermato quello che temevo: per lo Stato ero legalmente morto. Non potevo riprendere il mio nome, né riavere i miei diritti. Non potevo neanche chiedere giustizia, perché avrei dovuto denunciare me stesso per falsa identità. Mi sono chiesto: chi sono adesso? Adriano Meis è morto nel fiume. Mattia Pascal è morto anni fa, almeno per tutti gli altri. E io, in mezzo… cosa sono? Un’ombra. Un’idea. Una persona che non esiste. Non avevo più una casa, né un futuro, né un passato che potessi riprendere. Solo un corpo che camminava nel mondo senza scopo. Così ho fatto l’unica cosa possibile: me ne sono andato, in silenzio, senza più cercare nulla. Non avevo più niente da perdere. E nel vuoto che mi circondava, ho cominciato a capire qualcosa. Forse la vera prigione non era la mia vecchia vita. Era la libertà assoluta. Capitolo 8 – Vivo, ma non troppo Ora vivo in una stanzetta modesta e passo le giornate tra libri e silenzi. Sono tornato alla biblioteca dove lavoravo prima, ma nessuno sa chi sono davvero. Mi chiamano “quello strano” e va bene così. Ogni tanto mi capita di incrociare qualcuno del passato. Mi guardano con un misto di dubbio e indifferenza. Nessuno ha il coraggio di chiedere. Forse temono la verità. Non ho più provato a vedere mia moglie. So che è felice. O almeno tranquilla. Non voglio disturbarla. Non voglio essere un’ombra che rovina tutto. Scrivo questo per fissare i miei pensieri, come se servisse a qualcosa. Ma lo faccio lo stesso. Ho vissuto due vite e alla fine non ne ho salvata nemmeno una. Mi chiamo Mattia Pascal. O meglio, il fu Mattia Pascal. Perché anche se respiro, mangio e cammino… io non esisto più davvero. Sono un uomo che ha perso il diritto di essere qualcuno. E forse, dopotutto, è proprio questa la mia libertà. Una libertà vuota. Silenziosa. Ma mia.