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Jacqueline Novogratz: la terza via agli aiuti

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    E' indubbio che oggi stiamo attraversando un momento di crisi.
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    Potremmo dire che i mercati finanziari ci hanno abbandonato
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    e così l'intero sistema di aiuti.
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    Malgrado ciò, continuo a essere fermamente ottimista,
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    e condivido l'opinione di chi ritiene che probabilmente non vi è mai stato un momento più eccitante.
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    Per via di alcune delle tecnologie di cui abbiamo sentito parlare qui.
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    Per via delle risorse, delle competenze
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    e indubbiamente dell'ondata di talenti in tutto il mondo,
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    con in più la mentalità per cambiare le cose.
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    E poi abbiamo anche un presidente che si sente cittadino del mondo,
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    che riconosce che è finto il tempo delle superpotenze,
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    ma che dobbiamo dar vita a relazioni diverse con il resto del mondo.
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    E per definizione, ognuno di voi in questa sala
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    deve pensare a sé stesso o a sé stessa come ad un soggetto globale,
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    un cittadino del mondo.
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    Voi lavorate in prima linea e avete visto il meglio e il peggio
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    di cui è capace il genere umano per e nei confronti dei suoi simili.
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    Non importa da dove venite o dove lavorate,
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    sicuramente avrete assistito alle cose straordinarie di cui sono capaci le persone
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    anche nella loro routine quotidiana.
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    Oggi si discute accanitamente
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    su quale sia la strada migliore per sottrarre le persone dalla stretta della povertà,
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    su quale sia il modo migliore per consentire loro di sprigionare le proprie energie.
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    Da un lato c'è chi sostiene
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    che il sistema di aiuti internazionali abbia fallito e che non resti altro da fare che metterci una pietra sopra.
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    Ma dall'altra abbiamo chi, invece, sostiene
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    che il vero problema è che mancano gli aiuti.
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    Ciò di cui voglio parlarvi è qualcosa che unisce queste due posizioni.
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    Quello che noi chiamiamo "capitale paziente".
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    Chi critica la politica degli aiuti punta il dito sui 500 miliardi di dollari che dal 1970 sono stati destinati
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    all'Africa,
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    chiedendosi cos'altro rimanga oltre al degrado ambientale,
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    ai livelli di povertà mai visti prima e alla corruzione dilagante.
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    E a difesa della loro tesi, portano ad esempio il caso di Mobutu.
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    Da cui, la loro ricetta punta a
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    responsabilizzare i governi locali,
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    a concentrarsi sui mercati di capitale,
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    a puntare sugli investimenti chiudendo il rubinetto dei regali.
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    Sul versante opposto, come dicevo prima, ci sono però coloro che sostengono
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    che il problema, invece, è che gli aiuti non bastano.
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    Che quando si tratta di aiutare i paesi più ricchi, siamo sempre molto generosi,
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    pronti a elargire aiuti in abbondanza.
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    Ma quando poi si tratta dei nostri fratelli più poveri,
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    ecco che preferiamo essere coinvolti il meno possibile.
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    E a difesa di questa tesi sottolineano i successi degli aiuti,
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    dalla sconfitta di malattie come il vaiolo,
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    della distribuzione di decine di milioni di
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    zanzariere per letti e farmaci antiretrovirali.
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    Entrambi i punti di vista sono giusti;
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    il problema è che nessuno dei due ascolta le ragioni opposte.
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    E aspetto ancora più problematico, non ascoltano
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    la voce dei diretti interessati: i poveri.
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    Dopo aver dedicato 25 anni della mia vita ad affrontare problemi legati
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    a povertà e innovazione
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    posso affermare con certezza che probabilmente non esistono sulla Terra
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    persone più sensibili ai mercati,
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    di chi vive con poco.
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    Ogni giorno queste persone devono affrontare e sopravvivere alle leggi dei mercati,
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    prendendo decine e decine di micro-decisioni
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    per sopravvivere nella società.
