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L'arte di far parlare le cose | Giulia Bernardelli | TEDxMantova

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    Il mio lavoro è nato per caso,
    in una giornata qualunque.
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    Oggi è strano pensare a quante possibilità
    si nascondano all'interno delle abitudini.
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    La mia giornata qualunque,
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    ma che ha per sempre cambiato
    il corso della mia vita,
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    è avvenuta cinque anni fa.
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    Mi sono svegliata e, come tutte
    le mattine, ho preparato il caffè.
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    Devo ammettere di essere
    una persona tendenzialmente pigra.
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    E seppur questa caratteristica
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    non mi abbia particolarmente
    aiutato nella vita,
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    probabilmente ha dato una certa profondità
    alla mia osservazione,
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    data appunto dalla lentezza.
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    Per cui, cinque anni fa
    ho preparato il mio caffè,
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    e per sbaglio,
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    l'ho rovesciato sul tavolo
    della mia cucina.
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    Ma sempre seguendo questo principio
    di lentezza o di pigrizia,
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    non ho asciugato subito questa macchia
    e mi sono presa un momento per osservarla.
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    E mi è sembrata una macchia
    molto interessante,
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    anzi direi piuttosto bella.
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    Quello che mi piace incredibilmente,
    di questa macchia,
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    è che sia il perfetto
    risultato di un gesto,
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    come un disegno o una scrittura.
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    E se ci pensiamo,
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    ogni macchia è il risultato
    di un movimento diverso del nostro polso.
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    Un po' come la scrittura giapponese.
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    Per cui, quel giorno,
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    ero presa nell'osservazione
    della mia macchia,
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    e ho incominciato a pensare:
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    Ma se oltre al movimento,
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    che è già insito,
    per natura, nella macchia,
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    ci mettessi un'intenzione?
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    Se dalla tazzina di caffè, che ne so,
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    potesse uscire un ritratto,
    una storia o un paesaggio?
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    Se addirittura,
    in tutto quello che guardo,
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    ci fosse una realtà diversa,
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    se solo si avesse la lentezza
    e lo sguardo giusto per osservarla?
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    Così quel giorno ho incominciato
    a disegnare all'interno della macchia
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    con quello che avevo attorno a me.
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    Un pennello, o semplicemente
    cucchiaini, stuzzicadenti,
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    quello che mi proponeva la mia cucina.
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    E quel giorno sono letteralmente
    entrata all'interno della tazzina,
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    come se fosse una realtà parallela,
    realtà nella quale tuttora mi trovo,
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    e che ha cambiato il corso della mia vita.
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    Il mio punto di vista sul mondo
    è diventato il mio lavoro.
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    Dalla prima macchia di cinque anni fa
    ne sono nate tantissime altre,
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    e all'interno di queste macchie
    sono successe tantissime cose.
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    Sono sorte delle città immaginarie:
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    addirittura delle persone
    si sono innamorate,
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    sono nate delle grandissime metropoli -
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    sì, c'è stato un vascello.
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    E devo dire di aver veramente vissuto
    delle storie incredibili,
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    all'interno di queste tazzine di caffè.
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    Guardare le cose da vicino,
    spesso vicinissimo, è stato illuminante.
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    È stata la cosa più bella
    che mi abbia portato a fare il mio lavoro.
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    Così, il mio occhio si è concentrato
    sulle forme, sui colori.
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    Sono diventata affamata
    di vedere e di capire
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    il perché di certe texture
    che trovavo in natura,
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    ma che poi si ripresentavano
    sempre uguali.
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    E si ripresentavano, anche,
    all'interno del mio corpo.
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    Come ad esempio la venatura delle foglie.
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    Tutto era fonte di ispirazione,
    appunto guardata con un occhio nuovo.
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    Ed era un occhio nuovo, soprattutto,
    verso la semplicità, verso l'abitudine,
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    verso quello che trovavo
    in casa, come le verdure.
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    E mi affascinava la loro forma
    e il loro colore,
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    come il rosso andava a cadere
    nel verde e viceversa.
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    E anche le loro intricatissime
    costruzioni interne,
