Sono figlia di una filosofa.
E a parte la fortuna
di essere sopravvissuta a questo,
che non era scontato,
devo ammettere che questo
ha anche fatto sì
che fin da piccola mi facessi
delle domande scomode.
Ad esempio: chi sono io?
Che cos'è l'essere?
Che cosa accade nella mia testa
e nella testa degli altri?
E poi crescendo, all'università,
altre domande altrettanto scomode.
Come, ad esempio:
Perché alcuni si ammalano e altri no?
Perché alcuni guariscono e altri no?
E queste domande mi hanno condotta
su una china pericolosa,
che è quella dello studio
della neurofisiologia delle emozioni.
E poi mano a mano,
col passare degli anni,
sono andata peggiorando,
quindi mi sono occupata
anche di biofisica delle emozioni,
di energie nel nostro corpo.
E poi, diciamo, il colpo finale
è stato con gli studi sulla coscienza.
E fortunatamente, sono stata astuta,
perché ho fatto la psichiatra,
in modo da fugare
qualsiasi dubbio sulla mia follia.
(Risate)
In realtà, negli anni della ricerca,
e poi nei tanti anni di pratica clinica,
quello che ho visto,
sperimentato e ho compreso,
è che in realtà, nelle vicende
della salute e della malattia,
quello che noi chiamiamo umanità,
quindi le emozioni,
le relazioni, la nostra biografia,
hanno un peso, forse,
molto, molto più grande
di quello che pensiamo.
E in questo, l'epigenetica
e la neurofisiologia dell'attaccamento,
cioè delle relazioni precoci,
quelle che riguardano il tempo
della gestazione, i primi anni di vita,
hanno avuto un ruolo centrale.
Non so se avete mai pensato
di poter comunicare realmente,
con il vostro DNA.
E non so se avete mai pensato
che lo strumento più potente che avete,
per comunicare con il vostro DNA,
è ciò che di più umano possedete.
E cioè le emozioni, la relazione,
il sentire, il tocco, lo sguardo,
il sorriso, il suono delle parole.
Ecco, l'epigenetica
ci sta conducendo a capire questo.
Stiamo passando da un paradigma
nel quale pensavamo al DNA
come ad un programma statico, rigido,
che determina, costruisce
il nostro organismo
all'idea di un DNA che
invece è un programma
che ci viene trasmesso dai nostri genitori
e dalle generazioni precedenti,
come un potenziale.
Un potenziale che può essere
completamente modificato,
nella sua espressione,
dalle informazioni dell'ambiente.
Allora capite che questa
cosa è importantissima,
perché qualcosa dipende realmente da noi.
Ma che cos'è l'epigenetica
in termini molecolari e in due parole?
Noi abbiamo, in ogni nostra cellula,
la bellezza di circa 3 metri di DNA,
tutti avvoltolati in 5 micron,
che è un'unità di misura infinitesima.
E già questo è un miracolo!
Ma il miracolo ancora più grande
è che, in realtà,
perché questo DNA
si esprima nella cellula,
si deve aprire, si deve srotolare.
E lo fa ogni millisecondo,
secondo le esigenze della cellula.
Ma perché questo accada
deve ricevere un'informazione,
e l'informazione la riceve dall'esterno.
Era il 1997 e Richard Strohman,
uno dei più importanti biologi molecolari,
su Nature Bio Technology,
rivista più importante, forse al mondo,
di biologia molecolare
pubblicava un articolo in cui ci diceva:
abbiamo creduto che l'informazione
andasse dal DNA al RNA e alle proteine,
e non abbiamo considerato
che andava anche nell'altro senso,
dall'esterno verso l'interno,
cioè dall'ambiente verso l'interno.
E che cos'è l'ambiente?
Abbiamo due aspetti fondamentali.
Uno è quello dell'ambiente
inteso come contesto:
l'aria, l'acqua, il cibo.
E l'altro, in parallelo,
forse ancora più profondo,
forse ancora più potente,
è quello delle emozioni
e delle storie della nostra relazione,
in particolar modo nella nostra infanzia,
nella nostra primissima infanzia
e nel tempo della gestazione.
Pensate che gli studi
di epigenetica ci dicono
che le emozioni della madre,
durante la gravidanza,
condizionano degli RNA minori
che sono dei regolatori
dell'espressione genica
nel feto e nelle generazioni successive
fino alla terza successiva.
Gli stessi spermatozoi non portano
soltanto il codice genetico dei cromosomi,
dei 23 cromosomi che derivano dal padre,
ma hanno anch'essi RNA minori,
che modulano l'espressione genica.
E questi messaggi
stanno anche nelle cellule
che diventeranno i gameti di quel feto,
cioè quelle cellule che un giorno,
quando quel feto sarà diventato adulto,
passeranno l'informazione ai suoi figli.
E quindi capite che abbiamo
una concatenazione potentissima.
E noi possiamo, effettivamente,
interagire con questa concatenazione.
Questo ci dice l'epigenetica.
Questo io l'ho capito in tante situazioni;
ma la prima volta, quando ero
ancora una specializzanda,
mi fu affidata per la prima volta,
una paziente da curare da sola,
come unica curante.
