Eh, in questi anni è cambiato molto perché
prima le cose erano un po' più
diverse gente più semplice, gente che...
frequentava il centro del paese, come
posso dire...e ora stanno più in casa,
è meno...è meno vissuto, forse il paese.
Prima eravamo tutti più concentrati sulla
mia bottega... ecco il mondo, la vita...
l'era svolta lì.
E anche per conoscersi, per capirsi
per avere opinioni anche diverse
ma per arrivare a un dialogo poi ....
era più facile.
Era vita, secondo me era vita.
Poggio alla Croce si potrebbe
definire una "piccola Svizzera", è in un
posto bellissimo fra il Chianti ed il
in estate viene organizzata una bella rassegna
che attira la gente dalle due valli.
Quando ci sono delle problematiche
come il ghiaccio d'inverno, allora
le informazioni circolano nella rete
e quindi sembrava un paesino ideale. Ecco
Quando poi nel nell'aprile del 2017 arriva
la "bomba": una notizia,
arrivano trenta migranti nel "palazzo",
che sarebbe l'ex albergo
che c'è in mezzo al paese.
Sembrava che stesse per atterrare
un'astronave con dentro
gli "omini" neri.
Arriva l'uomo nero. Arriva l'uomo nero,
e tutti siamo con le creste ritte, impressionati,
anche io, devo dire la verità.
Anche se lo senti dire però senti dire il
bene ed il male di questi ragazzi.
La reazione più più forte, più intensa
più ampia è stata di rifiuto immediato,
quella che chiamiamo reazione "di pancia".
E' quella che ha causato l'organizzazione
immediata, per cui nel giro di tre giorni
sono comparse 230 firme contro,
laddove noi, gli abitanti, siamo 190.
C'è stata una prima riunione un anno
e mezzo fa, d'estate,
prima che arrivassero i migranti,
quindi non conoscevamo le persone,
non avevamo dato un volto,
non avevamo ha dato un nome
a queste persone.
E c'è stata una riunione nel paese.
Io non sono di Poggio alla Croce,
vengo dal paese vicino....
e nella riunione ci sono state
delle persone che proprio erano
aggressive, ma perché avevano paura.
La loro reazione non è frutto
della cattiveria, ma dietro c'è anche
una realtà che bisogna raccontare
bisogna dire che era dovuta al fatto che
nessuno era preparato a questo,
nessuno era stato avvertito
che venivano gli stranieri, i migranti
Siccome fecero fare delle firme,
ma io ero d'accordo solamente
perché volevo sapere questi ragazzi
come venivano sistemati,
cosa venivano a fare..
poi invece non era quello il motivo,
era perché non ce li volevano,
e allora ho detto che questa firma
era stata estorta e che non ero d'accordo.
Hanno detto: «Fra un anno
vi si rammenterà, vedrete,
perché noi abbiamo paura..
io ho una bambina di 18 mesi che
probabilmente non potrò mandare
nella strada» ... addirittura
le prime volte ci avevano, mi avevano,
chiesto di firmare, io non ho voluto
firmare e sono diventata la pecora nera
Sono neri, il discorso è uno solo,
e quello magari si riesce poco bene
a digerire ...non è facile l'integrazione,
quello no, anche per loro.
C'era una sensazione, un'atmosfera
tremenda a me tremavano le gambe
veramente ..
ho riconosciuto dei bambini
che ho visto quando erano piccoli e,
ormai grandi,, spaventatissimi,
che hanno iniziato a dire
che non li volevano,
che non volevano i migranti
perché la loro vita sarebbe cambiata,
non avrebbero potuto più andare in giro
per il Poggio tranquilli,
e non avrebbero potuto
più fare le passeggiate..
ma lo urlavano in modo proprio aggressivo
e io ho iniziato a tremare e avrei
voluto dire, non sono riuscita
perché tremavo, che mi dispiaceva
tantissimo vedere che dei bambini
che da piccoli erano stati abituati
alla condivisione, a stare tutti insieme
mi ricordo che allora c'erano anche
dei bambini di colore nelle nostre classi,
che giocavano tutti insieme
ora erano diventati così
e che mi facevano paura loro
più che i migranti che dovevano arrivare,
perché sentivo una rabbia una violenza
che mi spaventava
Quando poi l'astronave con gli "omini neri"
era effettivamente atterrata alla fine
riuscimmo ad organizzare in un locale
sotto la chiesa che poi è quello che
Don Martin il nostro parroco,
ha messo a disposizione per tutto il resto
della vicenda, ad organizzare
un primo cerchio dove facemmo,
proprio all'inizio, un gioco disposti sulle
sedie in maniera del tutto casuale,
quindi mescolati, un po' di loro un po'
di noi .. E cominciammo il gioco,
attaccammo un pezzo di carta alla parete
ed ognuno di noi cominciò a scrivere..
