Sono diventato un professore universitario a causa di un passaggio generazionale fallito, che mi ha impedito di entrare nella centenaria impresa di famiglia. In verità in quella che era la terza re-start up familiare, perché ogni generazione della mia famiglia partendo da mio bisnonno Augusto Bagnoli, grossomodo nel 1920, passando per il suo primogenito Eugenio Bagnoli, nonché mio nonno, fino ad arrivare al suo primogenito, nuovamente Augusto Bagnoli, che era mio padre, hanno avuto la capacità e il merito di creare un'impresa di successo, ma nel contempo, e nell'arco della stessa vita, anche di distruggerla. Appena diplomato con il massimo dei voti, ho sviluppato un lavoro estivo per quella che era l'impresa di mio padre che si chiamava "Auto Bagnoli". Come vedete, siamo sempre rimasti più o meno sul settore dei trasporti. Dopo pochi giorni, sono subito entrato in conflitto con mio padre e con mio zio, che mi chiamò e mi disse: "Carlo, devi capire che tutti sono utili e nessuno è indispensabile!" Io a questo punto chiesi: "Ma questa regola vale anche per te?" e lui mi rispose: "No, io costituisco l'eccezione che conferma la regola!" Una cosa che gli statistici e i matematici mi devono spiegare, perché non l'ho ancora capita. Ad ogni modo, partendo da questa esperienza abbastanza negativa, mi è venuta l'insana voglia di capire perché alcune imprese riescono a perdurare a lungo e, secondo me, perdurare, durare a lungo è il vero metro di successo per un'impresa; mentre altre riescono anche a raggiungere dei risultati brillanti dal punto di vista economico-finanziario, ma poi, col tempo, si perdono fino a sparire. E così, dopo questa discussione con mio zio, che avveniva purtroppo quasi 30 anni fa, ho iniziato, prima da studente, poi da ricercatore universitario, a capire i driver del successo delle imprese. In realtà "successo" è il participio passato del verbo succedere e, come diceva prima il presentatore, io mi occupo di innovazione, il participio passato non mi piace tanto, quindi, se siete d'accordo, chiamerò queste realtà imprese di "succederà". In particolare, in questi 30 anni, ne ho studiate molte sono entrato in molte imprese e ve ne vorrei raccontare in particolare una che risulta, secondo me, molto paradigmatica per spiegarvi i risultati a cui sono giunto. L'impresa in questione si chiama "Bonotto", è una manifattura tessile, fondata nel 1912 da Luigi Bonotto. Originariamente in realtà produceva cappelli di paglia, ma poi sono andati fuori moda e si è messo a produrre il tessile. È un'impresa fondata nel '12, grossomodo quando il mio bisnonno fondava la "Augusto Bagnoli", ma ha avuto una fortuna diversa perché è ancora viva, anzi è una delle poche imprese di manifattura tessile che è riuscita a sopravvivere alla crisi dell'industria tessile in generale che ha colpito il nostro paese, industria che una volta era estremamente importante, e anche all'ultima crisi economico-finanziaria partita nel 2007-2008. Giovanni Bonotto, che attualmente guida l'azienda ed è il direttore artistico di quest'impresa, proprio nel 2007 capì che non riusciva a sopportare, nonostante comprasse macchinari molto evoluti e cercasse di applicare le migliori tecniche di management, non riusciva a contrastare la guerra sul prezzo da parte delle aziende dei paesi emergenti e in particolare le imprese turche. Quindi iniziò a vendere tutti gli impianti di nuova generazione che aveva comprato. La cosa divertente è che i sindacati lo chiamarono per chiedergli: "Ma siamo messi così male da dover vendere gli impianti?" e lui rispose: "no, ho un'idea!" Lui, in realtà, vendette tutti gli impianti nuovi, elettronici e andò in giro per il mondo ad acquistare impianti meccanici, degli anni '40 e '50. Impianti assolutamente meno produttivi, meno veloci, meno performanti di quelli di ultima generazione, ma che permettevano di tessere dei filati particolari, come ad esempio il cotone primitivo. Tutti i vostri indumenti di cotone derivano da cotone OGM. Esistono solo poche