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Carolyn Steel: Come il cibo dà forma alle nostre città

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    Come si rifornisce di cibo una città?
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    È una delle grandi domande del nostro tempo,
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    e tuttavia raramente ce la poniamo.
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    Diamo per scontato che se entriamo in un negozio
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    o in un ristorante o anche nell'atrio di questo teatro per un'ora soltanto,
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    ci debba essere del cibo che aspetta solo noi,
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    arrivato per magia da chissà dove.
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    Ma se pensate che ogni giorno, per una città delle dimensioni di Londra,
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    una sufficiente quantità di cibo deve essere prima prodotta,
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    e poi trasportata, venduta e comprata,
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    cucinata, mangiata, e gettati via i suoi avanzi,
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    e che qualcosa di simile deve accadere ogni giorno
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    per ogni città che c'è sulla terra,
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    è straordinario il solo fatto che ci sia del cibo nelle città.
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    Viviamo in posti come questo,
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    come se fossero la cosa più naturale al mondo,
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    scordandoci che, poiché siamo animali,
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    e abbiamo bisogno di mangiare,
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    in realtà dipendiamo dalla Natura
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    esattamente come i nostri progenitori.
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    E più ci trasferiamo in città,
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    più di quel mondo naturale viene
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    trasformato in paesaggi straordinari come quello alle mie spalle
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    - è un campo di semi di soia sul Mato Grosso, in Brasile -
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    per riuscire a darci da mangiare.
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    Questi sono paesaggi straordinari.
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    Ma pochissimi di noi ne hanno mai visto uno.
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    E l'aumento di questi paesaggi
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    non sfama nemmeno noi.
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    Perché più andiamo nelle città,
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    più mangiamo carne,
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    così che un terzo del raccolto globale annuo di cereali
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    serve a nutrire gli animali
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    invece che noi, animali umani.
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    E dato che servono il triplo di cereali --
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    in realtà dieci volte tanto di cereali --
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    per nutrire un uomo, se prima passano attraverso un animale,
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    capiamo che non è un modo molto efficiente per nutrirci.
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    È un problema che è anche destinato ad aumentare.
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    Entro il 2050 si stima che il doppio
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    di noi vivranno in città.
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    E si stima anche che raddoppierà di conseguenza
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    il consumo di carne e latticini.
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    Insomma: carne e urbanizzazione crescono di pari passo.
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    Questo porrà un enorme problema:
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    sei miliardi di carnivori affamati da sfamare
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    entro il 2050.
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    Questo è un grande problema. Se continuiamo su questa strada,
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    è un problema che molto probabilmente non saremo in grado di risolvere.
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    Ogni anno perdiamo 19 milioni di ettari di foresta pluviale
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    per creare nuove terre da arare,
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    benché contemporaneamente perdiamo una quantità simile
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    di terra arabile esistente a causa della salinizzazione e dell'erosione.
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    Abbiamo anche una gran fame di combustibili fossili.
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    Servono 10 calorie per produrre ogni caloria di cibo
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    che consumiamo in Occidente.
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    E nonostante ci sia un cibo che produciamo con costi così alti,
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    in realtà non gli diamo valore:
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    attualmente metà del cibo prodotto negli Stati Uniti viene buttato via.
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    E per finire, al termine di questo lungo processo,
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    non gestiamo nemmeno correttamente l'alimentazione nel pianeta:
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    ci sono un miliardo di obesi, mentre un altro miliardo muore di fame.
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    Non c'è molto senso in tutto questo, vero?
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    E se pensiamo che l'80% del commercio mondiale di cibo
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    è sotto il controllo di sole cinque multinazionali,
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    il quadro fa rabbrividire.
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    Mentre gli uomini si trasferiscono nelle città, il mondo adotta la dieta occidentale.
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    Se guardiamo al futuro,
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    questo stile alimentare è insostenibile.
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    Come siamo arrivati a questo punto?
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    E, più importante: cosa dobbiamo fare?
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    bene, per rispondere alla prima domanda, che è leggermente più semplice,
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    mi viene da dire: l'inizio di questo processo
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    è stato 10.000 anni fa circa,
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    nell'antico Medio Oriente,
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    nella zona conosciuta come la Mezzaluna Fertile.