«Andrea Formiconi, italiano,
parla l'italiano».. E poi puntando il
pennarello verso uno a caso,
quello è il suo turno e allora lui scrive
e ognuno di noi quindi scriveva
di che paese era, come si chiamava
e che lingua parlava.
In questo semplice gioco si aprì sostanzialmente
un mondo, un universo perché su quattordici
o quindici ragazzi vennero fuori i dodici o tredici
lingue e poi venne fuori che c'erano
degli analfabeti che si riconoscevano
perché impugnavano in maniera improbabile
il pennarello e in realtà non scrivevano il loro nome
ma lo disegnavano.
Però allo stesso tempo c'erano ragazzi invece
scolarizzati, ad un estremo c'era un ragazzo
che poi emerse che addirittura era scappato
quando stava facendo
il quarto anno di matematica.
Questo fa capire il ventaglio enorme di storie
e situazioni umane diverse che c'è dietro a questo
stereotipo, che noi chiamiamo con nomi univoci:
il migrante; dove ad ognuno viene in testa
un omino nero, sempre il solito,
con una storia standard:
assolutamente no!
Io credo che la scintilla che ha mosso tutta questa
voglia della scuola è stato un ragazzo maliano, Alì,
che mi aveva individuata perché avevamo parlato
un po' francese ed un giorno l'ho visto arrivare
a casa mia - io non abito in paese
c'è un chilometro e mezzo di strada sterrata
è arrivato da solo, con quaderno e matita
dicendomi:
«Io voglio imparare l'italiano».
Noi siamo tre che si sono imbarcati in questa
avventura della "scuolina" di Poggio alla Croce
non sapendo cosa ci sarebbe successo.
Bisognava fare qualcosa
per aiutare questi ragazzi e si pensava
che la cosa migliore fosse insegnare loro l'italiano,
più che altro aiutarli ad avere fiducia in loro stessi.
Come noi abbiamo paura dei loro neri,
loro hanno paura di noi bianchi,
loro hanno paura di noi.
Poi la cosa buffa è che avevamo coinvolto
un sacco di gente che non c'entrava niente
con l'insegnamento: c'era Marcie, una canadese,
e sapeva pochissimo l'italiano
ma è stata insegnante di italiano,
e poi abbiamo avuto anche Willy,
che ancora è qui con noi che legge, fa il dettato,
fa tutte le cose con questi ragazzi
Sono una maestra delle elementari
al martedì esco dalla mia classe,
magari stanchissima,
soprattutto l'anno scorso che avevo una prima,
e mi siedo in macchina e dico:
no, ma chi me lo fa fare?
Ma io sono matta, ma perché vado là
che sono stanchissima,
dovrei andare a casa a riposarmi o a fare da cena
e poi invece chiudo gli occhi e penso:
se è una cosa giusta quella che sto facendo
mi arriveranno le energie! E parto
e poi sono felice
perché arrivi li e vedi quei sorrisi coi denti bianchi
quegli occhi felici... che ti aspettano
che ti ringraziano che sono lì,
che non vedono l'ora che gli insegni qualcosa.
Sono arrivata qui un po' per caso,
ho conosciuto questa esperienza
grazie ad Andreas, ai suoi racconti
nelle aule universitarie e ho deciso di venire
a dare un'occhiata.
La domanda che mi si rivolge più spesso
è perché lo faccio, soprattutto perché
quello che colpisce di me è il fatto che arrivo
da quasi 90 chilometri di distanza quindi mi faccio
comunque quasi due ore di macchina
solo per arrivare qui.
