[Musica] Allora, iniziamo con un piccolo aneddoto personale che ho riportato in uno dei miei libri, ma che è molto importante nella storia di cui stiamo parlando. Io avevo 29 anni, lavoravo in azienda, facevo l’impiegato e il freelance, che era il nome carino che negli anni 80 si dava ai precari, perché negli anni 80 ci davamo tutti abbastanza un tono, poi ero diventato impiegato, dopo impiegato più specializzato, quadro e addirittura, a 29 anni, sono diventato dirigente. Mi ero prefissato di arrivarci a 30, quindi ricordo il giorno in cui, tornando dalla stanza dell'amministratore delegato con in mano questa lettera, ho percorso il corridoio, sono entrato nella mia stanza, mi sono seduto e ho riletto questa lettera di cui conoscevo naturalmente il contenuto, che mi nominava dirigente. E ho un ricordo preciso della sensazione che provai. Non era affatto una sensazione univoca, era una sensazione meticcia; da un lato ero ovviamente soddisfatto: mio padre aveva fatto un percorso aziendale analogo, quindi mi rispecchiavo nella sua carriera ed ero molto soddisfatto di essere riuscito nell'intento che mi ero prefissato. Ma, naturalmente, il non trovarmi in una condizione di perfetta sintonia, di perfetto benessere, mi ha subito insospettito. Avrei dovuto, come tutti quelli che sono pienamente nel luogo dove devono essere e fanno quello che si sentono di dover fare, avrei dovuto compiacermi con me stesso, provare un grande piacere e l'istante dopo fissare nuovamente un nuovo obiettivo. Così fanno gli ambiziosi ed io ero un ambizioso, ero uno che voleva crescere, voleva imparare, voleva fare strada. Ho provato una sensazione molto forte, molto chiara, che lì per lì non sono riuscito a decodificare ma che poi, col tempo, ho capito essere la certezza che non avrei fatto quello tutta la vita. Nel momento in cui dovevo settare nuovamente l'asticella, ho pensato che quello sport non era una cosa che avrei fatto per tutto il tempo. Questa sensazione si è, diciamo così, radicata nella mia mente, nel mio cuore. Io ho continuato a fare il mio lavoro con molto impegno, molta partecipazione le cose sono andate bene, sono stato fortunato, ho fatto buone cose. Era un periodo in cui io lavoravo nel mondo della comunicazione e le cose andavano bene, sono stato bravo, mi sono impegnato, sono stato anche molto fortunato, ho avuto buoni maestri. Però le cose, in un certo senso, sono rimaste lì appese: quella sensazione è rimasta dentro di me. C'è un altro aneddoto che in qualche modo chiude il cerchio tra due sensazioni che si sono richiamate tra loro e hanno determinato un'azione: è stato molti anni dopo, ero sul raccordo anulare di Roma, vivevo a Roma all'epoca, erano le sette e mezza di mattina, eravamo già chiusi tutti dentro la loro macchinetta, ognuno con i telefonini accesi, faceva già molto caldo, era il 4 luglio per curiosa coincidenza, quel giorno mi sono detto: così non va, non posso vivere tutta la vita così, non posso uscire quando tutti escono, non posso tornare quando tutti tornano, non posso fare le cose che fanno tutti, non voglio vivere secondo schemi che sono stati fissati da qualcun altro, o che sono il risultato di una norma che si è affermata come la prioritaria, la vincente, quella omologazione: essere tutti nella stessa circostanza, mi è sembrato insopportabile. Allora sono uscito dall'autostrada appena ho potuto, dal raccordo anulare, che è una specie di autostrada, e ho cercato per le vie di un posto che non conoscevo, perché era una zona di Roma dove non uscivo mai, ho cercato un bar che avesse una pergola possibilmente, potendo stare fuori all'ombra, ho preso un caffè, mi sono seduto al tavolino con l'idea di studiare una soluzione che non avevo però: io sapevo fare, e ci voleva tutta che lo sapessi fare, solo quello che facevo. Non avevo un piano B, non avevo una soluzione, non avevo pensato ad altro e ricordo che, quel giorno, ho preso un pezzo di carta e una penna, mi sono messo a ragionare e mi sono messo a fare la SWAT analysis, tutti i manager presenti sanno cos'è: quella roba per cui tu fai una serie di colonne, metti quello che hai, quello che non hai, quello che ti