Stiamo tutti dicendo che la consolidata massima "Mors tua, vita mea" è una delle più grosse idiozie che la mente umana abbia mai partorito. Madre Terra ci sta dicendo, anzi ci sta urlando, che ad occuparci dell'ultimo, del più fragile, del più minuto dei suoi esseri, non stiamo facendo un atto di bontà ed eroismo. Stiamo soltanto perseguendo il nostro bieco, cinico e immediato interesse. Questo vale per una questione di cui si parla dandole un nome errato: i migranti climatici. Ne tratteremo dal punto di vista del nostro bieco, immediato, cinico interesse. Solo che questo interesse dobbiamo capirlo. Vedete in questa diapositiva qualcosa che vi è familiare, si chiama Europa. Ma avete mai riflettuto sulla stranezza di questa idea? Tutti i continenti sono delimitati secondo delle barriere geofisiche. Secondo questo stesso criterio, noi siamo Asia. Non esistiamo. Eppure vogliamo essere un continente, anzi il Vecchio Continente. Che cos'è che ci caratterizza come qualcosa di diverso dall'Asia? Diremo: una cultura che nella sua diversità ha una certa unitarietà; senza voler fare stupidi discorsi di razza, una certa omogeneità fisionomica. Ma poi qual è la determinante fondamentale di tutto questo? Perché siamo unitari? Beh, la determinante è il clima. L'Europa è l'Europa, con una sua identità particolare, perché ha beneficiato di una anomalia climatica. E intorno a questa anomalia climatica si è creato il nostro congiunto di interessi. Solo che le cose stanno cambiando. Questa caratteristica climatica dell'Europa - sto super-semplificando, ma in qualche modo è determinata dall'essere stati soggetti all'influsso dell'anticiclone delle Azzorre. Che sta retrocedendo, lasciando il passo, sempre di più, agli anticicloni africani. Che cosa significa questo? Significa che, se il clima è stato così determinante nel forgiare la nostra identità, e i nostri interessi, cambiando il clima cambiano anche questi. Perdiamo la nostra identità europea? No, a questa se ne aggiunge un'altra. Noi entriamo, anche, nella comunità di interessi che sono governati dall’anticiclone africano. In questa prospettiva di interesse possiamo cercare di capire cosa significano per noi quelle persone che sono mandate via dalle loro terre da un clima che cambia e le rende meno generose. Ma dobbiamo anche capire di cosa parliamo. L'idea generale è che quanto più si è poveri, tanto più si è propensi a emigrare, e questo non è vero. I più poveri sono racchiusi in quella che tecnicamente si chiama la "trappola della povertà". Hanno così poco, la loro prospettiva è di così corto raggio, che a emigrare non ci pensano. Il loro problema è trovare la ciotola di riso fra due ore. E solo quando si inizia ad avere qualche sicurezza in più, che si concepisce il viaggio per andare lontano, per migliorare il proprio stile di vita. Ebbene, questi, coloro che hanno un po' di base per concepire il viaggio, almeno una piccola dose di libera scelta di farlo, sono i veri migranti. E se gestiti bene possono anche avere un ruolo positivo per sé stessi e per chi li accoglie; ma questo è un altro discorso. Il problema è che il clima che cambia incide sulle vite di quelli che migrare non potrebbero. Quelli che devono andarsene semplicemente perché il campo si è disseccato. Questi non sono migranti, questi fanno parte di movimenti forzati di popolazione. E chi è preda di un movimento forzato di popolazione non è utile sé stesso, non è utile a nessuno. Perché è anche preda, nella sua estrema fragilità, dell'illegalità, dei traffici, del terrorismo, del fanatismo. Cosa fa il clima? Siamo abituati a sentire che il clima che cambia crea dei fenomeni più estremi, più violenti e quindi impatta anzitutto sulla nostra fisiologia. Ondate di calore mettono in difficoltà