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    Si chiama così perché, come potete vedere, ha la forma di una mezza luna.
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    Ed era anche fertile.
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    È stato lì, circa 10.000 anni fa,
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    che due invenzioni straordinarie,
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    l'agricoltura e l'inurbamento, hanno avuto luogo
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    pressappoco nello stesso posto, e nello stesso momento.
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    Non è un caso.
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    Perché agricoltura e città sono collegate. Hanno bisogno l'una dell'altra.
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    Infatti è stata la scoperta dei cereali
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    da parte dei nostri antenati, che per la prima volta
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    ha determinato una fonte di cibo sufficientemente ampia
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    e stabile per sostenere degli insediamenti permanenti.
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    Se guardiamo come erano questi insediamenti,
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    notiamo che erano compatti.
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    Erano circondati da terra produttiva coltivata
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    e dominati da grandi templi
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    come questo, a Ur,
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    templi che in realtà erano, di fatto,
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    centri di distribuzione del cibo centralizzati e spiritualizzati,
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    perché erano i templi che organizzavano il raccolto,
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    ammassavano il grano, lo offrivano agli dei,
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    e poi ridistribuivano alla popolazione il grano che gli dei non mangiavano.
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    Insomma, per dirlo in altro modo:
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    l'intera vita, fisica e spirituale, di queste città
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    era dominata dai cereali e dal raccolto
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    che forniva loro sostentamento.
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    E, in realtà, questo è vero per ogni città del passato.
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    Ma ovviamente non tutte erano così piccole.
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    È noto che Roma aveva circa un milione di abitanti
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    nel I secolo d.C.
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    Allora, come si nutriva una città di questo genere?
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    La risposta sta nei cosiddetti "punti di sosta" antichi.
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    Fondamentalmente, Roma aveva accesso al mare,
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    il che la rendeva in grado di importare il cibo da luoghi anche molto lontani.
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    [Il trasporto via mare] era l'unico modo possibile, nel mondo antico,
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    perché era estremamente difficile trasportare cibo sulle strade,
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    che erano impervie, accidentate.
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    E il cibo, naturalmente, si deteriorava molto velocemente.
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    Così Roma di fatto ha dichiarato guerra
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    a posti come Cartagine o l'Egitto
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    solo per mettere le sue mani sulle loro riserve di cereali.
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    In effetti si può dire che l'espansione dell'Impero romano
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    è stata in realtà una specie di lungo, estenuante
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    e militarizzato shopping sfrenato, è così.
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    (Risate)
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    Infatti -- mi piace questo dettaglio, ve lo devo raccontare:
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    Roma, infatti, smise di importare le ostriche dalla Gran Bretagna
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    ad un certo punto.
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    Così, Roma diede forma al suo entroterra
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    secondo il suo appetito.
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    Ma la cosa interessante è l'altra cosa che accadde
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    nel mondo pre-industriale.
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    Se guardiamo la mappa di Londra nel 17° secolo,
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    vediamo che i suoi cereali, che provengono dal Tamigi,
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    sono distribuiti nella parte bassa della mappa.
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    Infatti i mercati dei cereali erano nella parte sud della città.
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    E le strade che portavano a Cheapside,
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    che era il mercato principale,
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    erano anche loro mercati di cereali.
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    Se fate caso al nome di una di queste strade,
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    Bread Street ["la strada del pane"], potete capire
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    cosa succedeva lì 300 anni fa.
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    E la stessa cosa valeva per il pesce.
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    Anche il pesce arrivava ovviamente dal fiume. Stessa cosa.
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    E naturalmente Billingsgate, come è noto, era il mercato del pesce di Londra,
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    che è stato attivo in quello stesso posto fino alla metà degli anni '80.
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    Che è una cosa veramente straordinaria, se ci pensate.
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    Tutti quanti se ne andavano in giro
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    con questi cellulari grandi come mattoni
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    e in qualche modo il mercato del pesce puzzolente continuava a stare lì, giù al porto.
