Sono una pubblicitaria, ho sempre lavorato nella comunicazione, nell'information technology. Ma facevo anche la volontaria in ospedale con i bambini malati di cancro. E sono stata accanto ai bambini per molti anni. E, nonostante le mie conoscenze nel campo della comunicazione, molte volte non riuscivo a spiegare ai bambini cos'è il cancro, o il trattamento, i protocolli, i procedimenti. E loro sapevano che avevo una cisti ovarica che i medici chiamavano teratoma. Un giorno uno di loro disse: "Ci aprono la testa, ci aprono la pancia per togliere un tumore e tu non ti fai togliere una cisti?" Beh, mi avevano sfidata, no? Potevo farmi operare in quello stesso ospedale. Conoscevo già i dottori e gli infermieri. E decisi di farmi operare lì. Mi feci coraggio. Non ero mai stata ricoverata, mai messo punti, niente. Entrai per un intervento di due ore, una procedura semplice. Mi svegliai dieci ore dopo, in terapia intensiva. La stessa dove ero solita stare con i bambini malati di cancro. Guardai giù e vidi tutti questi tubicini e queste cinghie... (Risate) la pancia piena di punti. Chiamai l'infermiera e chiesi: "Cancro?" Rispose: "Sì". Chiesi se potevo chiamare i miei genitori, ma mi disse che non era orario di visite. Quindi le chiesi se poteva tenermi la mano finché non mi fossi addormentata. Più tardi mi svegliai nella camera. Avevo un cancro, metastasi e linfonodi compromessi. Dicevo sempre ai bambini di non cercarlo su Google, perché alla fine non era il posto migliore per cercare neanche quando si ha fortuna. Quindi cercai informazioni in un posto sicuro. Iniziai dai siti web degli ospedali. L'unica informazione "rassicurante" in quel momento era che sarei morta, perché era il tumore più aggressivo, con poche speranze di cura. Un po' alla volta ho capito che buona parte dell'informazione a volte non aiutava e non ti coinvolgeva. Come si fa a coinvolgere qualcuno se spesso non riusciamo neanche a dire "cancro" a voce alta? Ero calva e la parrucca mi dava fastidio, faceva caldo e pizzicava. Ma i miei amici stavano donando i capelli per aiutarmi. In quel momento capii che tipo di informazione avevano ricevuto per donare i capelli per me. In realtà la parrucca non era per me; la parrucca era per loro che non riuscivano a vedermi calva. Così iniziai a vedere molte altre informazioni che non mi sembravano le più appropriate. Quando arrivai calva in ospedale, i bambini dissero: "Wow! Ti sei rasata i capelli per essere come noi!" Io dissi: "No, adesso sono come voi! Ho preso il cancro. L'ho preso da voi. No! Calmatevi, non è contagioso. Potete avvicinarvi. Non lo prenderete." Ma scherzi a parte, i bambini cominciarono a parlare di varie cose e a raccontarmi delle procedure. Quando andai a inserire il catetere, perché prima avevo fatto la chemio, la prima endovenosa che avevo fatto, ricevetti un kit dall'ospedale. In quel kit c'erano una saponetta, spazzolino e dentifricio, ma anche shampoo, una cuffia e un pettine. E io non avevo capelli. Questa per me è informazione. Iniziai a fotografare le procedure, a fotografare tutte le cose che facevo. Mandavo le foto ai bambini cercando di spiegare: "Ecco, farete questo e poi quest'altro." E cos'è successo? Che i bambini iniziarono a spiegarmi le loro procedure. Mi mostravano cose, mi mandavano video quando facevano le punture, durante la chemio e la radioterapia. Mi mostrarono tante procedure, anche alcune che io non avevo fatto. Così andavamo avanti, giocavamo insieme... Ma noi pensiamo che i bambini non capiscano, vero? Pensiamo che non sappiano. Invece sanno cos'è il protocollo, il nome della chemioterapia, i procedimenti, tutto. A volte i genitori non ne parlano perché vogliono proteggerli, ma pensateci, direste: "Ah, la chemioterapia è un trattamento forte, per questo cadono i capelli." Poi il bambino va con la madre in farmacia, il farmacista dice che è un trattamento forte, e lui cosa penserà? Che gli cadranno i capelli! Ma quando abbiamo spiegato che la chemio causa la perdita dei capelli perché uccide le cellule che si duplicano rapidamente, e che non solo le cellule tumorali si duplicano rapidamente, ma anche le cellule dei capelli, hanno capito e hanno detto: "Ah! Sta funzionando!" Questo iniziò a coinvolgere i bambini. Iniziammo a parlare molto delle procedure. Finché un giorno i dottori hanno cominciato a chiamarmi: "C'è un paziente a cui dobbiamo inserire un catetere, puoi venire?" Andai. "C'è un paziente a