Ognuno ha una storia,
e quella storia è piena di capitoli
che hanno ci hanno reso
le persone che siamo oggi.
I primi capitoli di quella storia
a volte sono quelli
che ci definiscono maggiormente.
Il Centro per il Controllo delle Malattie
ha stimato che più di metà
dei bambini della nostra nazione
ha sperimentato almeno uno o due traumi
durante la propria infanzia.
Un'avversità che può avere
effetti duraturi.
Quando ho iniziato ad avere
l'opportunità di parlare in pubblico
a supporto sia di studenti
che di insegnanti,
mi sono trovata
nella posizione particolare
di poter parlare di traumi infantili.
Ma prima dovevo prendere una decisione.
Dovevo decidere
se volevo condividere solo le parti
splendide e splendenti della mia vita,
tipo quelle che condividiamo sui social
in cui sembriamo tutti perfetti,
oppure volevo mostrarmi vulnerabile
ed essere un libro aperto.
La scelta si fece molto chiara.
Se volevo fare la differenza
nella vita di un bambino,
dovevo essere trasparente.
Quindi decisi di raccontare
la mia storia personale.
E questa storia è piena di persone
che mi hanno amato
e si sono prese cura di me
e mi hanno fatto crescere.
E mi hanno aiutato a farcela e a guarire.
E adesso è ora che io aiuti gli altri
a fare la stessa cosa.
Quando ho iniziato la scuola,
ero il ritratto della normalità.
Venivo da una buona famiglia.
Ero sempre vestita bene,
sempre sorridente.
Ero pronta per iniziare la scuola.
Ma la mia vita era tutt'altro che normale.
A quell'epoca ero già stata vittima
di abusi sessuali.
Ed erano ancora in corso.
I miei genitori non lo sapevano,
e io non l'avevo detto a nessuno.
Quando iniziai la scuola sentivo
che sarebbe stata il mio rifugio.
Quindi ero emozionata.
Immaginate il mio sgomento
quando incontrai il mio insegnante,
il signor Randolph.
Il signor Randolph
non era il mio aguzzino.
Ma il signor Randolph
era la personificazione
di tutto ciò che mi spaventava di più.
Avevo già avviato tecniche
di auto-conservazione
per cui mi defilavo
se mi venivo a trovare da sola
in presenza di un uomo.
E ora, a scuola,
sarei stata ogni giorno
nella stessa classe con un uomo,
per un anno scolastico.
Avevo paura, non mi fidavo di lui.
Vi dirò,
Il signor Randolph si rivelò essere
il mio più grande difensore.
Ma all'inizio,
feci tutto il possibile perché
sapesse che non mi piaceva.
Non ero collaborativa;
ero il tipo di bambina
che non si impegnava.
E misi in difficoltà
anche i miei genitori.
Non volevo andare a scuola,
quindi litigavamo ogni mattina
andando alla fermata del bus.
Di notte non riuscivo a dormire,
perché ero troppo in ansia.
Quando arrivavo in classe ero distrutta.
I bambini stanchi sono intrattabili,
e non è facile tenerli in classe,
lo sapete bene.
Il sig. Randolph avrebbe potuto assumere
un atteggiamento di frustrazione
come molti insegnanti fanno
con i bambini come me.
Ma lui no.
Lui mi trattò con empatia
e flessibilità.
Gliene fui molto grata.
Vedeva questa bambinetta
di sei anni stanca ed esausta.
E così all'intervallo
invece di farmi uscire,
mi lasciava in classe a fare un riposino,
perché sapeva che avevo bisogno di riposo.
A pranzo, invece di stare seduto
al tavolo degli insegnanti,
si sedeva con noi
al tavolo degli studenti.
Coinvolgeva me e le mie compagne
nelle conversazioni.
Ora ci ripenso e so
che aveva uno scopo,
ascoltava, faceva domande.
Voleva scoprire cosa succedeva.
Costruì un rapporto con me.
Si guadagnò la mia fiducia.