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    Ecco un'altra cosa a proposito del cibo in città:
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    una volta che vi stabilisce le sue radici,
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    si sposta molto raramente.
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    Quella della carne è una storia molto diversa,
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    ovviamente, perché gli animali possono entrare in città sui loro piedi.
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    Una gran parte della carne di Londra
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    arrivava dal nord-ovest,
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    dalla Scozia e dal Galles.
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    Entrava in città dalla parte a nord-ovest,
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    ecco perché Smithfield,
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    il più famoso mercato di carne a Londra, era situato proprio là.
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    Il pollame arrivava dalla East Anglia e così via, verso la parte nord-est.
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    Mi sento un po' come quelli che mostrano il tempo che farà. Comunque.
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    I volatili arrivavano
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    coi piedi protetti da piccole scarpe di tela.
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    E quando giungevano all'estremità orientale
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    di Cheapside, era lì che venivano venduti.
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    Ecco perché quel posto si chiama Poultry ["polleria, pollame"].
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    Di fatto, guardando la mappa di una qualunque città
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    costruita prima dell'era industriale,
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    è possibile identificare da dove vi arrivava il cibo.
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    Si può veramente vedere come le città abbiano fisicamente preso forma dal cibo,
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    ad esempio leggendo i nomi delle strade, che danno un sacco di indizi.
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    Friday Street ["Strada del Venerdì"], nella vita passata,
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    è quella in cui si andava a comprare il pesce al venerdì.
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    Ma la dovete anche immaginare piena di cibo,
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    perché le strade e gli spazi pubblici
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    erano gli unici luoghi in cui il cibo era venduto e comprato.
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    E se guardiamo un'immagine di Smithfield nel 1830,
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    si vede che sarebbe stato molto ben difficile vivere in una città come questa
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    e ignorare da dove proveniva il cibo.
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    Di fatto, se eri al pranzo della domenica,
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    le possibilità erano che il tuo pranzo fosse quello che muggiva o belava
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    fuori dalla tua finestra circa tre giorni prima.
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    Questa è ovviamente una città organica,
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    parte di un ciclo organico.
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    E poi, 10 anni più tardi, tutto è cambiato.
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    Questa è un'immagine della Grande Ferrovia Occidentale, nel 1840.
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    Come potete vedere, tra i primi passeggeri del treno
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    ci sono maiali e pecore.
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    Tutto all'improvviso questi animali non arrivano più al mercato sui loro piedi:
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    vengono macellati "lontano dagli occhi, lontano dal cuore",
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    da qualche parte in campagna.
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    E poi arrivano in città con la ferrovia.
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    Questo cambia tutto.
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    Per cominciare, rende possibile
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    per la prima volta la crescita delle città,
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    in ogni direzione e forma, in ogni luogo.
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    Le città prima erano vincolate dalla conformazione geografica:
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    dovevano procurarsi il cibo attraverso vie fisicamente limitate.
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    E tutto ad un tratto sono emancipate dai limiti geografici.
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    Come potete vedere da queste mappe di Londra,
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    nei 90 anni successivi all'arrivo della ferrovia
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    la città si sviluppa da un piccolo raggruppamento informe piuttosto facile da sfamare,
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    dove gli animali arrivano camminando, eccetera,
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    fino a questa grossa esposizione, questo sbrodolamento
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    che sarebbe molto difficile sfamare con qualunque cosa a piedi,
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    sia animali che persone.
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    Naturalmente quello era solo l'inizio. Dopo il treno, sono arrivate le automobili.
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    Questo ha portato il processo a compimento:
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    è l'emancipazione finale della città
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    da ogni tipo di relazione visibile con la natura.
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    E questa è di quelle città prive di odori,
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    prive di sporco, certamente prive di gente.
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    Perché nessuno si sognerebbe di camminare in questo paesaggio.
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    In effetti, quello che fanno per procurarsi da mangiare è salire in macchina,
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    guidare fino ad una scatola da qualche parte in periferia,
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    tornare a casa con l'equivalente di ciò che servirebbe per un'intera settimana,
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    e chiedersi cosa diavolo fare con quella roba.
