Quando muore un uomo anziano,
una biblioteca va in fiamme.
Questo è un proverbio africano
imparato da un amico
che ha detto che durante la mia carriera
sono stata come un pompiere,
che spegneva il fuoco delle storie
che dovevano essere raccontate.
Avete mai desiderato
di intervistare qualcuno
prima che morisse
come un nonno o un genitore?
O pensare di intervistare qualcuno ora
ma non siete del tutto convinti?
Tutti abbiamo una storia
e, volenti o nolenti,
siamo definiti dalle storie
che ci circondano.
Negli ultimi 15 anni,
ho avuto l’enorme opportunità
di raccontare storie.
Ho visitato tutti e sette i continenti,
mi è stato dato accesso a mondi
che non mi sarei mai immaginata
e ho intervistato persone
che non avrei mai creduto possibile.
I miei film sono ritratti di visionari
e di eroi quotidiani,
sono storie di creatività e di tecnologia,
sono ricerche
su temi umanitari e ambientali.
Ma quando guardo indietro
alla mia carriera cinematografica,
mi rendo conto che questa è stata
fortemente influenzata dalla mia infanzia.
Mio padre e mio nonno,
entrambi vincitori di Academy Award,
lavoravano agli Studios della Walt Disney
progettando e sviluppando
videocamere e sistemi di proiezione
per film e parchi tematici della Disney.
Di tanto in tanto,
mio padre doveva andare
a Disneyland per lavoro
e, se ero abbastanza fortunata,
mi portava con lui.
Non entravamo
dall'ingresso principale come tutti,
ma dal retro.
E vi posso assicurare
che era come entrare
nel paese delle meraviglie.
Per me, tirare quella tenda
e vedere quel magico backstage
era più entusiasmante
di quello che c'era sul palco.
Le persone che progettavano il parco
erano chiamate Immagigneri
e sono cresciuta imparando
i loro racconti leggendari
su come Disneyland fosse stata costruita.
Ad esempio, come fare cantare e ballare
i fantasmi nella Casa Infestata
o come far brillare le lucciole
nella giostra dei Pirati dei Caraibi
o come far muovere
il corpo e le mani di Abraham Lincoln
nell'attrazione dei Grandi Momenti
con Mr Lincoln.
Infatti, questa è la mano di Lincoln
e sono cresciuta con questa mano
sempre in giro per casa
perché per modellarla,
avevano usato le mani di mio padre.
Mia mamma, d'altro canto,
non era contenta
di trovarsela nel freezer,
(Risate)
e ancora oggi incolpo mia sorella.
Inutile dire che è stato bellissimo
crescere dietro le quinte.
Quando mi sono laureata
alla USC Film School,
ho trovato lavoro come assistente regista
in una casa cinematografica di Hollywood
per grosse produzioni.
Era emozionante,
perché potevo vedere i dietro le quinte
della creazione di un film.
Ma quando il film fu completo
e le riprese finirono,
ricordo che il mio lavoro
iniziò a sembrarmi noioso.
E ricordo che guidavo ogni mattina
nel traffico di Los Angeles
solo per svolgere una lunga lista
di lavoretti per il regista,
come portare a spasso il cane,
odio ammetterlo,
incontrare la badante
e prendergli il caffè.
Ricordo di aver pensato:
"È davvero così che dovrei sfruttare
la mia laurea in cinema?"
Un giorno, durante un lungo spostamento,
mi è venuta in mente un'immagine,
una foto fatta da mio nonno
nel 1924,
mentre attraversava in macchina il Paese
per andare a Hollywood.
Questa foto è sempre stata
nella casa dei miei nonni,
quando ero piccola.
Mio nonno aveva incontrato Walt Disney
quattro anni prima
a Kansas City, nel Missouri.
Erano giovani artisti
e lavoravano in un'agenzia pubblicitaria.
Entrambi erano appassionati di animazione.
Così decisero di fondare una loro azienda
chiamandola Iwerks-Disney,
ma durò soltanto un mese.
Allora, Walt decise di mettersi in proprio
e fondare una sua azienda
dal nome Laugh-O-Grams,
in cui creava qualche cartone
per i cinema locali.
