Sono una microbiologa marina alla University of Tennessee e voglio raccontarvi di alcuni microbi che sono così strani e meravigliosi che sfidano le nostre ipotesi di come sia la vita sulla Terra. Ho una domanda. Vi prego di alzare la mano se avete mai pensato che sarebbe figo andare sul fondo dell'oceano in un sottomarino. Sì. La maggior parte di voi, perché gli oceani sono fighi. Ok, ora, alzate la mano se il motivo per cui avete alzato la mano per andare in fondo all'oceano è perché sareste un po' più vicini a quell'eccitante fango che c'è laggiù. (Risate) Nessuno. Sono l'unica in questa sala. Beh, io ci penso sempre. Passo la maggior parte delle mie ore di veglia a cercare di capire quanto in profondità si possa andare nella Terra e trovare ancora qualcosa, qualsiasi cosa, che sia viva, perché non sappiamo ancora rispondere a questa domanda abbastanza basilare riguardo alla vita sulla Terra. Negli anni '80, nel Regno Unito, uno scienziato di nome John Parkes aveva la mia stessa ossessione e gli è venuta un'idea folle. Credeva che ci fosse una vasta, profonda e viva biosfera microbica sotto gli oceani di tutto il mondo, che si estendeva per centinaia di metri sul fondo marino. Che è una bella idea, ma l'unico problema è che nessuno gli credeva e questo perché i sedimenti oceanici potrebbero essere il posto più noioso del mondo. (Risate) Non c'è luce, non c'è ossigeno, e forse, la cosa peggiore, non arriva cibo fresco per, letteralmente, milioni di anni. Non serve un dottorato in biologia per sapere che non è un buon posto per cercare la vita. (Risate) Ma nel 2002 John convinse un numero sufficiente di persone che ci fosse qualcosa e partì in spedizione su una nave di perforazione chiamata JOIDES Resolution. E ci andò con il danese Bo Barker Jørgensen. E così riuscirono finalmente a raccogliere campioni di fondale profondo, totalmente privi di contaminazione da parte dei microbi superficiali. Questa nave è capace di perforare per migliaia di metri sotto l'oceano e il fango risale per nuclei sequenziali, uno dopo l'altro, nuclei lunghissimi che appaiono così. Questo è trasportato da scienziati come me che vanno su queste navi e analizzano i nuclei sulle navi, che poi vengono spediti a casa nei nostri laboratori, per ulteriori studi. Quando John e i suoi colleghi hanno raccolto questi primi, preziosi campioni incontaminati dei fondali, li hanno messi sotto al microscopio e hanno visto immagini più o meno come questa, che in realtà è presa da una spedizione più recente di un mio studente di dottorato, Joy Buongiorno. Vedete la cosa nebulosa sullo sfondo. È fango. È fango delle profondità dell'oceano e i puntini verdi luminosi tinti di verde fluorescente sono veri microbi viventi. Ora devo dirvi qualcosa di molto tragico riguardo ai microbi. Sembrano tutti uguali sotto al microscopio. A una prima occhiata, intendo. Puoi prendere il più affascinante organismo al mondo, come il microbo che, letteralmente, respira uranio, e un altro che produce carburante per i razzi, mischiarli con un po' di fango oceanico, metterli sotto a un microscopio e sono solo puntini. È molto fastidioso. Quindi, non possiamo usare il loro aspetto per classificarli. Dobbiamo usare il DNA, come se fosse un'impronta digitale, per dire chi è chi. E vi insegnerò a farlo seduta stante. Mi sono inventata un po' di dati, vi mostrerò dati non reali. È per illustrarvi cosa si vedrebbe se un gruppo di specie non fossero affatto connesse l'una con l'altra. Vedete qui come ogni specie ha una lista di combinazioni di A, G, C e T, che sono le quattro sub-unità del DNA, ammucchiate casualmente, niente sembra niente, e queste specie non sono affatto collegate tra loro. Ma questo è l'aspetto che ha il vero DNA da un gene che queste specie hanno in comune. Tutto si allinea quasi perfettamente. Le probabilità di avere così tante colonne verticali dove ogni specie ha la C o ogni specie ha la T, per pura casualità, sono infinitesimali. Quindi sappiamo che tutte quelle specie devono aver avuto un antenato in comune. Sono tutte imparentate l'una con l'altra. Ora vi dirò chi sono. I due in testa siamo noi e gli scimpanzé che, come già sapete, siamo imparentati