Immaginate di non poter dire:
"ho fame", "sento male",
"grazie" o "ti amo".
Intrappolati nel vostro corpo,
un corpo che non reagisce ai comandi.
Circondati da persone,
eppure completamente solo.
Provando a chiedere aiuto,
per creare legami, trovare conforto,
partecipare.
Per 13 lunghi anni,
questa è stata la mia realtà.
Molti di noi non pensano due volte
prima di parlare, di comunicare.
Io ci ho pensato molto.
Ho avuto tanto tempo per pensarci.
Nei primi 12 anni della mia vita,
ero un bambino normale,
felice e in salute.
Poi tutto cambiò.
Contrassi un'infezione al cervello.
I medici non erano sicuri di cosa fosse,
ma mi curarono come meglio poterono.
Tuttavia, peggiorai progressivamente.
Alla fine, persi la capacità
di controllare i movimenti,
di creare un contatto visivo,
e alla fine, la capacità di parlare.
Mentre ero in ospedale,
volevo disperatamente andare a casa.
Dicevo a mia madre: "Quando casa?"
Queste furono le ultime parole
che dissi con la mia voce.
Non superai i test
di consapevolezza mentale.
Dissero ai miei genitori
che era come se non ci fossi.
Un vegetale, con l'intelligenza
di un bambino di tre mesi.
Dissero loro di portarmi a casa
e mettermi a mio agio
fino alla morte.
La vita dei miei genitori
e di tutta la mia famiglia,
furono logorate dal prendersi cura di me
come meglio possibile.
Gli amici si allontanarono.
Un anno diventò due,
due diventarono tre.
La persona che ero stato
cominciò a sparire.
I Lego, i circuiti elettronici che amavo
furono messi da parte.
Ero stato trasferito in una stanza
più pratica della mia camera da letto.
Ero diventato un fantasma,
il lontano ricordo di un ragazzo,
una volta tanto amato.
Nel frattempo, la mente
cominciò a riprendersi.
Gradualmente, la consapevolezza
cominciò a tornare.
Ma nessuno si rese conto
che ero tornato a vivere.
Ero consapevole di tutto.
Come una persona normale.
Vedevo e capivo tutto,
ma non riuscivo a comunicarlo.
La mia personalità era seppellita
in un corpo apparentemente silenzioso,
una mente vivace celata sotto gli occhi
di tutti all'interno di una crisalide.
La cruda realtà, che avrei trascorso
il resto della mia vita rinchiuso
dentro me stesso,
completamente solo, mi colpì.
Ero intrappolato con i soli pensieri
a tenermi compagnia.
Non sarei mai stato salvato.
Nessuno mi avrebbe mai mostrato
tenerezza.
Non avrei mai parlato a un amico.
Nessuno mi avrebbe mai amato.
Non avevo sogni, speranze,
niente a cui ambire.
Niente di piacevole.
Vivevo nella paura,
per dirla senza giri di parole,
aspettavo che fosse la morte a salvarmi,
aspettandomi di morire, solo,
in una casa di cura.
Non so se sia possibile
esprimere a parole
cosa voglia dire
non essere in grado di comunicare.
La personalità
sembra svanire in una fitta nebbia,
tutte le emozioni e i desideri
sono costretti, soffocati
e attenuati al vostro interno.
La cosa peggiore era la sensazione
di assoluta impotenza.
Esistevo e basta.
È un posto molto buio in cui trovarsi
perché, in un certo senso, si svanisce.
Altri controllavano
ogni aspetto della mia vita.
Decidevano cosa mangiavo e quando.
Se dovevo stare disteso sul fianco
o costretto sulla sedia a rotelle.
Trascorrevo spesso le giornate
davanti alla TV
a guardare le repliche di Barney.
Credo che vedere Barney
così felice e allegro,
mentre io non lo ero affatto,
rese tutto più difficile.
Non avevo alcun potere di cambiare
la mia vita
o la percezione che gli altri
avevano di me.
Ero un osservatore invisibile e silenzioso
di come gli altri si comportavano
quando pensavano
che nessuno stesse guardando.
Sfortunatamente
non ero solo un osservatore.
Senza poter comunicare,
diventai la vittima perfetta:
un oggetto indifeso,
apparentemente privo di sentimenti,
che la gente usava
per mettere in scena i desideri più cupi.
Per più di 10 anni la gente
che si prendeva cura di me
abusò di me fisicamente,
verbalmente e sessualmente.
