Qualche anno fa, dopo un'intervista, il cameramen che accompagnava il giornalista si è fermato a parlare con me. Era rimasto stupito dalle cose che avevo detto, perché aveva sempre sentito tutt'altro, su quell'argomento, e voleva dei chiarimenti. Così gli ho portato le prove di quello che avevo detto, gli ho mostrato come le sue convinzioni non avessero un fondamento scientifico e abbiamo chiacchierato piacevolmente per una mezz'ora. Alla fine, lui mi ha detto: "Io ho capito, ma non mi fido". Ho capito, ma non mi fido. Ancora oggi sono grata a quella persona, per la lezione che mi ha dato. Quel giorno ho capito che non avevo capito niente, avevo sbagliato tutto. Non so se da allora ho imparato come si fa a comunicare, ma sicuramente ho imparato come non si fa. Come mi sono sentita? È stato frustrante? Eh sì, molto: ma anche sfidante. Se i fatti sono qui, e sono dimostrati, io devo trovare il modo di comunicarli in maniera efficace, cioè in maniera che giungano ad aiutare le nostre decisioni. Così ho cominciato a studiare, volevo capire meglio. Ero curiosa. Il fatto è che tutti noi viaggiamo accompagnati dai nostri preconcetti, ci siamo evoluti così. Hanno anche una loro utilità: diciamo che i preconcetti sono delle idee prefabbricate, pronte all'uso, che ci portiamo dietro. Pronte per essere usate velocemente, quando dobbiamo prendere decisioni rapide. Però, hanno anche un effetto collaterale piuttosto serio: ci impediscono di prendere in considerazione nuove informazioni, soprattutto quando queste sono in contraddizione con le convinzioni che già abbiamo. Ci rendono poco agili, ci rendono difficile cambiare idea. Sì, perché cambiare idea è doloroso, significa ammettere che ci siamo sbagliati. La nostra mente è fatta così. Questo fenomeno si chiama "dissonanza cognitiva", ci fa soffrire e la mente farà di tutto per evitarlo. Dobbiamo saperlo. Però questa cosa è seccante: abbiamo bisogno di prendere la decisione giusta, o perlomeno la più giusta date le informazioni in nostro possesso. Come possiamo fare? Beh, esistono dei trucchetti per imbrogliare la mente, rispettando le sue dinamiche ma contemporaneamente permettendoci di acquisire nuove informazioni e cambiare idea, se è il caso. Per esempio, un sistema è quello di concedere dei punti di vantaggio alla mente, adularla. "Sei stata brava! Le informazioni che avevi, le convinzioni che avevi erano corrette, accettabili, date le informazioni in tuo possesso. Ora però ce ne sono di nuove. Mostra quanto sei agile, quanto sei svelta ad adeguarti". Cose così: possiamo permetterci il lusso di essere condiscendenti verso noi stessi. A questo punto, vi starete chiedendo di che cosa stessi parlando quel giorno, cosa mai ci sarà di così spinoso, spaventoso, da essere assolutamente rifiutato. Beh, io parlavo di agricoltura, di cibo, di innovazioni legate al sistema di produzione del cibo, di genetica, di biotecnologie. Non ne parlerò qui, oggi: un TEDx è una tazza di tè che ristora per una manciata di minuti, un respiro di idee e di stimoli. Però voglio dirvi che sono preoccupata, perché vedo come la nostra società sta affrontando le decisioni relative alla produzione del cibo. Siccome è un argomento delicato, perché tocca la nostra pancia, tocca le tradizioni gastronomiche, l'ambiente e la sua tutela, il paesaggio, la salute, è argomento infarcito di ideologie, e quindi di preconcetti. Tutti pensiamo di avere la ricetta giusta per fare agricoltura in modo sostenibile. Ne siamo davvero convinti! E quindi, quando arriva un'idea diversa ci chiudiamo in difesa, pronti a contrattaccare per demolirla. Il mainstream è davvero potente, la narrazione dominante che abbiamo sentito per anni nelle pubblicità di certi supermercati, per esempio, o abbiamo visto in certe trasmissioni televisive, o abbiamo letto nei racconti e negli articoli di alcuni