Forse avete notato che sono davvero grassa. Non vi preoccupate: non siete i primi. Nel lontano 1997, quando facevo la seconda media ho sentito che parlavano di me nella zona degli armadietti. Io me ne stavo nei bagni, tutta rannicchiata, mi nascondevo, quando ho sentito una ragazza che chiedeva: "Quando è stata l'ultima volta che Whitney ha visto 90210?" Io, semmai, ero più il tipo da Bayside School, e in effetti non avevo mai visto un episodio di 90210. Così strizzai i muscoli e trattenni la pipì e aspettai la risposta con il fiato sospeso. E quando arrivò... "Quando è salita sulla bilancia"... Le ragazze scoppiarono a ridere, e io sentii il tipico bruciore dell'imbarazzo che mi invadeva le guance. Questo mi riportò alla quinta elementare, sul campo di calcio, dove i ragazzi cantavano un canto su di me, chiamato "Baby Beluga" che finiva con "Ha una coda da balena." Forse iniziate a capire quanto grassa ero. È facile immaginarsi una ragazzina goffa che trabocca dagli short, che corre su e giù a bordo campo gridando "Ehi, sono pronta!" Ma se vie siete fatti questa immagine in testa, avete sbagliato. Perchè nel 1995, quando avevo 10 anni, ero così. Quando ora guardo quella foto mi fa male al cuore perché proprio mentre mi rendevo conto di avere un corpo e che gli altri avevano un'opinione sul mio corpo, mi sono trasformata in un dato statistico: all'età di 10 anni, otto bambini su dieci hanno paura di essere grassi. Bambini di dieci anni! Sono dati veri. Quando avevo 10 anni ho creduto a quanto mi diceva la cultura della dieta e cioè se sarò magra, più magra, magrissima, allora sarò felice. Ma a dieci anni mi sentivo lontanissima dalla felicità. L'emozione che più spesso collegavo al mio corpo era la vergogna. Dopodiché, la vergogna mi seguiva come un'ombra. E dopo l'episodio di 90210, sapevo che dovevo fare qualcosa. Così presi il manico dello spazzolino di mio padre e me lo ficcai in gola fino a vomitare. E da lì iniziò la mia lotta continua con i disordini alimentari. Ho continuato ad andare bene a scuola, a fare sport, a ballare. Io e la vergogna abbiamo vinto un sacco di premi e trofei. A volte la mia vergogna era una specie di adulto autoritario che implorava un giro a cavalluccio. Altre volte la vergogna mi veniva dietro, portando con lei il suo guinzaglio come un cagnolino fedele che non mi perdeva mai di vista. A 18 anni, nel 2002, quando ero quasi una donna, la vergogna era ormai diventata la mia migliore amica. Mi accompagnava a ogni performance di danza, a ogni torneo di calcio; era anche al bagno con me la sera del ballo studentesco mentre, piegata sulla tazza, vomitavo la cena pochi minuti prima di essere incoronata principessa della serata. Quell'autunno, quando andai al college, mi portai la vergogna in stanza con me al college e notai che il mio corpo stava cambiando. Quando tornai a casa per Natale, avevo messo su venti chili. E pensavo: "Okay, sono una perfezionista: i 7 chili che tutti prendono il primo anno a me non bastano. (Risate) Mi uscivano dei misteriosi lividi su tutto il corpo e pensavo: "Perché continuo a sbattere su porte e mobili? Da quando sono così imbranata?" Ma poi mi resi conto che non ero imbranata: Era il mio corpo che si allargava così velocemente che avevo perso il senso cinestetico. Il mio corpo non sapeva più come stare dentro al suo spazio fisico. E neanche io sapevo più quale fosse il mio posto nel mondo. Dire che il mio aumento di peso era una cosa complicata, è poco. Alla fine del secondo semestre ero cresciuta di quasi quaranta chili. Avevo tutta la comprensione delle ragazze carine che mi chiedevano se avevo mai avuto un ragazzo. E c'era quel bel tipino che in agosto mi aveva portato a cena okay, un posto così così, ma era pur sempre un invito a cena. E poi quando mi rivide in marzo con lo sguardo mi passò oltre, come se io nemmeno esistessi. Era come se mi avessero messo dentro a un esperimento contro la mia volontà, facendomi indossare un abito di grasso e camminare in pubblico. Le differenze tra come la gente trattava la Whitney media e la Whitney grassa erano incredibili. Improvvisamente, pensavano che fossi pigra, disperata, trascurata, stupida. E con ogni chilo che aggiungevo, la mia autostima sprofondava