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    Questo è proprio il momento in cui la nostra relazione,
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    sia col cibo che con le città, cambia completamente.
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    Qui abbiamo il cibo -- che prima è sempre stato al centro,
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    il nucleo sociale della città -- ed ora è in periferia.
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    Prima vendere e comprare cibo era un evento sociale,
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    ora è un atto anonimo.
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    Prima cucinavamo; ora aggiungiamo solo acqua,
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    o un po' di uova, se stiamo facendo una torta o qualcosa del genere.
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    Non annusiamo il cibo per sapere se è buono da mangiare:
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    guardiamo sul retro del pacchetto l'etichetta.
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    E non diamo valore al cibo. Non ci fidiamo del cibo.
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    Invece di fare affidamento su esso, lo temiamo.
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    E invece di dargli valore, lo gettiamo via.
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    Una delle grandi ironie dei moderni sistemi alimentari
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    è che hanno reso molto più difficili
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    proprio quelle cose che promettevano di rendere più facili.
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    Rendendo possibile la costruzione di città in qualunque posto e modo,
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    in realtà ci hanno allontanato dalla nostra relazione più importante,
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    che è quella con la natura.
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    E ci hanno anche resi dipendenti da sistemi che solo loro possono eseguire,
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    che, come abbiamo visto, sono insostenibili.
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    Allora, cosa possiamo fare?
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    Non è un interrogativo nuovo.
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    500 anni fa era quello che si era chiesto Thomas More [Tommaso Moro].
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    Questo è il frontespizio del suo libro, "Utopia".
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    C'erano una serie di città-stato, semi-indipendenti le une dalle altre,
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    (questo ci suona lontanamente familiare)
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    distanti una giornata di cammino, dove tutti erano fondamentalmente amanti del coltivare,
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    e facevano crescere verdura nei loro giardini,
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    e consumavano tutti insieme pasti comunitari, e così via.
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    Penso che si possa sostenere
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    che il cibo sia il principio ordinatore fondamentale di Utopia,
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    anche se More non l'ha mai formulato in quel modo.
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    C'è un'altra visione "utopistica" molto famosa:
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    quella di Ebenezer Howard, "The Garden City" ["La Città-giardino"].
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    Stessa idea. Una serie di città-stato semi-indipendenti.
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    Piccole masse di roba metropolitana con intorno terra arabile,
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    unite le une alle altre dalla ferrovia.
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    Anche qui, il cibo può essere considerato
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    il principio ordinatore della sua visione.
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    È stato anche costruito, ma non ha niente a che fare
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    con la visione che aveva avuto Howard.
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    Perché è questo il problema di queste idee utopiche:
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    che sono utopistiche.
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    "Utopia" è una parola che More usò volutamente.
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    Era come un gioco di parole, una burla, perché ha una doppia derivazione dal greco:
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    può significare "un buon luogo" oppure "un non-luogo".
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    Perché è un ideale. Una cosa immaginaria. Che non possiamo avere.
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    E, penso, come strumento concettuale
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    per pensare al grave problema dell'abitare umano,
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    non ci serva un granché.
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    Così sono arrivata ad un'alternativa,
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    che è "Sitopia": dal greco antico
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    "sitos", cibo, e "topos", luogo.
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    Credo che noi già stiamo vivendo a Sitopia.
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    Viviamo in un mondo plasmato dal cibo,
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    e se ne prendiamo consapevolezza, possiamo usare il cibo come uno strumento straordinariamente potente --
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    uno strumento concettuale, progettuale -- per plasmare il mondo in modo diverso.
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    Allora, se stessimo per farla, a cosa assomiglierebbe Sitopia?
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    Beh, io penso che assomiglierebbe un po' a questa immagine.
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    Volevo usare questa immagine, anche solo per lo sguardo che qui ha il cane.
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    Comunque, qui c'è -- (Risate)
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    c'è il cibo al centro della vita,
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    al centro della vita famigliare, cibo che viene celebrato,
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    del quale si gode, per il quale la gente si prende del tempo.
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    Ecco come dovrebbe essere considerato il cibo nella nostra società.