Non è facile spiegarlo, perché la ragione
risiede in tantissime piccole cose:
sono i gesti, gli sguardi, le emozioni,
le sensazioni che provi quando stai a contatto
con queste persone con questi ragazzi,
che poi alla fine sono vite, sono esperienze,
sono mondi con cui tu vieni a contatto
e di cui tu spesso non sai niente.
Io vado a scuola a Figline Valdarno ogni giorno,
Il lunedì e il martedì vado con la macchina
ma gli altri giorni con la bicicletta.
Andare non è difficile, ma lo è ritornare
perché ci vuole un'ora e trenta minuti, è faticoso.
Quando ero in Africa non sono andato a scuola
e fortunatamente mi sono ritrovato in Europa
e ho incontrato le persone che mi stanno aiutando
e mi hanno iscritto a scuola.
Il mio obiettivo è imparare la lingua italiana
vorrei restare in Italia, vorrei lavorare
per aiutare la mia famiglia in Africa.
Allora devo concentrarmi per studiare
è il mio obiettivo
Mi chiamo Madou Koulibaly, vengo dalla Guinea
e ho 20 anni.
Sono arrivato in Italia da un anno e due mesi,
è stato un viaggio molto difficile,
non posso dimenticarlo, è stato molto pericoloso.
Ho sacrificato la mia vita
per cercare la fortuna in Europa
e grazie a Dio sono entrato in Italia
il 13 giugno 2018
e sono stato trasferito a Poggio alla Croce.
Ho incontrato delle persone bravissime
che mi hanno trattato come se fossi uno di loro,
loro sono come i miei genitori qui,
non solo io ma tutti gli africani
che vivono a Poggio alla Croce.
Vorrei continuare a studiare, se c'è la possibilità,
mi piacerebbe andare a studiare
ed imparare un mestiere, ad esempio il saldatore.
L'Italia mi ha salvato nel mare,
in Italia sono andato a scuola e vorrei continuare
a studiare ancora, non so cosa succederà dopo.
Poggio alla Croce è il mio villaggio.
Il cammino è caotico,
non si può pretendere di seguire
un filo preordinato:
ucciderebbe questo tipo di scuola.
Quindi bisogna essere disposti a andare
dove il vento ti indica che è opportuno andare.
Un esempio può essere quello in cui
Samba aveva scritto il curriculum al computer
allora naturalmente tu cerchi di dare una mano..
"Samba, ma questo che cosa vuol dire,
questo che cos'è?"..
Ad un certo punto c'è scritto
"esperienza di guida"
allora io dico "Samba ma tu che cosa guidavi?"..
lui si illumina immediatamente e dice "mucca!"
E da lì è nato tutto un altro discorso,
su come cambiano le cose nel tempo,
come cambiano in Africa come cambiano qui.
Ecco questo è un esempio di digressione.
E' una scuola centrata sull'uomo sostanzialmente
Tutti abbiamo le soffitte piene di vecchi computer,
non sappiamo che farcene..
E’ un problema perché tocca portarli all'ecocentro
e così allora noi da mesi
diffondiamo questa informazione:
hai un computer vecchio, non sai che fartene,
per te è un problema?
prima di portarlo all'ecocentro dallo a noi,
ci installiamo una versione del sistema operativo
in software libero, cioè Linux,
ed in particolare delle varianti di Ubuntu,
versione leggera che sta bene nei computer
vecchi, li "resuscita" facilmente.
Il sistema operativo Ubuntu
si chiama così perché è un concetto
che è nato nell'Africa del sud e Nelson Mandela
in un bellissimo video che poi abbiamo utilizzato
per un lavoro con i ragazzi
lo descrive con una piccola storia:
un tempo, quando un viandante arrivava
in un villaggio era stanco, assetato, affamato,
nessuno gli avrebbe mai fatto una domanda,
gli portavano semplicemente da bere
e da mangiare. Questo è Ubuntu, cioè
pensare all'altro nella consapevolezza
che questo crea una comunità
che vive bene se tutti facciamo così.
Ubuntu è una grande filosofia africana,
che prima di arrivare all'aiuto
parte dal fatto che tutti siamo fratelli
e se aiuto una persona quella persona può aiutare
un'altra persona vicino a me,
quindi un collegamento generale della società
in quanto ci consideriamo tutti fratelli e sorelle.
