Cosa possiamo imparare dai bambini per diventare persone migliori? Sono estremamente leali ai loro amici, pronti a difendere e a scusarsi e veloci a perdonare. Ma, in quanto ex maestra d'asilo - e nel cuore maestra per sempre - voglio condividere con voi una lezione sorprendente che ho appreso da loro sul chiedere aiuto. Amo il comportamento umano - come ci comportiamo in base a situazioni e ambienti differenti - e questi bei bambini di 5 anni con le loro guancette adorabili e l'altezza perfetta per dargli caldi abbracci mattutini e un amore quasi competitivo per il batti cinque, erano così interessanti. La mia prima classe si chiamava Mars. Avevo 10 studenti, e ognuno aveva un bel carattere. Ma c’era uno tra questi bambini che non dimenticherò mai. Lo chiameremo Sam. Sam si comportava come se non avesse 5 anni. Era molto indipendente. Non solo sapeva allacciarsi le scarpe da solo, ma sapeva allacciarle anche agli altri bambini. Non riportava mai a casa il termos sporco perché lo puliva dopo pranzo. E se succedeva qualcosa e doveva cambiarsi i vestiti lui lo faceva da solo, in silenzio e con discrezione. Non chiedeva molto aiuto, ma era colui da cui andavano i suoi compagni a cercare aiuto. Aiuto per cose come, aiutarli a finire il kimchi perché è troppo piccante. Non amava mostrare alcun tipo di affetto agli insegnanti e passava per il “bambino più popolare” Se gli davi l’abbraccio del buongiorno, lui alzava gli occhi facendo facce buffe come per mostrare il malcontento, però aspettava lì se non gli davi il suo abbraccio mattutino. Era molto intelligente e affidabile che persino io dimenticavo che avesse solo cinque anni. Da neo insegnante, ho passato molto tempo ad osservare come i maestri con più esperienza interagissero con i loro alunni. E ho notato una cosa molto particolare. Spesso, quando i bambini cadono, non iniziano a piangere subito. Si alzano, confusi, come per cercare di capier -- insomma, “Cos’è appena successo?” “È un problema abbastanza grande per cui piangere? Fa male? Che sta succedendo?” Spesso i bambini stanno bene finché non incrociano lo sguardo adulto: uno di cui si fidano e sanno che può fare qualcosa per loro. Gli sguardi si incrociano e poi scoppiano in lacrime. Da quando l’ho notato, ho desiderato che accadesse a me, perché per me ciò significa aver guadagnato la fiducia del bambino e aver dimostrato che sei capace di aiutarlo in tutto. Tu sei un eroe per loro. Le settimane passavano ed io guardavo gli altri insegnanti con i bambini in lacrime che correvano da loro, Ed io guardavo con gelosia. Oh, com'ero gelosa. Ovviamente non volevo che i bambini cadessero ma desideravo davvero quel momento di accettazione in cui avevo guadagnato la loro fiducia tanto da essere quella che li aiutava. Poi, finalmente è successo. È stato un giorno bellissimo. Era durante la ricreazione in cortile. I bambini stavano giocando ed io stavo plastificando alcune cose, perché le maestre stanno sempre a plastificare, nella sala insegnanti accanto. Poi ho sentito un bambino gridare: “Maestra, maestra, Sam è caduto!” Così sono uscita a controllare, ho cercato Sam e lui era lì, sembrava molto confuso, come se stesse vedendo doppio. Poi mi ha guardato, i nostri sguardi si sono incrociati, e poi è successo. Il suo labbro inferiore ha iniziato a tremare ed i suoi piccoli occhi si sono riempiti di lacrime. Poi è scoppiato in lacrime correndo verso di me, ed è stato magnifico. Non dimenticherò mai quel momento. Si è lasciato abbracciare per aiutarlo a calmarsi e pare che sì, era inciampato sui suoi stessi piedi quindi non c’era nient’altro che il pavimento da rimproverare. Abbiamo controllato che non si fosse fatto male e non aveva nemmeno un livido. In quel momento, stranamente, non sentivo di essere lì per aiutare Sam ma piuttosto lui mi stava dando l'opportunità di aiutarlo, ed è stata una cosa molto strana, difficile da spiegare a parole. Con la sua vulnerabilità nel venire da me a chiedere aiuto come se io potessi fare qualcosa, penserete che ciò mi abbia dato il controllo, ma in quel momento, no, è stato proprio il contrario, e il controllo si era spostato ancora di più su di lui. Essere chiamati ad aiutare è un privilegio: un dono per fare qualcosa per qualcuno, soprattutto quando arriva da un loro momento di vulnerabilità. Con tutto ciò