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    E malgrado ciò, se un problema di salute, anche uno solo,
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    colpisce la loro famiglia,
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    rischiano di ripiombare nella povertà, a volte per intere generazioni.
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    Per questo abbiamo bisogno del mercato
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    senza però dimenticare gli aiuti.
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    Il capitale paziente lavora tra
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    questi due estremi opposti, cercando di cogliere il meglio di entrambi.
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    Si tratta di denaro che viene investito in imprenditori che conoscono le comunità in cui vivono
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    e che contribuiscono a trovare soluzioni a problemi
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    sanitari, idrici, abitativi, per l'uso di energie alternative,
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    pensando ai poveri e alle persone a basso reddito non come a soggetti passivi e destinatari di gesti di carità,
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    bensì a clienti e consumatori,
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    persone che vogliono decidere della loro vita.
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    Il capitale paziente richiede
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    una straordinaria tolleranza al rischio,
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    un lungo orizzonte temporale per consentire
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    a questi imprenditori di sperimentare,
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    di sfruttare il mercato come la migliore cassa di risonanza di cui disponiamo,
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    e aspettarsi rendimenti inferiori a quelli offerti dal mercato,
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    ma dallo smisurato impatto sociale.
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    Il capitale paziente riconosce i limiti del mercato.
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    In questo modo il capitale paziente lavora
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    in sinergia cone le forme più intelligenti delle politiche di aiuti, per estendere i benefici dell'economia globale
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    a tutti.
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    Tre sono le ragioni per cui gli imprenditori hanno bisogno
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    di capitale paziente.
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    In primo luogo, stiamo parlando di persone che lavorano nei mercati
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    dove le persone guadagnano uno, due, tre dollari al giorno
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    e prendono tutte le loro decisioni tenendo in considerazione il proprio reddito.
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    In secondo luogo, i territori in cui operano
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    sono dotati di infrastrutture fatiscenti.
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    Di strade non parliamo neppure, elettricità a singhiozzo
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    e livelli elevatissimi di corruzione.
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    In terzo luogo spesso sono loro che creano i mercati.
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    Anche quando si parla di portare acqua pulita
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    nei villaggi di campagna, si parla di qualcosa di completamente nuovo.
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    E poprio perché le persone a basso reddito
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    sono state testimoni di così tante promesse mancate, deluse,
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    hanno assistito a così tanti sconvolgimenti, hanno provato così tante medicine che sono state loro offerte,
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    creare un nuovo clima di fiducia richiede del tempo
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    e molta pazienza.
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    E richiede anche un sistema di relazioni che garantisca un forte supporto a livello gestionale.
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    Non solo per costruire i sistemi,
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    i modelli di business che ci consentono
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    di raggiungere in modo sostenibile gli individui a basso reddito,
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    ma di mettere in relazione tali attività
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    con altri mercati, con governi, con multinazionali,
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    forme di vere collaborazioni, se il nostro obiettivo è quello di favorire lo sviluppo.
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    Voglio condividere con voi una storia
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    su un sistema d' innovazione, l'irrigazione a goccia.
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    Nel 2002 ho conosciuto questo straordinario imprenditore
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    indiano di nome Amitabha Sadangi
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    che per vent'anni ha lavorato con alcuni tra i contadini più poveri al mondo.
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    E mi raccontava la sua profonda frustrazione
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    vedendo che il mercato degli aiuti aveva bypassato del tutto i contadini più poveri
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    malgrado il fatto che in India vi siano 200 milioni di
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    contadini che vivono con meno di un dollaro al giorno.
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    Gli aiuti venivano elargiti
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    alle grandi imprese agricole,
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    oppure venivano date risorse ai contadini
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    che, a loro giudizio, dovevano riceverli, piuttosto che
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    ai contadini che li chiedevano.
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    Al contempo, Amitabha era
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    ossessionato dagli impianti di irrigazione a goccia,
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    una tecnologia nata in Israele.
