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James Cameron: Prima di Avatar... un ragazzo curioso

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    Sono cresciuto con una dieta ferrea
    a base di fantascienza.
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    Alle superiori prendevo uno scuolabus,
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    un'ora avanti e indietro ogni giorno.
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    Ed ero sempre immerso in un libro,
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    un libro di fantascienza,
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    che portava la mia mente in altri mondi,
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    e soddisfaceva, in forma narrativa,
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    quell'insaziabile senso di curiosità che avevo.
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    E quella curiosità si manifestava anche
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    nel fatto che ogni volta che non ero a scuola
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    ero fuori nei boschi,
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    per escursioni a caccia di campioni,
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    rane, serpenti, insetti e acque stagnanti,
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    li portavo a casa, li osservavo al microscopio.
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    Ero un vero geek della scienza.
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    Ma si trattava sempre di cercare di capire il mondo,
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    comprendere il limiti del possibile.
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    E il mio amore per la fantascienza
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    in realtà sembrava rispecchiare il mondo intorno a me,
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    perché quello che stava succedendo, nei tardi anni '60…
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    stavamo andando sulla luna,
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    esploravamo le profondità degli oceani,
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    Jacques Cousteau entrava nei nostri salotti
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    con i suoi fantastici documentari
    che ci mostravano
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    animali e luoghi e un mondo meraviglioso
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    che prima non avremmo neanche
    potuto immaginare.
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    Quindi, tutto sembrava rinforzare
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    la mia passione per la fantascienza.
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    E io ero un artista.
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    Sapevo disegnare. Sapevo dipingere.
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    E siccome non c'erano videogiochi
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    né questa saturazione di film generati al computer,
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    né tutte queste immagini nel panorama dei media,
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    ho dovuto creare queste immagini nella mia testa.
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    Da bambini, quando leggevamo un libro,
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    tutti dovevamo, tramite la descrizione dell'autore,
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    mettere qualcosa sullo schermo
    delle nostre teste.
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    E quindi, la mia risposta era dipingere, disegnare
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    creature aliene, mondi alieni,
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    robot, navicelle spaziali, tutta questa roba.
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    Alle lezioni di matematica venivo sempre beccato
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    a scarabocchiare dietro il libro di testo.
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    Questo perché la creatività
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    doveva trovare una via d'uscita in qualche modo.
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    Ed è successa una cosa interessante:
    i programmi di Jacques Cousteau
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    mi coinvolgevano molto per il fatto che c'era
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    un mondo alieno proprio qui sulla terra.
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    Magari non sarei mai andato in un mondo alieno
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    su una navicella spaziale.
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    Sembrava molto improbabile.
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    Ma quello era un mondo dove potevo andare per davvero,
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    proprio qui sulla terra, più ricco ed esotico
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    di quello che avrei mai potuto immaginare
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    leggendo questi libri.
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    Quindi, ho deciso che sarei diventato un sommozzatore
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    all'età di 15 anni.
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    E l'unico problema era che vivevo
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    in un piccolo paese del Canada,
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    a 600 miglia dall'oceano più vicino.
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    Ma non mi sono lasciato scoraggiare.
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    Ho assillato mio padre finché ha trovato
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    una scuola di immersioni a Buffalo, New York,
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    appena passato il confine da dove vivevamo.
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    E sono quindi riuscito a prendere il certificato
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    in una piscina della YMCA in pieno inverno
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    a Buffalo, New York.
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    E non avrei visto l'oceano, il vero oceano,
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    per altri due anni,
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    finché non ci trasferimmo in California.
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    Da allora, negli ultimi…
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    40 anni,
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    ho trascorso circa 3.000 ore sott'acqua,
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    e 500 di queste ore in sommergibili.
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    E ho imparato che le profondità dell'oceano,
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    anche gli oceani poco profondi,
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    sono ricchi di vita sorprendente
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    che realmente va al di là della nostra immaginazione.
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    L'immaginazione della natura è senza confini
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    rispetto alla nostra
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    limitata immaginazione umana.
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    Ancora oggi, sono intimorito
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    da quello che vedo quando faccio le immersioni.