Quello che è successo a Poggio alla Croce
è Ubuntu, è proprio Ubuntu autentico.
Io penso che seguire un principio per cui
se io aiuto l'altro e l'altro aiuta me
si vive meglio tutti e due,
piuttosto che farsi la lotta fra di noi,
anche se nella lotta poi magari c'è uno che vince
e che quindi può essere più soddisfatto
di quello che perde.
Questo mi ha sempre guidato
da quando ho in qualche modo avuto
la ragione nella mia vita, ho sempre passato
il tempo che avevo a disposizione nel sociale
ma per questo motivo, non per buonismo..
non è che sia buono allora penso che
per essere buoni bisogna fare del bene
quindi aiutare gli altri, fare la carità..
no, è forse un modo egoistico,
cioè io penso di guadagnarci qualcosa
in questo modo e quindi riuscire a vivere meglio,
essere sereni..
Si prendono delle fregature, tante,
ma non sono fregature come chi lotta poi perde,
sono forse opportunità che ci lasciano
magari un po' col sapore amaro in bocca,
ma che non creano grossi disagi
perché sappiamo di doverli avere
C'erano dei problemi di natura quasi razzista,
per cui sono intervenuto anche per questo,
ma poi era il mio modo di fare:
io sono migrante a Poggio alla Croce
perché vengo dalla città in campagna,
ho scelto questo e subito
ho cercato di integrarmi nell'associazione
che c'è qui, perché mi era naturale.
Per cui è un modo di vivere
che non è certamente da eroi, è normale,
penso che tutti possano capire questo.
Questa idea di Ubuntu, questa idea di rigenerare
computer o oggetti o strumenti che parevano
da gettar via, è un po' quello che poi ha ispirato
anche l'agire di questa comunità, che piano piano
ha rigenerato se stessa. Infatti quel motto
"Noi abbiamo bisogno di voi", di fatto significa
proprio questo cioè in realtà la nostra comunità
locale si è rigenerata grazie al vostro arrivo,
grazie alla vostra astronave di voi "omini neri",
perché ha generato in noi di nuovo una necessità
di lavorare insieme, di uscire di casa,
abbandonare i divani, abbandonare la televisione,
uscire di casa e provare insieme a risolvere
un problema per il beneficio della comunità tutta.
Sono Samba e vengo dal Mali, sono un artista
ma prima quando cantavo con i miei amici,
la mia famiglia non voleva che io facessi musica,
però a me piace tanto. Nel 2016 sono andato
in Algeria e poi sono andato anche in Libia
poi sono arrivato qua due anni fa.
La mia vita è complicata..Io vorrei fare l'artista,
un rapper come tantissimi italiani, Ghali, Sfera
Ebbasta.. e anche io vorrei fare come loro.
Io di preciso non lo so cosa può essere successo,
però siamo cambiati un po' tutti.
Ho trovato in loro dei cambiamenti anche
nei nostri confronti perché prima magari
passavano, ci facevano il sorrisino e basta...poi
quando hanno visto che veramente noi
gli si vuole bene...
io non posso parlare per tutti, ma per quelle
persone come me che quando se ne vede
uno nuovo si ferma: "ehi!" e se è alto gli si dice
di abbassarsi perché non ci si arriva.. e lui
ci chiama e noi gli si dice "nonni, nonni"
e lui risponde "nonno, nonna"
Noi parliamo in italiano.. allora ci si fa capire,
quando si vede che proprio non capiscono
che cosa gli vogliamo dire, per esempio se
gli vogliamo dire di abbassarsi gli facciamo così..
hanno imparato, quando passano (ci dicono)
"nonna, aiuto?".. "no, oggi no, domani"
magari c'è qualcuno che sa parlare qualche parola
di inglese come me allora gli dico "tomorrow"
e loro mi capiscono..
Io l'ho sempre detto: non ho posto in casa
ma se ne avessi li prenderei volentieri.. uno, due,
quanti ne potrei tenere, soprattutto
se la casa fosse mia, perché secondo me le loro
hanno anche bisogno di essere capiti..che il bene
lo sentano, non così: soltanto il sorriso...