perché, cioè, è ovvio. (Risate) Ma siamo anche imparentati a cose a cui non assomigliamo, come i pini e la Giardia, che provoca quella malattia gastrointestinale che si può prendere se non si filtra l'acqua durante un'escursione. Siamo anche parenti di batteri come l'E. coli e il Clostridium difficile, che è un patogeno orribile, opportunista, che uccide tantissime persone. Ma ci sono anche microbi buoni, come il Dehalococcoides ethenogenes, che pulisce gli scarti industriali al nostro posto. Se prendo queste sequenze di DNA e uso le somiglianze e le differenze tra di loro per fare un albero genealogico di tutti noi, per mostrarvi quanto siamo collegati, appare così. Vedete chiaramente, con uno sguardo, che cose come noi, Giardia, i coniglietti e i pini siamo come fratelli e che i batteri sono come i nostri antichi cugini. Ma siamo imparentati con ogni essere vivente sulla Terra. Nel mio lavoro, ogni giorno, produco evidenze scientifiche contro la solitudine esistenziale. Quando trovammo queste prime sequenze di DNA, dalla prima nave, dai primi campioni di profondo sottosuolo, volevamo sapere dove si collocassero. La prima cosa che scoprimmo fu che non erano alieni perché riuscimmo ad allineare il loro DNA con quello di qualsiasi altra cosa. Ma guardate un po' dove finiscono sul nostro albero della vita. La prima cosa che notate è che ce ne sono un sacco. Non era una sola piccola specie ad essere riuscita a vivere in quel posto orribile. Ma erano un bel po'. La seconda cosa che notate, si spera, è che non assomigliano a niente di ciò che conoscevamo. E sono tanto diversi tra di loro quanto lo sono rispetto a tutto ciò che conoscevamo prima così come noi lo siamo rispetto ai pini. Quindi John Parkes aveva assolutamente ragione. Lui e noi avevamo scoperto un ecosistema microbico completamente nuovo e diverso sulla Terra, che nessuno sapeva esistesse prima degli anni '80. Quindi ora stiamo andando alla grande. Il passo successivo fu far crescere queste specie esotiche su piastre Petri così che potessimo fare con loro dei veri esperimenti, come si suppone che facciano i microbiologi. Ma con qualsiasi cosa li nutrissimo, loro si rifiutavano di crescere. Anche ora, 15 anni e molte spedizioni dopo, nessun umano è mai riuscito a far crescere questi microbi esotici del profondo sottosuolo in una piastra Petri. E non è certo stato per mancanza di tentativi. Potrebbe sembrare deludente, ma io in realtà lo trovo stimolante, perché significa che ci sono così tante eccitanti vie sconosciute su cui lavorare. A me e ai miei colleghi è venuta quella che ci sembrava una grande idea. Avremmo letto i loro geni come se fossero un libro di ricette trovato cosa volevano mangiare e l'avremmo messo nelle loro piastre Petri, loro sarebbero cresciuti e sarebbero stati felici. Ma quando abbiamo guardato i loro geni, è venuto fuori che ciò che volevano era ciò che gli stavamo già dando. Quindi fu un disastro totale. Loro volevano qualcos'altro nelle loro piastre Petri che noi non gli stavamo dando. Così, combinando varie misure da svariate parti del mondo, i miei colleghi alla University of Southern California, Doug LaRowe e Jan Amend, riuscirono a calcolare che ognuna di queste cellule delle profondità oceaniche necessita di un solo zeptowatt di potenza e prima che tiriate fuori i telefoni, un zepto è 10 alla meno 21, perché so che anch'io vorrei controllare. Gli umani, invece, necessitano di circa 100 watt di potenza. 100 watt in pratica è come se prendeste un ananas e lo lanciaste dall'altezza dei fianchi a terra per 881.632 volte al giorno. Se lo faceste e lo collegaste a una turbina, si creerebbe abbastanza potenza per farmi esistere per un giorno. Uno zeptowatt, allo stesso modo, sarebbe come se prendeste un solo granello di sale e vi immaginaste una pallina piccola piccola che è un millesimo della massa di quel granello di sale e la faceste cadere da un nanometro, che è cento volte più piccolo della lunghezza d'onda della luce visibile, una volta al giorno. Questo è tutto ciò che serve a quei microbi per vivere. È meno energia di quanto avremmo mai pensato potesse supportare la vita, ma in qualche modo, in un modo