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    E la mia storia d'amore con l'oceano continua,
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    più forte di quanto non lo sia mai stata.
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    Ma quando ho scelto una carriera, da adulto,
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    ho scelto di fare film.
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    Sembrava essere il miglior modo per conciliare
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    questa smania di raccontare storie
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    con la smania di creare immagini.
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    E, da ragazzo, disegnavo costantemente fumetti e così via.
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    Quindi fare film era l'unico modo
    per mettere insieme immagini e storie.
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    Tutto tornava.
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    E ovviamente le storie che ho scelto di raccontare
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    erano storie di fantascienza: "Termintator", "Aliens"
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    e "The Abyss".
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    E con "The Abyss" ho unito il mio amore
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    per le profondità e le immersioni
    con la realizzazione di un film.
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    Quindi, ho fuso le due passioni.
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    Da "The Abyss" è venuto fuori qualcosa di interessante
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    che era risolvere uno specifico problema narrativo
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    in quel film,
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    cioè creare quella sorta di creatura d'acqua liquida…
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    abbiamo adottato l'animazione generata con il computer.
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    E così è nato il primo personaggio
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    a superficie morbida e animato a computer
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    che si fosse mai visto in un film.
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    E anche se il film non ha fatto molti soldi,
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    direi che a malapena si è ripagato,
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    sono stato testimone di qualcosa di straordinario,
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    tutto il pubblico era ipnotizzato
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    da questa apparente magia.
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    Sapete, è la legge di Arthur Clarke
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    per cui ogni tecnologia sufficientemente avanzata è indistinguibile dalla magia.
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    Stavano vedendo qualcosa di magico.
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    E questo mi ha emozionato molto.
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    E ho pensato: "Fantastico, questa è una cosa che deve essere adottata
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    nell'arte cinematografica".
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    Allora, con "Terminator 2", il mio film successivo,
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    siamo andati molto oltre.
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    Lavorando con la Industrial Light and Magic, abbiamo creato il tizio di metallo liquido
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    in quel film. Il successo dipendeva
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    da come avrebbe funzionato quell'effetto.
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    E ha funzionato. E abbiamo di nuovo creato una magia.
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    E abbiamo ottenuto lo stesso risultato con un pubblico.
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    Però abbiamo guadagnato un pò di più con quel film.
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    Quindi, tracciando una linea tra questi due punti
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    di esperienza,
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    sono arrivato alla conclusione che questo sarebbe stato un mondo tutto nuovo,
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    era un mondo tutto nuovo di creatività
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    per gli artisti del cinema.
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    Qundi, ho messo in piedi una società con Stan Winston,
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    il mio caro amico Stan Winston,
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    che era il principale truccatore e designer di creature
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    in quel periodo, e l'abbiamo chiamata Digital Domain.
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    E il principio della società era
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    lasciarci alle spalle il passato,
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    i processi analogici delle stampanti ottiche e così via,
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    e andare direttamente alla produzione digitale.
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    E così abbiamo fatto e ci ha dato un vantaggio competitivo per un po'.
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    Ma siamo rimasti indietro a metà degli anni '90
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    nella parte di progettazione di creature e personaggi,
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    che è ciò per cui avevamo fondato la società.
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    Allora, ho scritto questo testo intitolato "Avatar"
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    con l'intenzione di spingere al massimo
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    sugli effetti visivi,
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    generati al computer,
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    con personaggi umani emotivi e realistici
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    generati al computer,
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    e tutti i personaggi principali generati al computer
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    e l'intero mondo generato al computer.
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    E il tutto è stato rimandato al mittente.
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    I ragazzi della società mi hanno detto
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    che non saremmo stati in grado di farlo per un pò.
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    Così, l'ho accantonato e ho fatto questo film di una grossa nave che affonda.
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    (Risate)
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    Allo studio l'ho buttata lì come un "Romeo e Giulietta su una nave".
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    Sarebbe stata una storia d'amore epica,
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    un film passionale.
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    Segretamente, quello che volevo fare era
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    immergermi per vedere il relitto del "Titanic".
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    Ecco perché ho fatto quel film.
