In uno dei miei primi ricordi
cerco di svegliare un parente
senza riuscirci.
Ero solo un bambino,
quindi non capivo perché
ma da grande ho capito che in famiglia
c'era un problema di tossicodipendenza,
inclusa quella successiva da cocaina.
Ci ho pensato molto ultimamente,
anche perché ricorre il centenario
da quando abbiamo iniziato a bandire
le droghe in America e Inghilterra
per poi imporre quel divieto
al resto del mondo.
È il centenario di quando
abbiamo preso questa decisione fatale
di prendere i drogati,
punirli e farli soffrire,
perché credevamo che questo
li avrebbe incentivati a smettere.
Qualche anno fa guardavo alcuni
drogati che amo e sono nella mia vita,
e cercavo di capire
se c'era un modo per aiutarli.
Ho realizzato che c'erano
moltissime domande fondamentali
a cui non sapevo rispondere,
tipo: qual è la causa della dipendenza?
Perché continuiamo con questo approccio
che sembra non funzionare?
Potremmo provare qualcosa di meglio?
Ho letto un sacco sull'argomento
senza trovare
le risposte che cercavo,
quindi ho pensato:
"Ok, incontrerò persone di tutto il mondo
che ci sono passate
e che hanno studiato l'argomento,
per parlarci, e vedere
se possono insegnarmi qualcosa.
All'inizio non pensavo
che avrei fatto più di 50.000 km
ma alla fine ho incontrato
un sacco di gente diversa:
da uno spacciatore di crack transgender
di Brownsville, Brooklyn
a uno scienziato che ha passato molto
tempo a dare allucinogeni alle manguste
per vedere apprezzavano --
pare che apprezzino,
in circostanze molto specifiche --
fino all'unica nazione
che ha decriminalizzato tutte le droghe
dalla cannabis al crack: il Portogallo.
Quello che ho realizzato
e che mi ha sconvolto
è che quasi tutto ciò che pensiamo
di sapere sulla dipendenza è sbagliato,
e se iniziamo ad accettare
la realtà della dipendenza
penso che dovremo cambiare
molto più delle leggi sulle droghe.
Ma iniziamo da quello che pensiamo
di sapere, che io pensavo di sapere.
Pensiamo a questa fila centrale.
Immaginate di assumere eroina
per 20 giorni, 3 volte al giorno.
Alcuni sembrano più entusiasti
di altri all'idea.
(Risate)
Tranquilli, è solo un esperimento mentale.
Immaginate di farlo, ok?
Cosa succederebbe?
Ci hanno raccontato per un secolo
una storia su quello che succederebbe.
Poiché nell'eroina ci sono delle sostanze
chimiche che creano dipendenza,
pensiamo che,
prendendola per un po',
il nostro corpo
ne diventerà dipendente,
ne avrà fisicamente bisogno
e alla fine di quei 20 giorni
sarete tutti eroinodipendenti, giusto?
Questo è quello che pensavo.
Ho cominciato a dubitare di questa storia
quando me l'hanno spiegata.
Se alla fine di questo intervento
venissi investito e mi rompessi un'anca,
sarei portato in ospedale,
dove mi darebbero un sacco di diamorfina.
La diamorfina è eroina.
Eroina migliore di quella
che si compra per strada,
perché la roba che vende
uno spacciatore è contaminata.
In realtà di eroina
ce n'è molto poca,
mentre quella roba del medico è pura.
Supponiamo di assumerla
per un periodo abbastanza lungo.
C'è un sacco di gente qui,
forse non lo sapete,
ma avete assunto molta eroina.
E succede anche a chiunque
ci stia guardando, ovunque nel mondo.
E se quello che crediamo è vero --
quelle persone sono esposte
a sostanze che creano dipendenza --
cosa succederebbe?
Dovrebbero diventare dei drogati.
È stato studiato molto attentamente,
e non succede: quando vostra nonna
è stata operata all'anca
non si è trasformata in una tossica.
(Risate)
Quando l'ho scoperto
mi è sembrato stranissimo,
l'opposto di tutto quello che mi dicevano,
che credevo di sapere,
non ci credevo,
finché non incontrai Bruce Alexander,
un professore di psicologia
di Vancouver
che ha fatto un esperimento incredibile
e credo possa davvero aiutarci
a capire la questione.
Il professor Alexander mi ha spiegato
che l'idea, la storia che abbiamo in testa
sulla dipendenza
deriva in parte
da una serie di esperimenti
fatti all'inizio del XX secolo.
