Durante un viaggio
istituzionale con la Sindaca,
e altri esponenti politici
della mia città,
ebbi un terribile attacco di gastrite.
Mi faceva così male la pancia
che decisi di prendere un aereo
e tornare a Roma, in ospedale.
Fui ricoverato per una settimana,
e in realtà fu una settimana
molto divertente e rilassante,
perché mi misero in stanza
con altri cinque pazienti,
età media 65 anni
che passavano giorni e notti
a raccontarmi un sacco
di storie e avventure.
Immaginate, loro in cinque
avevano più di 300 anni,
quindi immaginate la quantità
di storie da raccontare.
Io stavo buono e ascoltavo
molto incuriosito
dal fatto che nonostante
fossero persone comuni,
ognuno di loro raccontava
di un mondo diverso,
più o meno generoso,
interessante o entusiasmante.
I vecchietti.
(Risate)
Quello che mi colpì molto
fu che allo stesso modo,
sarà per l'età o per la quantità
di delusioni accumulate,
quei signori avevano smesso
di credere nel potere dei cambiamenti.
"Non cambierà niente", dicevano,
"e se cambia, cambia in peggio".
E da quel momento l'obiettivo
della mia permanenza in ospedale
cambiò drasticamente.
Non dovevo più guarire,
ero già guarito magari.
Dovevo, prima di tornare a casa,
convincere loro del fatto che qualcosa,
in qualche modo, si può sempre.
Ho raccontato, quindi,
di chi non si accontenta,
di chi non rimane indifferente,
di chi sceglie di trasformare idee,
sogni e speranze in progetti concreti,
e ho raccontato di me,
che durante l'adolescenza
ho conosciuto e partecipato
a quei movimenti che nascono e muoiono
perché incapaci di costruire
processi partecipativi reali,
i movimenti del No,
e che capito questo ho scelto
di intraprendere una strada diversa,
feci una scelta piccola,
che mi cambiò la vita.
Trasformai la mia voglia di attivarmi,
partecipare ed essere cambiamento
in un progetto tangibile,
concreto, o meglio sfogliabile.
Ho fondato, con un compagno di scuola,
un grande progetto editoriale,
e intorno a questo un movimento
che su base progettuale
dà spazio alle idee di quasi
400 ragazzi e ragazze rendendoli realtà.
Scomodo, così si chiama il giornale,
è un mensile di approfondimento
volutamente cartaceo
che tratta tematiche di attualità
e cultura in più di 100 pagine ogni mese.
Le copertine hanno firme importanti,
questo è Altan, e queste
sono alcune delle altre.
E i ragazzi, non ci crederete,
ma lo leggono, e pure un sacco.
L'obiettivo è quello di rieducare
una generazione a interessarsi,
approfondire e sentirsi parte attiva
della società in cui vive.
Dopo questo, Scomodo,
che è un progetto molto complesso,
può essere raccontato
in due punti principali:
da una parte è partecipazione,
è voglia di attivarsi.
Gli articoli si discutono tutti insieme,
si decide di che cosa parlare
e si decide di come parlarne,
e le iniziative,
dalle conferenze ai concerti
con cui finanziamo la rivista,
sono pensate per rendere chi partecipa
protagonista di un'esperienza
e non più solo fruitore.
Dall'altra è voglia di costruire
le alternative culturali e sociali
di cui sentiamo la mancanza
e farlo con il giornale.
Ancora, quando pensiamo che non basta dire
che possiamo avere accesso
a tutte le informazioni che vogliamo,
ma bisogna insegnarci a farlo.
E di farlo riempiendo
di persone, contenuti e idee
gli spazi vuoti della nostra città,
gli spazi abbandonati.
Questo è lo stadio Flaminio.
È uno stadio al centro
di Roma, 25.000 posti,
questo posto, per 25, è enorme.
Lo abbiamo occupato in 700
alle quattro di pomeriggio
per raccontare un possibile futuro diverso
per un posto così grande e bello.
Della cosa di parlò un sacco.
Insomma, nei primi mesi del progetto,
mentre cercavamo
di mettere in ordine le idee,
nessuno ci aveva detto
che cosa sarebbe potuto diventare.
Nessuno ci aveva mai parlato
della quantità di emozioni,
difficoltà e problemi
con cui avremmo dovuto
imparare a scontrarci.
E sapete perché sono qui?
Perché non lo abbiamo mai chiesto.
Noi ci svegliamo ogni mattina
e scegliamo di impegnarci
senza fare troppe domande
sulla crescita di un progetto
che nessuno sente suo
e che tutti sentiamo nostro.
E Scomodo nasce proprio da questa idea,
un'idea semplice e potente
che subito dopo divenne
un piano per realizzarla.
Abbiamo fatto la prima riunione,
poi stampato il primo numero
e le persone hanno cominciato
a parlare di noi.