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    (Applausi)
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    Ed è la verità. Lo studio non lo sapeva.
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    Ma li ho convinti. Ho detto:
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    "Ci immergeremo verso il relitto. Lo riprenderemo dal vivo.
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    Lo useremo per l'inizio del film.
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    Sarà molto importante. Sarà un gancio di marketing fantastico".
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    E li ho convinti a finanziare una spedizione.
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    (Risate)
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    Sembra pazzesco. Ma questo ci riporta indietro
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    all'immaginazione che crea la realtà.
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    Perché abbiamo veramente creato una realtà e sei mesi dopo
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    mi sono ritrovato su un sommergibile Russo
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    a due miglia e mezza di profondità nell'Atlantico del Nord,
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    a guardare il vero Titanic da un oblò,
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    non in un film, non in alta definizione, ma per davvero.
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    (Applausi)
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    Sono rimasto sbalordito.
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    E ci è voluta un sacco di preparazione, abbiamo dovuto costruire cineprese
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    e luci e un sacco di altre cose.
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    Ma sono rimasto fulminato
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    da quelle immersioni profonde,
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    era come una missione spaziale.
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    Dove tutto era altamente tecnico
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    e si richiedevano enormi pianificazioni.
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    Vi mettete in questa capsula, andate giù in questo buio
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    ambiente ostile
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    dove non ci sono speranze di essere salvati,
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    da cui non potete tornare indietro da soli.
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    E ho pensato: "Fantastico. È come vivere
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    in un film di fantascienza.
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    È davvero fantastico".
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    E quindi, sono stato affetto dal morbo dell'esplorazione delle profondità dell'oceano.
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    Certo, la curiosità, la componente scientifica.
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    Era tutto. Era avventura.
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    Era curiosità. Era immaginazione.
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    Ed era un'esperienza che
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    Hollywood non mi poteva offrire.
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    Certo, potevo immaginare una creatura e
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    creare un effetto visivo. Ma non potevo immaginare quello che vedevo
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    fuori dall'oblò.
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    Nelle nostre successive spedizioni
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    ho visto creature con aperture idrotermali
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    e, a volte, cose che non avevo mai visto prima,
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    cose che nessuno aveva mai visto prima,
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    che in realtà non erano neanche descritte dalla scienza
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    all'epoca in cui le abbiamo viste e immaginate.
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    Quindi ero tutto preso da questo
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    e dovevo fare di più.
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    Allora ho preso una decisione curiosa.
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    Dopo il successo di "Titanic",
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    ho detto: "OK, metto da parte il mio lavoro quotidiano
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    di regista di Hollywood,
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    e faccio l'esploratore a tempo pieno per un po' ".
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    Così, abbiamo cominciato a pianificare
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    queste spedizioni.
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    Ci siamo ritrovati ad andare al Bismark
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    ed esplorarlo con veicoli robotizzati.
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    Siamo tornati al relitto del Titanic.
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    Abbiamo preso piccoli robot che avevamo creato
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    con avvolta della fibra ottica.
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    E l'idea era di andare dentro e fare un sopralluogo
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    interno della nave, che non era mai stato fatto.
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    Nessuno aveva mai guardato all'interno del relitto. Non avevano i mezzi per farlo,
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    abbiamo quindi creato la tecnologia per farlo.
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    Allora eccomi qua sul ponte
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    del Titanic, seduto in un sommergibile,
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    osservando le assi che sembravano proprio come queste,
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    dove sapevo che avevano suonato i violinisti.
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    E sto guidando un piccolo veicolo robotizzato
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    attraverso il corridoio della nave.
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    Quando lo dico, lo sto guidando,
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    ma la mia mente è nel veicolo.
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    Mi sembrava di essere fisicamente presente
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    all'interno del relitto del Titanic.
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    Ed è stata l'esperienza dejà vu
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    più surreale che abbia mai vissuto,
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    perché già prima di girare l'angolo sapevo
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    cosa ci sarebbe stato dietro, prima che le luci
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    del veicolo lo rivelassero,
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    perché avevo percorso il set per mesi
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    girando il film.
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    E il set era basato su una replica esatta
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    del modello della nave.
