Il valore delle voci dentro le mura di una prigione | Kim Bogucki | TEDxMonroeCorrectionalComplex

Cosa succede quando un detective di Seattle va a visitare una prigione e scopre che non è tutto come si era immaginato?

Il detective Kim Bogucki ha più di 25 anni di esperienza nel Dipartimento di Polizia di Seattle. Recentemente è stata assegnata all'unità di Reinserimento nella Comunità. Ha due obiettivi: aumentare il reinserimento e ridurre il ciclo criminale.
Sei anni fa, Kim ha co-fondato l'If Project dopo aver creato un'alleanza improbabile con i carcerati, che ha portato allo sviluppo di un programma innovativo che usa la scrittura e le esperienze dei carcerati per un cambiamento positivo. Kim ha anche creato un'altra organizzazione no-profit: Tithe One che ha lo scopo di individuare il bullismo per creare delle comunità dove prevale la bontà.

Se

ci fosse stato qualcosa

che qualcuno avrebbe potuto dire o fare
per cambiare il tuo percorso di vita,

cosa sarebbe stato?

Ah, il potere del "se".

Se potessi perdere quei 5 kg!

Se vincessi la lotteria!

Se.

Il "se" può essere una scusa
oppure può dare speranza.

Non ho mai pensato che "se"
potesse essere la chiave

per ridurre le incarcerazioni.

Salve, mi chiamo Kim Bogucki.

Servo da 25 anni
nel Dipartimento di Polizia di Seattle

e sono co-fondatore dell'"If Project".

Ho iniziato questo progetto

con quello che molti considererebbero
un gruppo improbabile.

Poliziotti e detenuti, fianco a fianco
con uno scopo comune:

evitare che i giovani seguano
un percorso verso il carcere.

Lo stiamo ottenendo
condividendo storie ed esperienze.

Vi racconto come è iniziato.

Sei anni fa

mi hanno chiesto di lavorare
con un gruppo di ragazze

le cui madri erano in carcere.

1,7 milioni di bambini negli USA
hanno un genitore in carcere.

Sappiamo che i figli di genitori detenuti

hanno maggiore probabilità
di lasciare la scuola,

abbracciare la delinquenza,
e finire in carcere.

Questo era un gruppo di ragazze
con cui volevo decisamente lavorare.

Ma prima, volevo chiedere
il permesso alle loro madri.

Mi recai al WCCW, il centro
correttivo femminile di Washington State,

per chiedere il permesso

e per rassicurare quelle madri

sul fatto che non avrei detto alle figlie
niente di negativo su di loro

solo perché erano in carcere.

Il mio primo giorno
in quel carcere ero nervosa,

un po' come lo sono oggi.

Non avevo né badge né pistola

e, onestamente, mi sono sentita
estremamente vulnerabile.

Quel giorno mi resterà
impresso nella memoria.

Quando ho attraversato la soglia
per incontrare quelle madri

mi sono fermata un attimo:
non era ciò che mi aspettavo.

Quelle madri assomigliavano a me, a voi,

ai miei amici, alla mia famiglia,
alle persone con cui uscivo,

non a chi ricordavo
di aver arrestato per 20 anni

e non a chi avevo visto
nei reality TV o al telegiornale.

In quel momento compresi

che con le cose
che avevo visto e provato,

avevo dimenticato la cosa più semplice:

che siamo tutti esseri umani.

Quel primo incontro è un po' annebbiato.

L'atmosfera nella stanza, invece,
era decisamente glaciale.

A quelle donne non piaceva la polizia,

ma fu interessante vedere
cosa ruppe il ghiaccio.

Iniziai con domande sui loro figli.

E dissi:

"I vostri figli chiamerebbero la polizia

se fossero vittime di un crimine
o se fossero in pericolo?"

Ed ecco le mamme in azione.

Ci fu una discussione interessante
sulle forze dell'ordine.

MI dissero: "Abbiamo insegnato ai figli
a mentire alla polizia, a odiarla,

a non aprirle la porta,

a non pensare mai alla polizia
come una risorsa".