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    Un sistema che consentiva di irrigare con piccole quantità di acqua
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    direttamente lo stelo della pianta.
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    Un sistema che poteva convertire
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    distese di terra desertica in prati ammantati di verde smeraldo.
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    Ma anche il mercato aveva bypassato gli agricoltori più poveri.
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    Questi sistemi, infatti, erano troppo costosi,
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    e pensati per chi possedeva grandi superfici da coltivare.
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    Invece, il prototipo dell'agricoltore che abita in un piccolo villaggio
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    lavora una striscia di terra che non raggiunge un ettaro.
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    Amitabha decise allora che avrebbe portato questa tecnologia innovativa
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    e che l'avrebbe ripensata dalla prospettiva
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    dei contadini più poveri.
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    Aveva trascorso così tanti anni ad ascoltare i loro reali bisogni
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    e non ciò che a suo giudizio dovessero avere.
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    Per far questo seguì tre principi fondamentali.
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    Il primo era la miniaturizzazione.
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    Il sistema di irrigazione a goccia
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    doveva, infatti, essere sufficientemente piccolo per consentire a un contadino
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    di mettere a rischio un quarto di acro,
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    anche per chi ne possedeva due,
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    perché troppo spaventato dell'idea del rischio, tenendo in considerazione la posta in gioco.
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    In secondo luogo, doveva essere decisamente accessibile dal punto di vista economico.
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    In altre parole, il rischio per un quarto di acro
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    doveva essere ripagato con un solo raccolto.
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    In caso contrario, i contadini non avrebbero corso un simile rischio.
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    In terzo luogo, doveva essere, usando le parole di Amitabha,
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    riproducibile all'infinito.
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    Per essere più chiara, con i proventi del primo quarto di acro,
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    i contadini avrebbero potuto comprarne un secondo,
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    poi un terzo e un quarto.
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    Oggi IDE India, la società fondata da Amitabha
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    ha venduto questi impianti a più di 300.000 piccoli agricoltori
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    che hanno visto, mediamente, il proprio reddito e la propria produzione
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    raddoppiare o triplicare.
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    Ma questo non è accaduto dal giorno alla notte.
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    Se, infatti, torniamo ai primi passi di questa avventura
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    non esistevano investitori privati
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    disposti ad assumersi il rischio di mettere a punto una nuova tecnologia
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    per una categoria di mercato che guadagnava meno di un dollaro al giorno,
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    nota per la sua marcata avversione al rischio,
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    e che operava in uno dei settori più rischiosi, l'agricoltura.
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    Avevamo quindi bisogno di aiuti
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    per fare ricerca, sperimentare, fallire,
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    innovare e riprovare ancora.
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    E quando alla fine riuscì a mettere a punto un prototipo
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    e dopo aver capito ancora meglio come metterlo sul mercato a disposizione dei contadini
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    ecco che è entrato in gioco il cosiddetto capitale paziente.
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    E siamo intervenuti noi per aiutare Amitabha a creare una società a scopo di lucro,
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    che avrebbe fatto leva sulle conoscenze e competenze di IDE India,
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    iniziato a guardare alle esportazioni e alle vendite,
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    e che sarebbe stata in grado di richiamare capitali di altra natura.
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    In secondo luogo, volevamo capire se saremmo riusciti a esportare
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    la tecnologia degli impianti di irrigazione a goccia per renderla disponibile anche in altri paesi.
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    Da qui abbiamo conosciuto il Dott. Sono Khangharani, pachistano.
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    E se, ancora una volta, era necessario armarsi di pazienza
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    per trasferire in Pachistan una tecnologia nata per le fasce più povere della
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    popolazione indiana,
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    anche solo per avere i necessari permessi,
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    con il passare del tempo siamo riusciti a costituire una società
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    con il Dott. Sono, che oggi gestisce
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    una grande organizzazione di sviluppo sociale nel deserto del Thar
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    una delle aree più povere e remote del Pakistan.