serve quello che dovresti avere per fare quello che vorresti fare. La colonna delle cose che mi servivano era molto ricca, quelle che avevo erano poche, erano buone per fare quello che avevo sempre fatto ma non oltre, e da quel momento ho iniziato a lavorare, ho iniziato a lavorare a un progetto che era un progetto di liberazione, diciamo così, di autenticità, di autenticazione. Io ero nato per scrivere e navigare. Ognuno di noi è nato per fare una cosa e tante persone mi scrivono: tu sei fortunato, perché tu sai navigare, sai scrivere, come se io fossi nato col timone in mano, con la penna in mano, ma insomma, come potete immaginare non è così, io non so fare niente. Questo ovviamente non è vero. Jack London diceva una cosa molto bella, scriveva che ognuno di noi è come una pallina su un piano sfalsato: se noi lasciamo quella pallina, compie una traiettoria Che se non le rompi l'anima lungo la via, è una certa traiettoria. lui chiamava questa la linea di minore resistenza, cioè quello che noi faremmo bene, sentendoci bene mentre lo facciamo, se potessimo farlo. La mia linea di minore resistenza, in questo sono stato fortunato, mi era abbastanza chiara; cioè io, fin da quando ero un bambino, sapevo che... sentivo, perché poi sapere è una questione che viene con la consapevolezza, ma sentivo che dovevo scrivere e navigare, quella era la mia linea di minore resistenza. In quel momento si compie, nella mia vita, un fatto molto importante dal sapere che cosa fosse il "libero da", che è una cosa molto diffusa, ognuno di noi sa cosa vuol dire "libero da": libero dal capufficio, libero dai ritmi, libero dalle incombenze, dalle responsabilità, dal peso sul cuore, dai mutui, dalle relazioni coatte, non scelte da te, ma da un direttore del personale, che, per definizione, è un pazzo, come sappiamo, se ti ha messo accanto di scrivania uno come il tuo collega, da quella consapevolezza molto diffusa io acquisivo un'altra consapevolezza, che è quella di che cosa dovevo diventare "libero di", che fa parte però dell'altra metà della faccenda la gran parte della gente quando parla di libertà ha chiaro cosa vuol dire "libero da", non cosa lui vorrebbe, dovrebbe, sente che vorrebbe essere "libero di". Ho lasciato il lavoro, da allora ho cambiato la mia vita, l'ho cambiata facendo un progetto intorno a questo. Essendo uno scrittore, essendolo sempre stato, ed essendolo poi divenuto in maniera più professionale, più metodologica, un progetto che ha a che fare con un altro modo per vivere, perché ho scoperto dopo tante paure, dal primo esempio che vi ho fatto dei 29 anni, a quando ho cambiato la mia vita ne sono passati 12, perché ho dovuto vincere tutte le paure del caso, ho dovuto pormi tutte le domande e trovare una risposta originale: all'epoca di queste cose non si parlava, era il 2008 quando cambiai la mia vita, il gennaio del 2008 per coincidenza, per settembre la crisi di Lehman Brothers mi provò, a dispetto di ogni dubbio, che avevo fatto bene. Da quel momento in avanti il progetto si è arricchito ed è diventato una cosa che io potevo avere il coraggio, finalmente, di tentare di vivere. Ero terrorizzato, naturalmente, di non avere lo stipendio. Sono anche il figlio di una stirpe di genovesi, quindi la faccenda è anche seria, ma soprattutto ero terrorizzato di interrompere una carriera: ero arrivato in una buona posizione, per me per i miei mezzi, e sapevo che dai 40 anni in poi avrei potuto raccogliere tutto quello che avevo seminato; Si chiamano Relazioni Pubbliche: ci vuole parecchio per costruirle queste relazioni, però dopo producono i loro frutti: facevo comunicazione, relazioni pubbliche, eccetera. Tutto quello che sarebbe venuto dopo io non lo avrei vissuto, quindi lo stavo perdendo la paura di perdere quello che si ha, mi sono reso conto con il tempo, era il freno maggiore, perché non c'era coscienza di tutto quello che non avrei avuto se non avessi tentato. Questa è una cosa molto importante. Gli anni che sono seguiti sono stati i più felici della mia vita, naturalmente, com'è facile immaginare, perché sono vissuto facendo esattamente ciò per cui sono nato. Sono vissuto tentando di essere