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Nathaniel Kahn su "My Architect"

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    Una cosa volevo dirvi sul fare un film -- questo film --
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    pensando ad alcuni dei magnifici discorsi che abbiamo sentito qui,
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    Michael Moschen e alcuni discorsi sulla musica,
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    ovvero quest'idea che esista una linea narrativa
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    e che la musica vive nel tempo.
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    E' lo stesso per un film, è un'esperienza
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    da vivere emotivamente.
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    Nel fare questo film mi sono reso conto di come tanti documentari
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    riguardassero l'imparare,
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    o il sapere essendo diretti da esperti e basati sulle idee.
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    Io volevo che fossero le emozioni a guidare questo film,
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    che doveva seguire il mio viaggio.
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    Così invece di impostarlo sulla presenza di esperti, è composto da episodi,
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    e nel percorso incontriamo delle persone.
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    Le incontriamo una sola volta.
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    Non ritornano, è proprio la cronaca di un viaggio.
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    Un po' come nella vita, quando ci sei dentro
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    non puoi uscirne.
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    Sono due le clip che voglio mostrarvi,
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    una è una specie di pot-pourri
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    composto solo da tre, quattro piccoli momenti
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    con tre persone che sono qui stasera.
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    Non compaiono nel film allo stesso modo,
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    essendo parte di episodi molto più ampi.
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    Si passano la mano splendidamente.
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    E si finisce con una piccola clip di mio padre, Lou,
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    mentre parla di qualcosa che gli era molto caro,
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    ovvero le coincidenze della vita.
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    Credo che per lui le cose più importanti nella vita fossero accidentali,
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    e forse per nulla previste.
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    E a queste clip seguirà una sequenza di quello
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    che forse, per me, è davvero la sua costruzione migliore
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    ovvero quella di Dacca, in Bangladesh.
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    Lì ha costruito l'edificio principale.
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    Io penso che vederlo vi piacerà, non è stato mai stato visto,
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    è stato sì fotografato ma mai ripreso da una troupe.
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    La nostra è stata la prima.
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    Vedrete le immagini di questo edificio straordinario.
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    Quando lo vedete, tenete a mente un paio di cose,
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    che è stato costruito interamente a mano,
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    penso abbiano avuto una gru solo l'ultimo anno.
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    Costruito interamente a mano su ponteggi in bambù,
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    la gente portava i cesti di calcestruzzo sulla testa,
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    e poi li gettava negli stampi.
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    E' l'edificio principale del Paese,
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    ci sono voluti 23 anni per costruirlo,
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    cosa che, pare, renda quella gente molto orgogliosa.
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    Ha richiesto lo stesso tempo del Taj Mahal.
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    Causa un così lungo tempo, Lou non l'ha mai visto finito.
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    E' morto nel 1974.
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    L'edificio è stato terminato nel 1983.
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    Dunque è andato avanti tanti anni
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    dopo la sua morte.
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    Pensate a questo quando lo vedete,
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    talvolta le cose per cui lottiamo tanto nella vita, non le vedremo mai compiute.
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    E questo mi ha colpito molto di mio padre,
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    nel senso che egli credeva fortemente
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    che in qualche modo, facendo quelle cose,
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    e dando alla sua maniera, sentiva che ne sarebbe sortito qualcosa di buono,
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    persino nel bel mezzo di una guerra, quella di allora col Pakistan,
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    mentre la costruzione era totalmente ferma, lui continuava a lavorare,
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    perché pensava, "Bene, quando la guerra finisce
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    avranno bisogno di questo edificio".
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    Dunque, queste sono le due clip che vi mostro.
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    Via col nastro.
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    (Applauso)
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    Richard Saul Wurman: Ricordo che l'ho sentito parlare alla University of Pennsylvania.
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    Sono tornato a casa e ho detto a mio padre e mia madre,
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    "Ho appena incontrato quest'uomo, non ha tanto lavoro,
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    e ha una voce un po' sgradevole, comica,
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    ed è un insegnante.
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    Non ne avete mai sentito parlare ma ricordatevi di oggi
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    perché un giorno sentirete parlare di lui,
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    è davvero un tipo stupefacente."
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    Frank Gehry: Ho sentito che ha avuto una specie di avventura con Ingrid Bergman. E' vero?
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    Nathaniel Kahn: Se l'ha avuta è stato molto fortunato.
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    (Risate)
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    NK: Davvero, ne hai mai sentito parlare?
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    FG: Si, quand'era a Roma.
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    Moshe Safdie: Era un vero nomade.
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    E sai, quando l'ho conosciuto in ufficio,
