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タイトル:
I musei dovrebbero onorare il quotidiano, non solo lo straordinario
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概説:
Chi merita di stare in un museo? Troppo a lungo, la risposta è stata "lo straordinario", quelle figure a cui aspiriamo che ci ispirano con il loro successo. Ma quelle storie sono limitanti, afferma la curatrice museale Ariana Curtis. In questo talk visionario, immagina come i musei possano raccontare più accuratamente la storia onorando le vite sia di persone straordinarie che di persone normali, di spicco o nascoste, e ampliare le diverse prospettive che avrebbero sempre dovuto essere incluse.
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話者:
Ariana Curtis
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La rappresentazione è importante.
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Una rappresentazione autentica
delle donne è importante.
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Penso che, troppo spesso, le nostre
rappresentazioni pubbliche delle donne
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siano avvolte nel linguaggio
dello straordinario.
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La prima donna americana a diventare
una milionaria che si è fatta da sé:
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Madam C. J. Walker.
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I vestiti delle first ladies
degli Stati Uniti.
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Shirley Chisholm, la prima donna a cercare
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la nomina presidenziale
per il Partito Democratico.
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In quanto curatrice museale,
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capisco perché queste storie
sono così seducenti.
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Le donne eccezionali
sono ispirazione e aspirazione.
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Ma queste storie sono limitanti.
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Per definizione, essere straordinari
è non-rappresentativo.
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È atipico.
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Queste storie non creano una base ampia
per incorporare la storia delle donne
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e non rispecchiano la realtà quotidiana.
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Se possiamo applicare collettivamente
quell'idea radicale
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che le donne sono persone,
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diventa più facile mostrare
che le donne come persone sono :
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familiari, diverse, presenti.
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Nel corso della storia,
nel quotidiano di tutti
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le donne esistono positivamente --
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e non è una questione di interpretazione,
ma un dato di fatto.
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E oltre una rappresentazione
più accurata della vita umana,
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includere le donne significa
tener conto delle esperienze quotidiane
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di quasi 3,8 miliardi di persone
identificate come donne sul pianeta.
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Nella famosa scena del museo
del film "La Pantera Rosa",
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un curatore bianco spiega
in modo errato un artefatto
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al personaggio di Micheal B.
Jordan che vediamo qui,
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un artefatto della sua cultura.
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La scena ha scatenato dibattiti
nelle comunità museali
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sul chi modella le narrative
e il pregiudizio ad esse legato.
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I musei sono considerati
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come una delle più affidabili fonti
di informazione negli Stati Uniti,
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e con centinaia di milioni di visitatori
provenienti da tutto il mondo,
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dovremmo raccontare storie accurate,
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ma non lo facciamo.
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C'è un movimento nato nei musei stessi
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per aiutare a combattere
questa faziosità.
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La semplice accettazione
che i musei non sono neutrali.
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I musei sono didattici.
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Attraverso l'esposizione
di arte ed artefatti,
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possiamo incoraggiare la creatività
e promuovere l'inclusione,
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ma siamo colpevoli di una
rappresentazione storica errata.
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Le nostre storie uomo-centriche
hanno lasciato fuori quelle femminili.
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E ci sono verità dure
sull'essere una donna,
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specialmente una donna di colore
in questa industria,
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che ci impedisce di trattare esempi
inclusivi di vite di donne.
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Direzione museale:
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a maggioranza bianca e maschile,
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nonostante il 60% degli staff museali
sia composto da donne.
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Le possibilità di carriera
per le donne sono cupe --
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ancor di più per le donne di colore.
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E la presenza di donne non garantisce
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un aumento della rappresentazione
pubblica delle donne.
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Non tutte le donne sostengono
l'uguaglianza di genere.
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Con le parole della teorica
femminista bell hooks:
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"Il patriarcato non ha genere".
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Le donne possono sostenere
il sistema patriarcale
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così come gli uomini possono sostenere
la lotta per l'uguaglianza di genere.
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E spesso minimizziamo
l'importanza dell'intersezionalità.
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Marian Anderson fu una delle più
celebrate voci del XX secolo,
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e lo Smithsonian ha recuperato
il suo vestito del 1939.