I giornali scrivono di noi,
nei licei e nelle facoltà
i ragazzi hanno gli adesivi
con le copertine sui caschi.
Leggono e distribuiscono la rivista.
Noi, nel primo anno cresciamo,
passiamo da 53 a 440,
siamo la realtà culturale
più partecipata d'Italia.
Arriviamo a distribuire
7500 copie gratuitamente,
ogni mese, a Roma,
in 200 punti e in altre 13 città d'Italia.
Scomodo è la rivista studentesca
più stampata d'Europa.
Ora, strutturati e un po' più organizzati
lavoriamo in contemporanea a 13 progetti,
alcuni con partner importantissimi:
Internazionale, Treccani, Green Peace.
(Risate)
(Applausi)
Grazie.
E al lancio del progetto
e alla riproduzione della realtà
in altre quattro città d'Italia.
Dopo tre anni di riunioni
in parchi, piazze e bar,
stiamo anche costruendo uno spazio,
e sarà uno spazio della città,
uno spazio di tutti per tutti,
con un processo unico
di costruzione partecipata,
che coinvolge già quasi 800 persone
nella costruzione di un posto nuovo
che darà spazio a tutti o quasi,
e i desideri di come noi
vive e abita la nostra città,
che è Roma, se non si fosse capito.
(Risate)
Dietro tutto questo, un branco di pazzi,
secchioni, sfigati, imbranati,
su 30, 28 hanno le vertigini, giuro.
Siamo gente comune
e potremmo essere i vostri figli,
potremmo essere quelli seduti
accanto a voi o voi alla nostra età.
E tutto questo per sottolineare
che non sentiamo e non abbiamo mai sentito
di avere niente in più rispetto a nessuno,
se non la speranza
di contribuire a fare di questo
il paese nel quale
saremmo voluti crescere.
Spesso, a doverci impegnare
per rincorrere questa speranza,
ci sentiamo un po'
come i bimbi sperduti di Peter Pan,
che sognano un'isola che non c'è
più viva e luminosa,
che dia importanza al futuro
investendo sul presente.
È che però siamo sull'isola che non c'è,
da un'altra parte rispetto alla realtà.
E permettetemi, cari spettatori di TEDx,
di dire che se ci sentiamo bimbi sperduti,
forse non è solo colpa nostra.
La nostra è una generazione
frutto di decenni
di disinvestimenti culturali,
economici, politici,
sull'istruzione, sulla cultura e,
se posso, anche sulla democrazia.
Ne viene una generazione di ragazzi
oggettivamente depressi.
Guardatevi intorno, siamo apatici,
indifferenti, ignoranti.
Le librerie chiudono,
noi non leggiamo, non ci interessiamo;
chiudono i cinema, i teatri,
le redazioni: qua ci manca l'aria.
E a nessuno frega niente.
Ebbene, piuttosto che arrabbiarci
e unirci al grande coro dei No
abbiamo cercato e poi trovato
gli strumenti per crescere
nella società civile, negli adulti,
nei grandi con cui
prima eravamo tanto arrabbiati.
Scomodo esiste anche grazie al sostegno
dei nostri genitori,
degli abbonati,
di tutte le persone
che non hanno mai smesso
di credere in noi.
E sapere che quando le cose vanno male,
che quando tutto sembra finito,
c'è qualcuno pronto a dire,
"Tranquillo, ce la farete.
Anzi, ce la faremo".
Non è importante, è tutto, è bellissimo.
Un progetto senza una comunità
che lo sostiene non è niente, non è reale.
Ora, tutto questo discorso
è con un obiettivo e un sogno:
l'obiettivo è quello di trasmettervi
l'importanza e il potenziale
della speranza,
in quanto la speranza
motiva le nostre scelte nella vita reale
ed è un insieme di scelte
a generare cambiamenti, anche enormi.
E il mondo ha bisogno
di questi cambiamenti,
il mondo non vuole rimanere uguale,
il mondo ha bisogno di trasformarsi,
il mondo ha bisogno
di innovazione,
il mondo ha bisogno di noi
che crediamo in lui.
Il mondo ha bisogno di migliorare,
noi abbiamo bisogno che il mondo migliori
e il piccolo sogno
è che voi tutti possiate,
usciti da quella porta,
contribuire a fare questo.
Fatelo per voi stessi, fatelo per noi,
fatelo per chi vi pare,
però per favore fatelo,
perché ce n'è bisogno.
E perché, dopotutto,
io mi chiamo Tommasino
e in realtà non so fare
niente di speciale,
ma ho preso un treno,
sono venuto fino a qua
e sono emozionatissimo.
E l'ho fatto solo per dirvi
che forse potete quello che volete.
Grazie.
(Applausi)
Grazie, grazie.
(Applausi)
Grazie.
(Applausi)