Ci sono cose più fondamentali nella vita di tutti,
ma di loro specialmente: vengono via
dalla famiglia, da un sistema brutto,
patiscono la fame.. Forse non gli diamo
queste cose, siamo due o tre persone
che veramente gli vogliamo bene dal cuore,
non della bocca e basta e loro lo sentono,
basta che ci vedano vengono subito e subito
il bacio, la merendina, gli diamo i biscotti,
come se si vedesse un bambino
a cui si insegna a parlare.
Con quelli che vediamo più spesso si è creato
un contatto per cui ci si perde del tempo,
ma non è tempo perso, è tempo buono.
Probabilmente anche le persone che ci hanno visti
così all'inizio ci hanno criticati e ora invece
hanno detto "è vero, si sono fatti ben volere...
ma voi come fate?"...come si fa?
bene, gli parliamo! Prima o dopo capiscono..
Poi la cosa piano piano si è stabilizzata,
questi ragazzi sono bravissimi, non danno noia
a nessuno, salutano tutti passano, ti chiamano,
noi si risponde, almeno io personalmente, anche
se qualcuno nemmeno gli parlerà...
però il paese è tranquillo.
Ha dato il peggio di sé, perché credo che
le informazioni non conosciute per bene fanno fare
una reazione sbagliata. Poi le cose le conosci,
le vedi e le vivi, perché alla fine è vivere
insieme a loro è anche bello.
Per come lo vedo io questi ragazzi li hanno messi
in galera, sono chiusi lì dentro,
se non ci fosse stato questo gruppo
che gli faceva scuola e le altre cose che cosa
rappresenta stare lì? Se si mettono trenta ragazzi
chiusi in un Cas, a che cosa serve? A me sembra
che non serva a nulla.. se non fanno attività,
sono tutti ragazzi giovani di vent'anni,
che devono fare? Se fanno qualcosa,
se c'è modo di dargli sfogo, spazio nelle attività,
nel gioco allora la cosa è diversa. Possono anche
diventare utili però ci vuole un inserimento
che non si fa in due o tre mesi, perché
poi c'è la diffidenza..se vedi una persona nera
accanto ti fa effetto, c'é anche questo da dire..
Ma questo non significa nulla, alla fine è come me,
se impari a conoscerlo. Ma anche se sto con te
che non ti conosco, posso avere la stessa
opinione. Mi sembra logico.
Il primo paese che ho visto dopo essere entrato
in Europa è stato Poggio alla Croce, non lo
dimenticherò mai, perché mi hanno dato proprio
una vita, un'esperienza indimenticabile:
le persone, la gioia, un rispetto per la società
che mi hanno dato, fin dai primi giorni quando
mi portavano da tutte le parti: a cercare lavoro,
a prendere la patente, a scuola...e ho pensato:
guarda, queste persone da te non vogliono nulla
ma ti stanno dando tantissimo una nuova vita
Devo restituirgli qualcosa, quindi ho pensato che
può essere una cosa bella andare avanti con loro,
aiutandoli anche fisicamente. Io dimenticherò mai
questo paese nella mia vita, e anche le persone
che mi conoscono, la mia famiglia, anche se
non sono in Italia conoscono Poggio alla Croce!
E' una grande gioia anche per loro, secondo me
anche se loro incontreranno qualche persona
italiana o europea la rispetteranno perché hanno
dato una cosa buona e una vita nuova a loro figlio.
In futuro mi piacerebbe aiutare con la scuola,
non parlo benissimo italiano ma mi piacerebbe
almeno aiutare i pakistani, quelli che non parlano
inglese e non hanno studiato io posso fare
da interprete fra di loro tra un italiano che spiega
le regole e tutte le cose...è un aiuto verso di loro
ma è un modo per restituire qualcosa
verso la società, verso il paese.
Tu sei integrato dentro la società ma ora
stai insegnando ad altre persone ad integrarsi
nella società, e così sviluppano delle nuove cose
belle. Devo imparare tantissimo ancora, finora
ho imparato poco, ma loro (le persone di Poggio)
mi hanno dato proprio una vita bella che
non è spiegabile, non posso spiegarlo con le
parole. Io cercherò sempre di dare, di restituire
ma è un paese indimenticabile, è bello..
