Com'era crescere in Cina durante la politica del figlio unico

"La politica cinese del figlio unico è finita nel 2015, ma stiamo iniziando solo ora a capire com'era la vita nell'ambito del programma", dice la TED Fellow e documentarista Nanfu Wang. Servendosi di immagini tratte dal suo documentario "One Child Nation", condivide con noi storie mai raccontate che rivelano le complesse conseguenze di questa politica e smascherano l'insidioso potere della propaganda.

Mi chiamo Nanfu.

In cinese, "nan" significa "uomo"

e "fu" significa "pilastro".

La mia famiglia sperava in un maschio,

che, una volta cresciuto, sarebbe
diventato il pilastro della famiglia.

Quando scoprirono che ero una femmina,

mi chiamarono comunque Nanfu.

(Risate)

Sono nata nel 1985,

sei anni prima che la Cina annunciasse
la politica del figlio unico.

Subito dopo la mia nascita,

le autorità locali ordinarono a mia madre
di sottoporsi a sterilizzazione.

Mio nonno si oppose agli agenti

perché voleva un nipote che portasse
avanti il nome della famiglia.

Alla fine, ai miei genitori fu permesso
di avere un secondo figlio,

ma dovettero aspettare cinque anni

e pagare una pesante sanzione.

Crescendo, io e mio fratello

eravamo circondati da figli unici.

Ricordo che provavo una certa vergogna

ad avere un fratello più piccolo.

Pensavo che la nostra famiglia
avesse fatto qualcosa di sbagliato

ad avere due figli.

Allora non mi chiesi da dove venisse
questo senso di colpa e di vergogna.

Un anno e mezzo fa,
ho avuto il mio primo figlio.

È stata la cosa migliore
che mi sia mai capitata.

Diventare madre mi ha dato
una prospettiva totalmente nuova

sulla mia infanzia

e mi ha fatto ripensare
alla mia giovinezza in Cina.

Negli ultimi trent'anni,

tutti nella mia famiglia hanno dovuto
chiedere al governo l'autorizzazione

per avere un figlio.

Volevo sapere come fosse la vita
durante la politica del figlio unico.

Così, ho deciso di girare
un documentario sull'argomento.

Una delle persone che ho intervistato

era la levatrice che ha fatto nascere
tutti i bambini del mio villaggio,

me compresa.

Aveva 84 anni quando la intervistai.

Le chiesi:

"Si ricorda quanti bambini
ha fatto nascere nella sua carriera?"

Non sapeva il numero esatto.

Disse che aveva praticato

60.000 aborti forzati e sterilizzazioni.

Disse che, a volte,

un feto tardivo sopravviveva all'aborto

e che uccideva il bambino
dopo averlo fatto nascere.

Si ricordava di come le tremavano le mani

mentre lo faceva.

La sua storia mi ha sconvolta.

Quando ho iniziato
a girare il documentario,

mi aspettavo che sarebbe stato
una semplice storia

di carnefici e vittime,

di persone che avevano
messo in atto quella politica

e di persone che dovevano
viverne le conseguenze.

Non è quello che ho visto.

Mentre stavo finendo
la mia intervista con la levatrice,

notai che una parte della sua casa

era decorata con elaborate
bandiere fatte in casa.

Su ciascuna di esse,
c'era la foto di un neonato.

Erano le bandiere
che le avevano inviato le famiglie

che aveva aiutato a risolvere
i problemi di infertilità.

Mi spiegò che ne aveva avuto abbastanza

di aborti e sterilizzazioni

e che l'unico lavoro che faceva ora
era aiutare le famiglie ad avere figli.

Disse che si sentiva in colpa

per aver messo in atto
la politica del figlio unico

e che sperava che, aiutando
le famiglie ad avere figli,

potesse controbilanciare
quello che aveva fatto in passato.

Mi sono resa conto che anche lei
era una vittima di questa politica.

Tutti le dicevano

che quello che faceva
era giusto e necessario

per la sopravvivenza della Cina.

Lei aveva fatto quello che riteneva
fosse giusto per il suo Paese.

So quant'era forte quel messaggio.

Era dappertutto mentre crescevo:

era stampato sui fiammiferi,

sulle carte da gioco,

sui libri di testo, sui manifesti.

La propaganda a favore della politica
del figlio unico era ovunque.

[Chiunque si rifiuti
di farsi sterilizzare sarà arrestato.]

Così come le minacce
nei confronti dei trasgressori.

Il messaggio si era insinuato
nelle nostre menti

al punto che sono cresciuta
provando imbarazzo

ad avere un fratello più piccolo.

In ogni persona che ho filmato,

ho visto come le loro menti e i loro cuori
fossero stati influenzati dalla propaganda

e come la loro volontà
a compiere sacrifici per il bene superiore

fosse stata trasformata
in qualcosa di oscuro e tragico.

La Cina non è l'unico luogo
in cui accade tutto questo.

Non esistono nazioni
in cui la propaganda non sia presente.

Nelle società che dovrebbero essere
più aperte e più libere della Cina

può essere ancora più difficile
individuare la propaganda.

Si nasconde in piena vista nei notiziari,

nella pubblicità, nelle campagne politiche

e nei social media.

Cerca di farci cambiare idea
senza che ce ne rendiamo conto.

Ogni società è esposta al rischio
di accettare la propaganda come la verità

e nessuna società in cui
la propaganda rimpiazza la verità

può essere davvero libera.

Grazie.

(Applausi)