le persone più anziane; si stanno ampliando i cosiddetti areali, cioè le aree d'incidenza di alcune malattie infettive. Poi sentiamo anche dire che i fenomeni climatici violenti fanno del male alle nostre infrastrutture. Gli uragani che fanno crollare i ponti, eccetera, eccetera. Ma quasi nessuno parla del vero effetto devastante del clima che cambia. Che cos'è l'effetto serra? L'effetto serra è una porzione di energia solare che viene introitata dal nostro sistema e non viene rispedita nello spazio. È tanta! La quantità è stata annunciata in un'altra TED, una decina di anni fa, da uno scienziato forse anche un po' controverso, ma comunque della NASA: James Hansen. È l'equivalente dell'esplosione di 400.000 bombe atomiche al giorno. E in che cosa si trasforma questa energia che non si incanala in delle strutture che si sono formate nel corso di millenni? Si trasforma in disordine, si trasforma in imprevedibilità. Lì dove il clima diventa imprevedibile, le società hanno difficoltà ad organizzarsi. Se io sono un contadino e non so quando pioverà, non so quando semino. Ma non è solo una questione rurale. Se io sono l'amministratore dell'acquedotto di Milano, e non so se ci sarà neve o no, ho dei grossi problemi a pianificare. Ecco, se succede da noi, nella misura in cui sta succedendo, ancora riusciamo a rimediare. Ma se succede a un contadino del Burkina Faso, lì la questione non è più economica. Un mancato raccolto, per un contadino della Valpadana, può significare perdite economiche; ma forse si è assicurato, forse interviene la Regione. Per il contadino del Burkina Faso fa la differenza fra mandare o non mandare i propri figli a scuola. E allora diventa un problema di diritti umani. E capiamo come una persona che è sottoposta a pressione sulle sue prospettive di futuro, sui diritti più fondamentali della sua famiglia diventa preda di migrazioni, di fanatismi, di destabilizzazione di ogni tipo. È qualcosa per il futuro? Purtroppo no, sta già succedendo. Sta già succedendo in zone che sono caratterizzate da un ecosistema fragile che si sovrappone ad una società fragile. Sta succedendo nelle isole, che stanno urlando la loro disperazione. Le Maldive stanno mettendo da parte una porzione dei proventi del turismo per comprare, in futuro, un'altra terra. Sta succedendo nei delta dei fiumi, che si stanno salinizzando. Sta succedendo nell'Artico: le popolazioni artiche sono alla disperazione. Gli manca tutto quello che ha definito la loro cultura. E si trasforma in alcolismo, si trasforma in suicidi. Sta succedendo nelle montagne, particolarmente esposte; e poi sta succedendo di fronte a noi. Il posto dove sta succedendo più massicciamente, al momento attuale, è proprio di fronte a noi: ci separa un breve tratto di mare. L'Italia si distende fra le due sponde del Mediterraneo come se fosse un ponte. Vi mostro una mappa della porzione settentrionale dell'Africa. È composta perlopiù di deserti che sono stati deserti per lungo tempo. All'interno di questi deserti, come abbiamo ben capito questa mattina, ci sono delle popolazioni che hanno trovato un modo di vita compatibile con quell’ecosistema piuttosto avaro. Solo che in questa zona non c'è solo il deserto. C'è anche una zona, che grossomodo coincide col Sahel, dove c'è la desertificazione. Se noi mettiamo sul piatto della bilancia la generosità di queste due aree, il deserto e la desertificazione, in termini obiettivi l'area della desertificazione è ancora un po' più generosa, ancora un po' più ricca che non quella del deserto. Solo che nell'area della desertificazione è venuta meno la certezza dei cicli della natura. C'è il disordine di un clima che non è più regolato e quindi non ci si può più organizzare. Vi invito a osservare dove si