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Che cosa ci riveleranno
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le neuroscienze applicate
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sul futuro del pensiero umano?
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Quando ho cominciato a riflettere
su che cosa avrei voluto
raccontare su questo tema,
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l'immagine esatta che si è
visualizzata nel mio cervello
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è quella che vedete alle mie spalle,
ovvero il buio totale,
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che è più o meno quello che si prova
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dieci secondi prima
di uscire su questo palco.
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Poi mi si è aperto uno spiraglio,
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perché chi come me
è cresciuto negli anni Settanta
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ha sempre associato il futuro dell'umanità
e dell'intelligenza artificiale
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ai robot umanoidi,
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a questi esseri di latta,
neanche tanto belli,
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che avrebbero rappresentato, magicamente,
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l'esito del pensiero umano
in qualcosa di superiore.
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Arrivato lì, mi sono di nuovo perso.
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Non riuscivo a trovare lo spiraglio
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per capire che cosa c'entrasse
questa cosa dei robot
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con il mio lavoro attuale.
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Ho consultato il mio filosofo
di riferimento,
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che si chiama Gennady Pietro Ubiali,
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ha otto anni,
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e per mia fortuna vive con me,
perché è mio figlio.
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È un filosofo italo-russo
che ancora non è così famoso.
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A un certo punto,
-
mentre io mi dibatto
in questo groviglio di pensieri,
-
lui viene da me,
mi guarda con una certa pietà
-
e io gli dico:
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"Senti Gennady, mi devi aiutare:
-
ma noi, nel futuro dell'umanità,
che cos'è che insegneremo ai robot?".
-
E lui, senza la minima esitazione,
mi dice "Le buone maniere".
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Poi prende e se ne va,
-
perché ovviamente un bambino di otto anni
ha uno span di attenzione di una zanzara,
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e quindi mi abbandona di nuovo.
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Rimango solo con me stesso,
ma mi si è accesa un'altra luce:
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sì, perché se quello
che insegneremo ai robot,
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se la parte essenziale del pensiero umano
che vorremmo trasferire ai robot
-
fosse veramente come dice
il mio filosofo di riferimento,
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l'empatia, le buone maniere presuppongono
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che voi sappiate leggere in anticipo
i sentimenti del vostro interlocutore.
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Ci ho visto un collegamento.
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Io ho un grande privilegio:
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sono co-founder
e amministratore di un'azienda
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che tutti i giorni si occupa
di neuroscienze applicate.
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Immaginate un'azienda
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che passa il suo tempo
in giro per il mondo
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a raccogliere dati neurologici
-
su esseri umani che fanno
esperienze nella vita reale:
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guidano un'auto, prendono un aereo,
vanno in un bosco, mangiano un piatto.
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E io ho una poltrona
di prima fila, strepitosa.
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L'inghippo nasce dal fatto
che io sono laureato in filosofia,
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quindi sono co-founder
di un'azienda che fa neuroscienza
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e non capisco niente di neuroscienza.
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Non è esattamente così:
però sono l'unico filosofo nella stanza.
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È un vantaggio o uno svantaggio?
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Quando mio figlio mi dice
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che secondo lui il futuro
dell'intelligenza artificiale,
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e del pensiero umano,
-
è il trasferimento della capacità empatica
-
e della capacità umana
di provare emozione,
-
improvvisamente mi rendo conto
-
che la poltrona su cui io sono seduto
è una poltrona privilegiata,
-
perché ho il posto in prima fila
-
su quello che, durante
la sua gloriosa carriera,
-
Alan Turing a un certo punto
postula, quando dice:
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"Dalla materia nasce la coscienza".
-
Pensate, io sto seduto
tutti i giorni in prima fila
-
e guardo le neuroscienze
applicate che misurano -
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potrei allungare la mano
e mettere il dito,
-
non me lo fanno fare
perché non hanno stima di me in azienda,
-
però potrei allungare la mano,
e toccare con un dito,
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quel luogo misterioso del nostro cervello
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in cui dalla materia nasce,
-
attraverso un'attività chimica, elettrica,
-
quello che noi chiamiamo
la Coscienza, il Pensiero.
