Oggi cominciamo da un albero: un albero di noce, in particolare. Il noce è un albero molto nobile, molto prezioso. Dal noce si ottengono frutti, si ottiene un liquore anche; si ottiene anche un combustibile, dall'olio e naturalmente, dopo molti anni, si può ottenere anche del prezioso legname; legname che, ad esempio, storicamente, nei secoli, è stato utilizzato nella città di Venezia per costruire le forcole. Le forcole, che sono quegli oggetti che sostengono i remi, nelle gondole e in altre imbarcazioni tradizionali e che sono costruite da maestri, come il mio amico Saverio, che tramandano di generazione in generazione delle pratiche, delle esperienze che vengono appunto da assai lontano. È stato proprio Saverio a raccontarmi una storia interessante, una tradizione che ha a che fare proprio con il noce. Nelle campagne venete si usava piantare un noce quando nasceva un bambino piccolo. Era una sorta di immaginazione del futuro; era, se vogliamo, costruire, in qualche maniera, il futuro di questo bambino che nasceva, ma non solo suo, anche dei suoi figli perché, insomma, un noce, prima, ad esempio, di diventare utilizzabile per falegnameria richiede 60-70 anni, e questa pratica, questo pensiero, questa ispirazione di pensare al futuro, ai nostri figli è qualcosa che ci accomuna, oggigiorno addirittura per taluni anche in maniera drammatica, pensando a chi per esempio è costretto ad arrivare al dramma di lasciare i propri figli in mani di qualcun altro, perché magari attraversino un mare per abbandonare paesi in guerra o in povertà. Eppure, accade anche che noi oggi qui, nei nostri ricchi paesi, questi noci non li piantiamo più. Anzi, in gran parte li abbiam tagliati; negli anni '60 -'70 c'è stato un uso indiscriminato e non facciamo più questa operazione, quest'operazione di immaginare il futuro. Ed effettivamente è un bel problema; un bel problema perché non solo non lo immaginiamo, ma in qualche maniera lo subiamo. Peggio ancora, lo facciamo subire agli altri. Ci sono molti esempi che si potrebbero fare, ma pensiamo, ad esempio, al tema dell'ambiente. Entro pochi decenni si dice che avremo più plastica che pesci nel mare; oppure, pensiamo anche all'ambiente inteso come clima in cui viviamo; l'uso indiscriminato che stiamo facendo dell'energia; lo spreco di risorse che la natura ha impiegato, veramente, magari centinaia, migliaia, se non milioni di anni per realizzare. Bene, noi forse dovremmo cercare di essere più attenti, anzi senza forse, senz'altro e per fare questo la ricerca scientifica ci può aiutare, perché la ricerca scientifica ha un po' in comune con la storia del noce, no? Perché tante volte si pianta un seme senza ben sapere cosa succederà, o comunque sapendo che le cose verranno molto, i risultati verranno molto molto in là nel tempo. È il caso di Heinrich Hertz, per esempio, il primo fisico che ha rivelato le onde elettromagnetiche, previste qualche anno prima da Maxwell, Hertz nel 1887, e lui non sapeva bene a cosa sarebbero servite, lo disse anche: "è una prova della teoria del maestro Maxwell, ma non ho ben idea di quali saranno le loro applicazioni". Eppure oggi sappiamo che, solo per fare un paio di esempi fra tanti, le onde elettromagnetiche sono alla base di moltissimi aspetti della nostra società: pensiamo alle comunicazioni, giusto per dirne una, ma anche, giusto per fare un altro esempio, alla cura, la cura dei tumori, per esempio, che si fa con microonde, no? E quindi, la ricerca scientifica è proprio, in molti casi, un immaginare il futuro piantando un seme di noce. Accade anche oggi, è notizia proprio di qualche giorno fa che sta per partire la realizzazione di un nuovo grande miglioramento dell'acceleratore LHC, che fra una decina, una quindicina d'anni ci permetterà di esplorare nuove frontiere della fisica, della materia, delle interazioni fondamentali. Chi lo costruisce oggi forse magari neanche lo vedrà in operazione, o comunque non vedrà tutti i risultati che potrà ottenere. E allo stesso modo anche noi, anch'io stesso, in qualche maniera, nella mia attività di ricerca mi occupo di qualcosa che va forse oltre addirittura la mia aspettativa di vita: il tentativo di portare sulla Terra un pezzo di Sole, ovvero riprodurre in laboratorio la fusione dell'idrogeno. È un problema che nasce da una necessità impellente; vi citavo prima il discorso della questione energetica. Immaginare un futuro significa anche immaginare un futuro sostenibile dal punto di vista energetico per i nostri figli, per le generazioni future. Quello che stiamo avendo oggi certamente non lo è; la fusione può dare una risposta, può dare un contributo fondamentale, da questo punto di vista. Perché? Beh, intanto vediamo cos'è la fusione. In sostanza è un processo tutto sommato elementare, attraverso il quale due nuclei leggeri, due nuclei di isotopi dell'idrogeno si fondono uno con l'altro e producono un neutrone e dell'elio, e in questo riarrangiamento della struttura nucleare della materia, si libera energia. Energia che poi può essere trasformata in energia elettrica ed ha una serie di pregi notevoli. Intanto è un processo intrinsecamente libero da CO2; non si usano combustibili fossili; si basa su un combustibile sostanzialmente illimitato: acqua, da cui si ottiene il deuterio e litio, ampiamente presente nella crosta terrestre, da cui si ottiene poi il trizio. È intrinsecamente sicura, non ha questi, proprio per natura, non