Il 31 ottobre 1999, Halloween qui negli Stati Uniti, la mia famiglia si trasferì a Los Angeles da un appartamentino in Inghilterra. All'epoca, c'erano solo i miei genitori, mio fratello e mia sorella. Io nacqui un anno e tre giorni dopo. All'inizio non credo fosse così chiaro che ero diverso. Ma verso i quattro anni, la mia scarsa attenzione divenne evidente. Non rispondevo alle persone, le ignoravo. Mia madre iniziò a credere che fossi parzialmente sordo e spese 400 dollari per un sofisticato esame dell'udito. Lo superai senza problemi e ancora oggi continua a rimproverarmi. La mia incapacità di concentrarmi per lunghi periodi di tempo, la mia smemoratezza e la mia totale mancanza di organizzazione sono a dir poco leggendarie. Perdevo sempre le matite, non consegnavo mai i compiti, anche quando li facevo, lasciavo sempre i giacchetti a scuola e spesso non li rivedevo più. Non riuscivo a stare fermo da seduto e, se ci riuscivo, parlavo. Parlavo così tanto che anche quando non parlavo, gli insegnanti mi dicevano di stare zitto perché pensavano che lo stessi facendo. L'insegnante della terza elementare mi mise in un angolo della classe lontano da tutti per evitare che parlassi con gli altri. Così ottenne solo che iniziai a urlare da un angolo all'altro della classe. Ero un incubo. E per tutto quel periodo avevo un sacco di compiti non consegnati. Sempre molti più degli altri. La quarta elementare fu la svolta. Mia madre studiava per fare l'insegnante, e durante il suo percorso ebbe a che fare con ragazzi con l'ADHD. Iniziò a notare che quei ragazzi si comportavano in un modo a lei noto. Avevano gli stessi miei problemi. Nell'aprile della quarta elementare andai da un terapista che mi diagnosticò l'ADHD, che, in poche parole, significa tre cose: impulsività, iperattività e disattenzione. Impulsività: ecco perché dicevo qualsiasi cosa mi passasse per la testa e parlavo in classe. Iperattività: non riuscivo a stare fermo, infastidendo tutti quelli che mi circondavano. Disattenzione, però, non è il termine corretto per descriverla. In realtà, il mio cervello passa da una cosa all'altra molto velocemente finché qualcosa non attira veramente la mia attenzione, mi fa estraniare e magari ne rimango ossessionato per un po'. Questa era la causa della mia smemoratezza. Mi ricordo bene le cose solamente quando vi presto attenzione, cosa che non accade molto spesso. Questo spiega anche molte esperienze della mia vita. Ho provato tutti gli sport, persino il baseball, un'idea terribile. Mai mettere un ragazzino con ADHD in mezzo a un campo, ad aspettare. Ho provato la robotica. Ho provato a suonare qualche strumento, ma si sono rivelati tutti un fallimento. Provai a disegnare, ed ero diventato anche piuttosto bravo, ma poi volli imparare a dipingere, non lo feci mai e ora ho perso interesse. Provai a imparare da solo la programmazione. Ma alla fine della giornata mi aveva già annoiato. Il punto è che passavo sempre da una cosa all'altra. Per curare questi sintomi e per salvare la reputazione dei miei in quanto ‘bravi genitori’, ho dovuto prendere dei farmaci. Questo è probabilmente l'evento che mi ha segnato di più in assoluto. All'inizio era stupendo. Ero in quinta elementare ed ero uno studente modello. Non solo finivo i compiti, ma lo facevo in fretta, e aiutavo i miei amici a finire i loro, e dopo ce la spassavamo, mentre gli altri stavano ancora lavorando. E la cosa migliore era che la maestra di terza, che mi aveva messo in punizione, insegnava anche in quinta. Non riesco a immaginare quanto fosse confusa. Fu così anche in prima media. Ero organizzato, non rimanevo indietro, avevo bei voti, e tutto era perfetto. Ma in seconda