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    Quindi fu un'esperienza assolutamente straordinaria.
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    E mi ha veramente fatto rendere conto che
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    nell'esperienza della telepresenza
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    che si può sperimentare tramite questi avatar robot,
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    la mente è iniettata nel veicolo,
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    in quest'altra forma di esistenza.
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    È stato veramente molto profondo.
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    E potrebbe essere un piccolo assaggio di quello che potrebbe succedere
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    tra qualche decennio
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    quando cominceremo ad avere dei cyborg
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    per le esplorazioni o per altri motivi
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    in qualche tipo di
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    futuro post-umano
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    che posso immaginare,
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    da amante della fantascienza quale sono.
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    Quindi, abbiamo fatto queste spedizioni,
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    e cominciato realmente ad apprezzare ciò che c'era là sotto,
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    come le aperture delle profondità dell'oceano
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    dove c'erano questi animali staordinari.
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    In sostanza, sono alieni proprio qui sulla terra.
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    Vivono in un ambiente di chemosintesi.
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    Non sopravvivono in un sistema
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    basato sulla luce del sole come facciamo noi.
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    Quindi, si vedono animali che vivono vicino a
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    a correnti d'acqua
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    a 500 gradi centigradi.
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    Sembra persino impossibile che esistano.
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    Allo stesso tempo
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    mi stavo interessando molto anche alla scienza spaziale,
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    ancora una volta, è l'influenza della fantascienza, da ragazzo.
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    E sono finito
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    nell'ambiente spaziale,
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    veramente coinvolto con la NASA,
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    seduto nel consiglio consultivo della NASA,
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    a pianificare missioni spaziali,
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    andare in Russia, passare per il protocollo biomedico
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    del pre-cosmonauta,
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    e tutte queste cose,
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    fino a volare alla stazione spaziale internazionale
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    con le nostre telecamere 3D.
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    È stato affascinante.
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    Ma quello che ho finito per fare è stato portare gli scienziati spaziali
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    con noi negli abissi.
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    E portarli giù perché potessero avere accesso…
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    astrobiologi, scienziati planetari,
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    gente interessata a questi ambienti estremi,
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    portarli giù e permettere loro di vedere,
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    prendere campioni, testare strumenti e così via.
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    Quindi, stavamo girando dei documentari,
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    ma in realtà facevamo la scienza,
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    la scienza spaziale.
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    Avevo chiuso l'anello
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    tra l'essere fan di fantascienza,
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    da ragazzo,
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    a fare quelle cose per davvero.
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    E sapete, durante questo percorso
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    di scoperta,
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    ho imparato molto.
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    Ho imparato molto di scienza. Ma ho anche imparato molto
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    sulla leadership.
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    Tutti pensano che un regista debba essere un leader,
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    il capitano della nave, o qualcosa del genere.
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    Io non sapevo niente di leadership
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    prima di fare tutte quelle spedizioni.
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    Perché a un certo punto ho dovuto dire:
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    "Cosa sto facendo qui fuori?
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    Perché lo sto facendo? Che cosa ne ricavo?"
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    Non si guadagna niente a fare tutti questi spettacoli.
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    A malapena andiamo in pari. Non c'è fama.
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    La gente pensa quasi che me ne sia andato
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    tra "Titanic" e "Avatar" e che mi stessi girando i pollici
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    seduto su qualche spiaggia.
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    Ho fatto tutti questi film, tutti questi documentari
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    per un pubblico così limitato.
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    Nessuna fama, nessuna gloria, niente soldi. Cosa sto facendo?
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    Lo sto facendo per il compito in sé,
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    per la sfida –
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    e l'oceano è la sfida più grande che esista,
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    per il brivido della scoperta,
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    e per quello strano legame che si instaura
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    quando un piccolo gruppo di persone forma un team profondamente compatto.
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    Perché facevamo tutto con 10-12 persone,
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    lavorando insieme per anni.
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    Qualche volta in mare per 2-3 mesi di fila.
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    E in quel legame, ci si rende conto
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    che la cosa importante
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    è il rispetto che si ha per loro
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    e che loro hanno per te, quando hai terminato un compito
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    che non puoi spiegare a nessun altro.