Io sentivo tutto,
nonostante quello che credevano.
La prima volta che accadde,
ero sconvolto e incredulo.
Come potevano farmi
una cosa del genere?
Ero confuso.
Cosa avevo fatto per meritarmelo?
Una parte di me voleva piangere
e un'altra lottare.
Dolore, tristezza e rabbia mi inondarono.
Mi sentivo inutile.
Non c'era nessuno a darmi conforto.
Ma i miei genitori non sapevano
quel che stava succedendo.
Vivevo nel terrore, sapendo
che sarebbe successo di nuovo.
Ma non potevo sapere quando.
Sapevo che non sarei mai stato lo stesso.
Ricordo una volta di aver ascoltato
Whitney Houston cantare:
"Non importa cosa mi portino via,
non potranno portarmi via la dignità".
E pensai: "Vuoi scommettere?"
Forse i miei genitori
avrebbero potuto scoprirlo
e avrebbero potuto aiutarmi.
Ma gli anni di cura costante,
doversi alzare ogni due ore per girarmi,
insieme al dover piangere
la perdita del figlio,
avevano inciso pesantemente
su mio madre e mio padre.
Dopo l'ennesimo litigio
tra i miei genitori,
in un momento
di angoscia e disperazione,
mia madre si rivolse a me dicendomi
che avrei dovuto morire.
Ero sconvolto, ma pensando
a quel che aveva detto,
provai forte compassione
e amore per mia madre,
eppure non potevo fare niente.
Mi arresi tante volte,
affondando nel buio dell'abisso.
Ricordo un momento in particolare.
Mio padre mi lasciò solo in macchina
mentre andava rapidamente
in un negozio a comprare qualcosa.
Uno sconosciuto mi passò accanto,
mi guardò e sorrise.
Non saprò mai perché,
ma quel gesto semplice,
quel fugace momento
di sintonia umana,
mi trasformò,
facendomi volere andare avanti.
La mia esistenza era torturata
dalla monotonia,
una realtà spesso difficile da sopportare.
Solo con i miei pensieri,
creavo fantasie complesse
di formiche che correvano
sul pavimento.
Imparai a leggere l'ora
notando le ombre.
Imparando come si spostavano le ombre
con il passare delle ore,
capii quanto ci sarebbe voluto
prima di essere riportato a casa.
Vedere mio padre che entrava
a prendermi
era il momento più bello della giornata.
La mia mente diventò
uno strumento da utilizzare
per chiudermi in me stesso,
per allontanarmi dalla mia realtà,
o per aprire un enorme spazio
da riempire con fantasie.
Speravo che la mia realtà
sarebbe cambiata
e qualcuno avrebbe visto
che ero tornato alla vita.
Ma ero stato spazzato via
come un castello di sabbia
costruito troppo vicino al mare,
e al mio posto c'era la persona
che la gente pensava che fossi.
Per alcuni ero Martin,
una conchiglia vuota, un vegetale,
che meritava parole dure,
rifiuto e addirittura abuso.
Per altri, ero il ragazzo
dai tragici danni cerebrali
che era diventato un uomo.
Qualcuno con cui essere gentili
e di cui prendersi cura.
Nel bene o nel male, ero una tela bianca
su cui erano proiettate diverse versioni
di me stesso.
Ci volle qualcuno di nuovo
per vedermi in modo diverso.
Una aromaterapista cominciò a venire
alla casa-famiglia una volta a settimana.
Che fosse per intuizione
o per attenzione ai dettagli
che altri non avevano notato,
si convinse che capivo
quello che si diceva.
Esortò i miei genitori
a farmi analizzare dagli esperti
per la comunicazione accrescitiva
e alternativa.
Nel giro di un anno,
iniziai a usare un computer
per comunicare.
Era esaltante e frustrante
nello stesso tempo.
Avevo tante parole in testa,
da non vedere l'ora di condividerle.
Talvolta, dicevo cose a me stesso,
semplicemente perché potevo.
Dentro di me, avevo un pubblico pronto,
e credevo che esprimendo
i miei pensieri e i miei desideri,
altri avrebbero ascoltato.
Ma cominciando a comunicare di più,
mi resi conto che stavo solo iniziando
a creare una nuova voce per me stesso.
Ero stato gettato in un mondo in cui
non sapevo come funzionare.
Smisi di andare alla casa di cura
e trovai il mio primo lavoro
a fare fotocopie.
Per quanto semplice,
era meraviglioso.