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Finalmente cominciavo a intravedere
-
il senso profondo del mio guru Gennady,
-
perché mi sono reso conto che, forse,
-
quello che le neuroscienze applicate,
-
che noi portiamo in giro
per tutto il pianeta oggi,
-
potevano insegnarci sul futuro
del pensiero degli uomini
-
era qualcosa di veramente nuovo
da raccontarvi.
-
Allora, entusiasta di questa trovata,
-
ho condiviso questo pensiero
con i neuroscienziati del nostro team.
-
Destando grande sconforto,
-
perché quando mi sono rivolto
ai neuroscienziati del nostro team,
-
ho detto:
-
"Bene, ma allora che cosa stiamo capendo
di questo ammasso complesso
-
che secondo gli ultimi articoli
della letteratura neuroscientifica
-
è in grado di computare
-
come un computer quantico
a sei, otto dimensioni?
-
Ragazzi, devo andare su un palco
a raccontare al mondo, attraverso TEDx,
-
che cosa tiriamo fuori da lì
sull'essenza del pensiero umano.
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E questi mi hanno detto:
"Sostanzialmente nulla per adesso, Mario".
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Allora, per dimostrare
-
che i soldi dei miei genitori
non erano andati completamente sprecati,
-
sono tornato a quella poltrona
di cui viparlavo.
-
Mi sono cioè domandato
-
se in realtà il problema di fondo on fosse
-
che quando voi misurate
la complessa attività neuroelettrica
-
di quell’ammasso assolutamente intricato
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di tessuti, di cellule -
chiamateli come volete -
-
quando voi siete lì
e state misurando quello,
-
forse spiegare come quello funziona,
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e come da quella materia, diceva Turing,
"si origina il vostro pensiero",
-
richiede qualcosa di diverso.
-
Allora, facendo ricorso
ai soldi ben spesi dai miei genitori,
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mi sono rivolto a questo signore,
che è l'altro mio filosofo di riferimento:
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un pochino più vecchio -
questo potrei averlo come nonno -
-
quell'altro è mio figlio.
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Questo signore si chiama Martin Heidegger.
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Per chi ha crisi di insonnia,
è una cura ideale.
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Seriamente parlando,
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è un grande filosofo del Novecento,
un uomo molto controverso.
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Ma l'aiuto che gli chiediamo oggi
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per figurarci come
le neuroscienze applicate
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possono insegnarci qualcosa sulla natura
del futuro del nostro pensiero,
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ci viene da una sua rarissima,
e divertentissima intervista del 1954,
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che trovate su YouTube se vi interessa.
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Va in televisione alla fine
di una carriera lunghissima, brillante:
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ha scritto libri
-
che richiedono altri libri
per essere interpretati,
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e dice una cosa che passa ovviamente
sotto un silenzio assordante.
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Dice: "Ci sono due tipi di pensiero umano.
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Un pensiero è il pensiero
cosiddetto degli enti".
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I filosofi hanno questa
difficoltà a parlar chiaro.
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"Il pensiero degli enti",
ci dice Heidegger,
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"sarebbe il pensiero
che serve a capire le cose",
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La meccanica delle cose:
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lui lo associa al pensiero
scientifico-tecnologico.
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Lui dice che sì, questa roba qui
la sanno fare tutti gli esseri umani,
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sono capaci tutti.
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Non dimenticatevi che qui stiamo parlando,
per esempio, di Intelligenza Artificiale.
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Forse una lampadina già si sta accendendo.
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Il pensiero degli enti,
le regole con cui operare sulle cose,
-
è un pensiero che è facile
da insegnare a una macchina.