sempre di più. Così diventai una persona diversa. Abbandonai la mia scuola di danza; venni bocciata a un sacco di corsi; e in un mondo in cui essere grassi sembrava il più grande tabù, non avevo nessuno con cui parlare. Certo, c'erano giorni in cui mi facevo coraggio e dicevo: "Ok, andrò in palestra oppure mi avventurerò a quella festa." Ma c'era sempre un sussurro, un'occhiataccia, un insulto che mi ricordava che non meritavo di essere là. E così me ne tornavo a casa dall'unica amica che non mi aveva mai abbandonata: la vergogna. Stavamo sveglie fino a tardi ad autocommiserarci, a ubriacarci per assopire il dolore. Prendevo qualcosa al takeaway per tutte e due e facevo il possibile per non uscire in un mondo che non mi voleva. Ovviamente tutto quello che avevo fatto per sopportare non faceva altro che aggravare il problema e io continuavo a ingrassare. Nel 2005, quando pesavo centotrenta chili, la mia ginecologa, allontanandosi dalle mie gambe che stavano sulle staffe del lettino, controllò i suoi dati, e un po' troppo allegramente mi annunciò che secondo lei avevo la sindrome da ovaio policistico. Fantastico! Iniziò a girarmi la testa perché non mi ricordavo questa malattia a trasmissione sessuale dall'educazione sessuale alle medie. (Risate) Ma imparai un sacco di cose leggendo con attenzione tutti i depliant e i volantini: l'ovaio policistico non è una malattia trasmessa. È una sindrome, una serie di sintomi per cui non c'è una cura che colpisce una donna su dieci in America ed è la principale causa di infertilità. Come in un puzzle, molte cose iniziarono a diventare più chiare. Tutti i capelli che perdevo facendo la doccia, i peli neri e ispidi sulla faccia, il ciclo che avevo avuto solo due volte a 15 anni, e poi basta, e, ovviamente, il grave aumento di peso nel mio primo anno al college. Allora non me lo spiegavo, ma ora sì: avevo l'insulino resistenza. L'ovaio policistico mi avrebbe impedito di perdere peso? Assolutamente no. Sarebbe stato ancora più difficile? Assolutamente sì. E per una che tutto voleva, tranne essere grassa, fu come una sentenza a morte. A quel punto mi sono arrabbiata. Mi chiedevo: "Perchè non ne ho mai sentito parlare?" Volevo sapere perché i medici mi liquidavano sempre dicendo che ero "giovane e irregolare", o che era perché bevevo, o per il Prozac. Ma tra tutte le emozioni che provai, la più forte fu la vergogna. Così dopo il college, ho preso due valige - i miei abiti e la mia vergogna - e sono andata in Corea a insegnare l'inglese. Ho avuto una promozione dopo l'altra, e ho viaggiato il mondo. Io e la mia vergogna siamo andate in cima alla Grande Muraglia; abbiamo magiato il sushi a Tokyo, insieme; siamo state in vacanza in Malesia e Vietnam; abbiamo anche preso il sole a Bali. Ma tutte queste esperienze, che potevano essere fantastiche, erano velate da quella orrenda e insidiosa vergogna che si beveva la vita e il colore dei miei ricordi e mi lasciava solo il bianco e il nero e un desiderio infinito di essere magra, per potere finalmente iniziare a vivere. Vivere all'estero non era male: ho fatto delle esperienze fantastiche. Ma la discriminazione che ho incontrato era molto più feroce di quella che avevo trovato qui. Mi deridevano, mi indicavano, ogni giorno mi davano del maiale per strada, nei negozi, nei locali di sera. Non dimenticherò mai quando in un taxi l'autista continuava a farmi dei grugniti fino a quando arrivammo a destinazione. O quel tipo che mi arrivò pericolosamente vicino con la bici, si fermò, mi guardò e mi disse: "maiale", e poi sputò. Lo rincorsi, ma fu uno sforzo inutile, perché lui era in bici e io gli lanciai dietro ogni insulto che ricordavo in coreano fono a quando non lo vidi più. E poi tornai a casa a piangere. Ma fu solo quando venni aggredita in un bar, un uomo mi arrivò alle spalle e iniziò a prendermi a pugni sula testa che mi resi conto "Un attimo. Io non mi merito questo." Fu necessaria una azione così violenta per scuotermi e farmi capire che ero un essere umano grasso ma pur sempre un essere umano. Così mi dissi: "Torno a casa, negli USA, e non permetterò che nulla di tutto questo mi succeda di nuovo. Perderò peso." Così nel 2011 tornai a casa. Nel 2011, pesavo centocinquanta