media mi venne aumentato il dosaggio dei medicinali, perché pensavano ce ne fosse bisogno per affrontare la pressione della scuola media. Ironico, se pensiamo che alle medie la vera pressione viene dai compagni, cosa che il dosaggio maggiore contribuì a peggiorare. Di colpo non socializzavo più. Ero diventato distante. L’ADHD è parte della mia personalità, e come potrebbe essere altrimenti, visto che ci convivo da sempre? Il dosaggio maggiore me l'aveva portata via. Ancora peggio, non riuscivo a mangiare mentre prendevo i farmaci. Ero un ragazzino piuttosto magro e mia mamma cercava di farmi mangiare, preparandomi ogni giorno il pranzo che puntualmente finiva nella spazzatura. Quando le dissi che, a causa delle medicine, non avevo per niente appetito, la sua risposta fu più o meno questa: sforzati e manda giù. Non c’era molto altro da dire. Come conseguenza, iniziai a prendere i farmaci in modo irregolare, ed era abbastanza evidente. Per darvi un’idea, a Los Angeles, c’è una squadra di hockey sul ghiaccio, i Los Angeles Kings. Andai a vedere una delle loro partite e mi esaltai molto. Ogni volta che succedeva qualcosa mi alzavo in piedi, saltavo ed esultavo. Accesero la Dance Cam e, per essere inquadrato, mi tolsi la maglietta e la sventolai sopra la testa. Ovviamente mi ripresero. Quando tornai a una loro partita, avevo appena preso le medicine per concentrarmi sullo studio. Quella volta non ballai e a fatica mi alzai quando i Kings segnarono. I miei amici rimasero delusi perché volevano vedermi con la stessa energia della volta prima. Con le medicine non riuscivo a fare niente di tutto ciò. Quei comportamenti mi sembravano immaturi e non degni di me. I professori la considererebbero una ‘condotta eccellente’. Rimanevo seduto, non parlavo e non disturbavo nessuno. Questo è un conflitto che molti bambini affetti da ADHD devono affrontare. Avere dei bei voti facilmente, ma perdere una parte di sé, o essere se stessi, ma venir messo in croce per questo nel registro da coloro che trovano irritante il tuo normale comportamento. Quando smisi di prendere le medicine, la situazione precipitò. I miei voti peggiorarono. La gente era infastidita da me. Amici e familiari che sapevano del mio disturbo cercavano di riderci su. Immagino volevano che trovassi un capro espiatorio, ma era davvero umiliante. Preferisco assumermi io stesso la colpa dei miei errori invece di darla alla malattia. Sennò diventerebbe un altro modo di buttarmi giù, tipo dire: “tanto non riesco a fare queste cose perché non sono normale”. Ero solo in terza media, ma la vita mi sembrava così diversa rispetto alla prima media, e cominciai a chiedermi se fossi davvero intelligente o se erano le medicine a farmelo credere. La mia fiducia in me stesso era a pezzi e io ero arrabbiato, amareggiato, più che altro con me stesso. Non credevo più in me stesso, che sarei riuscito a fare ciò che pensavo di saper fare. Arrivai in prima liceo impreparato ad affrontare questa nuova sfida. Avevo già perso ancor prima di varcare la soglia. Per me, era tutta colpa dell'aumento del dosaggio. Non fraintendetemi. Rispetto ad altri a cui hanno dato i medicinali, a me è andata bene, anche se molti di quelli che prendono i farmaci stanno benissimo. Molti ragazzi sono in crisi di astinenza durante l'estate, hanno crisi terribili. Hanno convulsioni. Conosco un ragazzo che è rimasto sveglio per due giorni dopo aver preso i farmaci. So di un bambino, che mia mamma ha conosciuto lavorando a scuola, che ha avuto pensieri suicidi la prima volta che ha preso i medicinali. Tutto questo è inammissibile. Le persone con l’ADHD devono imparare a conoscersi per poter affrontare questa patologia, ed