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Poi, però, siccome Heidegger
è un po' sadico,
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e questo chi ha studiato
filosofia lo sa bene,
-
basta fare un esame
di Ermeneutica filosofica,
-
aggiunge con grande nonchalance
che c'è un secondo tipo di pensiero.
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Lui dice: "Guardate,
-
questo è un pensiero
ben più difficile da praticare.
-
Lo praticano in pochissimi
tra tutti gli esseri umani".
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Pensate un po' questo,
-
che dice 'sta roba
in televisione, no, e dice:
-
"Quest'altro pensiero
è il pensiero delle essenze.
-
Il pensiero delle essenze,
-
il pensiero che serve
a comprendere il senso delle cose".
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Già così non è proprio
una cosa palatabile.
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Giusto per rendere le cose
un po' più complicate -
-
però abbiate pazienza con me,
-
poi lo mettiamo lì e lo riprendiamo
tra qualche minuto -
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il buon Heidegger dice:
-
"Ecco, questo tipo di pensiero
che vi sto raccontando ora,
-
quello delle essenze,
è un pensiero poetico".
-
Lasciamola lì.
-
Venite a fare una passeggiata con me,
-
e ricordatevi che ci sono
due tipi di pensiero:
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sposate la tesi Heideggeriana.
-
Immaginate di essere in montagna.
-
Immaginate, per vostra sfortuna,
di avere dormito in un bellissimo chalet,
-
vicino a un bosco,
-
con un team di neuroscienziati.
-
Vi svegliate alla mattina,
-
vi vestite per fare
una passeggiata comoda,
-
e noi vi mettiamo in testa
un elettroencefalogramma
-
e decidiamo di registrare
tutta la vostra attività neurologica
-
mentre fate questa passeggiata.
-
Uscite, vi investe l'aria fresca.
-
Avete le dita ancora un po' intirizzite,
-
la rugiada del mattino
è sui prati intorno a voi.
-
C'è un sentiero che porta al bosco,
avanti cento metri,
-
e camminando sentite
il rumore della ghiaia
-
sotto i vostri scarponcini.
-
Il sole sta sorgendo,
il cielo è già chiaro.
-
Voi vi avviate.
-
Quando entrate nel bosco,
come spesso accade in montagna,
-
c'è una leggera inversione termica:
-
nel bosco fa un po' più caldo,
i rumori si attutiscono lievemente;
-
ma i vostri sensi, improvvisamente,
sembrano misurare tutto meglio e di più.
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Il rumore sotto i piedi è cambiato
perché ci sono delle foglie secche,
-
degli aghi.
-
Nell'aria ci sono aromi
sprigionati dalle resine, dalle piante.
-
Le dita si sono scaldate,
-
la vostra pelle
comincia a sudare leggermente:
-
abbassate la zip della giacca.
-
I primi uccelli del mattino
agitano dei rami.
-
Ne entite il suono, il fruscio:
li sentite cinguettare.
-
Più avanti sul sentiero,
un animale attraversa:
-
voi non avete capito qual è,
ma avete capito che non è pericoloso.
-
Se voi tornaste da questa passeggiata,
diciamo dopo un'oretta,
-
e la nostra equipe trasferisse
i dati che ha registrato,
-
per cominciare ad esaminarli,
-
che cosa vedremmo?
-
Vedremmo che tutto quello
che è accaduto nel vostro cervello
-
nell'arco di quell'esperienza -
-
e badate bene, questo era un esempio:
-
avrei potuto parlarvi
-
di qualunque esperienza
voi stiate facendo,
-
compresa quella che fate ora ascoltando -
-
avremmo visto una cosa molto interessante,
-
cioè che nel coacervo di dati
-
che noi abbiamo raccolto
sul vostro cervello
-
ce n'è una parte che si origina
dalla corteccia superiore
-
che si occupa dei processi cognitivi,
razionali, linguistici -
-
quello che voi, nella vostra
abitudine quotidiana,
-
tendete a pensare sia il vostro pensiero:
-
"Ah, fammi vedere cosa ho pensato!".