Non sapevo esattamente come rispondere

ma quello che fecero
cambiò ogni cosa per me.

Cominciarono a parlarmi delle loro vite.

E compresi che qualcosa
era andato storto per loro.

E per caso feci quella
che sarebbe diventata la domanda del "Se":

"Se" ci fosse stato qualcosa
che qualcuno avrebbe potuto dire o fare

per cambiare la strada
che vi ha portate qui, cosa sarebbe stato?

Silenzio...

fu tutto ciò che ottenni

quel giorno.

A mia insaputa

fare quella domanda
ha cambiato le nostre vite per sempre.

Tornai due mesi dopo al WCCW

per un Girl Scouts Pigiama Party
dietro le sbarre.

Ho passato una notte in prigione.

(Risate)

Non voglio ripeterlo

perché non avere un buon caffè la mattina
non fa bene a questa poliziotta.

(Risate)

Una delle detenute, Renata,
venne da me e mi disse:

"Kim, ti ricordi quella domanda
nell'incontro con le madri?"

Mi disse: "Nessuno ce l'ha mai fatta.

Ci chiedono cosa abbiamo fatto,
quanto ci hanno dato.

E se gli importa abbastanza
da chiedere il perché l'abbiamo fatto

rispondiamo nell'immediatezza del crimine:

avevo bisogno di droga,
ho rubato in un 7-Eleven.

Ma mai perché avevo bisogno di droga".

Poi fece qualcosa
che non dimenticherò mai.

Sono passati sei anni
e mi emoziona ancora.

Mi passò un plico di fogli

con le risposte a quella domanda "Se",
scritte a mano

dalle donne del WCCW.

Non so spiegarvi come mi sentii

quando quei fogli passarono
dalle sue mani alle mie.

Posso solo dirvi che fu
uno dei momenti di trasformazione

più importanti della mia vita

e sicuramente della mia carriera.

Quelle risposte erano reali.

Erano schiette, coinvolgenti, pensate.

Erano dolorose.

Non incolpavano nessuno.

Prive di interesse personale.

Quelle donne avevano scritto
quelle risposte

con la speranza che un giovane le avrebbe
lette e avrebbe fatto una scelta diversa,

per non finire in carcere come loro.

E così è nato l'If Project.

Ancora oggi, non riesco a leggere
le risposte dentro la prigione.

Mi emoziono.

Anche i poliziotti piangono.

Abbiamo oltre 3.000 risposte
a quella domanda, scritte a mano,

dai carcerati.

Voglio ringraziare ognuno di voi,

perché alcuni di voi sono qui,

per aver preso carta e penna,

e, a volte, tovagliolo e matita

e per aver risposto alla domanda.

Qualcuno ha idea di quale sia la risposta
più gettonata a quella domanda?

Fuori la voce!

Ruolo dei genitori, affetto, amore.

La risposta numero uno:

nessun adulto che fosse
una figura di riferimento positiva.

Nessuno a guidarmi,

nessuno ad ascoltarmi,

e, a volte, semplicemente,
nessuno è stato gentile con me.

Nessun mentore.

Adesso mi prendo un secondo
per parlare dei mentori.

Per quelli di voi qui
che sono mentori, grazie.

State facendo una differenza enorme.

Per quelli di voi che sono genitori

e pensano di non avere tempo
per fare da mentore.

C'è quel bambino

che ama stare a casa vostra per cena
o passare la notte?

Avete l'opportunità di far loro
da mentore indirettamente.

E per quelli di voi

il cui figlio è a casa di qualcun altro,

fate conoscenza
con chi sta facendo da mentore.

Dobbiamo agire insieme
e dobbiamo fare gioco di squadra.

Nell'evoluzione dell'If Project

ho un team incredibile,

l'If team.

Sono uomini e donne
che in passato sono stati in carcere

per droga, furto o omicidio.

Alcuni non vorrebbero
passare del tempo con un criminale.

Alcuni non vorrebbero nemmeno
passare del tempo con un poliziotto,

quindi questo ci accomuna!