Era una ragazza, la chiameremo Cristina.
Aveva avuto un trapianto di rene.
Il rene era di sua madre,
ma lei lo stava rigettando.
Era anoressica, aveva deciso di morire,
di rifiutare la seconda possibilità
di trapianto da unestraneo.
Perché dico che l'epigenoma, qui,
aveva giocato un ruolo importante?
Perché nonostante il rene della madre
e il suo corpo fossero compatibili,
non erano compatibili
dal punto di vista emozionale.
Perché la madre aveva subito
maltrattamenti durante la gestazione
e dopo che la bimba era nata,
per problemi nel post-partum,
erano state separate.
E il loro rapporto
era da sempre conflittuale.
In qualche modo, l'espressione genica
del sistema immunitario di Cristina
raccontava la ferita d'amore,
di tanto tempo prima.
E il secondo caso, invece,
che ho voluto citare è quello di Giulia.
Una mia paziente che perde
il figlio a 7 anni di vita,
per via di un auto-anticorpo placentare
che aveva circolato
nel sangue della madre.
Era il suo secondo figlio,
lei lo voleva per dimostrare
di essere una buona madre
dopo che, secondo lei,
si era comportata male con il primo.
Dopo pochi mesi
dalla morte di questo figlio,
la madre di Giulia, con la quale Giulia
non si parlava, da diverso tempo,
sviluppò un tumore al seno.
E dopo qualche mese ancora
anche Giulia lo sviluppa
nello stesso seno.
È stato soltanto affrontando i temi
della colpa e della rabbia
che, in un certo senso, possiamo dire,
avevano circolato nel sangue di Giulia,
che ha iniziato a rispondere meglio,
e poi bene, ai trattamenti oncologici
tanto che il piano terapeutico
poi è stato modificato.
Allora capite bene che l'elemento,
il fattore epigenetico fondamentale,
in queste storie, che cos'è?
Non è la logica, come noi la intendiamo,
ma sono le emozioni.
E le emozioni sono un fattore epigenetico,
che agisce su quello
che noi chiamiamo connettoma.
E cioè l'insieme delle reti neurali,
delle relazioni all'interno del nostro
cervello e del sistema nervoso,
che dicono chi siamo noi.
E il connettoma è
effettivamente plasmato,
plasmato interamente,
dalle nostre emozioni.
Il cervello lo potete immaginare
come un enorme sacco di ormoni,
come una sorta di ribollitore ormonale
e biochimico che produce energia,
energia che misuriamo
con l'elettroencefalogramma.
Quando dormiamo emettiamo
circa tre Hz, quando siamo svegli nove.
Ma cosa succede quando
proviamo, o meno, emozioni?
Quando l'emozione è,
come si dice, positiva,
è un'emozione di gioia
legata all'amore, al benessere
abbiamo un picco intensissimo
che rimane nella memoria
come qualcosa che ci ha fatto bene.
Ma quando invece proviamo
un'emozione di paura, di angoscia
e ancor più quando siamo piccoli,
quando siamo davvero
nei primi anni della nostra vita,
lo stress materno fetale
produce un'onda sotto soglia
che quasi non si avverte,
ma che è costante,
e tiene in allerta il sistema
e si riverbera su tutto il corpo.
E quest'onda, in qualche modo,
viene memorizzata,
agisce sui circuiti, addirittura
brucia le terminazioni nervose.
E qual è lo strumento
per riparare, per attivare
le risorse miracolosamente
presenti dentro di noi?
È semplicissimo, lo potete fare adesso.
Anche se siete al buio,
scambiatevi uno sguardo
con il vostro vicino.
E già che siete al buio - provate, fatelo,
immaginate che nello sguardo
che non vedete, perché siete al buio,
ma lo potete immaginare,
ci siano gli occhi di chi vi accoglie,
di chi vi dice: "Perfetto, sei qua.
Bene. Va bene. Benvenuto."
Questo agisce nella gestazione
e nei primi anni di vita.
Lo sguardo.
Pensate che i neonati hanno la capacità,
dopo pochissimi giorni,
di riconoscere 70 diverse
tipologie di sorriso
nel volto della madre.
Pensate che 30 secondi
di un abbraccio attivano l'ossitocina.
Pensate che i nuovi
studi di neurofisiologia
studiano l'effetto
terapeutico delle carezze
sulla riparazione dei traumi
memorizzati nel corpo.
Perché il corpo è, effettivamente,
tutto quanto innervato
e tutto quanto risponde a queste storie.
Allora,
provate, adesso, per qualche istante,
a diventare voi stessi un connettoma.
Vi prendete per mano.
Qualcuno già lo sta facendo, vedo.
Vi tenete per mano,
come se fosse davvero la connessione
di un'intera rete neurale.
I neuroni fanno così con le loro sinapsi,
soltanto con la differenza
che noi abbiamo 100 [miliardi] di neuroni
che fanno connessioni ogni millisecondo,
un milione di volte in più
rispetto ai nucleotidi
che costituiscono
l'alfabeto del nostro DNA.