-
È un po' più complicato di così,
-
perché il nostro team, quando io ho detto:
-
"Ragazzi, ma cosa stiamo scoprendo
sul pensiero profondo?",
-
mi hanno risposto "Nulla".
-
In realtà quello che loro vogliono dire
-
è che noi stiamo entrando
in una nuova era,
-
perché sotto la corteccia di quei pensieri
ci sta un'altra categoria di pensiero
-
che è una risposta profonda,
istintiva, non controllata
-
che il vostro cervello ha
a qualunque stimolo esterno.
-
Aspettate, è ancora meglio di così,
diventa ancora meglio di così:
-
il vostro cervello risponde
in maniera diversa
-
a seconda della natura degli stimoli
dell'ambiente che lo circonda,
-
secondo un principio
-
che più lo studiamo,
più sembra assomigliare
-
a quello che in fisica quantistica
viene chiamato entanglement.
-
Nel principio dell'entanglement,
la fisica quantistica dice
-
che se noi separiamo
-
due particelle subatomiche
provenienti dallo stesso atomo,
-
e ne mettiamo una a Ginevra
e una a Londra,
-
quando imprimeremo lo spin
ad una delle due,
-
l'altra, istantaneamente,
subirà lo stesso spin.
-
Questa misteriosa interconnessione
-
adesso prendetela e trasferitela
sul rapporto tra il vostro cervello -
-
che incidentalmente, vorrei ricordarvi,
-
è fatto della stessa identica materia
-
di cui è fatto tutto l'universo
che ci circonda –
-
e quell'universo.
-
E allora, forse,
-
quello che noi stiamo scoprendo
con le neuroscienze applicate ogni giorno
-
non è conclusivo,
non è facile, non è lineare,
-
e richiede un salto di paradigma.
-
Per tutti gli ultimi 300 anni,
almeno, della nostra storia,
-
noi abbiamo salito una scala
per andare in alto.
-
Ci sembrava che il pensiero umano,
e il futuro del pensiero umano,
-
dovesse essere il futuro radioso
della logica più raffinata,
-
della cristallizzazione
dei migliori principi.
-
E salivamo questa scala.
-
E poi, a un certo punto
arriva uno come Wittgenstein
-
che dice "Ragazzi, abbiamo costruito
una scala favolosa.
-
Peccato che quando siamo stati in alto là,
-
la scala è cascata
e non riusciamo più a tornare giù".
-
Poi arriva un altro pazzo
che si chiama Gödel,
-
matematico amico di Einstein -
-
Einstein disse "Io vado a lavorare a piedi
da casa mia all'ufficio di Stanford
-
solo per poter camminare insieme a Gödel".
-
Quindi, se Einstein aveva
questa stima di Gödel,
-
potremmo dargli retta per due minuti.
-
Gödel a un certo punto postula la teoria,
il teorema dell'incompletezza,
-
dice cioè che il sistema matematico
non è autosufficiente, non è conchiuso,
-
ha bisogno di un modello esterno
per stare in piedi.
-
Ma cosa c'entra questo
con le neuroscienze?
-
Cosa c'entra questo col nonno Heidegger?
-
C'entra tantissimo.
-
C'entra tantissimo,
perché quello che noi stiamo scoprendo
-
non è "su".
-
Non è il pensiero
che ci arrabattiamo tutti
-
a ragionare di trasferire nelle macchine.
-
Quello è il pensiero degli enti:
-
se il buon vecchio Heidegger
fosse ancora vivo
-
ci darebbe uno scappellotto e ci direbbe:
-
"Non hai capito niente! Quello è
il pensiero degli enti, è roba facile!".
-
I robot possono già
assemblare un'automobile,
-
o far volare un aereo,
-
anche se l'idea non vi piace molto.
-
Ma che cos'è che ci rende umani?
-
Qual è la parte del pensiero
che dobbiamo riscoprire?