chili. in otto mesi ne persi quarantacinque. Facevo esercizio per 12-15 ore alla settimana; contavo le calorie; ero ossessionata; e nascondevo la mia vergogna al mio allenatore ai miei familiari e ai miei amici, anche agli estranei che mi dicevano: "Incredibile, È la cosa più difficile da fare, e la stai facendo. Non sono mai stato più orgoglioso di te da quando sei nata!" In poco tempo mangiavo da 500 a 1.000 calorie al giorno e vomitavo tutto il cibo del venerdì, la mia "Giornata dell'inganno", E il mio disordine alimentare era ripreso alla grande. Un giorno uscii dalla palestra, dopo un po' di chilometri di corsa, mi passò vicina una macchina, abbassarono i finestrini e mi gridarono: "Culona!" Quando salii nella mia macchina, tutta sudata, mi trovai a dir poco in una crisi isterica. Mi ero letteralmente distrutta a forza di esercizi per fare l'unica cosa che secondo la gente sarebbe servita, l'unica cosa che secondo la gente mi avrebbe resa dignitosa. Ma quel tipo nel parcheggio se ne fregava; non sapeva nulla di me, né cosa avevo fatto per cambiare. E io sognavo di perdere il resto dei miei 45 chili e pensavo al mio obiettivo. Ma tutto quello che vedevo erano seni mosci e pelle cascante e rughe intorno agli occhi. Razionalmente sapevo che finché permettevo che il mio valore dipendesse dalla percezione degli altri, non sarei mai stata soddisfatta. Ma non riuscivo a non pensare che per essere felice dovevo essere magra. Fu in quel momento che persi tutte le mie speranze. Mi ero stancata di contare le calorie, di perdere peso, di essere ossessionata dal cibo e dagli allenamenti. Volevo una cosa diversa per cui vivere. Così, mi trovai un lavoro in una radio per cui dovevo alzarmi ogni mattina alle quattro per una paga misera. (Risate) E come la maggior parte delle persone che hanno perso una grande quantità di peso iniziai a metterne su di nuovo. E nell'arco di un anno e mezzo ero grassa come non ero mai stata. Pesavo centosessanta chili e ero nella depressione più profonda. Non avevo soldi per l'affitto, così tornai dai miei genitori. Il giorno del mio ventinovesimo compleanno piangevo sulle ginocchia di mia madre lamentandomi della mia vita personale e professionale. E le chiesi: "Mamma, come potrà mai cambiare?" Mia madre prese fuori un ciondolo, sul quale c'erano queste parole: "Succederà qualcosa di bello." Ma nella mia disperazione ero concentrata su un unico dettaglio: quando? Iniziai a ripensare alla mia vita. A quando avevo nove anni e pesavo quaranta chili, e ora, a quasi trent'anni e più di centotrenta, e non era cambiato nulla. Non ero mai stata felice; non mi ero mai amata; portavo sempre il peso della vergogna. Decisi di fare un esperimento, e feci una promessa. mi dissi: "Whitney, se ti chiedono di fare qualcosa e l'unico motivo per non farla è: 'sono grassa', allora quella cosa tu la farai, comunque." L'universo mi stava ascoltando perché, che ci crediate o no, tre giorni dopo, ricevetti un messaggio da una fotografa che mi diceva che mi voleva fare delle foto sexy, gratis. Le risposi immediatamente: "Amica, mai al mondo mi spoglierei davanti a un obiettivo. Quindi, quando ci vediamo?" (Risate) Dopo una bottiglia di vino e un autista sobrio, (Risate) il risultato fu una sorpresa. Quando guardai la foto, Per la prima volta nella mia vita non scrutai ogni difetto, non mi sentii morire di vergogna, anzi, pensai che ero bella. Così decisi di proseguire l'esperimento. I miei colleghi in radio mi chiedevano di fare un video in cui ballavo, di intitolarlo "A Far Girl Dancing" e di metterlo su YouTube. All'inizio la mia reazione fu "assolutamente no!" Perché nessuno mi vede ballare da quando avevo 18 anni - le ragazze grasse non lo fanno - e mi sento ancora inibita dalla parola "grassa". Così mi chiesi: "Whitney, ma proprio tu in tutto il mondo, non lo sai che grassa non è sinonimo di indegna, pigra, stupida, non meritevole?" Non ero sicura di saperlo, ma volevo scoprirlo, così accettai. E caricai questo video in internet, e pochi giorni dopo iniziai a ricevere un sacco di telefonate. Ma non erano le solite chiamate tipo mio padre che voleva carta igienica, o roba del genere. Erano chiamate da Steve Harvey, e la CNN, Good Morning America, e il Today