trova e notare che coincide con l'area di concentrazione della fame e dei conflitti, con l'aria di concentrazione delle dinamiche terroristiche, con l'area di concentrazione dei traffici illeciti di ogni tipo: armi; denaro; droga; esseri umani. E guardate un po' da dove vengono 9 su 10 di questi migranti, che ci stanno mettendo un po' in crisi. Se questa è la realtà, per il momento, su cui l'Italia, nel suo ruolo di primo protagonista, stabilirà uno standard, non dobbiamo pensare che la cosa finisca qui. Vi mostro due foto. Una è una mappa. Nella prima mappa, vedete la fascia dell’Hindu Kush, Himalaya, e Pamir. Queste ad un certo punto fonderanno. Non ho il tempo di spiegare perché, [ma] non fonderanno gradualmente, in proporzione all'aumento della temperatura. Ci sarà, ad un certo punto, un collasso. I ghiacciai di questa fascia, ad un certo punto, crolleranno. Ma a noi che siamo italiani che cosa ce ne importa? Be', il fatto è che ogni volta che si perde un elemento di questo meraviglioso equilibrio che chiamiamo biosfera o ecosistema, non si perde soltanto la sua presenza e bellezza. Si perde anche la sua funzione, la funzione che svolge nel mantenere l'equilibrio di tutto il resto. I ghiacciai svolgono molte funzioni: una di queste ci interessa molto. Sono i regolatori di un ordinato deflusso a valle di acque. Dai ghiacciai di questa fascia si dipartono fiumi, che irrigano piane ove sono stanziate 1.400.000.000 di persone. Se i ghiacciai crollano, in questa zona, che soprattutto a sud è monsonica, la situazione delle valli improvvisamente passa da una in cui, durante la siccità, il ghiacciaio sciogliendosi fa arrivare l'acqua con i fiumi, a una di disastrosa alternanza di siccità e alluvioni. Significa che va in tilt l'agricoltura, le infrastrutture. E molto altro. 1.400.000 di persone. Noi abbiamo iniziato ad avere problemi con l'arrivo di circa 380.000 persone. Sommiamo a tutto questo che comunque le montagne sono degli ecosistemi molto fragili, dove abitano popolazioni molto fragili. Eh, sì, ma sono piccole, sono lontane - no no, sono il 22% delle terre emerse e ci abitano 913 milioni di persone. Se si mettono in moto quelle... E poi c’è un'altra foto, mostra una metropolitana allagata. È a New York. L’innalzamento dei mari è una questione molto controversa, non si capisce bene se sarà tanto o poco, però ormai gli scienziati - avrete sentito parlare di un recente rapporto del Panel delle Nazioni Unite - considerano abbastanza plausibile l'idea che aumenti di un metro e mezzo entro la fine di questo secolo. Beh, aggiungete che il 42% della popolazione umana è stanziata lungo le coste. Se il mare si innalza di un metro e mezzo, ci saranno delle aree sommerse, ma non è tanto quello il problema. È che entra in gioco il cuneo salino. L'acqua salata entra nelle terre, e le brucia. I romani, per assicurarsi che la città sconfitta fosse completamente fuori gioco, sporgevano sale sui campi. E questo è l'effetto che farà. Vedo dai visi che vi ho comunicato una bella cappa di tristezza. (Risate) Tutto è perduto? No, possiamo risolverlo. E possiamo risolverlo nel nostro bieco, cinico, immediato interesse. Come? Beh, ricordandoci che siamo parte di un tutto. Questo schema che vi mostro è stato elaborato dalla fondazione Barilla. Mostra due piramidi: la prima è molto nota, è la piramide alimentare. Ci indica in che proporzione dovremmo nutrirci di ogni categoria di cibo per essere in buona salute. Quindi poca carne rossa, un po' più di proteine da altre fonti e via via, soprattutto: fibre; vegetali; eccetera, eccetera. Succede che se noi affianchiamo questa piramide alla piramide dell’impatto sull'ecosistema della produzione di ciascuna categoria di cibo, coincidono in maniera quasi perfetta. Cioè, tanto