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    Ma non si possono avere scene come questa senza questo tipo di persone.
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    Ad ogni modo, anche queste persone possono andare:
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    gente che pensa al cibo,
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    che guarda avanti, pianifica,
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    che riesce a fissare una pila di ortaggi crudi
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    e incredibilmente riconoscerli tutti.
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    È di queste persone che abbiamo bisogno. Siamo parte di un sistema.
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    Senza questo tipo di persone, non possiamo avere posti come questo.
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    Qui ho scelto apposta questa immagine perché mostra un uomo che compra un ortaggio.
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    Ma mostra anche sistemi, mercati, dove il cibo è coltivato localmente.
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    È normale. È fresco.
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    È parte della vita sociale della città.
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    Senza questo, non si ha quest'altro tipo di posto,
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    cibo che cresce localmente e fa anche parte del paesaggio,
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    che non è solo una merce a somma-zero,
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    chiuso in qualche impenetrabile buco infernale.
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    "Mucche con vista".
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    Pile di humus fumanti.
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    Questo, fondamentalmente, rimette insieme tutte le cose.
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    E questo è un progetto comunitario
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    che ho visitato recentemente, a Toronto.
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    È una serra, dove si insegna tutto del cibo ai bambini
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    e a come coltivare il loro cibo.
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    Ecco una piantina di nome Kevin, o forse
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    è la piantina di un bambino che si chiama Kevin. Non lo so.
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    Ma comunque, questo tipo di progetti
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    che cercano di riconnetterci con la natura, sono molto importanti.
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    Così, per me Sitopia è davvero un punto di vista.
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    Alla base c'è la consapevolezza che Sitopia
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    esiste già, a piccoli pezzi, dappertutto.
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    Il trucco è metterli in contatto,
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    per usare il cibo come punto di vista.
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    E se facciamo così, smetteremo di vedere le città
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    come grosse masse metropolitane improduttive, come queste.
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    le vedremo di più così,
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    come parte di una struttura organica produttiva,
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    della quale sono inevitabilmente parte,
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    connesse in modo simbiotico.
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    Naturalmente nemmeno questa è una gran bella immagine,
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    perché abbiamo bisogno di non produrre più cibo in questo modo.
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    Abbiamo bisogno di pensare di più alla permacultura.
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    Ecco perché penso che questa immagine
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    riassuma il tipo di riflessione che dovremmo fare.
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    È una riconcettualizzazione
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    del modo in cui il cibo modella le nostre vite.
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    La più bella immagine che conosco a proposito è di 650 anni fa.
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    È l'"Allegoria del Buon Governo" di Ambrogio Lorenzetti.
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    Ci mostra il rapporto tra la città e la campagna:
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    penso che il messaggio sia molto chiaro:
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    se la città si prende cura della campagna,
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    la campagna si prenderà cura della città.
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    Vorrei che ci chiedessimo
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    che cosa dipingerebbe Ambrogio Lorenzetti
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    se dovesse fare questo dipinto oggi.
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    Come sarebbe oggi un'allegoria del buon governo?
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    Io penso che sia un interrogativo urgente,
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    che dobbiamo porci,
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    e al quale dobbiamo iniziare a dare delle risposte.
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    Sappiamo che siamo quello che mangiamo.
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    Dobbiamo arrivare alla consapevolezza che anche il mondo è quello che mangiamo.
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    Ma se facciamo nostra questa idea, possiamo usare il cibo
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    come strumento davvero in grado di disegnare un mondo migliore.
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    Grazie, molte grazie.
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    (Applausi)
Title:
Carolyn Steel: Come il cibo dà forma alle nostre città
Speaker:
Carolyn Steel
Description:

Ogni giorno, in una città come Londra, vengono serviti 30 milioni di pasti. Ma da dove viene tutto quel cibo? L'architetto Carolyn Steel esamina il miracolo quotidiano del nutrire una città, e mostra come le antiche strade del cibo hanno plasmato il mondo moderno.

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Video Language:
English
Team:
closed TED
Project:
TEDTalks
Duration:
15:25
Annalisa Paini added a translation

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