Quattro anni fa, qualcosa di profondo
è successo nella mia vita.
Ho visto la paura e
gli effetti mentali del razzismo,
dei crimini d'odio e di Islamofobia
agire sulla mia comunità.
Sono un americano musulmano
di origine nigeriana
e, crescendo,
i miei genitori mi hanno trasmesso
l'importanza della comunità
e del servire gli altri.
Mia mamma è legata a un proverbio africano
della mia tribù Youruba che recita:
(In Yoruba) “Ènìyàn kan lon bímọ,
gbogbo ayé lon tọ́ ọmọ,”
che significa: "Una sola persona
fa nascere un bambino,
ma ogni persona si prende cura di lui".
Ora, il cuore di questo proverbio è:
anche se è una donna che fa nascere
fisicamente ogni singolo bambino,
l'intera comunità ha un ruolo importante,
accudendo tutti i bambini.
Crescendo, non era insolito
per me arrivare a casa
e vedere mia mamma cucinare
per quello che sembrava
l'intero quartiere.
Condivideva spesso il cibo
con persone in difficoltà.
Ricordo un giorno, ero arrabbiato
come un adolescente.
Era un giorno afoso.
Avevo appena finito delle commissioni.
Non vedevo l'ora
di un pasto cucinato in casa.
Ma quando arrivai a casa,
era rimasto poco cibo,
perché era stato dato di nuovo
ai bambini del quartiere.
Non ne ero felice.
Volevo solo arrivare a casa,
mangiare a sazietà.
Mia mamma mi consolò
e mi accontentai di porzioni più piccole
mentre lei cucinava altro cibo.
Di certo non l'ho apprezzata quel giorno,
ma poi ho capito che mia mamma
dava un luogo sicuro e cibo
a persone della comunità
che ne avevano bisogno.
(In Yoruba) “Ènìyàn kan lon bímọ,
gbogbo ayé lon tọ́ ọmọ.”
Lei si prendeva cura di tutti i bambini.
Sono arrivato negli Stati Uniti nel 1999
e ho frequentato l'Università
del Wisconsin nella città di La Crosse,
una bellissimi città
lungo il fiume Mississippi.
La Crosse era incantevole.
Malgrado il clima gelido e sottozero
e la mancanza di diversità,
di solito le persone erano
calde e premurose.
Il mio più grande shock culturale,
nonostante fossi arrivato in estate,
fu vedere la gente abbronzarsi
e stendersi sui prati.
Non aveva alcun senso per me.
Perché qualcuno vorrebbe abbronzarsi
e arrostire il proprio corpo al sole?
In Nigeria, in Africa,
quando il sole sorge,
tu ti metti all'ombra.
Ma qui era esattamente l'incontrario.
Quando avevo cinque anni,
una cosa deplorevole accadde in Nigeria,
quando il primo Presidente del Paese
eletto democraticamente
pretese che milioni di immigranti
senza documenti lasciassero il Paese.
Questa reazione fu dovuta
a rivolte religiose
che scoppiarono in zone
della Nigeria del Nord negli anni '80.
L'opinione condivisa da alcuni
era che fossero causate
dagli immigrati irregolari,
ma fonti ufficiali
in seguito lo contestarono.
Ciò nonostante, l'esercito fu mobilitato
e oltre 200 milioni di persone,
inclusi bambini, furono mandate via.
Il governo degli Stati Uniti
criticò vivamente tale decisione ai tempi.
Ho sentito echi di quella storia
la mattina dell'11 settembre 2001.
Capii immediatamente che ci sarebbe stata
una forte reazione contro i musulmani,
nonostante i rapporti secondo cui
oltre l'80% delle vittime di terrorismo
nel mondo siano musulmane,
e anche perché avevo già visto
che, quando qualcosa di orribile accade,
la cosa più semplice da fare
è trovare bersagli facili da incolpare.
Mi sentii veramente triste
per tutti coloro che
persero la loro vita alle Torri Gemelle.
Era ingiusto.
Mi sentii anche profondamente arrabbiato
perchè i terroristi non avevano solo
dirottato un areo pieno di innocenti,
ma avevano dirottato anche
la mia religione.
Hanno trasformato la mia cara,
pacifica fede, l'Islam,
in qualcosa di perverso e malvagio
che non riuscivo a riconoscere.
A sua volta, il mio Paese adottivo
ha iniziato a mettere uno contro l'altro.