Ben presto, mio nonno si unì
così iniziarono a innovare cartoni
utilizzando videocamere improvvisate
e producendo alcuni grandi
cartoni animati innovativi
tra cui uno che aveva come protagonista
una bambina vera
su uno sfondo animato,
cosa che non era mai stata fatta prima.
Presto però, i soldi di Walt finirono
e dovette dichiarare bancarotta,
allora se ne andò a Hollywood
a cercare lavoro
e mio nonno tornò all'agenzia publicitaria
per un impiego stabile.
Due anni dopo,
mio nonno ricevette una lettera da Walt
in cui gli chiedeva di andare a Hollywood
e diventare capo animatore
di una nuova serie di cartoni.
A quel punto, mio nonno poteva scegliere:
mettere quella lettera in un cassetto
e andare sul sicuro
oppure stravolgere tutta la sua vita,
trasferirsi altrove
per lavorare a un misterioso cartone,
rischiando di nuovo di fallire.
Dunque, cosa fa?
Si fida del suo sesto senso,
ascolta il suo istinto
e si trasferisce dall’altro capo del Paese
per affrontare una lunga strada
verso un futuro sconosciuto.
Questo, in termini di narrazione,
si chiama causa scatenante
o chiamata all'azione.
Tutto quel che viene prima
di questo momento, è lo sfondo.
Tutto quello che succede dopo,
è la storia.
È il momento che spinge
il protagonista ad agire.
E secondo questa storia,
due anni dopo che mio nonno
arrivò ad Hollywood,
Walt Disney andò di nuovo a gambe all'aria
con una nuova serie animata chiamata
"Oswald il coniglio fortunato".
Quando i suoi animatori lo abbandonarono,
l'unica persona, l'unico animatore
che stette al suo fianco,
fu Ub Iwerks.
Lui continuò a lavorare
sulla progettazione e l'animazione
di un nuovo personaggio animato
che avrebbe cambiato il mondo:
Mickey Mouse
o Topolino, come viene chiamato
qui in Italia.
Mio nonno morì
quando avevo un anno
e, inutile dirlo,
ero molto dispiaciuta
per non averlo conosciuto.
Quando ero alle scuole medie,
mi venne chiesto di fare un tema
su qualcuno di famoso
e io decisi di farlo su Ub.
Così iniziai a cercare nei libri
di storia dell'animazione
e sulle biografie di Walt Disney.
Scoprii che le storie che stavo leggendo
erano diverse da quelle
che mi venivano raccontate in famiglia,
sul contributo che Ub ha dato
all’animazione, agli effetti visivi
e alla realizzazione di Minni e Topolino.
Mi resi conto che mancava
una storia di collaborazione
e, di conseguenza, mancava
un pezzo di storia dell'animazione.
Ebbene, questa mancanza
mi ha sempre dato fastidio.
Ed eccomi là,
a guidare nel traffico mattutino
per portare a spasso il cane del regista.
Ed è lì che ho avuto un'illuminazione:
io posso salvare questa biblioteca.
E se andassi a intervistare
le persone che conoscevano mio nonno
prima che morissero?
Forse potrei scrivere un libro,
un film o un documentario
e condividere la sua storia
con il mondo intero.
Allora non lo sapevo,
ma questa era la mia chiamata all'azione.
Quindi, poco dopo,
incontrai Roy E. Disney,
il nipote di Walt,
e gli esposi la mia idea
per un documentario.
Mi disse che aveva grande rispetto per Ub
e pensava che la sua storia
non solo doveva essere raccontata
ma era necessario che fosse raccontata.
Così convinse lo studio
a finanziare il documentario
e, in men che non si dica, mi ritrovai
a raccontare la storia di mio nonno.
Passai gli otto mesi successivi
a ripercorrere i loro passi
sia a Kansas City che a Hollywood.
Visitai le loro sedi
come il palazzo di Laugh-O-Gram,
da dove avevano iniziato.
E, intervistando le persone
che lo conoscevano,
scoprii che Ub e Walt
erano come lo yin e lo yang
della creatività e della tecnologia.
Quando Walt, nella foto qui a sinistra,
aveva un'idea
per una storia da raccontare,
Ub trovava una soluzione tecnica
o artistica.
Quando Ub saltava fuori
con nuove invenzioni tecniche,
Walt trovava il modo
di metterle in pratica.