cui verrà amputata una gamba, puoi venire?" E io dicevo: "Mi mancano cinque organi, ma ho tutte e due le gambe." "E allora corri!" Andai. Fino al giorno in cui non potei più lavorare nella pubblicità. Chiamai i medici, i professionisti della salute e i miei amici creativi, e decidemmo di fondare una ONG: aprimmo Beaba. Si chiama Beaba perché è l'ABC del cancro. Cosa abbiamo fatto? Di solito, le persone che forniscono informazione sanitarie sono professionisti della salute, pubblicitari, ma dite che l'informazione è centrata sul paziente. Ma il paziente l'approva solo alla fine. È centrata sul paziente, ma questo è coinvolto solo alla fine. Abbiamo deciso di mettere il paziente al "centro" del processo. E abbiamo messo i bambini al lavoro. Ci siamo messi a fare una lista per sapere cosa potevamo migliorare, le domande che avevamo e le cose dette dai dottori che noi non capivamo. Così abbiamo illustrato i termini più comuni dell'oncologia. L'abbiamo fatto con l'aiuto di professionisti della salute, ma con un'aggiunta molto importante: a volte siccome una cosa è ovvia, non serve spiegarla. Quando vi piace qualcuno e gli scrivete "Ti amo" con un cuore, disegnate i ventricoli? Non credo. Noi abbiamo iniziato a farlo. Così i bambini cominciavano a capire le procedure. Da queste definizioni, è nato il nostro primo materiale, una guida. Questa guida viene distribuita ai bambini in trattamento. Purtroppo possiamo pubblicare solo tra le due e tre mila guide l'anno. Se c'è uno sponsor tra il pubblico... (Risate) In Brasile ogni anno viene diagnosticato il cancro a 13 mila bambini. E cos'è successo? Gli ospedali hanno iniziato a usare la guida, a richiederla. Siamo in più di 40 ospedali in tutto il Brasile. Bambini di tutto il mondo hanno cominciato a vederla e a chiederla. Bambini dalla Nuova Zelanda, dal Giappone, da vari paesi. Dicevo: "Ma è in portoghese!" Rispondevano: "Ma abbiamo un traduttore!" La guida è molto richiesta nel nord e nel nord-est del Brasile, perché i bambini e i loro genitori sono spesso analfabeti. Quindi i dottori la richiedono, e segnano le pagine dove sono riportate le procedure che i bambini devono seguire. Così abbiamo iniziato a spiegare e a coinvolgere il paziente e a fare molte altre cose. L'informazione, gente, è molto importante. A volte l'informazione, voglio dire, la tecnologia dell'informazione, non è solo modernità, complessità, 3D, robotica. A volte l'informazione è un pettine in un kit. Quindi cosa diciamo? Cosa insegniamo? C'è bisogno di avere informazioni per tutto. Ad esempio, non so se lo sapete, ma durante gli eventi che organizziamo, i bambini senza capelli ricevono più regali e attenzioni di quelli che li hanno. Ma a volte il bambino calvo ha già fatto il trattamento ed è guarito e quelli con i capelli hanno il cancro perché non stanno facendo la chemio. Seguono cure palliative o magari non hanno niente in quel momento. Questo non succede solo con i bambini, ma con tutta la società. Mentre seguivo il trattamento, c'è quella cosa della società, purtroppo, e io sono pubblicitaria, sappiamo che se mettiamo un bambino calvo triste, depresso si venderà molto di più, si raccoglieranno molti più soldi. Ma se guardate il sito di Beaba, non c'è niente di tutto questo. E cosa succede quando sei un paziente? Molto spesso ero nella mia stanza d'ospedale, mi sentivo stanca, debilitata, ricevevo questo materiale e pensavo: "Finirò anch'io in questo stato?" Poi ricevevo chiamate da genitori di bambini sani che mi dicevano: "Vede, mia figlia ci dà molti problemi in casa. Vorrei portarla in ospedale per farle capire cos'è una situazione difficile." Per la madre va bene farlo, ma ha pensato che in quella stanza c'è un bambino, un adulto, che in quel caso ero io, che la gente può vedere quando passa davanti alla finestra e dirsi: "La mia vita è bella!"? In momenti come questo, quando abbiamo bisogno di aiuto, di legittimazione e di autostima, troviamo solo informazioni che ci fanno stare peggio. Quindi penso che si debba dare molta attenzione anche a questo, non solo per i pazienti, ma anche per la società. Facciamo informazione con tutte queste persone che aiutano, ma anche con molto amore, perché pensiamo che sia molto importante. Sono entrata in ospedale per aiutare dei bambini, loro mi hanno salvato la vita, e tutto quello che posso fare oggi è preparare informazioni che ci consentano di salvare molti altri. Grazie. (Applausi) (Esultanza)