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Dopo che le bianche figlie della
rivoluzione americana le vietarono
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di cantare alla Constitution Hall
perché nera,
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cantò notoriamente sui gradini
del Lincoln Memorial,
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davanti a un pubblico
di oltre 75.000 persone.
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E in tutte le librerie, e anche nei musei,
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si trova ancora la rivoluzionaria
antologia del 1982, intitolata
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"Tutte le donne sono bianche,
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tutti i neri sono uomini,
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ma alcuni di noi sono coraggiosi".
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Le richieste per una maggiore
rappresentazione delle donne
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non include automaticamente
afro-latine come me,
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o donne immigrate, o asiatiche
o native americane,
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o trans, o senza documenti,
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o donne over 65 o ragazze,
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e la lista potrebbe continuare.
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Delle iniziative mirate hanno aiutato
a incorporare prospettive
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che avrebbero dovuto
essere sempre state incluse.
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Sono arrivata allo Smithsonian
con un'iniziativa di curatori latini
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che, grazie all'assunzione
di curatori latini,
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soprattutto donne,
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ha permesso un aumento delle
rappresentazioni latine nell'istituto.
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Ed è servito come modello
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per la nostra più ampia Smithsonian
American Women's History Initiative,
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che cerca di ampliare le diverse
rappresentazioni delle donne
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in ogni modo possibile,
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così che le donne compaiano
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non solo nell'immaginario
delle nostre realtà contemporanee,
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ma nelle nostre rappresentazioni storiche,
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perché ci siamo sempre state.
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Ma oggi, nel 2018, posso ancora
entrare in ambienti professionali
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ed essere la sola.
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La sola persona sotto i 40 anni,
la sola persona di colore,
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la sola nera, la sola latina,
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a volte, la sola donna.
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Mia madre è afro-americana
e mio padre è afro-panamense.
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Sono orgogliosamente e
inevitabilmente entrambe.
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Come afro-latina, sono una tra milioni.
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Come curatrice afro-latina,
sono una delle poche.
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E portare tutta me stessa
nel mondo professionale
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può sembrare un atto di coraggio,
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e ammetto che non sono sempre
stata all'altezza della sfida,
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per paura del rifiuto
o per autoconservazione.
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Nelle riunioni, parlavo solo
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quando avevo un commento
ben strutturato da condividere.
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Nessuno brainstorming udibile
o discussioni con i colleghi.
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Per molto tempo,
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mi sono negata la gioia di indossare
i miei amati orecchini a cerchio
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o la collana con il mio nome al lavoro,
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pensando che fossero troppo rumorosi
o non abbastanza professionali.
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Mi chiedevo come la gente avrebbe
reagito ai miei capelli naturali,
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o se mi considerassero più accettabile
o meno autentica quando li piastravo.
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E chiunque si è mai sentito escluso
dalle rappresentazioni dominanti
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capisce che ci sono elementi base
del nostro essere quotidiano
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che possono mettere gli altri a disagio.
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Ma siccome mi appassiona
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la rappresentazione quotidiana
delle donne così come siamo,
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ho smesso di rappresentare me stessa
o il mio lavoro in modo non autentico.
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E sono stata testata.
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Questa sono io che indico
i miei orecchini in ufficio --
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Il mese scorso, mi hanno invitata
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a presentare un evento
Latino Heritage Month.
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La settimana della presentazione,
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l'organizzazione ha espresso
delle preoccupazioni.
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Hanno definito le mie slide "attiviste",
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nell'accezione negativa del termine.
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Due giorni prima della presentazione,
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mi chiesero di non mostrare
un video di due minuti
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in favore dei capelli naturali,
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perché "poteva creare una barriera
nel processo di apprendimento
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di alcuni partecipanti".
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La poesia "Hair" è stata scritta
e recitata da Elizabeth Acevedo,
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una dominicana-americana vincitrice
del National Book Award del 2018,
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ed è apparsa in una mostra
vincitrice di un premio
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da me curata allo Smithsonian.
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Cancellai il talk,
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spiegando che la loro censura sul mio
lavoro e su di me mi metteva a disagio.
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(Applausi ed esultanze)
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La politica della rispettabilità
e la femminilità idealizzata
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influenzano la nostra
rappresentazione delle donne
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e quali donne decidiamo di mostrare.