Questa iniziativa della scuola ha fatto in modo che
molte persone del paese che non si conoscevano
ora invece si conoscono, collaborano insieme,
sono diventate amiche...Per cui non solo i migranti
hanno la scuola di italiano, di matematica ma
noi stessi del paese abbiamo imparato
a conoscerci, a convivere e si sta molto meglio.
Un altro dei ricordi che ho e che penso non
riuscirò mai a scordare è il secondo giorno che
sono tornata alla scuolina ed era il compleanno
del mitico Duccio, la nostra mascotte. Compiva
un anno e ad un certo punto durante il mini buffet
che sua mamma aveva preparato per noi i ragazzi
aprono un sacchetto e tirano fuori un carrettino
fatto di legno tutto colorato e si vedeva che era fatto
in casa, di quelli che io potrei trovare nella soffitta
della nonna erano pezzi di legno assemblati
con questa corda attaccata per trascinare
il carrettino, con le ruote, era fatto proprio bene.
E' stato fatto artigianalmente da loro
ed il regalo è stato veramente apprezzato
da Duccio perché fra tanti giocattoli che ci sono
qui in casa, giocattoli fantastici che suonano,
cantano, urlano, questo semplice carrettino
di legno è piaciuto subito a Duccio,
che ci ha giocato senza sbatterlo per terra come fa
con gli altri giocattoli dopo trenta secondi che
li tiene in mano e li scaraventa via.. Anche perché,
forse, fin da piccolo, appena nato noi abbiamo
cercato, sia io che la mia compagna, di far
integrare Duccio insieme a questi ragazzi, senza
fargli vivere questa esperienza come se fosse
chissà che cosa, cioè come se fossero parenti
nostri, amici i nostri, fratelli nostri e lui veramente
quando li vede ride, gli va incontro - mio figlio ha
18 mesi.. è diventato praticamente la mascotte
del centro di accoglienza perché tutte le volte
lo vedono lo chiamano "Duscio, Duscio" li vedi che
quando c'è "Duscio" a loro si apre il sorriso
e questa cosa mi fa veramente piacere.
E' una frase fatta ma voglio che mio figlio diventi
cittadino del mondo,
non cittadino di Poggio alla Croce
(Madou spiega la ricetta di pane, olio e sale
nella sua lingua)
Mi chiamo Omar e vengo dal Senegal,
sono in Italia da due anni. Sono arrivato a Poggio
alla Croce e sono contento, ho conosciuto
tante persone... loro insegnano un po' di lingua
italiana io e sono diventato amico di queste persone
vado a scuola, anche a scuola di potatura,
ho fatto la vendemmia e la raccolta delle olive.
Loro mi hanno aiutato a trovare un buon lavoro,
ho trovato una mamma e un babbo, mi mancano
solo dei fratelli ma la mia mamma e il mio babbo
sono vicini a me, sono Paola e Gabriele
Loro sono molto bravi,
lo sono tutti a Poggio alla Croce
Uno straniero quando viene qua e lascia
la sua terra ha ancora questa nostalgia, crede che
dove va forse troverà un'accoglienza, un sorriso.
Quando viene e trova un rifiuto è un momento
di grandissima difficoltà, una tristezza.
Tutti siamo stranieri per qualcun altro, anch'io
sono straniero e sono arrivato qui nel 2000 e ora
sono passati 19 anni e mi trovo qui
come sacerdote a Poggio alla Croce.
Danno l'idea di avere in qualche maniera ripreso
il destino della loro vita nelle loro mani.
La trasformazione naturalmente, e questo forse
è uno degli aspetti significativi, non riguarda solo
loro: è sempre errato focalizzarsi su "loro".
Le cose funzionano quando il contesto si lascia
cambiare e in questo senso questa è una reazione
positiva della popolazione. Delle compaesane
anziane che magari erano terrorizzate in quelle
famose, terribili riunioni all'inizio ora li possono
chiamare, quando il boscaiolo scarica davanti
a casa loro 10 quintali di legna e per loro c'è
il problema di portarla in giardino, portarla dentro..
e allora, come dicono loro, di questi "marcantoni"
né chiamano un paio e dicono
"ce la porti dentro?" e chiaramente questi
ragazzi dieci minuti fanno il lavoro e loro magari
gli pagano il cappuccino
o gli danno qualche soldo.