E tenete presente anche una cosa,
che quando voi toccate la mano di un altro
voi date un'informazione
che è per tutto il corpo,
perché la corteccia cerebrale
porta un'area di rappresentazione
dei sensi della mano,
cioè delle comunicazioni della mano,
molto più ampia
che per qualsiasi altra area.
E il tatto è un senso diffuso.
Gli occhi voi li chiudete e non ci vedete;
le orecchie le tappate e non sentite;
ma il tatto è ovunque.
Perché il corpo è, inizialmente,
agli albori del nostro sviluppo,
fatto di esperienze di contatto.
E il DNA risponde a queste.
Quindi pensate che mentre
voi vi state toccando
e create questa sorta di connettoma
qualcosa accade dentro di voi.
E pensate che accade
come una sinfonia vibrazionale,
una sinfonia di suoni.
Tant'è che, nella vicina Bologna,
Carlo Ventura studia i suoni
e le cellule staminali.
E allora adesso vi faccio sentire,
per qualche istante, dei suoni
che agiscono sul vostro sistema nervoso
e sul vostro DNA.
(Pianto)
Il pianto del bambino,
le madri lo sanno, ma anche i padri,
ti arriva dritto, dritto dentro.
Ti chiama,
come non ti può chiamare nient'altro.
(Pianto)
E altri suoni, invece,
possono armonizzare, in qualche modo,
il nostro corpo e il nostro DNA.
E allora nascono delle terapie,
delle terapie di una nuova scienza.
Perché capite che se questo è vero,
ed è così,
allora noi abbiamo una chance
che non abbiamo soltanto
facendo delle cose difficili,
ma modificando il tessuto
delle nostre relazioni,
modificando il tessuto
della nostra quotidianità.
Il potere di uno sguardo,
di un sorriso, di una carezza,
possono cambiare effettivamente
tutta l'informazione
biologica dentro di noi,
perché questo DNA è un DNA adattivo,
che apprende dall'esperienza.
Vi ricordate che vi avevo chiesto
se volete comunicare con il vostro DNA?
Allora fatelo adesso, al mio tre.
Chi vuole, naturalmente.
Provate a pronunciare
ad alta voce il vostro nome,
tenendo presente che è il nome
con cui vi hanno chiamato
prima che voi veniste alla luce.
Un nome che è stato pensato
oppure intuito,
pensato per tanto tempo
o scelto all'ultimo momento,
ma ha segnato, comunque,
l'essere accolti, in un modo o nell'altro,
in questa esistenza.
Allora, per chi vuole,
potete comunicare col DNA al mio tre,
dicendo ad alta voce il vostro nome
che è come dire nuovamente
un sì alla vostra vita qua.
Uno, due, tre!
(Il pubblico esegue)
Fantastico!
(Risate)
Grazie!
E tenete presente
che quello che avete appena fatto
costituisce una rete
che va ben al di là dell'individuo.
Stiamo capendo grazie all'epigenetica,
grazie alla neurofisiologia,
e grazie alla biofisica dei quanti,
che nulla è effettivamente
separato dal resto.
E quindi avete appena sperimentato,
guardandovi, prendendovi per mano,
utilizzando il suono,
quella che noi chiamiamo interdipendenza.
In qualche modo siamo collegati.
E siamo collegati perché
siamo collegati dentro di noi,
da una rete fatta di memorie,
di contatto, di sguardi, di tenerezza.
In un famoso TED,
uno dei padri del concetto di connettoma,
Steven Seung, disse questo slogan:
"Io non sono i miei geni,
io sono il mio connettoma".
Io voglio aggiungere:
"Io sono l'amore con cui
il mio connettoma è stato cresciuto.
Io sono l'amore con cui posso alimentare
il mio connettoma,
e quello di chi mi sta vicino".
Allora in questo senso, effettivamente,
quella canzone che diceva
che siamo figli delle stelle
è vera.
E...
Noi ci troviamo in una situazione
nella quale stiamo comprendendo
che possiamo davvero dialogare
con quelle strutture
che credevamo immutabili e rigide.
Possiamo davvero trasformare
il nostro programma.
E l'elemento che lo trasforma
nella maniera più profonda,
e che si riverbera, contemporaneamente,
a livello cerebrale
e a livello del sistema immunitario,
nella salute e nella malattia,
oltre che nella felicità e nel benessere,
la chiave di volta di questo
lo possiamo chiamare amore.
Questa cosa così umana
e così difficile, talvolta, per gli umani,
ma che ha un potere così grande.
Allora in quest'ottica,
che è insieme biografica e biologica,
e che unifica i due aspetti,
dove l'equilibrio e la salute
forse sono una situazione
in cui non c'è disarmonia,
tra la cellula e lo spirito.
E per spirito intendo
qualsiasi cosa voi crediate.
Ecco, in questa condizione,
quel gioco di parole che,
seppur etimologicamente infondato,
legge nella parola "amore",
alfa privativa, a-mors,
l'"assenza di morte",
in quest'ottica, quel gioco di parole
è incredibilmente vero.
Grazie.
(Applausi)