Sono esperimenti semplici,
potete farli a casa stasera
se vi sentite un po' sadici.
Prendete un ratto, lo mettete in gabbia
e gli date due bottiglie d'acqua.
Una è solo acqua, l'altra è acqua
addizionata con eroina o cocaina.
Il ratto preferirà quasi sempre
l'acqua drogata
e quasi sempre si ucciderà
piuttosto rapidamente.
Ecco, questo è come pensiamo che funzioni.
Negli anni '70 il prof. Alexander
guardò questi esperimenti
e notò qualcosa.
E disse: "Ah, noi mettiamo il ratto
in una gabbia vuota,
non ha niente da fare
a parte drogarsi.
Proviamo qualcosa di diverso".
Quindi costruì una gabbia
che chiamò "Rat Park"
e che è sostanzialmente
il paradiso dei ratti.
Un sacco di formaggio,
palline colorate,
tantissimi tunnel.
Cosa fondamentale, avevano tanti amici.
Potevano fare sesso a volontà.
E avevano anche le due bottiglie
di acqua normale e acqua drogata.
Ecco la cosa affascinante:
nel Rat Park, ai ratti non piace
l'acqua drogata.
Non la usano quasi mai.
Nessuno di loro la usa compulsivamente.
Nessuno di loro va in overdose.
Si va da un 100% di overdose
quando sono isolati
a uno 0% quando vivono
delle vite felici e connesse.
Quando vide tutto questo
il prof. Alexander pensò:
"Forse questo vale per i ratti,
che sono abbastanza diversi da noi".
-- Forse non tanto diversi
quanto vorremmo ma insomma... --
Fortunatamente c'era
anche un esperimento umano,
con lo stesso identico principio
nello stesso identico momento.
Si chiamava Guerra del Vietnam.
In Vietnam il 20% delle truppe americane
usavano un sacco di eroina,
e se guardate le notizie dell'epoca,
negli USA erano preoccupati
perché pensavano:
"Mio Dio, avremo centinaia di migliaia
di tossici per le strade degli Stati Uniti
quando la guerra finirà".
Aveva senso.
Questi soldati, che facevano uso
di eroina, vennero seguiti a casa.
Gli Archivi di Psichiatria Generale
fecero uno studio dettagliato
e cosa successe a questi soldati?
Non andarono in riabilitazione
né in astinenza.
Il 95% di loro aveva semplicemente smesso.
Se si crede alla storia
delle sostanze che creano dipendenza
questo non ha assolutamente senso
ma il prof. Alexander pensò
che poteva esserci una storia diversa
sulla dipendenza.
E se la dipendenza non fosse determinata
da quelle sostanze?
Se dipendesse dalle nostre gabbie?
E se la dipendenza fosse un adattamento
all'ambiente che ci circonda?
Nei Paesi Bassi
c'era un altro professore,
Peter Cohen,
che disse: "Forse non dovremmo
neanche chiamarla dipendenza.
Forse dovremmo chiamarlo legame".
Gli esseri umani hanno
un bisogno innato di legami,
quando siamo felici e sani
ci leghiamo e ci connettiamo a vicenda;
ma se non ci si riesce,
perché si è traumatizzati, isolati
o messi al tappeto dalla vita,
ci si legherà a qualcosa
che ci dia un senso di conforto.
Questo può essere il gioco d'azzardo,
la pornografia,
può essere la cocaina
può essere la cannabis,
ma ci si lega a qualcosa
perché è la nostra natura.
È ciò che vogliamo
come esseri umani.
Di primo acchito
mi riuscì difficile capirlo,
ma c'è un modo di vedere la cosa
che mi ha aiutato a capire.
Accanto alla mia sedia
c'è una bottiglia d'acqua, no?
Vedo che anche molti di voi
hanno delle bottiglie d'acqua con sé.
Dimenticate le droghe,
dimenticate la guerra alle droghe.
In modo totalmente legale,
potrebbero essere bottiglie di vodka, no?
Potremmo essere tutti ubriachi --
Io lo sarò di sicuro dopo -- (Risate)
ma invece non lo siamo.
Visto che vi siete potuti permettere
di pagare la somma stratosferica
che ci vuole per accedere agli eventi TED,
credo che possiate permettervi
di bere vodka per i prossimi sei mesi.
Non finireste sul lastrico.