E' stata in questa maniera recuperata una vita
normale, è la normalità sana che forma la reale
civiltà di una popolazione.
..e tra l'altro, e questo mi commuove, le persone
che ora sono con me e che mi hanno coinvolta
in questa avventura due in particolare, due donne
che hanno iniziato questa avventura, sono
le stesse persone che mi hanno accolta ormai
ventisei anni fa quando sono arrivata
qui a San Polo. E questo è importante per me,
perché è stata un'esperienza bellissima che ho
vissuto io e che voglio fare vivere agli altri, a loro.
"Come si chiama questo piatto?" "Mafe"
"come lo fate questo piatto, solo carne, verdure?"
carne, verdure, pomodoro, burro di noccioline
"come fate, dovete pulire, tagliare?"
"Bravi, ok ragazzi vi lascio lavorare intanto
io vi guardo e vi aiuto".
"cos'è questa cosa bianca?" Bantara "
"e come si cuoce?" ci vuole tanto tempo
in Senegal sì, non so come si cuoce in Europa...
"perché se più fresca si cuoce molto
velocemente se è vecchia ci vuole più tempo"
Chiude questa sorta di Barbiana dei migranti
a Villa Viviana, a Poggio alla Croce. Oggi c'è
un grande silenzio da quando questi ragazzi che
avevano riportato la vita da due anni nel borgo
spopolato sono stati costretti ad andarsene.
Se ne sono andati in fretta senza preavviso,
alcune cose sono rimaste lì.
La cooperativa Cristoforo, che gestiva il centro
lascia perché con il budget, ridotto da 35 a 21 euro
per migrante ha già dovuto chiudere cinque centri
su 17 ed è solo l'inizio: la situazione non è più
sostenibile a livello finanziario. A Poggio alla
Croce, nel comune di Figline e Incisa, i migranti
una trentina, erano arrivati due anni fa
fra la diffidenza e le proteste delle poche anime
del borgo, poi è cambiato tutto però, in molti
li hanno adottati, qualcuno ha deciso
di improvvisare una scuola, di insegnare loro
a cucinare o a potare gli olivi. Ne era nata
un'esperienza singolare di integrazione fino ad ora
all trasloco improvviso e forzato verso un altro
centro a Sesto Fiorentino.
Oggi era l'ultimo giorno di studio a Poggio
alla Croce, era una scuola dove gli stranieri
imparano un sacco di cose era la scuola dove
abbiamo imparato tutto ciò di cui avevamo bisogno
in italiano, in inglese e soprattutto la cultura
italiana. In questo momento è molto difficile
allontanarci dagli abitanti di Poggio alla Croce
oppure restare lontani dai nostri maestri
o dalle nostre maestre. Ci dispiace moltissimo
ma non abbiamo scelto, vi diciamo che non
abbiamo tante parole da dire perché vivere con voi
è stato molto bello. Dovete essere orgogliosi di voi
stessi per tutto quello che avete fatto e ancora
state facendo: avete creato una storia incredibile e
incancellabile nel nostro paesino, un paesino in cui
l'umanità è rispettata molto. Per alcune persone
vivere con ragazzi africani è una noia
oppure come un peccato. Ma con voi
non è stato così, sempre con i sorrisi, belle parole
senza parolacce né la distinzione di pelle.
Siamo stati fortunati a vivere con voi un momento
di questo viaggio, dopo lo studio a Poggio
abbiamo capito che ognuno di noi deve essere
padrone del proprio destino. Grazie per averci
insegnato il buon atteggiamento, come ci si
comporta in Europa, grazie per averci fatto capire
che non dovremo essere come le persone
delinquenti oppure che fanno l'elemosina. Non vi
dimenticherò mai, carissimi saluti..
Perché secondo me questa storia del Poggio,
della scuolina, è proprio una storia d'amore perché
ci si vuole bene tra noi volontari, perché stiamo
insieme in un modo particolare, e noi con i ragazzi
e i ragazzi a noi vogliono bene, sono nate
delle vere amicizie, è una storia d'amore la nostra.
Sono questi piccoli gesti, sono questi racconti
di quotidianità che rendono la nostra esperienza
così speciale. E' quello che ti fa dire:
"A me importa di te"
E' il dono più prezioso
che possiamo portarci a casa.