E in modo lento ma inesorabile
quei muri che mi ero costruita intorno,
lui iniziò a incrinarli,
e alla fine mi resi conto
che lui era uno dei buoni.
So che a lui sembrava
di non fare abbastanza.
Perché prese l'iniziativa
di parlare con mia mamma.
E io ottenni da lei il permesso
per iniziare a vedere
la psicologa della scuola,
la signorina McFadyen.
Iniziai ad andare da lei
una o due volte alla settimana
per i due anni successivi.
Fu un processo lento.
In tutto quel periodo
non le parlai mai degli abusi
che avevo subito,
perché era un segreto;
non lo dovevo dire a nessuno.
Ma lei mise insieme i pezzi, lo so,
perché tutto quello che faceva con me
era finalizzato
a darmi la forza e aiutarmi
a trovare il coraggio di parlare.
Mi insegnò a usare immagini mentali
per superare le mie paure.
Mi insegnò tecniche di respirazione,
per aiutarmi a superare
gli attacchi di ansia
che avevo molto spesso.
E faceva con me dei giochi di ruolo.
Sincerandosi
che io riuscissi a difendermi da sola
nelle varie situazioni.
Arrivò il giorno
in cui mi trovai
da sola con il mio aguzzino
e un altro adulto.
E lì raccontai la mia verità.
Parlai degli abusi.
Immediatamente il mio violentatore
iniziò a negare,
e la persona a cui avevo fatto
la rivelazione,
non era preparata a ricevere una bomba
come quella che avevo appena lanciato.
Era più facile credere al violentatore
che a una bambina.
Così mi dissero di non parlarne più.
Mi fecero sentire come se, di nuovo,
avessi fatto io qualcosa di sbagliato.
Fu devastante.
Ma sapete una cosa?
Quel giorno portò qualcosa di buono.
Il mio violentatore sapeva
che non sarei stata
per sempre in silenzio.
Ci fu un cambio di potere.
E gli abusi finirono.
(Applausi)
Ma la vergogna
e la paura che succedesse di nuovo
rimasero.
E sarebbero rimasti con me
ancora per molti, molti anni.
Il sig. Randolph e la sig.na McFadyen
mi aiutarono a trovare la mia voce.
Mi aiutarono a trovare la luce per uscire.
Ma sapete una cosa?
Ci sono un sacco di bambini
che non sono fortunati come me.
E li avete nelle vostre classi.
Ecco perché per me è così importante
parlarvi oggi,
perché possiate prendere coscienza
e possiate iniziare a fare domande
a cui servono risposte
e a prestare attenzione a questi studenti,
in modo da aiutarli
a trovare la loro strada.
Alla scuola materna dove insegno
inizio ogni anno scolastico
facendo con i miei bambini
delle biografie in scatola.
Questi sono due dei miei studenti.
E li incoraggio
a riempire le scatole
con oggetti che mi parlino di loro
e della loro vita,
di ciò che per loro è importante.
Loro le decorano,
ci dedicano del tempo,
le riempiono di disegni
della loro famiglia e dei loro animali,
e poi chiedo loro di presentarle
a me e alla classe.
In quell'occasione
io sono una ascoltatrice attiva.
Perché le cose che dicono,
le loro espressioni,
le cose che non dicono
possono diventare per me dei segnali
e possono aiutarmi a capire
quali sono i loro bisogni.
Che cosa, forse, li spinge
ad avere il comportamento
che hanno in classe.
Come posso essere un'insegnante migliore
se ascolto le loro voci?
Mi prendo del tempo per sviluppare
il mio rapporto con loro,
proprio come fece con me il sig. Randolph.
Mi siedo a mangiare con loro,
all'intervallo chiacchiero con loro,
il fine settimana vado alle loro partite,
vado ai saggi di danza,
divento parte della loro vita.
Perché per capire davvero uno studente,
è necessario immergersi nella sua vita.
So che alcuni di voi
sono insegnanti di scuole medie
e di scuole superiori
e potreste pensare che quei bambini
siano già grandi
e a quel punto siano già
in modalità pilota automatico.
Ma non lasciatevi ingannare.