Show, e tutti mi dicevano che mi volevano nel loro programma, a parlare del mio video e a spiegare questo nuovo stile di vita, questo stile "body positive" che stavo promuovendo. Io non capivo... Voglio dire: cosa c'è di così sovversivo in una donna grassa che balla? Ma andai da loro e feci il mio balletto. E poi iniziarono ad arrivarmi lettere. Ricevetti una email da un ragazzo, un teenager libanese, che diceva: "Whitney, qui essere gay è illegale, e io sono gay. Ma quando guardo i tuoi video, sento che andrà tutto bene." Io gli dissi: "Okay." (Risate) Poi iniziarono ad arrivare altre lettere. Una dalla rete TLC, che mi chiedeva se mi interessava un reality. Pensai, a come mi avrebbe potuto rovinare vita e reputazione anche in futuro. Ma poi pensai a quel ragazzo in Libano, e a tutte le altre persone che non avevano mai visto in TV qualcuno che assomigliasse a loro, qualcuno che lottava come loro, e così accettai. Nel giro di poco tempo iniziarono ad arrivare altre lettere. Molte erano di donne grasse, ma molte no. Parlavo con delle ragazzine, donne anoressiche, persone diversamente abili, nonni che avevano sempre odiato il loro naso. E allora capii che non è tanto il fatto che sono grassa, ma il fatto che vivo senza vergognarmi nonostante la società mi dica che non lo merito. Tutti noi abbiamo qualcosa di cui la società ci insegna a vergognarci. Per me, questo è evidente dal fatto che la magrezza è premiata sopra a ogni altra cosa, dal fatto che diciamo alle donne, senza mezzi termini, "Se non sei abbastanza giovane, magra e carina, sei da buttare" Vivere in un mondo così decidendo di amare il mio corpo era diventato un atto sovversivo. E fare ciò che amavo, avendo quel corpo, era diventato una forza. Poi arrivò l'inevitabile domanda, da parte di tutti: "Come si fa?" Non sapevo mai come rispondere a questa domanda, perché non potevo dire agli altri di essere come me. Ma ora penso di sapere come dire agli altri di essere sé stessi. Penso che dobbiamo, come per magia, avere fiducia prima di fare qualcosa, ma a ritroso. La fiducia è un prodotto dell'azione, non il contrario. Se io avessi aspettato la fiducia, non mi sarei mai spostata dal mio letto. Ho dovuto fare cose difficili - nel mio caso posare seminuda e ballare - e la fiducia è stata la mia ricompensa, e la fiducia è stata un tassello. Vivere in sincerità senza vergogna non è tutto rose e fiori. Ogni giorno, in internet e nella mia vita vera mi dicono che sono disgustosa, un'illusa, e che dovrei sbrigarmi a morire di infarto prima o poi, così il mondo si libererà di me. Ma vivere senza vergogna mi ha anche portato tanta gioia che non pensavo esistesse. Mi ha messo in contatto con milioni di persone che non avrei incontrato di persona e riportato il colore e la felicità nella mia vita. Ora penso spesso a una delle mie frasi preferite dalla mia femminista preferita, Audre Lorde. "Sono consapevole e non temo nulla." E poi ripenso a questa foto - 1989. Cinque anni, prima del mio primo saggio di danza, questa ragazzina era consapevole e non temeva nulla, con tutta la sfacciataggine che poteva, assolutamente insolente riguardo a quello che ci faceva al mondo. Penso che ci scoraggiamo perché tutti siamo stati quella ragazzina ma poi il mondo ci ha colpito e affondato. Pensiamo che avere fiducia ed essere felici dovrebbe essere facile come accendere un interruttore, no? Fallo. Sii felice. Amati. Ma non è così facile, e io lo so. Non è come un interruttore. Vivere sinceramente senza vergogna è come quando al buio si cerca il sensore di movimento per la luce. Si deve camminare verso un punto che non si vede ma si ha fiducia che prima o poi ci si arriva. Ed è buffo perché l'unica cosa che farà accendere quella luce saranno il tuo movimento e la tua azione. E se vivete così, se sapete che ogni volta che inciampate, vi girate e incespicate state facendo la parte difficile state facendo quello che serve, anche se non ve ne rendete conto. Se vi impegnate a vivere una vita senza vergogna e sapete che è un'impresa da portare avanti ogni volta giorno dopo giorno, e scegliete consapevolmente quel tipo di vita, vi scoprirete illuminati. E se siete come me, sarà probabilmente quando meno ve l'aspettate. Grazie. (Applausi)