-
Non sarà per caso
-
che la parte del pensiero
che dobbiamo riscoprire sta "giù"?
-
Ma non è un "giù" qualitativo!
-
Non sarà per caso
che la parte del pensiero
-
che dobbiamo veramente
riscoprire come umana
-
è quella risposta profonda, istintiva,
emotiva, mnemonica, biologica -
-
tanto potete usare
tutti gli aggettivi che volete,
-
ma finché non fate il salto di paradigma,
finché non girate il tavolo,
-
non lo vedrete mai nella sua interezza.
-
Con la neuroscienza applicata
noi stiamo scoprendo solo un poco
-
questo intricato rapporto
di interconnessione
-
tra come il nostro cervello
risponde all'universo
-
e quello che quell'universo è.
-
E più andiamo avanti, e più lo scopriamo,
-
e più scopriamo che se noi leggiamo
l'essere umano in trasparenza,
-
siccome lui è fatto
dell'universo che c'è intorno,
-
quel pensiero che rispecchia l'universo
non richiede uno sforzo cognitivo.
-
Adesso avete capito perché Heidegger dice
-
che quell'altro tipo
di pensiero è poetico?
-
Perché quando dice poetico
lui vuole dire –
-
e lo dice in un altro suo libro -
-
"La verità di una cosa
succede nella mia testa,
-
come un raggio di sole
entra in una radura".
-
Il nostro lavoro di esseri umani
nella neuroscienza applicata
-
si sta rivelando profondamente filosofico
-
perché ci sta costringendo
a scoprire una interconnessione
-
per la quale non è sufficiente
la neuroscienza,
-
non è sufficiente il paradigma
della psicologia cognitiva,
-
non è sufficiente la fisica quantistica:
-
nessuna delle discipline,
da sola, sarà sufficiente
-
a capire qualcosa in più
e a gettare una luce.
-
Eppure, l'appello che io vorrei farvi,
-
sulla base del lavoro
che noi facciamo quotidianamente
-
è prima di tutto un appello umano.
-
Andando via da qui,
-
la mia preghiera
è la preghiera di ricordarvi
-
che prima di porci il problema
-
di cosa insegneremo ai robot,
di cosa trasferiremo sulle macchine,
-
di quale sarà il futuro
-
della meravigliosa, mirabolante
intelligenza artificiale,
-
non sarebbe affatto male
-
se ci focalizzassimo su quello che è
il nostro pensiero umano.
-
Se accettaste uscendo da qui,
mettendovi a letto stasera
-
e spegnendo la luce -
non voglio rovinarvi la serata -
-
e chiudendo gli occhi,
-
che forse nel vostro cervello
può succedere un miracolo.
-
Ogni istante della vostra vita,
-
il vostro cervello risponde
in maniera sincrona
-
al mondo e all'universo che vi circondano.
-
E sapete qual è la notizia
drammaticamente importante?
-
Che se voi preserverete e salverete
-
questa idea di quello che siete
come esseri umani,
-
dovrete per forza salvare
l'universo che vi circonda.
-
Perché se quell'universo
sarà salvato, e sarà integro,
-
integra sarà la vostra parte più umana.
-
Nel salvare voi stessi,
voi salverete il mondo che vi circonda:
-
però dovrete fare una rivoluzione!
-
Una rivoluzione che, paradossalmente,
-
sta avvenendo dal mondo
delle neuroscienze.
-
Da una di quelle discipline
-
che viene considerata
più scientifica in assoluto.
-
Io penso che questo giorno
non sia così lontano.
-
Penso che questo giorno arriverà.
-
Penso che gli esseri umani
saranno in grado di recuperare
-
questa dimensione
del loro pensiero profondo.
-
E quando lo faranno,
-
un robot a cui nel frattempo
avranno insegnato le buone maniere
-
probabilmente ci offrirà un ottimo drink.
-
Grazie.
-
(Applausi)