opinionisti eccetera - ecco: quella narrazione dominante ha dato forma ai nostri pensieri. E quindi, oggi, per istinto ci appare buona, pulita, giusta. Non la metteremmo mai in discussione. Questo vale per tutti, attenzione: è un rischio che corriamo tutti. Davanti a un dato, verificato, che ci mostri che la nostra posizione ha dei limiti, noi non cambieremo idea: troveremo un motivo diverso per continuare a pensarla nello stesso modo, continuare a fare come abbiamo sempre fatto. È dimostrato: ci sono molti anni di studio, e tanti lavori scientifici che lo provano. Siamo fatti così, ed è meglio saperlo. Anche la democrazia deve farci i conti: d'altra parte, veniamo da un periodo molto istruttivo in questo senso. Avrete sentito parlare di "infodemia", quella cacofonia di informazioni alla quale siamo stati sottoposti in questo ultimo anno. Il disagio che ci ha provocato è tale che in alcune manifestazioni di protesta sono comparsi dei cartelli con scritto "Basta scienza". Il che, ovviamente, è un assurdo. Voglio dire, possiamo prendere posizione contro una presa di posizione; ma la scienza non prende posizione, che senso ha attaccarla? E però è indicativo della frustrazione e della paura che alcuni provano, è comprensibile. A volte, alcune persone mi chiedono: "Ma tu, come fai a scegliere di chi fidarti?". Quale giornalista, quale comunicatrice, quale divulgatore? Io scelgo chi tiene alla propria reputazione di affidabilità. Chi ogni mattina verifica quello che dirà, perché la figuraccia di scrivere cose non verificate non la vuole fare. Io scelgo chi non può permettersi di perdere la propria reputazione, perché è la cosa più preziosa che ha, e quindi comunica con responsabilità. Il tema conduttore di oggi è "Second Chance", seconda possibilità. Se incontrassi oggi quel cameraman, cosa gli direi? Beh, credo che non mi preoccuperei di togliergli le sue paure, gliele lascerei. Ho capito che ci affezioniamo, alle nostre paure. No: penso piuttosto che gli mostrerei quali opportunità ci stiamo perdendo, quali possibilità di produzione di cibo sostenibile alle quali abbiamo detto di no. Vantaggi perduti. Sì, credo che farei così, perché ho imparato che ciascuno di noi ha delle paure che vanno rispettate, e delle quali solo noi siamo responsabili. Quindi, oggi, quando devo parlare di temi complessi, divisivi, che spaventano, cosa faccio? Beh, penso alla signora Paola, una signora che mi segue e che mi ha scritto dopo aver letto un mio articolo in cui parlavo di agricoltura, innovazione, ambientalismo. Quell'ambientalismo che ha perso di vista la sua missione originale, e rifiuta innovazioni utili anche all'ambiente, in nome dell'ideologia. La signora Paola mi ha scritto: "Ho cominciato a interessarmi all'agricoltura alla tenera età di 73 anni, per amore dei miei nipoti. Perché ho capito che gran parte del loro futuro dipende da questa branca della scienza". E parlando del marketing della paura, quel marketing che sfrutta le paure dei consumatori, mi ha chiesto: "A chi giova? Non voglio più essere un'utile idiota nelle mani di qualcun altro". Io le ho risposto che lei non è certo un'utile idiota: lei è la prova vivente che la democrazia è un valore immenso. Lei è la prova di quanto prezioso è un voto elettorale, una scelta d'acquisto, una libertà di pensiero, una scelta di condivisione di contenuti e riflessioni. Che cosa muove la signora Paola? La curiosità. Che non ha età, e che è forte abbastanza da spingerci a guardare oltre le nostre convinzioni. La curiosità è un'alleata preziosa per prendere per mano le nostre paure, la nostra mente, e ricominciare a camminare. È il motore della scoperta, del nuovo. Questa non è una storia a lieto fine: questa è una storia ancora senza fine. Non possiamo vivere senza ideologie, è vero. Però possiamo continuare a guardarle in faccia con genuina curiosità.