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    che sembravano proprio quasi umane.
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    Di una cosa ero perfettamente certa:
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    tutto mi sembrava unito dal filo rosso
    dell'armonia e del significato.
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    Così, il mio lavoro
    è diventato un dialogo.
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    Mettevo una parte di me
    all'interno di una foglia, ad esempio,
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    ma andandone a ricalcare
    le naturali venature,
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    andandone a studiare lo spessore,
    la forma, il colore, la resistenza.
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    Non vedendolo più come
    un semplice mezzo a mio servizio,
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    ma come una forma di vita a sé,
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    piena di cose da dire,
    piena di storie da raccontare.
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    E di cose da dire ce ne sarebbero
    veramente tantissime.
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    Spesso scendo nel mio quartiere,
    o vado in campagna a fare una passeggiata
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    alla ricerca di piccoli
    elementi naturali, o foglie,
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    con in testa un'idea
    di disegno o di intaglio.
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    Poi torno a casa,
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    svolto tutto il mio bottino
    sul tavolo della cucina, sempre lo stesso,
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    e dispongo tutti gli elementi.
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    E mi rendo conto
    che è tutto perfetto così,
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    non serve nessun tipo di mio intervento.
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    E in quei momenti magici, di epifania,
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    sento che c'è una forma di riposo,
    nella bellezza, e di tendenza al bene.
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    La parola riposo è una
    delle mie parole preferite.
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    Provate a chiudere gli occhi
    e pensare che cos'è per voi il riposo.
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    Riposo che non è dovuto -
    non è sonno, è una cosa diversa.
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    Almeno a me, la parola riposo
    dava più un senso di benessere, di pace.
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    E per me la bellezza che scopro
    nella natura è proprio questo: riposo.
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    Penso che la bellezza
    sia una necessità umana,
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    necessità appunto
    di riposare gli occhi, il cuore,
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    e di credere che ci siano possibilità.
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    Per bellezza non intendo quella finta,
    che tende ad allontanare le persone,
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    che spesso vediamo sui social,
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    soprattutto su Instagram
    io lo vedo spessissimo,
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    perché tende a mettere
    su un piedistallo qualcuno,
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    e tutti gli altri in basso.
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    Ma intendo una bellezza "pesante",
    ricca di significato,
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    che trovo sempre nelle forme naturali
    e in tutto quello che è la spontaneità.
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    Un tipo di bellezza
    che accomuna, che avvicina.
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    Non a cui tendere con fatica,
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    ma che abbiamo proprio
    all'interno di noi stessi.
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    A tal proposito,
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    vorrei leggervi una poesia
    di Wislawa Szymborska,
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    una poetessa polacca
    che io amo particolarmente,
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    e che tratta proprio questo tema
    della bellezza quotidiana
  • 9:33 - 9:37
    vista nelle sue forme
    più semplici ma più profonde.
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    Cercherò di leggervela
    nel migliore dei modi,
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    ma magari rileggetela anche a casa.
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    Si intitola "Un appunto".
  • 9:56 - 9:57
    La vita
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    è il solo modo per coprirsi di foglie,
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    prendere fiato sulla sabbia,
    sollevarsi sulle ali.
  • 10:06 - 10:10
    Essere un cane,
    o accarezzarlo sul suo pelo caldo.
  • 10:11 - 10:15
    Distinguere il dolore
    da tutto ciò che dolore non è.
  • 10:17 - 10:19
    Stare dentro gli eventi,
  • 10:19 - 10:24
    dileguarsi nelle vedute,
    cercare il più piccolo errore.
  • 10:25 - 10:27
    Un'occasione eccezionale
  • 10:27 - 10:31
    per ricordare, per un attimo,
    di che si è parlato a luce spenta.
  • 10:33 - 10:34
    E almeno per una volta,
  • 10:34 - 10:38
    inciampare in una pietra,
    bagnarsi in qualche pioggia,
  • 10:38 - 10:40
    perdere le chiavi tra l'erba,
  • 10:40 - 10:44
    e seguire con gli occhi
    una scintilla nel vento.
  • 10:46 - 10:47
    E persistere
  • 10:47 - 10:48
    nel non sapere
  • 10:49 - 10:51
    qualcosa d'importante.
  • 10:53 - 10:55
    Grazie.
  • 10:55 - 10:59
    (Applausi)
Title:
L'arte di far parlare le cose | Giulia Bernardelli | TEDxMantova
Description:

L’osservazione e la lentezza diventano opportunità per vedere i dettagli della realtà e scoprirne la bellezza. L’affascinante sguardo di Giulia Bernardelli ci porta a cogliere con occhi nuovi le forme e i materiali che rendono straordinaria la spontaneità della natura. La sua arte è quella delle cose semplici: le sue immagini nascono da elementi naturali o alimentari che circondano la vita di chiunque, ma si scoprono magiche se osservate da vicino.

Questo intervento è stato presentato a un evento TEDx, che utilizza il format della conferenza TED ma è stato organizzato in maniera indipendente da una comunità locale.

Per maggiori informazioni, visita il sito http://ted.com/tedx

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Italian
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Project:
TEDxTalks
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11:04

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