Si spingevano sempre oltre.
Questo era il mio primo documentario
e mi stavo divertendo molto,
ma sapevo di dover dimostrare
quanto valevo.
Quindi, quando dovetti mostrare
i primi filmati ai dirigenti dello studio,
ricordo che provai un senso di ansia.
Stavo per mostrargli
una rivisitazione potenzialmente
controversa delle origini di Topolino.
Questo era dal punto di vista di Ub.
E se non fossero stati d'accordo?
E se avessero voluto che lo cambiassi?
Come avrei potuto negoziarlo?
Dopotutto, forse la citazione
più famosa di Walt era:
"Tutto è iniziato con un topo".
Fortunatamente,
visto che era una rivisitazione
bilanciata, giusta e onesta,
lo studio non solo la accettò,
ma lo proiettò a Hollywood
e lo distribuì in tutto il mondo.
La gente di tutto il mondo
poteva ora assaporare la stessa magia
che ispirò la sua vita e la mia.
E io riuscii a conoscere il nonno
che non avevo mai incontrato.
Non molto tempo dopo,
incontrai per caso John Lasseter,
il co-fondatore della Pixar.
Mi invitò ad andare agli studio
per mostrare il film ai dipendenti.
Ricordo che, in un'intervista
dopo il film, qualcuno mi chiese
se avessi potuto fare qualcosa di diverso
nel girare il mio documentario,
cosa sarebbe stato?
E ricordo di aver pensato:
"Se avessi potuto
tornare indietro nel tempo
e poter essere una mosca sul muro,
durante la creazione di Topolino,
per registrare le prime riprese
e i dietro le quinte,
sarebbe stata una grande occasione”.
Questa risposta credo che scatenò qualcosa
nella mente di John
perché in seguito condivisero con me
il loro lungo e rischioso progetto
per la creazione dell'animazione digitale.
E mi hanno chiesto di essere davvero
quella mosca sul muro
e andare dietro le quinte
per catturare tutti i momenti
del processo creativo
della Pixar Animation Studios.
È stato molto emozionante.
Ricordo la mia intervista a Steve Jobs.
Mi disse che la Pixar aveva unito
la cultura creativa di Hollywood
alla cultura tecnologica
di Silicone Valley.
Due culture che prima non si capivano.
Un posto dove, come dice John Lasseter:
"L'arte sfida la tecnologia
e la tecnologia ispira l’arte".
Ma con tutti i progressi
dell'animazione digitale,
quello che non era cambiato
era il bisogno di creare mondi tangibili,
con personaggi in carne e ossa.
Come ci insegnano gli animatori classici,
i personaggi devono emozionare.
Così pensai:
"Se fossi stata una mosca sul muro
durante la creazione di Topolino,
sarebbe stato simile a questo?"
Questa è una scena che ho ripeso durante
la creazione di "Alla ricerca di Nemo”,
un confronto tra il regista Andrew Stanton
e l'animatore Doug Sweetland.
[Ultimo giorno di riprese]
(Video) Donna: Tocca a Doug.
Padre: Ehi, indovina un po'.
Nemo: Che cosa?
Padre: Tartarughe marine?
Ne ho incontrata una!
E aveva 150 anni.
AS: Nemo dovrebbe guardare suo padre
all'inizio dell'inquadratura.
DS: Tutto il tempo?
AS: Si, sembra morto.
Sembra che si sia arreso.
(Risate)
Guarda suo padre e poi la sua pinna
mentre dovrebbe fissarlo tutto il tempo
in segno di riconoscimento.
Possono toccare la pinna
e continuare a fissarsi.
(Risate)
(Musica)
[Doug Sweetland, animatore]
DS: Mi ero concentrato principalmente
sul padre e non molto su Nemo.
Così ho lasciato che Nemo assumesse
questa posa con lo sguardo fisso in avanti
senza neanche pensare
che potesse essere notata,
perché si presume
che uno stia guardando il padre.
Ma Andrew ci ha fatto caso
e aveva completamente ragione
sul fatto che sembra indifferente.
(Risate)
Quindi, devo dare a Nemo
lo stesso trattamento dato al padre,
che non vuol dire ricominciare daccapo,
ma abbellire il personaggio con qualcosa.
