[click della macchina fotografica] [Elle Pérez, artista] Amo quelle situazioni dove qualcosa è una fotografia e non per forza una parola. Oppure, non hai ancora parole per descrivere ciò che vedi. Qualcosa può vivere nella fotografia e non essere per forza reale. [Oltre l’inquadratura: i lavori di Ellen Pérez] Mio cugino Alex fa il wrestler nel Bronx. Gli ho scritto: “Posso venire e fotografare il tuo incontro?” E lui mi ha detto tipo, “Si, solo non dirlo ai nostri parenti.” Mentre fotografavo i lottatori, Ciò che mi interessava era la coreografia dell’incontro, perché il bello del wrestling è che tutto segue un copione e anche una coreografia. E ci sono modi per muovere il corpo in modo da sembrare davvero dolorante. Se tu fossi appeso alle corde come Joe, l’intero istante diventerebbe più scultoreo. [RISATE] Non credo ci sia un modo per usare una fotocamera senza creare una certa finzione. È tutta un’aspirazione alla recitazione [RUMORI DELLA METRO] In un certo senso, il mio lavoro si è sempre basato sulla collaborazione. Perciò non penso a questo come a un documentario. Dato che il mio lavoro è legato in modo sincero e istintivo all’autenticità, le persone mi consigliano spesso di fare documentari. Ma non sono mai riuscita a capirne le regole. L’editore del National Geographic mi ha urlato contro perché le mie foto apparivano ingannevoli, in quanto sembravano immagini da documentario, ma in realtà erano state inscenate. Sembra semplice. Sono ancora piuttosto finte