che ho imparato dall’asilo, o “insegnando” all’asilo, ho superato altre cose nella vita. Dopo nove anni, sono entrata in un’associazione per professionisti del project management in un ruolo che lavora ampiamente con i volontari. Lavorare con i volontari è un’esperienza bellissima, ma ci sono delle cose che avrei voluto sapere prima, tipo come fissare dei paletti. È molto facile cadere nella tana del coniglio del “perché sono volontari”. Chiamate a tarda notte? Sì, perché sono volontari e lavorano di giorno. Trasferte che sono quasi esclusivamente nei weekend? Sì, perché sono volontari e lavorano di giorno. Non per complimentarmi da sola, ma facevo piuttosto bene il mio lavoro. Ero soddisfatta delle relazioni che stavo costruendo e il modo migliore per capire se avevo guadagnato la fiducia di qualcuno era vedere se venivano a chiedermi aiuto. Lo adoravo. Ogni volta che facevamo il ritiro di fine anno e parlavamo di cosa avremmo voluto per il prossimo anno, le mie parole chiave erano sempre “aiuto” o “utile”. Il problema era che non ero stata solo utile. Con il tempo, ho messo moltissima pressione su di me, per essere sempre occupata e per fare sempre un buon lavoro. Presto la mia autostima ha iniziato a dipendere dal mio rendimento, che è sostanzialmente la ricetta per il disastro. Ma niente paura, perché avevo il miglior meccanismo di difesa, che era il rifiuto, la distrazione con sempre più lavoro e l’alcool. Molto alcool. Ero così occupata a essere utile e indipendente e a essere una grande Sam che avevo dimenticato come chiedere aiuto quando ne avevo bisogno. Dovevo solo chiedere. E se davvero credevo chiedere aiuto fosse un dono, avrei dovuto farlo di più, giusto? Non sempre mettiamo in atto ciò che predichiamo, ma circa due anni fa ho vissuto un momento molto importante. Dire che ero sfinita a quel tempo è un eufemismo, ma grazie al mio meccanismo di difesa, l'alcool, sembrava che mi stessi divertendo. Ma un giorno, proprio come Sam in cortile, sono inciampata sui miei stessi piedi. Ho perso conoscenza e mi sono svegliata con un grande taglio sul piede con pezzi di vetro, gli occhi gonfi dal pianto e una voce così roca che somigliava più ad un lamento. Non ricordo bene ciò che effettivamente è successo, ma ricordo che mi sentivo frustrata, triste e impaurita. Ora, mi conoscete da soli 10 minuti, ma probabilmente potreste dire che questo non è da me. Quando ho capito cos'era successo ero scioccata. Non c’era altra soluzione se non quella di chiedere aiuto, in entrambi sensi: avevo bisogno di una terapia, ma anche un aiuto per uscire da quella situazione. È stato uno dei momenti più bassi della mia vita e, persino in quel momento, la mia mente correva a super velocità in modalità problem-solving. E ora che faccio? Se non mi sistemo, sono ancora più una delusione. Se non risolvo, sono ancora più un fallimento. Queste erano le cose che mi passavano per la testa e non mi è nemmeno passato per la testa di chiedere aiuto. Ero circondata da tante persone che tenevano a me e che mi avrebbero aiutata, ma semplicemente non riuscivo a vederle. Finché, alla fine, un mio amico mi ha letteralmente presa per le spalle e mi ha obbligata a chiedere aiuto. “Puoi farlo?” "No." “Hai bisogno di aiuto?” “Sì.” “Posso aiutarti?” “Sì." “Posso chiedere a chi ti vuole bene e si preoccupa per te di aiutarti?” “Sì." È stata la mia versione adulta dello sguardo con il mio maestro. E in un attimo, appena ho detto “Sì, tu puoi aiutarmi”, ho sentito che fremevo di speranza e che stavo riprendendo un po' di controllo. E, se ci pensate, non è strano che passiamo tutta l’infanzia ad essere bravi a chiedere aiuto e ci aspettiamo, crescendo, di essere persone autosufficienti e diventiamo così bravi a esserlo che gli altri ci devono ricordare che va bene chiedere aiuto? In seguito, quel momento mi ha aiutata a capire molte cose. Sono sempre stata felice di aiutare gli altri e amo farlo. Perché per gli altri non dovrebbe essere lo stesso? E soprattutto, perché non dovrei far sentire agli altri la felicità e la gioia che si prova nell’aiutare i Sam del mondo? Noi tutti vogliamo essere i migliori Sam nella vita: essere forti, indipendenti e autosufficienti, ma non sempre dobbiamo esserlo. Iniziamo a chiedere aiuto più spesso, perché aiutare i Sam è un privilegio e un dono. Grazie.