Quello che ora posso fare
è di rivedere gli schizzi
usando questi stessi disegni.
Sarà bello. La scena sarà
decisamente migliore.
Ho fatto anche tutti questi disegni
in cui la pinna è il simbolo del film.
L'accettare suo figlio
implica il superamento del passato,
della perdita, del trauma
e di cosa significa
prendere la mano di qualcuno.
Non è solo visto come un'opportunità
per toccare fisicamente
e connettersi col figlio,
ma segna anche il nuovo legame.
(Musica)
Padre: Mi spiace tanto, Nemo.
(Fine musica)
(Palco) LI: Questo dietro le quinte
mi ha dato maggiore comprensione
del viaggio umano nel processo creativo
o quel coraggio nel creare.
Tramite la mia produzione ho imparato
che rischiare significa
fidarsi del proprio istinto
e avere la sicurezza di affrontare
una strada sconosciuta.
Proprio come fece mio nonno
e come fecero i fondatori della Pixar.
Quindi, quando ho iniziato
a ricevere lettere da studenti,
che mi dicevano che il mio film,
la storia della Pixar,
li aveva inspirati a seguire
una carriera nell'animazione,
questo mi ha spinta ancora di più
a cercare nuove storie
che dovevano essere raccontate,
più storie di rischio e sopravvivenza,
di rischio e avversità.
Ma come si trovano queste storie?
Vi posso assicurare
che si trovano spesso
dove meno ci si aspetta.
Non avrei mai immaginato
che il mio prossimo film
mi avrebbe portata nella spazzatura,
letteralmente.
La discarica di Guatemala City,
la più grande dell'America centrale,
dove migliaia di famiglie scappate
da 36 anni di guerra civile nel Guatemala,
avevano trovato rifugio
riciclando la spazzatura della città.
Gli sconosciuti consideravano
pazze queste persone
mentre io le vedevo
come sopravvissute laboriose.
Avvoltoi, cani randagi e persone lottavano
per la stessa banana mezza mangiata
appena gettata dal camion dell'immondizia.
Però, qui i bambini erano felici.
Giocavano con giochi rotti, hula-hoop
e anche con pupazzi di Topolino.
Abbiamo chiesto a una donna:
"Qual è la cosa migliore
che hai trovato nella discarica?"
"Mio marito" ha risposto.
Questa era una storia di rischio,
coraggio, sopravvivenza e dignità.
Io ero cresciuta nel mondo di Disneyland
e questo era il loro parco giochi.
Perciò trovavo similitudini in un posto
lontano da casa e dalla mia infanzia.
Quando si è scoperto
che stavo girando un documentario
su persone che vivevano in una discarica,
tutti pensavano che fossi pazza.
Ma quando è stato nominato
per un Academy Award
e le proiezioni di beneficienza
hanno raccolto tre milioni di dollari
per aiutare a costruire delle scuole
nei dintorni della discarica,
il film "Recycled Life" è stato la prova
che le storie che devono essere raccontare
possono fare la differenza.
Mi sembra che invecchiando, iniziamo
a guardare alle storie della nostra vita.
Iniziamo a voler riempire tutti quei vuoti
e a rispondere alle domande
che non ci siamo mai posti
perché eravamo troppo impegnati
a vivere e a fare.
Ma quando iniziamo a essere,
la nostra storia assume più importanza.
Se potessimo avere un giorno in più
con un nostro caro
o se potessimo essere quella mosca
sul muro e imparare i loro processi,
le loro prospettive
e le loro lezioni sulla vita.
Le storie sono tutte attorno a noi.
E abbiamo gli strumenti e la tecnologia,
oggi più che mai
per cercarle, catturarle
e condividerle con gli altri.
Vi metto alla prova, vi sfido: uscite.
Trovate quelle storie magiche negli altri
e troverete voi stessi.
Perché quando ascoltiamo
il nostro istinto,
e rispondiamo alle nostre stesse
chiamate all'azione,
le nostre storie diventano
un dono per tutti.
Diventano la conoscenza tribale
da tramandare.
Ricordate quel vecchio
proverbio africano:
quando muore un uomo o una donna anziani,
una biblioteca va in fiamme.
Andate a salvare
delle biblioteche che bruciano, vi sfido.
Grazie.
(Applausi)