Lo Stato pareva una polveriera
in attesa di esplodere.
Infatti, in pochi giorni
aumentarono i crimini d'odio
contro i musulmani
o persone che sembravano musulmane.
I crimini d'odio continuarono a crescere
nel Paese per molti anni.
Nel 2012, per esempio,
un tempio Sikh nel Wisconsin fu attaccato
e delle persone furono uccise
a causa della loro fede.
E anni seguenti non andarono meglio.
Tra il 2015 e il 2016,
il crescente numero degli episodi
di crimini d'odio contro i musulmani
superò le cifre riportate
durante l'anno degli attacchi dell'11/09.
Nella mia stessa casa,
all'avvicinarsi delle elezioni
presidenziali del 2016
abbiamo sentito gli effetti
dell'aumento di odio razzista
e della retorica Islamofoba
avvicinarsi a casa.
Io e mia moglie abbiamo provato
a proteggere i nostri figli dai giornali,
ma come gas lacrimogeno nocivo
pronto a circondarci,
la dura verità si stava avvicinando
e i nostri figli stavano soffocando
per la paura e l'odio.
Mio figlio dodicenne spesso
veniva a casa con il terrore
che suo padre fosse ucciso
e che la sua famiglia fosse deportata
o internata in campi di prigionia.
Pensava che essere identificato
come musulmano
fosse una brutta cosa.
Mia figlia di 13 anni
si scollegò semplicemente
e smise di parlare del tutto.
Anche mia moglie provò
un'intensa sensazione di paura.
Concentrò le sue energie
nel garantire passaporti americani
per tutta la famiglia.
Non voleva che la famiglia
andasse in moschea a pregare
e si informò se fosse stato più sicuro
per la nostra famiglia andare in Nigeria.
La nostra famiglia era traumatizzata
e i nostri istinti "combatti o scappa"
erano al massimo.
Per quanto mi riguarda, ero incazzato
perchè, invece di essere il custode
di nostro fratello e sorella,
il mio Paese adottivo era diviso
per razza e religione.
Volevo che la nostra comunità
musulmana locale
facesse qualcosa
per placare quell'odio,
ma stavamo tutti affrontando un trauma.
Mi è venuto in mente il proverbio Yoruba:
(In Yoruba) “Ènìyàn kan lon bímọ,
gbogbo ayé lon tọ́ ọmọ.”
Sentii che la nostra comunità allargata
aveva un importante ruolo da svolgere,
poiché creando un contatto con le persone
e mostrandogli chi eravamo realmente,
avrebbero visto che eravamo
parte del tessuto d'America
proprio come loro.
Ho saputo da un amico
che un gruppo interreligioso locale
stava tentando di creare
un legame con i musulmani,
ma era prima necessario
che i musulmani fossero nel gruppo.
Mi ricordo il primo giorno
del nostro incontro:
mercoledì 24 febbraio 2016
alle 7 di pomeriggio.
C'erano 12 dei nostri ad assistere
e in tutto vi erano otto cristiani
e quattro musulmani, me incluso.
Abbiamo spiegato perché fossimo lì
ed eravamo tutti fieri di essere
cittadini di questo grande Paese.
Un americano musulmano,
immigrato 39 anni fa,
confessò di avere paura
per il futuro dei suoi nipoti.
Un altro musulmano, che fuggì
dalle persecuzioni violente nel suo paese,
confidò di essere spaventato
per la prima volta dopo tanto tempo,
spaventato di ciò che il futuro
riservasse per musulmani e bambini.
Anche io avevo paura per i miei figli.
Volevo accertarmi che la nostra comunità
fosse un luogo sicuro e fiorente
per i miei figli e chiunque altro.
Ho capito che la gran parte
delle mie esperienze negative
erano più legate
al mio essere nero che musulmano.
Ma ho subito anche
micro-aggressioni negative.
Mi ricordo che diversi anni
dopo l'11 settembre,
un collega mi disse
che in teoria sarei potuto essere
una spia terrorista.
Anche se questa affermazione
fu fatta per scherzo, congettura
o semplicemente ignoranza,
la frase fece davvero male.
Mi ha anche ricordato
che alcune persone mi giudicheranno
e mi vedranno come pericoloso
senza neanche conoscermi.
I cristiani al tavolo dissero
che loro erano là per proteggerci
e sostenerci.
E devo dire, fu un tale sollievo
essere in compagnia di persone
che ci tenevano e volevano aiutare.