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    E anche se avevamo appena costituito quella società,
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    intuivamo era che anche lì
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    la nostra iniziativa avrebbe inciso sulla vita di milioni di persone.
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    Ma l'irrigazione a goccia non è l'unica tecnologia innovativa.
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    Ed è proprio quello a cui stiamo assistendo oggi in tutto il mondo.
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    Nella città di Arusha, in Tanzania, una società, A to Z Textile Manufacturing,
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    ha stretto un rapporto di partnership con noi,
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    con l'UNICEF e con il Fondo Globale
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    per avviare una fabbrica che dà oggi lavoro a 7.000 persone, in prevalenza donne.
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    Una fabbrica che produce 20 milioni di zanzariere da letto, fondamentale strumento contro le malattie
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    per gli africani in tutto il mondo.
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    Lifespring Hospital
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    è, invece, una joint-venture tra Acumen e il governo indiano
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    capace di mettere a disposizione prodotti per maternità e infanzia, economicamente accessibili e al tempo stesso di qualità,
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    a disposizione di donne che hanno ridotte possibilità economiche.
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    E il successo dell'iniziativa è stato tale che oggi questa società
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    ogni 35 giorni costruisce un nuovo ospedale.
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    Da parte sua 1298 Ambulances ha deciso di reinventare
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    un'attività completamente a terra,
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    dando vita a un servizio di ambulanze a Bombay,
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    che si sarebbe servito della tecnologia di Google Earth,
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    insieme a un sistema di prezzi a scalare
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    in modo tale da consentire a tutti di usufruirne,
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    adottando pubblicamente l'importante decisione
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    di non farsi coinvolgere in atti di corruzione, di qualunque natura.
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    Per questo, in occasione degli attacchi terroristici di novembre,
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    sono stati proprio loro i primi a reagire,
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    e ora questa società inizia a crescere, grazie alla partnership.
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    Si è appena aggiudicata quattro appalti pubblici per lo sviluppo di 100 ambulanze
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    e oggi è uno dei più importanti ed efficienti servizi di emergenza
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    in India.
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    L'idea di crescere è un aspetto fondamentale.
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    Cominciamo a vedere come queste inziaitive
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    stiano già raggiungendo centinaia di migliaia di persone. Tutte le società di cui abbiamo parlato
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    hanno raggiunto almeno 250.000 persone.
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    Ma naturalmente questo non è sufficiente.
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    Ed è a questo punto che diventa fondamentale
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    l'idea di partnership.
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    Si tratta di trovare le innovazioni
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    che possono essere lanciate sui mercati,
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    stringere sodalizi con l'amministrazione pubblica o ancora partnership con importanti multinazionali,
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    oggi esiste un'opportunità impensabile fino a poco tempo fa per dar spazio a soluzioni innovative.
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    Il presidente Obama lo ha capito.
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    Di recente ha autorizzato la creazione di un fondo per l'innovazione sociale, Social Innovation Fund,
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    per mettere a fuoco ciò che funziona in questo paese,
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    e guardare a come possiamo farlo crescere.
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    Penso sia giunto il momento di valutare la possibilità di creare
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    un fondo di innovazione globale
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    che potrebbe identificare tra tutti gli imprenditori in tutto il mondo
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    che hanno sviluppato soluzioni innovative, non solo per il loro paese,
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    ma soluzioni che possono essere estese anche ai paesi industrializzati.
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    Assistere gli investimenti finanziari ma anche nella gestione delle società,
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    quindi misurare i rendimenti,
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    non solo da un punto di vista finanziario
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    ma anche in termini di impatto sociale.
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    Quando pensiamo a nuove vie al mondo degli aiuti,
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    è impossibile non parlare del Pakistan.
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    Abbiamo un rapporto ormai consolidato con questo paese
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    e, in tutta onestà,
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    gli Stati Uniti non sempre sono stati un alleato affidabile.
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    Ma ancora una volta ci tengo a sottolineare che questo è il momento giusto,
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    per fare cose straordinarie.