Non lo farete,
e il motivo per cui non lo farete
non è perché qualcuno vi fermerà,
è perché avete dei legami
e delle connessioni
per cui volete essere presenti.
Avete un lavoro che amate,
avete persone che amate.
Avete relazioni sane.
Una parte fondamentale della dipendenza,
credo che le prove lo suggeriscano,
è il non avere il coraggio
di essere presenti alla propria vita.
Questo ha delle implicazioni importanti.
Le più ovvie sono relative
alla guerra alle droghe.
In Arizona ho incontrato
un gruppo di donne
costrette a indossare una t-shirt
con scritto "Ero una tossicodipendente",
e ad uscire in catene scavando delle fosse
mentre alcuni dal pubblico le deridevano.
Quando usciranno di prigione
saranno nel casellario giudiziale,
quindi non potranno più
accedere all'economia legale.
Questo delle catene è ovviamente
un esempio estremo,
ma quasi ovunque nel mondo
in qualche modo trattiamo i drogati
davvero così.
Li puniamo, li disprezziamo,
li schediamo nei casellari.
Poniamo delle barriere
tra loro e la riconnessione.
Un dottore in Canada,
Gabor Maté, un uomo fantastico,
mi ha detto: "Se si volesse creare
un sistema per aggravare la dipendenza,
sarebbe sicuramente questo".
C'è un posto che ha deciso
di fare l'esatto opposto,
ci sono andato
per vedere come funzionava.
Nel 2000 in Portogallo i problemi di droga
erano tra i peggiori d'Europa.
L'1% della popolazione era dipendente
da eroina, una roba folle,
e ogni anno provavano a seguire
sempre di più il modello americano.
Punivano la gente, la stigmatizzavano,
la disprezzavano
e ogni anno il problema peggiorava.
Un giorno il Primo Ministro
e il leader dell'opposizione si incontrano
si dissero:
"Non si può andare avanti così,
con un paese in cui sempre più gente
diventa tossicodipendente.
Mettiamo insieme un team
di scienziati e medici
per capire potrebbe
risolvere il problema."
E misero insieme una squadra guidata
dal fantastico dott. João Goulão
per studiare queste nuovo approccio.
Questi tornarono e dissero:
"Decriminalizzate tutte le droghe,
dalla cannabis al crack, ma" --
e questo è il passo fondamentale --
"prendete tutti i soldi che spendevamo
per tagliare fuori i tossici,
per disconnetterli,
e spendeteli per riconnetterli
con la società."
Non è proprio ciò a cui pensiamo
come riabilitazione da droga
negli Stati Uniti e in Inghilterra.
Sì, fanno anche
la riabilitazione residenziale,
la psicoterapia,
che ha qualche effetto.
Ma soprattutto, facevano
l'opposto di ciò che facciamo noi:
un programma intensivo per creare
posti di lavoro per drogati,
e micro-prestiti perché
avviassero piccole attività.
Mettiamo che uno fosse un meccanico.
Quando sei pronto, vanno
in un'officina e dicono:
"Se assumi questo ragazzo per un anno,
noi ti paghiamo metà stipendio".
L'idea era che ogni
tossicodipendente portoghese
avesse un motivo
per alzarsi al mattino.
Quando ho incontrato
i drogati portoghesi
mi hanno detto che,
una volta ritrovato un obiettivo,
hanno anche ritrovato i legami
e le relazioni con la società.
Quest'anno sono 15 anni
da quando è iniziato questo esperimento
e sono arrivati i risultati:
l'uso di droghe da iniezione
è diminuito, in Portogallo,
stando al British
Journal of Criminology,
del 50%.
Cinque-zero.
Overdose e HIV sono calati
vertiginosamente tra i drogati.
Ogni studio riporta che la dipendenza
è scesa significativamente.
La testimonianza del fatto
che il sistema ha funzionato
è che quasi nessuno
vuole tornare al vecchio sistema.
Per quanto riguarda
le implicazioni politiche,
credo che ci sia tutto uno strato
di implicazioni in questa ricerca.
Viviamo in una cultura dove la gente
si sente sempre più vulnerabile
a dipendenze di ogni tipo,
dal proprio smartphone
allo shopping, al cibo.