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E quella rappresentazione si è inclinata
verso affermata e straordinaria
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e rispettabile e desiderabile,
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che mantiene l'esclusione
e la marginalizzazione sistematiche
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del quotidiano, del normale,
del sotto-rappresentato
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e, di solito, del non-bianco.
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Come curatrice museale, voglio
cambiare questa narrativa.
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Ricerco, colleziono e interpreto
oggetti e immagini significative.
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Celia Cruz, la regina della Salsa --
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E afro-latina.
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Lo Smithsonian Institute ha collezionato
i suoi costumi, scarpe,
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ritratti, il suo francobollo
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e quest'opera
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dell'artista Tony Paralta.
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Quando ho raccolto
e mostrato questo lavoro,
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è stata una vittoria
per le contraddizioni simboliche.
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Orgoglio nel mostrare
una latina dalla pelle nera,
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una donna di colore,
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i cui capelli sono in grandi bigodini
che servono per lisciarli,
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forse un'allusione agli standard
di bellezza bianchi.
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Una donna raffinata e glamour
in gioielli d'oro voluminosi e massicci.
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Durante l'esposizione,
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era uno dei pezzi più instagrammati,
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e i visitatori mi dicevano che erano
in sintonia con gli elementi quotidiani
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della sua pelle scura o
dei bigodini o dei gioielli.
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Le nostre collezioni includono Celia Cruz
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e un ritratto raro
di una giovane Harriet Tubman,
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vestiti iconici dell'incomparabile
Oprah Winfrey.
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I musei possono cambiare letteralmente
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il modo in cui centinaia di milioni
di persone vedono le donne
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e quali donne vedono.
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Quindi invece che mostrare sempre
il meglio o il famoso,
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è nostra responsabilità mostrare
un sabato normale al salone di bellezza,
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o l'arte degli orecchini a batacchio,
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e orgoglio culturale a ogni età.
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Storie di donne normali
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che sono state intenzionalmente omesse
dalle nostre storie nazionali e globali.
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E spesso nei musei, vediamo
donne rappresentate da vestiti,
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ritratti o fotografie,
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ma le storie di donne normali
che colpiscono e cambiano la vita
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possono anche somigliare
a questa sedia di Esmeraldas.
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Esmeraldas, in Ecuador,
era una comunità isolata.
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La densa foresta pluviale protesse
le popolazione indigene e africane
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dai colonizzatori spagnoli.
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Adesso ci sono strade,
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ma alcune delle zone dell'entroterra
sono ancora accessibili solo con la canoa.
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Débora Nazareno ha spesso percorso
quelle acque ecuadoregne in canoa,
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quindi aveva la sua sedia personale.
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Era personalizzata con
una ragnatela e un ragno,
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che rappresentano Anansi,
una divinità dell'Africa Occidentale.
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Débora sedeva sulla stessa
sedia anche a casa
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mentre raccontava storie
a suo nipote, Juan.
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E questo rito d'amore intangibile
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sotto forma di racconto intergenerazionale
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è comune nella comunità
appartenenti alla diaspora africana.
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E questo gesto quotidiano
ha acceso in Juan
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il desiderio di raccogliere e custodire
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più di 50.000 documenti legati
alla cultura afro-indiana.
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Nel 2005, Juan García Salazar,
nipote di Débora,
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e ora studioso afro-ecuadoregno
di fama mondiale,
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si è recato a Washington D.C.
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Lì ha incontrato Lonnie Bunch,
il direttore del museo dove lavoro,
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e, verso la fine della conversazione,
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Juan ha preso la borsa e ha detto:
"Vorrei farle un regalo".
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Quel giorno, l'umile sedia di legno
di Débora Nazareno
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divenne il primissimo oggetto donato
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allo Smithsonian National Museum
of African-American History and Culture.
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È stata sistemata, esposta e vista
da quasi cinque milioni di visitatori
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provenienti da tutto il mondo.
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Continuerò a collezionare le storie
di persone straordinarie.
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Le loro storie sono importanti.
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Ma ciò che mi spinge a presentarmi
oggi e ogni giorno
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è la semplice passione di scrivere
i nostri nomi nella storia,
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mostrarli pubblicamente
a milioni di persone
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e camminare nella luce sempre
presente che è donna.
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(Applausi ed esultanze)
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