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    E riallacciandomi all'idea del fondo di innovazione globale,
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    potremmo sfruttare questa opportunità che si presenta oggi per investire
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    non tanto in iniziative pubbliche dirette, ma sempre con il placet del governo,
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    non tanto in esperti internazionali,
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    quanto proprio nei numerosissimi imprenditori esistenti
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    e nei protagonisti della società civile
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    che stanno già sviluppando incredibili tecnologie innovative
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    accessibili a tutti, ovunque nel paese.
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    Persone come Rashani Zafar,
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    che ha creato una dei più importanti istituti di micro-credito del paese,
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    un vero modello per le donne pachistane e non solo.
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    O Tasneem Siddiqui, che ha studiato un sistema
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    chiamato Incremental housing, abituazioni a sviluppo graduale,
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    che ha permesso di trasferire 40.000 abitanti delle baraccopoli
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    in abitazioni urbane sicure ed economicamente accessibili.
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    Progetti educativi come DIL e The Citizen Foundation
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    che costruiscono scuole in tutto il paese.
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    Non è esagerato
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    affermare che queste istituzioni nate direttamente dalla società civile da un lato
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    e questi imprenditori attenti ai problemi sociali dall'altro
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    stanno costruendo alternative concrete ai Talebani.
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    Da più di sette anni investiamo in Pakistan
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    e chi di voi ha già lavorato in quel paese
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    può confermare che i pachistani sono un popolo di grandi lavoratori,
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    dotati per natura di una grande forza di volontà e desiderio di migliorare il proprio stato.
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    Il presidente Kennedy disse
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    che coloro che rendono impossibili le rivoluzioni pacifiche
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    sono anche coloro che rendono inevitabili le rivoluzioni violente.
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    Direi che è vero il contrario.
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    Ovvero che questi protagonisti della società civile
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    che credono davvero nell'innovazione
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    e nella possibilità di estendere queste opportunità
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    al 70% dei pachistani che vivono con meno di due giorni al giorno,
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    ci indicano la vera strada della speranza.
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    E mentre pensiamo a come assicurare aiuti al Pakistan,
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    a come irrobustire il suo sistema giudiziario,
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    a come migliorare la stabilità del paese,
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    dobbiamo anche pensare a come far emergere questi leader
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    che possono rappresentare dei modelli da prendere ad esempio dal resto del mondo.
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    L'ultima volta che sono stata in Pakistan,
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    ho chiesto al Dott. Sono di portarmi
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    a vedere alcuni degli impianti di irrigazione a goccia nel deserto di Thar.
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    Siamo partiti da Karachi prima che sorgesse l'alba,
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    Ci saranno stati 46 gradi e
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    abbiamo guidato per otto ore
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    attraverso un paesaggio quasi lunare,
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    pochi colori e caldo terrificante,
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    tanto che esausti per il viaggio abbiamo scambiato poche parole in auto.
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    Ma finalmente, alla fine del viaggio
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    ho intravisto una sottile riga gialla stagliarsi all'orizzonte.
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    E man mano che ci avvicinavamo, l'immagine si fece sempre più chiara.
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    Là, in mezzo al deserto,
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    stava crescendo un campo di girasoli alti 2 metri.
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    E questo perché uno dei contadini più poveri sulla Terra
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    aveva avuto la possibilità di conoscere una tecnologia
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    grazie alla quale la sua vita era radicalmente cambiata.
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    Il suo nome era Raja.
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    E aveva un paio di occhi luccicanti color nocciola,
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    e un paio di mani calde ed espressive
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    che mi hanno ricordato mio padre.
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    E Raja mi disse che quella era la prima stagione secca
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    in vita sua, che non aveva portato
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    i suoi 12 figli e 50 nipoti
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    nel deserto, dopo un viaggio di due giorni,
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    per lavorare come braccianti a cottimo per una impresa agricola commerciale
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    per circa 50 centesimi di dollaro al giorno.
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    E questo perché stavano crescendo quei raccolti che vedevamo.