zone, in Africa, che coltivano ancora cotone primitivo, quello cioè in cui la pianta, produce il seme che genererà la pianta per la stagione successiva. Tesse anche altri filati particolari, ve ne racconto solo uno che deriva dalla lepre di Patagonia, o marà. Questa lepre vive in Patagonia, nella Tierra del Fuego e Bonotto ha stretto un accordo col governo argentino, per poter affittare un grande terreno in Argentina, radunare le lepri in qualche centinaio di metri quadrati, per poi pettinarle per prendere questa lanugine. L'operazione dura tra i due e i tre mesi e riesce a ricavare 5 o 6 kg di lana. Si riescono a tessere grossomodo uno o due cappottini, con la differenza che di questo cappottino, solo il tessuto, può valere sul mezzo milione di euro. Nel 2015, Bonotto raggiunge il massimo fatturato della sua storia centenaria e la massima redditività. Io lo incontro a cena, lui è sempre vestito o totalmente di bianco, in estate, o totalmente di nero con un fifì, e chiedo: "Ma, tu esattamente", questa è stata proprio la domanda che gli ho posto, "da dove nasci, da dove derivi? In cosa ti sei laureato? Perché mio padre, all'epoca, mi ha mandato all'università proprio perché non mi voleva in azienda, ma considerava sostanzialmente andare all'università, come andare alle feste universitarie, quindi non era molto convinto!" E lui mi dice "Mi sono laureato con Umberto Eco in semiotica a Bologna!" Dico: "Come? Ma tuo padre ti manda a studiare semiotica, la teoria dei segni dei significati?" Beh, fondamentalmente, ve la faccio breve, il padre, per una questione di relazioni familiari, aveva conosciuto tutti gli artisti della controcultura europea e americana dell'epoca e quindi era stato arricchito da questi stimoli culturali che poi aveva trasmesso al figlio facendogli fare studi molto particolari e questo figlio lo ha ripagato generando quest'idea della fabbrica lenta. La Bonotto, oggi, è un manifesto contro la produzione industriale seriale e le guerre di prezzo. Ma perché vi parlo di questo esempio? Qual è la conclusione a cui sono arrivato dopo quasi 30 anni di ricerca? La conclusione è che le imprese di successo, o, come abbiamo detto, di "succederà" fondamentalmente si basano sul fatto di avere un'identità precisa, una chiara definizione della propria identità, della propria missione, del proprio scopo, fondamentalmente del significato del perché esistono, tanto che ho deciso poi di chiamarle "imprese significanti" anche perché "di succederà", converrete con me, che non si può sentire! Quando mi chiedono che cos'è un'impresa significante, io rispondo come facevano i filosofi greci, inizio a partire dall'incontrario, dalle imprese insignificanti che è un termine che in italiano esiste. Le imprese insignificanti sono quelle che producono poco valore per i clienti e per la società, producendo poco valore, si concentrano sulle modalità più efficaci per appropriarsene di questo valore, della maggior parte di questo valore, ritenendo che il problema sia un problema di divisione. Facendo questo, creano un circolo vizioso per cui producono ancora meno valore per i clienti e per la società. Le imprese significanti invece, per contro, creano molto valore per i clienti e per la società, collegandomi anche al primo speech sul tema della responsabilità sociale, e, creando molto valore, si concentrano sulle modalità più efficaci per distribuirlo in maniera equa, convinti che la soluzione sia la moltiplicazione di questo valore! Così facendo, creano un circolo virtuoso e riescono a creare più valore per i clienti e per la società. In più, io ho scoperto un altro aspetto: chi riesce ad avere un'identità ben definita a livello di imprese, riesce generalmente anche a risolvere dei paradossi. Non so, voi sarete sicuramente andati andati da Ikea. Ikea basa molto del suo successo sul fatto di aver risolto un paradosso tra ozio e negozio. Voi entrate nel negozio di Treviso, della città di cui prima parlava Riccardo Pittis, e magari venite subito aggrediti dal "Posso offrirvi qualcosa? Avete bisogno di una mano? Sta cercando qualcosa in particolare?" Vi mette ansia, e uscite. Ikea no, Ikea vi dice "vieni a perdere tempo" quindi, "vieni a oziare". In realtà, Ikea è una macchina da vendite pazzesca e voi non riuscite ad uscire senza aver comprato qualcosa! Quindi, un tema di definizione chiara dell'identità e un tema, altrettanto chiaro, di risoluzione di paradossi. Nei 30 anni di studi che hanno costellato la mia carriera, abbiamo cercato di dare delle risposte. Qui vedete alcuni paradossi che secondo me sono validi per le imprese italiane ideal tipo, come il tema di combinare tradizione e innovazione, come ha fatto Bonotto, il tema di riuscire a combinare il singolo e il sistema, parlavamo dell'accordo storico tra le nove università, quindi le singolarità, con un tema di fare un sistema vero, tra la teoria e la pratica e via dicendo. Ho cercato di sintetizzare queste mie ricerche in un manifesto, come vedete la figura si chiama "tetraedro del valore" e fa paura solo a vederla anche da lontano. In realtà è una figura significante perché è un solido platonico, quella che Platone definiva una figura perfetta: una piramide con tutti i lati uguali. Al vertice c'è il tema della visione, la missione, per poi arrivare a concetti forse un po' più banali, quali le strategie e i modelli di business. Generalmente i nostri imprenditori si concentrano invece sugli aspetti di base: come fare il miglior prodotto, come riuscire a comunicare meglio. Ma il vero problema è che essendoci un grande cambiamento, dovete tenere almeno ferma una cosa e questa cosa che bisogna tener ferma è appunto l'identità, lo scopo per cui esistete. Dicevo che sono passati 30 anni da quella discussione con mio zio, 30 anni in cui io ho dedicato professionalmente il mio tempo a cercare di analizzare queste imprese significanti e dopo un po' mi è venuta la voglia, l'anno scorso di creare anch'io un'impresa e quindi ho creato uno spin off universitario che si chiama "Strategy Innovation" che ambisce a cercare di aiutare, a supportare le imprese nel definire la propria visione, la propria missione, la propria strategia, il proprio modello di business, i paradossi che deve tentare di risolvere per tentare di perdurare nel tempo. Certamente "Strategy Innovation" ha chiara la propria missione che è di mettere in contatto le migliori intelligenze prodotte dal mondo universitario partendo dagli studenti, insieme alle migliori intelligenze prodotte dal mondo imprenditoriale, perché troppe poche volte riescono ad incontrarsi. Abbiamo chiaro anche quali sono i nostri paradossi, in primis riuscire a coniugare pratica e teoria, quindi il mondo accademico col mondo imprenditoriale. Per il momento "Strategy Innovation" è un'impresa di successo, come dicevo, abbiamo chiare le nostre missioni. Il mio meraviglioso team, vedete rappresentato qui con le foto, in realtà spera che io sia abbastanza vecchio per non perpetuare la tradizione di famiglia e quindi che io non riesca a uccidere quest'impresa che ho appena creato. Vorrei chiudere con un'ultima riflessione da lasciarvi, perché lavorando su questi temi, sul problema di definire chiaramente il perché esistiamo, quali sono i paradossi che dovremmo risolvere per rendere il mondo migliore, io li ho applicati a livello di imprese però poi ho anche provato ad applicarli a livello personale, quindi ho iniziato a porre a me stesso domande che, generalmente, pongo agli imprenditori, come ad esempio: in che cosa credi, quali sono le tue convinzioni, qual è il tuo scopo, qual è la tua missione. Ecco non sono riuscito ancora a darmi delle risposte precise, ma credo che solo porsi delle domande mi abbia permesso di capire meglio quello che voglio veramente essere e forse anche di farlo capire agli altri, spero anche a voi. L'augurio e l'invito che vorrei farvi è di provare ad applicare le stesse domande a voi e magari riuscirete a rispondervi più facilmente di quanto sia riuscito rispondermi io. Grazie. (Applausi)