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    Quando si torna a terra e si spiega:
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    "Abbiamo dovuto fare questo, e la fibra ottica, e l'attenuazione,
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    e questo e quello,
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    tutta la tecnologia, e la difficoltà,
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    gli aspetti della perfomance umana quando si lavora in mare…
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    non lo si può spiegare. È quella cosa che
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    forse hanno solo i poliziotti o i soldati che hanno vissuto qualcosa insieme
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    e sanno che non potranno mai spiegarlo.
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    Creare un legame, creare un legame di rispetto.
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    Quando sono tornato per fare il mio film successivo,
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    cioè "Avatar"
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    ho cercato di applicare lo stesso principio di leadership
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    ossia rispettare il team
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    e in cambio guadagnarmi il loro rispetto.
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    È veramente cambiata la dinamica.
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    E quindi eccomi qui ancora una volta con un piccolo gruppo,
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    in territorio inesplorato
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    a fare "Avatar" con tecnologie nuove
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    che non esistevano prima.
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    Terribilmente emozionante.
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    Tremendamente impegnativo.
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    E siamo diventati una famiglia, nell'arco di quattro anni e mezzo.
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    E ha cambiato completamente il mio modo di fare film.
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    La gente ha commentato dicendo che
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    ho preso gli organismi dall'oceano
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    e li ho messi sul pianeta Pandora.
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    Per me, era l'essenza del modo di fare business,
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    il processo in sé, che era cambiato.
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    Cosa possiamo trarne allora?
  • 15:22 - 15:25
    Quali sono le lezioni che abbiamo imparato?
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    Credo che la prima sia
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    la curiosità.
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    È la cosa più potente che possediamo.
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    L'immaginazione è una forza
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    che può realmente manifestare una realtà.
  • 15:39 - 15:43
    E il rispetto del gruppo
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    è più importante di
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    di tutti gli allori del mondo.
  • 15:48 - 15:50
    Giovani registi
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    vengono da me e mi dicono: "Dammi qualche consiglio per fare questo".
  • 15:54 - 15:58
    E io rispondo: "Non ponetevi limiti.
  • 15:58 - 16:00
    Altre persone lo faranno per voi, non fatelo da soli,
  • 16:00 - 16:02
    non scommettete contro voi stessi.
  • 16:02 - 16:04
    E correte rischi".
  • 16:04 - 16:07
    Alla NASA si dice sempre questa frase:
  • 16:07 - 16:09
    "L'errore non è contemplato".
  • 16:09 - 16:12
    Ma l'errore deve essere un'opzione
  • 16:12 - 16:15
    nell'arte e nell'esplorazione, perché è come fare un salto nel vuoto.
  • 16:15 - 16:17
    E nessun importante tentativo
  • 16:17 - 16:19
    che ha richiesto innovazione
  • 16:19 - 16:21
    è stato fatto senza rischi.
  • 16:21 - 16:24
    Dovete essere disposti a correre questi rischi.
  • 16:24 - 16:26
    Questo è il pensiero con cui voglio lasciarvi,
  • 16:26 - 16:29
    cioè che in qualsiasi cosa facciate,
  • 16:29 - 16:32
    l'errore è un'opzione,
  • 16:32 - 16:35
    ma la paura no. Grazie.
  • 16:35 - 16:46
    (Applausi)
Title:
James Cameron: Prima di Avatar... un ragazzo curioso
Speaker:
James Cameron
Description:

I film costosi (e sempre più costosi) di James Cameron creano mondi irreali dal nulla. In questa chiacchierata intima, Cameron rivela il proprio fascino per il fantastico – dalle letture di fantascienza alle immersioni -- e come, alla fine, esso abbia portato al successo i suoi campioni di incassi "Aliens", Terminator", "Titanic" e "Avatar".

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English
Team:
closed TED
Project:
TEDTalks
Duration:
16:47
Elena Montrasio edited Italian subtitles for Before Avatar ... a curious boy
Elena Montrasio edited Italian subtitles for Before Avatar ... a curious boy
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Anna Cristiana Minoli added a translation

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