Ci impegnammo quel giorno
a stare a fianco gli uni agli altri.
L'incontro successivo
vide il gruppo crescere
e altri quattro si unirono,
tra cui appartenenti alle fedi
ebraica e buddista e uno studente.
Il nostro gruppo era
diversificato e forte.
Avevamo gente di 20, 30, 40, 50, 70 anni
e un avvocato locale di giustizia sociale,
che aveva 95 anni
e non aveva intenzione
di stare in panchina,
un'ex missionaria,
una donna di 95 anni che subì ingiustizie
sotto l'apartheid in Sudafrica
e questa esperienza l'ha resa
un'attivista e una femminista.
Nacque La Crosse Interfaith
Shoulder to Shoulder Network
e il nostro obiettivo era chiaro:
porre fine al sentimento anti-musulmano
e all'odio verso qualunque gruppo,
stando fianco a fianco.
A maggio 2016 la comunità musulmana locale
rilasciò un comunicato rifiutando l'odio.
A gennaio 2017,
il presidente ha firmato
un ordine esecutivo
che mette al bando immigrati
da sette paesi a maggioranza mussulmana.
Il divieto ai musulmano,
che divenne esecutivo
il 27 gennaio 2017,
generò un'enorme rabbia
nella nostra comunità,
che aveva bisogno di sfogarsi.
Un gruppetto di noi pianificò
e organizzò un raduno della comunità
e iniziò a spargere la voce.
Eravamo gente normale,
non organizzatori della comunità.
Non avevamo mai fatto
niente di simile prima.
Abbiamo condiviso informazioni
su Facebook con i nostri vicini e amici
e non avevamo idea di chi sarebbe venuto,
ma sapevamo anche
che era vitale diffondere
la potente, semplice idea
dietro questa azione.
(In Yoruba) “Ènìyàn kan lon bímọ,
gbogbo ayé lon tọ́ ọmọ.”
Stavamo difendendo a vicenda
noi e i nostri figli.
E le persone comparvero,
giovani e vecchi.
Faceva molto freddo
e la temperatura era sotto lo zero,
ma ciò non impedì
alle persone di venire.
La comunità stava rispondendo
alla nostra richiesta di aiuto.
Oltre 700 alleati si presentarono
all'evento quel giorno.
Una donna ebrea, la cui famiglia
sfuggì alla persecuzione religiosa
durante l'Olocausto in Slovacchia,
è venuta a sostenerci.
Avevamo scatenato qualcosa di bello
a La Crosse quel giorno.
Abbiamo reso compassione,
parità e giustizia un interesse di tutti
e fatto sì che fosse un interesse comune
appoggiarsi l'un l'altro,
combattendo paura e odio.
Per la piccola La Crosse,
questa era davvero tanta gente.
Ma forse è ancora più importante,
diede alla mia e alle altre famiglie
un infinito segno di supporto e conforto,
che non eravamo soli
e che la maggioranza dei nostri vicini
e le comunità erano con noi,
invece che contro di noi.
Le lezioni che ho appreso
da queste esperienze sono:
c'è gente buona in ogni comunità
e la tua comunità ti appoggerà
se lo rendi un tuo interesse.
(In Yoruba) “Ènìyàn kan lon bímọ,
gbogbo ayé lon tọ́ ọmọ.”
Quando ti relazioni davvero
con una comunità
e sei vulnerabile nella tua ricerca
di sostegno e unione,
buone persone si faranno avanti.
Talvolta, è sufficiente una scintilla
per mettere in moto le cose.
Quest'anno, i crimini d'odio
rimangono elevati,
con gli ultimi report dell'FBI secondo cui
il 70% di quei crimini è motivato
da razza, etnia, islamofobia
e antisemitismo.
E costanti discriminazioni,
inclusa la morte di George Floyd,
mostrano che abbiamo
tanto lavoro da fare nella società.
Penso che questo non sia il problema
di un singolo, un gruppo, un ente,
ma sono problemi di tutti.
Abbiamo tutti bontà
nei nostri cuori,
quindi non sediamoci in panchina.
(In Yoruba) “Ènìyàn kan lon bímọ,
gbogbo ayé lon tọ́ ọmọ.”
Tutti i nostri figli meritano
protezione e aiuto
e stare in silenzio non rende
le cose migliori.
Quindi rendiamo la nostra comunità
e il mondo un posto migliore
facendo sì che
discriminazione e odio
sia un interesse di tutti.