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    poteva essere che lui arrivava da un viaggio, stava in ufficio,
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    lavorava intensamente per tre giorni e poi prendeva e andava.
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    Sapevamo che sarebbe stato in ufficio lavorando con noi fino alle tre del mattino,
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    e in lui c'era un senso di nomadismo.
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    Penso a questa sua morte tragica in una stazione ferroviaria,
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    una cosa così coerente con la sua vita, sai?
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    Ci penso spesso, al morire su un aereo,
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    o in un aereoporto,
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    o facendo jogging, senza avere addosso i documenti.
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    Non so perché mi colpisce tanto
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    il ricordo di come è morto.
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    Ma in fondo era una specie di nomade.
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    Louis Kahn: Quanto sono davvero casuali le nostre vite
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    e quanto, quanto sono influenzate dalle circostanze!
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    Uomo: Noi siamo i lavoratori che ogni giorno vengono qui
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    e si godono la passeggiata, la bellezza della città e l'atmosfera
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    e questo è il posto più bello del Bangladesh.
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    Noi ne siamo orgogliosi.
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    NK: Orgogliosi?
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    Uomo: Si, è l'immagine nazionale del Bangladesh.
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    NK: Sapete niente dell'architetto?
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    Uomo: Architetto? Ne ho sentito parlare, si,
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    NK: Ecco, io sono qui perché sono suo figlio,
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    lui era mio padre.
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    Uomo: Oh! Suo papà è Louis Farrakhan?
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    NK: Si. Ecco, non Louis Farrakhan, Louis Kahn.
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    Uomo: Si! Louis Kahn!
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    (Risate)
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    Uomo: E suo padre è vivo?
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    NK: No, è morto 25 anni fà.
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    Uomo: Che grande piacere. Bentornato.
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    NK: Grazie.
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    NK: Pop, questo lui non l'ha mai visto finito.
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    No, questo non l'ha mai visto.
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    Shamsul Wares: Costruire per un Paese come il nostro era quasi impossibile.
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    50 anni fà non c'era niente, solo risaie,
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    e quando lo invitammo qui,
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    egli sentì che aveva una responsabilità.
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    Qui lui voleva essere un Mosè, ci ha dato la democrazia.
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    Non come un politico,
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    ma in questa veste lui ci ha dato
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    l'istituzione per la democrazia, dalla quale possiamo elevarci.
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    Per questo è così importante.
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    Non gli è importato quanti soldi avesse questo Paese,
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    o se mai sarebbe stato in grado di finire questo edificio,
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    ma in qualche modo ce l'ha fatta a costruirlo, qui.
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    Questo è il suo più grande progetto, proprio qui, nel Paese più povero del mondo.
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    NK: Gli è costato la vita.
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    SW: Si, ha pagato. Con la sua vita,
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    e per questo è un grande e noi lo ricorderemo.
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    Ma era anche un essere umano,
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    e il suo fallimento nel soddisfare la vita familiare,
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    è qualcosa che, inevitabilmente, si associa alla grandezza.
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    Ma io penso che questo un figlio lo capirà,
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    senza risentimento,
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    senza sentirsi trascurato, io penso.
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    Gli importava, in una maniera particolare,
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    ma ci vuole molto tempo per capirlo questo.
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    In certi aspetti sociali della sua vita
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    era come un bambino, non del tutto maturo.
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    Non diceva mai di no,
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    e per questo, perché lui non sapeva dire di no,
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    noi oggi abbiamo questo edificio.
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    Sai, è il solo modo per capirlo.
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    Non ci sono altre scorciatoie,
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    nessun altro modo per capirlo veramente.
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    Ma io penso che ci ha dato questo edificio
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    e noi pensiamo a lui, sempre,
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    perché, perché lui a noi ha dato amore.
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    A te probabilmente non poteva dare il tipo giusto di amore,
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    ma a noi, alla gente ha dato quello giusto,
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    e questo è importante.
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    Questo lo devi capire.
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    Aveva dentro un amore enorme,
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    amava tutti.
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    E amando tutti, talvolta non vedeva
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    quelli che aveva più vicino,
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    e questo è inevitabile per uomini della sua statura.
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Title:
Nathaniel Kahn su "My Architect"
Speaker:
Nathaniel Kahn
Description:

Nathaniel Kahn condivide con noi alcune clip dal documentario "My Architect", in cui egli cerca di intraprendere una profonda conoscenza di suo padre Louis Kahn, architetto leggendario. E' un film di grande significato, per chiunque voglia capire il rapporto fra arte e amore.

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Video Language:
English
Team:
closed TED
Project:
TEDTalks
Duration:
10:10
Francesca Bertolotto added a translation

Italian subtitles

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