Caro rispettato Maestro, cara amata comunità, oggi è il 12 giugno 2024 e ci stiamo avvicinando alla fine del ritiro di giugno di quest'anno; siamo al New Hamlet a Plum Village Mi sento molto grato del suono della campana perché, quando suona la campana, non devo dire niente. È difficile dire qualche cosa proprio adesso, è difficile dire qualunque cosa, e non è necessariamente utile dire qualcosa. Sono anche molto grato per la presenza del sangha, di molti praticanti, di molti momenti di pratica conservati dal passato, di cui oggi facciamo tesoro: è il nostro magazzino collettivo di presenza mentale, concentrazione e visione profonda, su cui tutti noi ci basiamo, è la nostra eredità condivisa che ci offriamo gli uni con gli altri. È una cosa preziosissima e bellissima, una risorsa preziosa. È bello poter semplicemente sedersi insieme e respirare insieme; è interessante domandarci se riusciamo a sentire la presenza del sangha nel nostro respiro, nel nostro stare seduti, perché è una cosa che Thay ci chiedeva spesso di fare. Ci diceva: “Inspirando, sono consapevole del sangha tutto intorno a me, espirando, mi sento molto felice”. Io non mi sentivo veramente felice, all'inizio lo trovavo molto difficile perché ero confuso su quello che avrei dovuto provare. Cosa significa “sentire la presenza del sangha”? È qualcosa di mistico? È un sesto senso come il super potere di Spiderman? “Sento la presenza del sangha”. Forse lo è… adesso penso di poter sentire la presenza del sangha e mi sento molto felice di sentirla. Oggi vorrei parlare un po’ dell'azione; abbiamo già parlato molto dell'azione e voglio continuare a farlo; voglio parlare di attivismo, di buddhismo impegnato, e voglio parlare di fede, che è una parola complicata. La fede è il primo dei cinque poteri; se vi piace il buddhismo, sapete che ci sono anche degli elenchi, possiamo metterci sempre in tasca uno di questi elenchi; è come una piccola mappa che possiamo usare per navigare, può essere utile ma può essere anche un ostacolo, quindi state attenti. Dunque, la fede è il primo dei cinque poteri, e certe volte Thay si riferiva a questi cinque poteri come a una centrale elettrica, anzi cinque centrali elettriche; i cinque poteri sono la centrale elettrica che produce l'energia, e sono anche l'energia che viene prodotta. C’è la fede, poi il secondo è l'energia, il vigore, la vitalità, e gli ultimi tre sono facili, sono i tre che si trovano in quasi tutti gli elenchi: la presenza mentale, la concentrazione e la visione profonda. Cominciamo con la fede; qualche volta si comincia con la consapevolezza, ma oggi voglio riavvolgere un po’ il nastro e vedere che cosa intendiamo con la parola “fede” e voglio trattare questo argomento perché è qualcosa con cui ho lottato; è una parola che inizialmente mi scoraggiava, perché pensavo che il buddhismo fosse razionale, analitico, e che non avessimo bisogno della fede, che non ci fosse chiesto di avere fede. In realtà Thay parla di fede non come di un “atto” di fede, quindi non una fede cieca, ma una fede che si basa sull'esperienza, sulla pratica. Fede in che cosa? In che cosa abbiamo fede, basandoci sulla pratica o come risultato della pratica? Ci sono degli ostacoli a questa fede, nel nostro modo di pensare, nella nostra visione del mondo? Potrebbero esserci alcuni ostacoli nascosti al risveglio di questa fede, per il tempo in cui viviamo, per il modo in cui siamo stati educati o per le idee correnti, i modi dominanti di pensiero, perciò questi potrebbero essere ostacoli. Per questo voglio indagare un po’ insieme su questo tema. Vorrei anche parlare di sofferenza, uno dei nostri argomenti preferiti, e vorrei riconoscere che tutto ciò è difficile, adesso, in questo momento; è difficile, non so se lo sentite, io lo sento. Proprio perché è così difficile, perché c'è così tanta sofferenza nel mondo, può essere difficile anche avere fede in quello che facciamo, e in ultima analisi la questione della fede si riduce a questo: è abbastanza? Stiamo facendo abbastanza? In un modo o nell'altro, in questo ritiro ho sentito molte persone porre questa domanda: “È abbastanza?” E, visto che ci poniamo la domanda: “Questo è abbastanza?” dobbiamo anche chiederci cosa si intende per “questo”, cos'è questa cosa che può essere o non essere abbastanza. In linea di principio sappiamo di cosa stiamo parlando: la pratica, ma questo è un argomento contenitore molto ampio che racchiude molti tipi di comprensione e di interpretazione. Qualche volta recitiamo i tre rifugi, che potrebbero sembrare articoli di fede, come se dicessimo: è in questo che abbiamo fede. Abbiamo fede nel Buddha, abbiamo fede nel Dharma, abbiamo fede nel Sangha, oppure no? Le tre gemme: il Buddha, il Dharma, il Sangha. Nella mia famiglia di ordinazione c'era un fratello, un ottimo amico che poi è tornato allo stato laicale e pratica ancora in modo diligente, che era solito dire: “Capisco che il Buddha sia una gemma, anche il Dharma, ma il Sangha…”, lo chiamava il “carbone” del sangha, che non era ancora diventato una gemma. Forse se si prendesse un pezzo di carbone e lo si mettesse sotto pressione per qualche milione di anni potrebbe diventare un diamante, magari abbiamo bisogno di più pressione, anche se penso che ne abbiamo a sufficienza, e penso che il sangha sia una gemma, ma è interessante domandarselo: lo vediamo sempre come tale? Qualche volta lo vediamo come un ostacolo e pensiamo: il problema è il sangha. Il sangha non è abbastanza questo, non è abbastanza quest'altro, dovrebbe fare questo, dovrebbe fare quest'altro.