stupendo, meraviglioso, è abbastanza. Quindi, se questi microbi del profondo sottosuolo hanno una relazione così diversa con l'energia rispetto a ciò che pensavamo, di conseguenza devono avere una diversa relazione anche con il tempo, perché quando vivi sulla base di gradienti di energia così minuscoli, la crescita rapida è impossibile. Se questi cosi volessero colonizzare le nostre gole per farci ammalare verrebbero cacciati dallo streptococco che cresce velocissimo prima ancora di poter iniziare la divisione cellulare. Ecco perché non li troviamo mai nelle nostre gole. Forse il fatto che il profondo sottosuolo è così noioso per questi microbi è in realtà un vantaggio. Non vengono mai lavati via da una tempesta. Non vengono ricoperti di alghe. Tutto ciò che devono fare è esistere. Forse ciò che stavamo dimenticando nelle nostre piastre Petri non era affatto cibo. Forse non era una sostanza chimica. Forse ciò che volevano davvero, il nutriente di cui avevano bisogno, era il tempo. Ma il tempo è l'unica cosa che non sarò mai in grado di dargli. Anche se avessi una coltura di cellule e la passassi ai miei dottorandi, che a loro volta la passerebbero ai loro dottorandi, e così via, dovremmo andare avanti per migliaia di anni per imitare le esatte condizioni del profondo sottosuolo e tutto ciò senza crescere alcun agente contaminante. È semplicemente impossibile. Ma forse in qualche modo li abbiamo già cresciuti nelle nostre piastre. Magari hanno guardato tutto il cibo che gli abbiamo offerto e hanno detto: "Grazie, mi velocizzerò talmente tanto che farò una nuova cellula il prossimo secolo". Oh. (Risate) Ma allora perché il resto della biologia si muove così in fretta? Perché una cellula muore dopo un giorno e un uomo muore solo dopo 100 anni? Ci sembrano davvero dei limiti arbitrariamente brevi, se si pensa al totale ammontare del tempo nell'universo. Ma questi limiti non sono arbitrari. Sono dettati da una sola, semplice cosa, e quella cosa è il Sole. Una volta che la vita ha capito come sfruttare l'energia del Sole attraverso la fotosintesi, abbiamo dovuto tutti darci una mossa e sviluppare i ritmi circadiani. In questo modo, il Sole ci ha dato sia una ragione per essere veloci, sia il carburante per farlo. Si può vedere la maggior parte della vita sulla Terra come un sistema circolatorio e il Sole come il cuore pulsante. Ma il profondo sottosuolo è come un sistema circolatorio completamente disconnesso dal Sole. È anzi guidato da lunghi e lenti ritmi geologici. Non c'è a oggi un limite teorico sulla durata della vita di una cellula. Fintanto che c'è almeno un minuscolo gradiente di energia da sfruttare, teoricamente, una singola cellula potrebbe vivere per centinaia di migliaia di anni o anche di più, semplicemente sostituendo le parti rotte man mano. Chiedere a un microbo che vive così di crescere in una piastra Petri è chiedergli di adattarsi al nostro frenetico, veloce, Sole-centrico modo di vivere e forse loro hanno qualcosa di meglio da fare. (Risate) Pensate se riuscissimo a capire come riescono a farlo. Pensate se coinvolgesse qualche composto ultrastabile che potremmo usare per aumentare la durata di conservazione nelle applicazioni biomediche o industriali? O magari se capissimo il meccanismo che usano per crescere con una così straordinaria lentezza, potremmo imitarlo nelle cellule cancerose e rallentarne la divisione cellulare. Non lo so. Cioè, onestamente, queste sono solo speculazioni, ma l'unica cosa che so per certo è che ci sono centinaia di miliardi di miliardi di miliardi di cellule microbiche viventi sotto tutti gli oceani del mondo. È più di 200 volte il totale della biomassa di umani sul pianeta. E quei microbi hanno una relazione fondamentalmente diversa con tempo ed energia rispetto a noi. Quello che per loro può sembrare un giorno per noi potrebbero essere mille anni. A loro non importa del Sole e non gli importa di crescere in fretta e, probabilmente, non gliene frega niente delle mie piastre Petri... (Risate) Ma se continuiamo a trovare modi creativi per studiarle, allora forse riusciremo finalmente a capire come è davvero la vita, tutta la vita, sulla Terra. Grazie. (Applausi)