più un certo tipo di cibo - consumato in eccesso, non sono vegetariano - fa male alla persona, tanto più fa male all'ecosistema. Accidenti, che coincidenza spettacolare nel settore dell'alimentazione! Solo che non è una coincidenza, e non è solo nel settore dell'alimentazione. È un paradigma della nostra relazione con l’ecosistema e non c'è bisogno di andare a scomodare saggezze ultraterrene. È il frutto della coevoluzione. È solo normale che noi siamo in pieno benessere quando ci poniamo in sintonia con il sistema di cui siamo parte. Se non mi credete, provate a farvi un piccolo esercizio: la vostra piramide del trasporto individuale. E noterete che quanto più la vostra scelta di trasporto giova alla vostra salute, al vostro benessere integrale, alla vostra socializzazione, ai ritmi di vita, tanto più diventa sostenibile. E questo vale un po' in tutti i settori. Ma perché vi sto dicendo questo? Perché questo ci dà una pista. Ci dà una regola: ciò che fa veramente bene a te, fa bene anche al tuo pianeta. Passiamo dalla scoperta individuale a quella globale, geostrategica. Se l’Occidente, per magia, decidesse di nutrirsi secondo la piramide, non solo staremo un po' tutti meglio, ma si scardinerebbe la polarizzazione del mondo fra un miliardo e mezzo di persone che soffrono di patologie per errata o eccessiva nutrizione, e 814 milioni di persone che soffrono la fame. Cosa significa? Significa che sostenibilità e benessere diventano anche giustizia, ridistribuzione. Si liberano quelle risorse che sono consumate in eccesso da alcuni, e diventano disponibili per gli altri. Con che potenza, l’ha calcolato un professore di Piacenza. Se ciascuno di coloro che sono iscritti come patologicamente obesi, nei servizi sanitari occidentali si astenesse da un'unica lattina di bibita gasata al giorno, creerebbe risorse per nutrire 56 milioni di persone. Quindi: il mio benessere individuale diventa sostenibilità; la sostenibilità diventa giustizia; ma la giustizia diventa pace, perché un mondo dove tutti i bambini hanno accesso ad una nutrizione decente è anche un mondo che prende un po' a calci Boko Haram, ISIS, eccetera. E quindi io vi propongo questa equazione, l’equazione della terra. Sembra un discorso molto individuale: la mia scelta in armonia col pianeta. ma è un discorso politico. Possiamo applicare questo metodo. Queste mezzelune che vedete scavate nel terreno sono in Burkina Faso, e sono un sistema con cui possiamo recuperare un ettaro di terreno desertificato a $130. Facendo questo, che cosa facciamo? Riattiviamo per l'agricoltura questo terreno, ma creiamo un pozzo di carbonio straordinariamente efficiente, perché la vegetazione rinasce. Non solo: proteggiamo la biodiversità; consolidiamo l'equilibrio idrico; facciamo diminuire localmente il calore, perché la vegetazione fa diminuire il calore; e riparte tutta l'attività, il mercato, eccetera. Cioè, noi scardiniamo il meccanismo del fanatismo, il meccanismo dei traffici umani, il meccanismo delle guerre. Non ci credete? Questo è il risultato vero. Se non lo facciamo, cosa facciamo? Lasciamo questi paesi in preda all’instabilità e questo significa che loro non possono più collaborare a recuperare il clima. Sono fuori dalla gara comune per avere un clima che ancora sia gestibile. Ma se sono fuori dalla gara comune, nessuno riesce ad avere un clima gestibile per tutti, perché questi paesi contribuiscono con i loro territori gestiti sostenibilmente. Allora cosa succede? Se noi li lasciamo in preda a sé stessi, tutti quanti ci creiamo quel futuro che la IPCC, il panel delle Nazioni Unite, ci ha dipinto 4 giorni fa: 2040, la catastrofe. È solo il nostro bieco interesse. Dobbiamo occuparci dei più piccoli e dei più poveri. Grazie. (Applausi)