Il mio nuovo mondo
era davvero emozionante
ma spesso travolgente e spaventoso.
Ero come un uomo-bambino,
e per quanto liberatorio fosse,
facevo fatica.
Imparai anche che molti di coloro
che mi conoscevano da tempo
trovarono impossibile abbandonare
l'idea di Martin che si erano fatti.
Mentre chi avevo appena conosciuto
faticava a vedere l'immagine
di un uomo silenzioso
su una sedia a rotelle.
Mi resi conto che alcuni mi ascoltavano
solo se ciò che dicevo era compatibile
con quello che si aspettavano.
Altrimenti, venivo ignorato
e facevano quel che pensavano
fosse meglio.
Scoprii che la vera comunicazione
va oltre il trasmettere
un messaggio fisicamente.
Si tratta di far sentire
e rispettare il messaggio.
Ma tutto procedeva bene.
Il mio corpo lentamente si rinforzava.
Avevo un lavoro in informatica
che mi piaceva,
e avevo anche Kojak,
il cane che avevo sognato per anni.
Tuttavia, desideravo condividere
la vita con qualcuno.
Ricordo che guardavo fuori dal finestrino
mentre mio padre
mi riportava a casa dal lavoro,
pensando di avere così tanto amore
e nessuno a cui offirlo.
Proprio mentre mi rassegnavo all'idea
di restare solo tutta la vita,
incontrai Joan.
Non solo è la cosa più bella
che mi sia mai successa;
Joan mi aiutò a mettere in discussione
i miei pregiudizi su me stesso.
Joan disse che si innamorò di me
attraverso le mie parole.
Tuttavia, dopo tutto quel
che avevo passato,
ancora non riuscivo
a disfarmi della convinzione
che nessuno potesse vedere veramente
oltre la mia disabilità
e accettarmi per chi ero.
Facevo anche fatica
a capire di essere un uomo.
La prima volta che qualcuno si riferì
a me come un uomo,
rimasi di sasso.
Mi guardai intorno e chiesi: "Chi, io?"
Con Joan cambiò tutto.
Abbiamo una sintonia meravigliosa
e ho imparato quanto sia importante
comunicare apertamente e onestamente.
Mi sentivo al sicuro, mi dava la fiducia
di dire quel che pensavo.
Cominciai a sentirmi di nuovo intero,
un uomo meritevole di amore.
Cominciai a ridare forma al mio destino.
Mi facevo rispettare di più al lavoro.
Affermavo il mio bisogno di indipendenza
alla gente intorno a me.
Con un mezzo di comunicazione
a disposizione cambia tutto.
Usavo il potere delle parole
e della volontà per sfidare i pregiudizi
miei e della gente intorno a me.
La comunicazione è ciò che ci rende umani,
che ci permette di entrare in sintonia
al livello più profondo
con chi ci circonda,
di raccontare le nostre storie,
esprimere volontà, bisogni e desideri,
o sentire quelli degli altri
ascoltando veramente.
Così il mondo sa chi siamo.
Chi saremmo senza?
La vera comunicazione aumenta
la comprensione
e crea un mondo più attento
e compassionevole.
Una volta, ero percepito
come un oggetto inanimato,
il fantasma senza mente
di un ragazzo in sedia a rotelle.
Oggi, sono molto di più.
Un marito, un figlio, un amico,
un fratello, un imprenditore,
un laureato a pieni voti.
un fotografo amatoriale.
La capacità di comunicare
mi ha dato tutto questo.
Ci viene detto che le azioni
valgono più delle parole.
Ma mi chiedo,
è veramente così?
Le nostre parole,
in qualsiasi modo le si comunichi,
sono altrettanto potenti.
Che parliamo con la nostra voce,
le scriviamo con gli occhi,
o comunichiamo in modo non verbale
a qualcuno che parla per noi,
le parole sono
tra i nostri strumenti più potenti.
Sono arrivato qui passando
attraverso un'oscurità terribile,
salvato da anime benevole
e dalla lingua stessa.
Il fatto che voi mi ascoltiate oggi
mi porta ancor più vicino alla luce.
Splendiamo qui insieme.
Se c'è un ostacolo
alla mia comunicazione,
è che talvolta voglio urlare
e altre semplicemente sussurrare
una parola d'amore o gratitudine.
Sembrano tutte uguali.
Ma se volete,
per favore, immaginate queste parole
nel tono più caloroso possibile:
Grazie.
(Applausi)