Prima che inizino questi interventi
-- lo sapete --
ci viene detto
di non portare il nostro smartphone
e devo dirlo, molti di voi
somigliavano tanto
ai tossici quando si dice loro
che lo spacciatore sarà irreperibile
per un paio d'ore. (Risate)
Molti di noi si sono sentiti così
e può essere strano da dire,
ho parlato di disconnessione
come veicolo principale di dipendenza
e questa sta aumentando.
È strano da dire,
perché siamo certamente
la società più connessa di sempre,
ma ho iniziato a pensare
che le connessioni che abbiamo
o pensiamo di avere, siano una specie
di parodia della connessione umana.
Se avete un momento di crisi
noterete una cosa.
Non sarà un follower di twitter
a sedersi con voi.
Non sarà un amico di facebook
ad aiutarvi.
Saranno i vostri amici per la pelle,
con cui avete relazioni profonde, sfumate,
intrecciate faccia a faccia,
e Bill McKibben, scrittore ambientalista,
mi ha fatto conoscere uno studio
che credo colga bene il punto.
Lo studio analizza il numero di amici
su cui gli americani, in media,
credono di poter contare
in un momento di crisi.
Il numero si è abbassato
continuamente, dagli anni '50.
Mentre l'area del pavimento
che un individuo ha in casa sua
è costantemente cresciuta,
e credo che sia una sorta di metafora
delle scelte che abbiamo fatto
come cultura.
Abbiamo barattato lo spazio con gli amici,
oggetti con connessioni,
e così siamo diventati una delle società
più sole mai esistite.
Bruce Alexander,
il tipo del Rat Park, dice:
"Parliamo tutto il tempo di dipendenza
e recupero individuale,
ed è giusto parlarne;
ma dobbiamo parlare molto di più
del recupero sociale.
Qualcosa è andato storto,
non solo come individui ma come gruppo
e abbiamo creato una società
in cui per molti di noi
la vita somiglia tanto
a quella gabbia isolata
e molto poco al Rat Park.
Se devo essere onesto, non è per questo
che me ne sono interessato.
Non è stato per scoprire
la roba politica, sociale.
Volevo sapere come aiutare
le persone che amo.
Quando sono tornato da questo viaggio,
forte di tutto questo,
ho guardato i drogati
che conosco.
Ad essere proprio onesti...
è difficile amare un drogato.
Saranno in molti a saperlo
in questa sala.
Ci si arrabbia un sacco di volte
e credo che uno dei motivi per cui
questo dibattito è così intenso
è perché tocca il cuore
di ognuno di noi, no?
A ognuno capita di guardare
un drogato e pensare:
"Vorrei tanto che qualcuno ti fermasse."
Il tipo di cose che ci dicono
su come relazionarci con i drogati
è esemplificato, credo, da --
avete mai visto
il reality "Intervention"?
credo che tutto nelle nostre vite
sia definito dai reality,
ma quello è un altro intervento TED --
se avete mai visto "Intervention",
l'idea di base è molto semplice.
Prendete un tossico e tutte le persone
intorno a lui, metteteli insieme,
metteteli di fronte a ciò
che fanno, e poi dite:
"Se non vi date
una regolata, vi separeremo."
Ciò che fanno è prendere
le connessioni del drogato
e con quelle minacciarlo,
farle dipendere
dal comportamento del drogato,
dal comportamento che loro vogliono.
Inizio a pensare, a vedere
perché questo approccio non funziona
e inizio a pensare che sia un'importazione
della logica della Guerra alle droghe
nelle nostre vite private.
Quindi ho iniziato a pensare:
"Come potrei essere portoghese?"
Quello che cerco di fare adesso,
non posso dire di farlo regolarmente,
e non posso dire che sia semplice,
è dire ai drogati che conosco
che voglio approfondire
la connessione con loro,
dir loro "Ti voglio bene,
che tu ti stia facendo o meno".
Ti voglio bene in qualunque stato tu sia,
e se hai bisogno di me
io mi siederò accanto a te
perché ti voglio bene
e non voglio che tu sia,
o ti senta, solo.
E credo che il cuore di quel messaggio --
non sei solo, ti vogliamo bene --
deve essere in ogni livello
della nostra risposta ai drogati,
socialmente, politicamente
e individualmente.
Sono 100 anni adesso che intoniamo
inni di guerra contro i drogati.
Credo che fin dall'inizio
avremmo dovuto cantare canzoni d'amore,
perché il contrario
di 'dipendenza' non è 'sobrietà'.
Il contrario di 'dipendenza'
è 'connessione'.
Grazie.
(Applausi)