tanto per scelta dell'uomo. Non dà luogo a scorie radioattive di lunga durata. Non espone a rischi di proliferazione degli armamenti, quindi, senza dubbio è una fonte che ha notevoli vantaggi, oltre a quello di darci la possibilità di costruire, insieme alle rinnovabili, insieme all’immagazzinamento dell'energia, delle fonti concentrate che consentono ad esempio lo sviluppo di un'economia dei trasporti basata, per esempio, sull'elettricità. Bene, voi direte, allora è fatta; in realtà, no. Non è ancora fatta. È un po' difficile, una delle difficoltà fondamentali è che questi due nuclei che vogliamo far fondere, in realtà non amano molto fondersi tra loro perché sono carichi positivamente, quindi tenderebbero a respingersi; e noi, per cercare di vincere questa loro naturale tendenza, li riscaldiamo. Li riscaldiamo molto, a temperature che sono addirittura maggiori delle temperature al centro del Sole - 100 milioni e più di gradi centigradi - a queste temperature questi nuclei acquistano velocità estremamente elevate, si scontrano l'uno con l'altro e in questo scontro possono avvicinarsi a distanze tali da poter far sì che la repulsione elettrostatica venga invece vinta dalla forza attrattiva, dall'interazione attrattiva nucleare. Ecco, questo è quello che noi cerchiamo di fare. Naturalmente il problema è cercare di realizzare una bottiglia, una scatola che possa contenere un pezzo di Sole. E anche questo, naturalmente, scientificamente, tecnologicamente, non è per nulla banale; abbiamo imparato a farlo abbastanza bene utilizzando dei campi magnetici. Sono in sostanza delle ciambelle toroidali in cui disegniamo, introduciamo dei campi magnetici e questi campi magnetici sono in grado di tenere il nostro combustibile lontano dalle pareti materiali del contenitore e quindi tenerlo insieme in una porzione di spazio limitata dove possiamo usarlo proprio per cercare di ottenere l'energia che ci serve. Bene, questa storia è una lunga storia di ricerca. Ha quasi l'età di un noce, di un noce adulto. Nasce dopo la Seconda Guerra Mondiale, nei primi anni ‘50. Uno dei protagonisti è Andrei Sakharov, forse qualcuno lo ricorda, vince il premio Nobel per la pace ed è stato anche un grandissimo fisico. Proprio a lui si deve, insieme al suo collega Tamm, uno dei primi lavori che identificano il tokamak, che è una di queste configurazioni che noi usiamo. Dall'epoca si è fatta molta strada. Abbiamo fatto errori, siamo tornati indietro; abbiamo avuto anche tantissimi bei risultati, abbiamo fatto grandi spinte in avanti, ripensamenti; insomma un po' l'evoluzione classica della scienza. Da quel seme che han piantato i nostri maestri decenni fa abbiamo fatto tanta strada anche qui in Italia. Per esempio, questo che vedete è l'esperimento RFX a Padova, dove ho lavorato per molti anni, e che è uno degli esperimenti protagonisti della storia ma anche oggi dell'attualità nella ricerca sulla fusione. E sempre qui in Italia tra poco, anzi proprio in queste settimane, abbiamo cominciato la progettazione di un nuovo grande esperimento, che verrà realizzato in Italia e si direbbe completamente "Made in Italy"; si chiama DTT (Divertor Test Tokamak), e in qualche maniera rappresenterà per noi e anche soprattutto per le generazioni che verranno, per i miei studenti di oggi, ma anche per gli studenti dei miei studenti, un po' il futuro e che dovrà dare un importante aiuto per quello che è un po' il nostro scopo fondamentale, cioè quello di realizzare infine un esperimento, un reattore che possa produrre dall'idrogeno, dalla fusione dell'idrogeno, elettricità. Un passo fondamentale sarà quindi ITER. ITER, che è questo esperimento che stiamo costruendo nel sud della Francia, molto più grande anche di DTT, a cui contribuiscono sette grandi realtà come l'Unione Europea, gli Stati Uniti, il Giappone, la Cina, l'India, la Corea, la Russia, e che comincerà le sue attività fra circa una decina d’anni e avrà il compito proprio di dimostrare che la fusione è scientificamente fattibile e sarà seguito poi da un reattore sperimentale che si chiamerà DEMO. Allora è chiaro che, come vi dicevo, torniamo al nostro albero, è chiaro che questa è una ricerca che si è sviluppata e si sviluppa lungo parecchi decenni. Quando avremo energia elettrica dalla fusione? Una domanda che spesso mi viene rivolta. Ce l'avremo direi, ormai siamo abbastanza consapevoli, forse in passato i maestri sono stati un po' troppo ottimisti; oggi siamo un po' più certi dei tempi, conosciamo le difficoltà e credo che sia abbastanza tranquillo poter dire che avremo energia elettrica da fusione nella seconda metà di questo secolo. Certo, si potrebbe anche far prima, se ci fosse veramente una volontà anche da parte dei nostri amministratori di investire di più, ma tant’è, insomma, il problema è complesso e quindi questo arriverà nella seconda metà del secolo. È senz'altro oltre la mia aspettativa di lavoro e probabilmente anche oltre la mia aspettativa di vita e quindi mi viene naturale col passare degli anni anche chiedermi se ne vale la pena, no? Perché mi accorgo che questa cosa va un po' oltre, e alla fine mi rispondo di sì, certamente, perché anche a me, insomma, piace l'idea di essere anch'io una di queste persone che hanno aiutato a piantare questo piccolo seme che mi auguro un domani possa diventare un grande noce e contribuire a risolvere questa grande questione energetica. Grazie. (Applausi) [Musica]