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    E con i soldi guadagnati quest'anno era riuscito a evitare il viaggio.
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    E per la prima volta in tre generazioni,
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    i suoi figli sarebbero andati a scuola.
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    Gli abbiamo domandato se insieme ai suoi figli maschi avrebbe mandato a scuola anche le sue figlie.
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    "Certamente", disse.
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    "Non voglio che siano più vittime di discriminazione."
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    Quando pensiamo a possibili soluzioni per la povertà
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    non dobbiamo dimenticarci delle persone
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    e della loro straordinaria dignità.
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    Perché alla fine di una giornata
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    per lo spirito la dignità è più importante di quanto non sia il benessere materiale.
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    E mi si apre il cuore a vedere così tanti imprenditori, in ambiti diversi tra loro,
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    che sviluppano soluzioni innovative, che riconoscono
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    che ciò che vogliono le persone si chiama libertà,
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    opportunità e libertà di scelta.
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    Perché è da qui che nasce la dignità.
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    Martin Luther King disse che
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    l'amore senza il potere è un sentimento privo di vitalità.
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    E che il potere senza l'amore
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    è sconsiderato e violento.
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    La nostra generazione ha visto entrambe queste strategie provare
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    e spesso fallire.
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    Tuttavia, penso che la nostra generazione possa essere la prima
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    ad avere il coraggio di unire potere e amore.
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    Ed è questo ciò di cui avremo bisogno per andare avanti,
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    per sognare e immaginare cosa serva realmente
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    per dar vita a un'economia globale capace di offrire accoglienza a tutti.
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    E per estendere quel principio fondamentale
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    secondo il quale gli uomini sono uguali a tutti gli altri esseri umani che abitano su questo pianeta.
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    E' giunto il momento di cominciare a liberare la nostra capacità di innovare,
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    di guardare a soluzioni innovative in tutti i campi.
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    Posso solo parlare della mia esperienza personale.
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    Ma in otto anni alla guida del Fondo Acumen,
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    ho visto la forza e il potere del capitale paziente,
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    non solo per stimolare l'innovazione e la capacità di rischiare,
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    ma anche di sviluppare concretamente sistemi che hanno già dato
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    lavoro a più di 25.000 persone
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    e distribuito decine di milioni di prodotti e servizi
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    a una parte delle persone più povere sulla Terra.
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    So che funziona.
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    Ma so anche che altre strade orientate all'innovazione funzionano altrettanto bene.
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    Per questo invito tutti voi, qualunque sia il settore di vostra competenza,
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    qualunque sia il vostro lavoro,
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    a cominciare a pensare come poter
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    creare nuove soluzioni, partendo dal punto di vista
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    di coloro che intendiamo aiutare,
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    e non di ciò che, noi riteniamo, possa essere loro utile.
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    Vorrei che cominciassimo ad accogliere il mondo con entrambe le braccia,
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    e questo significa vivere all'insegna della generosità e della responsabilità,
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    con integrità e perseveranza.
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    D'altra parte queste sono le grandi qualità
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    che gli uomini e le donne hanno celebrato
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    di generazione in generazione.
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    In questo modo possiamo fare davvero del bene. E molto.
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    Pensate solo a tutti quei girasoli nel deserto.
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    Grazie.
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    (Applausi)
Title:
Jacqueline Novogratz: la terza via agli aiuti
Speaker:
Jacqueline Novogratz
Description:

Il dibattito sull'utilità degli aiuti spesso si risolve in una contrapposizione tra chi contesta la "carità" e chi invece non ha fiducia nella legge dei mercati. Jacqueline Novogratz ci illustra una terza via, intermedia, che definisce il capitale paziente, proponendoci interessanti esempi di cambiamenti sociali favoriti dalle capacità di saper innovare di singoli imprenditori.

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Video Language:
English
Team:
closed TED
Project:
TEDTalks
Duration:
16:49
Andrea Palmieri added a translation

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