ciò che io sapevo di poter essere e ciò che sapevo di dover tentare. Naturalmente, per fare questo, il progetto si è dovuto articolare bene, in una serie di cose molto concrete: dal gennaio del 2008 a oggi ho speso 74mila euro overall, quindi ho vissuto con 8.500 euro l'anno, ma si può fare molto di più: la media risente dei primi anni in cui ero poco abituato. La casa dove vivo, una casa di pietra, un fienile della fine del seicento, suona anche figo se lo dici a una ragazza, che però ho ristrutturato tutto da me, questa è la parte meno figa, in cui è meglio non coinvolgere la ragazza. Chi aveva mai fatto un tetto di una casa di legno, di pietra, e poi il tetto di legno, nessuno naturalmente, e neanche io, il che si è tragicamente visto il primo inverno, quando avevo 36 vie d'acqua nel tetto. Ho dormito con la cerata integrale, meno male che ero attrezzato, con la goccia sulla spalla che veniva giù, avevo dimenticato di mettere la carta catramata pensando che la pendenza bastasse. insomma, di errori ne ho fatti tanti, ho assolutamente compreso però che una persona che fa la vita che fa ognuno di noi ogni giorno, così complicata, ha tutte le risorse per mettersi di fronte ai problemi e tentare di risolverli in maniera molto creativa, a volte, in maniera anche un po fallimentare ma comunque molto soddisfacente. Ho scoperto che si può auto-produrre la gran parte delle cose che ci servono: io mi faccio ammazzare, piuttosto che comprare qualcosa. Questo, il fatto di essere di origine genovese aiuta, ma non basta bisogna anche un pò inventarsi le cose. Aggiusto ogni cosa che che mi serve di utilizzare o di riutilizzare. Considero una specie di morte interiore quando un elettrodomestico non lo posso aggiustare e lo devo cambiare. Però in tutto questo c'è una grande possibilità. E' assolutamente possibile vivere diversamente, assolutamente possibile, anzi necessario, uscire dalla omologazione del pensiero, uscire dall’omologazione degli stili di vita. Abbiamo sentito prima una cosa molto interessante di un attivista per i diritti umani, quella è una questione davvero importante: aiutare le persone ad essere più sane, a vivere di più, eccetera. Ma c'è qualcosa, io credo profondamente, che viene prima di quello. Quello lo fanno gli eroi, quello lo fanno le persone speciali; molti di noi potrebbero farlo certamente, ma sono sicuro che sia una cosa veramente oltre l'asticella per tanti di noi, ma c'è una cosa che, invece, tutti noi possiamo fare ed è quello di contribuire alla società cercando di vivere in maniera autentica, cercando di essere davvero quello che si è nati per essere, smettendo di fingere nel fare mestieri che non ci appartengono, che spesso e volentieri sono dannosi per la società, smettendo di avere 29 gradi in casa, casa mia si riscalda soltanto con la legna che io spacco, brucio, se lasci le sigarette sul divano a fine ottobre ricomincia a fumare a marzo, perché chiaramente non ti puoi allontanare dal camino. Questo poi tra l'altro contribuisce all'abbattimento dei costi. Si possono fare davvero tantissime cose, tantissime cose molto semplici, molto alla nostra portata, che rendono la nostra vita terribilmente avventurosa senza che poi andiamo a vedere "Into the wild" e ci emozioniamo per quello che vediamo. Lo possiamo vivere noi, anche senza quegli eccessi, e soprattutto ho iniziato a fare davvero quello che sentivo di voler fare, di poter fare, che è scrivere e navigare. Posso essere d'aiuto alla società con quello che scrivo? Può la mia ricerca dell'autenticità determinare qualcosa di valore, per chi ho intorno, per chi può leggere qualcosa di interessante, per chi può trovare una soluzione attraverso un esempio, una testimonianza? Questa è senz'altro una cosa che va fatta. Certamente, quando quello che facciamo, se lo scriviamo su un foglio, è troppo diverso, i segni sono troppo diversi dai segni che abbiamo addosso, forse quello che stiamo scrivendo non è letteratura, ma è solo finzione. Questa è una cosa che dovremmo ricordarci: ci vuole una certa consistenza e una certa identità tra quello che facciamo e quello che diciamo, e spesso non c'è. Grazie. [Applauso]