(Risate)

Ma andiamo molto d'accordo,
siamo come una famiglia.

Andiamo nelle comunità
e organizziamo laboratori per i giovani.

E, vi dirò,

quando quell'ex criminale
inizia a raccontare la sua storia

cambia tutto.

In 25 anni di lavoro in polizia

non ho mai visto bambini coinvolgersi,

interessarsi, impegnarsi, darsi da fare

e chiedere aiuto
come in questo progetto.

E quando dico questo progetto,

state certi,

che la magia di questo progetto

è quando quell'ex carcerato
inizia a raccontare la sua storia

dal suo cuore.

Non urla, non grida, quello non funziona.

Dal suo cuore.

Dove è vulnerabile.

Permette a quei bambini
di essere vulnerabili

e aprirsi per condividere
le loro storie e chiedere aiuto.

Cosa vogliamo che i giovani facciano?

Vogliamo che si fermino, sperando
che ascoltino quello che abbiamo da dire,

che pensino a cosa
sta succedendo nelle loro vite

e che facciano delle scelte positive

per non finire sul sedile postriore
della mia auto

o seguire la mia squadra
fino in prigione.

E poi succede un'altra cosa:

quando vedono un poliziotto
e un criminale fianco a fianco

che dicono "Hey, come possiamo noi
aiutare voi?"

questo offusca il confine tra loro-e-noi

che abbiamo creato in società

e crea una comunità,

una comunità
per un cambiamento positivo.

E per chi, nell'If, parla,

quando racconta una storia
e un ragazzo chiede aiuto,

allora vede la speranza.

Prende il negativo
e lo trasforma in positivo.

Intravvede il risvolto positivo
della redenzione.

E può ridare qualcosa
alla comunità

da cui molto probabilmente
ha preso qualcosa.

E per quelli che rimangono in carcere,

è una possibilità per contribuire
e fare la differenza

anche da dietro le sbarre.

Vi racconterò una breve storia
su uno dei ragazzi del team.

Si chiama Dolphy.

Alcuni di voi qui potrebbero
conoscerlo come Blue.

Dolphy, a 16 anni,

è stato condannato a 26 anni
in questo edificio.

Quando Dolphy dice "16 anni e 26"

tutti nella stanza sono in ascolto

e così li ha conquistati.

Con le sue storie riesce a raccontare
cosa ha funzionato per lui.

I libri.

Il potere della conoscenza.

L'istruzione.

E poi va avanti a dire
che dopo 21 anni e 8 mesi

ha fatto due cose.

È uscito,

si è iscritto all'università

ed è entrato nell'If team.

Non solo si è iscritto all'università,

ma si è laureato con lode,

non gli piace dirlo, ma io mi assicuro
che i ragazzi lo sappiano,

con una delle tre medaglie presidenziali.

E adesso lavora in un'agenzia

che aiuta gli ex carcerati
con tossico-dipendenza

a trovare una casa.

Ma per Dolphy non è tutto.

Si è anche iscritto
all'Università di Washington

ed è orgoglioso di dire ai ragazzi
che lui è un Huskie.

Dice ai ragazzi

che la scuola, l'istruzione,
i libri e la conoscenza

sono il modo per fuggire
da ciò che stanno facendo.

E poi c'è questo ragazzo.

Wow.

Non avevamo mai avuto un ragazzo come lui,
o così pensavamo.

Non sapevamo cosa fare con lui.

Non era interessato, non era coinvolto,

e onestamente

mi chiedevo quanto tempo sarebbe passato
prima che finisse in manette.

Poi ricevetti un messaggio.

Diceva: "Hey, vi ricordate di me?"

Certo che ci ricordiamo di te!

(Risate)

Diceva:

"Ero in un incontro dell'If Project
cinque mesi fa

e volevo ringraziarvi.

Sono tornato a scuola il giorno dopo.

Mi diplomo il prossimo mese.

Vi va di venire alla cerimonia?"

(Applausi)

Aveva funzionato!

Aveva funzionato.

Funziona.

Negli USA, in media,

mantenere un adulto in carcere
costa 32.000 $ l'anno.