è un processo lungo. Basandomi su ciò che ho visto, l'unica soluzione efficace proposta sono i medicinali, e se non funzionano, bisogna arrangiarsi. E lo capisco, molte persone si trovano bene con le medicine. Non hanno effetti collaterali che influenzano le loro vite e possono fare quello che vogliono. Però non è così per tutti. Lo stress, le pressioni, e la frustrazione che accompagnano l'ADHD, non solo per il diretto interessato ma anche per chi gli sta intorno? È dura. Non è un caso che quando dei ricercatori svedesi controllarono le banche dati nazionali, e confrontarono i tassi di suicidio tra chi aveva l'ADHD e chi no, scoprirono che è dieci volte più probabile che quelli con l'ADHD si suicidino: lo 0,2% contro lo 0,02%. L'1,3% di coloro che non avevano l'ADHD aveva tentato il suicidio. Per quelli con l'ADHD, la percentuale era del 9,4%, circa uno su dieci. Anche i parenti delle persone affette da ADHD sono a rischio. E, di nuovo, a confronto con lo 0,02% del resto della popolazione, i genitori hanno un tasso di suicidio dello 0,7%. I fratelli hanno lo stesso tasso di coloro che hanno l'ADHD, lo 0,2%. E con queste statistiche, come possono i medicinali andare bene per tutti gli affetti da ADHD? Nonostante tutte le persone che stanno meglio grazie alle medicine, è ancora un grosso problema per chi non può permettersele e per coloro a cui i farmaci non sono d'aiuto. Coloro che notano lo stress che causano a chi amano quando sbagliano, e non sembrano smettere di rovinare le cose: rimarreste sorpresi da quanti ce ne sono. Si stima che qui negli USA abbia l'ADHD il 4% della popolazione adulta. Secondo il CDC, nei bambini la cifra è dell'11%. Questi sono solo i dati degli USA e stiamo già parlando di milioni di persone. Sono persone come voi, che lottano contro questa malattia, contro lo stress che causa. Persone come me. E io la gestisco così. L'unico modo per convivere con l'ADHD ed essere felice era sconfiggerlo. Dovevo dimostrare che l'ADHD non mi avrebbe fermato. Il secondo anno di liceo, dopo il primo in cui mi ero buttato giù, volevo dimostrare non solo agli altri, ma principalmente a me stesso, che ero intelligente, che potevo prendere i voti che volevo, che potevo partecipare e trovare il tempo di fare i compiti. Presi i voti che volevo, e riuscii anche a partecipare. Entrai nella Croce Rossa, e fare volontariato con loro è stata una delle cose più appaganti di sempre. Ho trovato modi di fare le cose che funzionano per me. Sono organizzato al punto giusto, non troppo né troppo poco. A lezione, per me è importante trovare degli schemi così, anche quando mi perdo qualcosa, ho sempre un'idea generale di cosa sta succedendo. Per me è molto importante avere degli amici a lezione, così quando mi deconcentro durante le lezioni che non mi appassionano, ho sempre qualcuno a cui chiedere cosa è stato detto o che compiti fare. Tutto questo richiede sforzi, ma ne vale la pena perché mi permette di fare tutto ciò che voglio. Sta tutto nel conviverci. Ciò mi ha permesso di sospendere i farmaci, cosa non molto comune per chi ha una storia a lieto fine con l'ADHD. Ora posso andare a scuola, e quello sono io, il vero me. Irrito gli insegnanti, faccio fatica con i compiti, e sono più felice. Faccio affidamento su me stesso. Nessun farmaco, nessun insegnante che incombe su di me. È fattibile. Sia che i farmaci funzionino, oppure no, le persone con l'ADHD devono trovare qualcosa che funzioni per loro, ricevere il sostegno necessario, e continuare ad aumentare la fiducia in se stessi. L'ADHD è una battaglia che non si può vincere completamente, ma con un po' di comprensione, possiamo aiutare milioni di persone. Grazie. (Applausi)