Specialmente quei bambini
che sembrano avere tutto sotto controllo,
perché sono quelli che potrebbero avere
più bisogno di voi.
Se voi guardaste il mio annuario
mi vedreste quasi su ogni pagina,
perché ero coinvolta
praticamente in tutto.
Ho perfino fatto l'autista del pulmino.
(Risate)
Quindi ero la bambina
che gli insegnanti vedono
come la tipica bambina esagerata,
quella popolare,
quella che ha tutto sotto controllo.
Ma io, amici, ero persa.
Ero persa,
e volevo che qualcuno mi chiedesse:
"Lisa, perché sei sempre qui?
Perché ti butti in tutte queste cose?"
Si sono mai chiesti
se stavo scappando da qualcuno?
Se stavo scappando da qualcosa?
Perché non volevo stare nella mia comunità
o a casa mia?
Perché volevo stare sempre a scuola?
Nessuno me lo chiedeva mai.
Capitemi bene:
non tutti i bambini ambiziosi
che avete a scuola
sono vittime di abusi o di traumi.
Ma voglio dirvi di prendervi il tempo
per essere curiosi.
Chiedete loro perché.
Potreste scoprire
che sotto sotto c'è un motivo.
Voi potreste essere il motivo
che li fa andare avanti
nella loro storia.
State attenti a non dare per scontato
di sapere già come va a finire
la loro storia.
Non mettete un punto
al posto di un punto e virgola.
Tenete viva quella storia
e aiutateli a sapere che se hanno vissuto
qualcosa di traumatico,
la loro vita merita lo stesso
di essere raccontata.
La loro storia merita
di essere raccontata.
Per fare ciò,
penso che noi educatori dobbiamo
abbracciare le nostre storie personali.
Molti di voi potrebbero stare lì seduti
e pensare: "Già.
È successo anche a me.
Ma non sono pronto a condividerlo".
E va bene.
Arriverà il momento
quando sentirete dentro alla vostra anima
che è ora di trasformare
il vostro dolore passato
in propositi per il futuro.
Quei bambini sono il nostro futuro.
Vi invito a fare qualcosa
giorno per giorno.
Parlate con qualcuno.
Siate disponibili e aperti.
La storia della mia vita
chiuse il suo cerchio
nella primavera del 2018,
quando fui invitata a parlare
a un gruppo di insegnanti all'inizio
della loro carriera e ai loro mentori.
Io racconto la mia storia,
come oggi con voi,
e alla fine mi si avvicina una signora.
Con le lacrime agli occhi,
e a voce bassa mi dice: "Grazie.
Grazie per la condivisione.
Non vedo l'ora di raccontare a mio papà
tutto quello che ho sentito oggi".
Deve avere visto la mia faccia perplessa,
perché prosegue dicendo:
"Il sig. Randolph è mio padre".
Pubblico: Ohhh.
Lisa Godwin: "E spesso si chiede:
'Avrò mai fatto la differenza?'
Oggi vado a casa e gli dico:
'Hai assolutamente fatto la differenza'".
Che regalo.
Che regalo.
E questo mi diede l'idea
di andare in cerca anche
della figlia della sig.na McFadyen,
e di condividere con lei
l'impatto che ebbe la sig.na McFadyen.
Volevo che sapesse
che ho chiesto un aumento dei fondi
per i consulenti scolastici,
per gli assistenti sociali delle scuole,
per gli psicologi, le infermiere,
perché sono vitali
per la salute fisica e psicologica
dei nostri bambini.
Grazie alla sig.na McFadyen.
(Applausi)
Una volta ho sentito
una persona che diceva
che per trovare il modo
per uscire dal buio
devi trovare la luce.
Oggi spero che lascerete questo posto
e cercherete l'opportunità
di essere la luce.
Non solo per gli studenti
ma per gli adulti nelle vostre classi,
le vostre scuole, le vostre comunità.
Avete il dono
di aiutare qualcuno a superare
il proprio trauma
e far sì che la loro storia
meriti di essere raccontata.
Grazie.
(Applausi)