Nello Stato di Washington
costa 47.000 $ l'anno.

Quando sento dire:
"Chiudeteli dentro e buttate la chiave"

vorrei rispondere: "Aspettate un attimo.

È così che vorreste spendere
i soldi delle vostre tasse?

Non sarebbe meglio spendere

per intervenire, prevenire, istruire,

invece di aspettare
che finiscano in carcere?

Non sarebbe meglio?"

(Applausi)

Il 95% dei detenuti negli USA

escono di prigione.

Il 95% dei carcerati negli USA

tornano nelle comunità.

Non è facile per loro quando escono.

Ne ho accompagnati alcuni.

È come se avessero cucita addosso
una lettera scarlatta.

Noi non possiamo vederla
ma loro la sentono

ogni volta che compilano un modulo
per ottenere un lavoro,

o quando hanno bisogno di una casa.

È possibile guardare oltre l'etichetta
e vedere solo la persona?

Dare loro un lavoro? Una casa?

Due bisogni primari.

Non vi sto dicendo che tutti
debbano uscire di prigione

e non sono qui per giustificare
i crimini commessi

e decisamente non sono qui
per invalidare

quello che la vittima di un crimine
ha provato, ha sentito.

Stiamo cercando di ridurre
il numero queste esperienze.

L'If Project è potente.

Okay, lo ammetto:

amo venire in prigione.

(Risate)

Davvero! Posso tornare a casa
ma amo venire in prigione

e amo parlare con i carcerati.

Sono una fonte inesauribile
di conoscenza e informazioni.

E quando vengo qui e parlo con loro,

senza telefono, senza pager,
senza multi-tasking,

in una conversazione onesta,
concreta, faccia a faccia

che fuori di qui
sta diventando un'arte perduta.

Le cose che ho imparato

dalle persone che sono state in prigione
e che stanno uscendo di prigione

mi hanno cambiata.

Mi hanno resa una persona migliore
e un poliziotto decisamente migliore.

A proposito di poliziotti,

come i detenuti,
anche noi siamo esseri umani.

Io ho avuto conversazioni con ex colleghi

che mi hanno detto
come l'If Project li ha cambiati.

Di recente ho ricevuto
una email alle due del mattino.

"Hey, Kim,

Ero sul sito dell'If Project
e ho visto il tuo video.

Mi ha 'stranamente' commosso".

(Risate)

E io: "Vuol dire che hai pianto?"

(Risate)

È molto difficile trovare un poliziotto

che a un punto della carriera

non ha guardato nel retro dell'auto
di servizio e si è chiesto:

"Cosa diavolo è successo
a questa persona

per finire sul sedile della mia auto?"

E questo progetto ci dà queste risposte.

Ci fa capire meglio
la comunità che serviamo,

e ci rende più compassionevoli
nel lavoro che facciamo,

in servizio e fuori servizio.

Ci sono dei valori
all'interno di queste mura,

nelle storie delle persone
che hanno fatto un percorso

e lo condividono con chi
potrebbe seguire lo stesso percorso.

Vi sto chiedendo
di lasciar andare i pregiudizi

e le paure, solo un po'.

Non è facile, lo so,

ma se può farlo un poliziotto
con 25 anni di servizio, potete provarci?

Dobbiamo smetterla di pensare

ai carcerati come a una fonte di guai

e iniziare a pensarli come risorse,

risorse per risolvere
questa epidemia di massa di incarcerazioni

Allora, cosa potete fare voi?

Uno: diventare un mentore.

Farsi coinvolgere
nella vita di un ragazzo.

Essere presente, mettere via il telefono,
creare un legame, ascoltare.

Farsi coinvolgere dalla vita
di questi ragazzi.

Dare un lavoro a qualcuno
che deve compilare quel modulo.

Dare un rifugio a qualcuno
che deve compilare quel modulo.

E non sottovalutiamo le cose più semplici.

La nostra percezione può cambiare.

Possiamo guardare oltre l'etichetta
e vedere la persona:

quella che è proprio come me e come te.

Grazie.

(Applausi)