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タイトル:
Perché dovresti essere pagato per i tuoi dati
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概説:
Le aziende tecnologiche più preziose al mondo traggono profitto dai dati personali che noi generiamo. Quindi, perché non ci pagano? In questo intervento illuminante, l'imprenditrice e tecnologa Jennifer Zhu Scott sostiene la proprietà privata dei dati, che darebbe la possibilità di donarli, distruggerli o venderli a piacimento, e mostra come questa corrente in crescita può far tornare il potere (e il denaro) nelle mani delle persone.
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話者:
Jennifer Zhu Scott
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Sono cresciuta alla fine degli anni '70
nella campagna cinese,
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negli ultimi anni in cui il mio Paese
ricercava l'uguaglianza assoluta
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a scapito della libertà.
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Allora, tutti avevano un lavoro,
ma erano tutti in difficoltà.
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Nei primi anni '80,
mio padre era un elettricista
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e mia mamma faceva il doppio turno
all'ospedale locale.
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Non avevamo comunque abbastanza cibo
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e le nostre condizioni
di vita erano oscene.
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Eravamo senza dubbio uguali,
ed eravamo ugualmente poveri.
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Era lo Stato a possedere tutto.
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Noi niente.
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La storia che sto per raccontarvi
riguarda le mie lotte
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per superare le avversità
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con tenacia, grinta
e grande determinazione.
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No, sto scherzando.
Non ho intenzione di farlo.
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Invece, quello che vi racconterò oggi,
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riguarda una nuova forma
di povertà collettiva
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che molti di noi non riconoscono
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e che è necessario comprendere in fretta.
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Sono certa abbiate notato
come negli ultimi 20 anni
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sia emersa quella risorsa.
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Ha generato benessere
a una velocità mostruosa.
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Come strumento, ha portato le aziende
a una comprensione profonda del cliente,
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all'efficienza operativa
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e a un'enorme crescita del fatturato.
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Ma per alcuni,
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ha anche fornito uno strumento
per manipolare le elezioni democratiche
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o esercitare sorveglianza
a scopi di lucro, o politici.
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Cos'è questa risorsa miracolosa?
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Avete indovinato: i dati.
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Sette delle 10 aziende più importanti
al mondo operano in ambito tecnologico
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e o generano profitti
direttamente dai dati,
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o sono alimentate dai dati stessi.
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Molti sondaggi dimostrano
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che la grande maggioranza
dei decisori aziendali
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considera i dati una risorsa
indispensabile per il successo.
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Abbiamo visto tutti come i dati
stiano cambiando il paradigma
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per le nostre vite personali,
economiche e politiche.
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Chi possiede i dati, possiede il futuro.
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Credo che tutti qui dentro
abbiano uno smartphone,
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molti account sui social
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e abbiano fatto qualche ricerca
su Google nell'ultima settimana.
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Tutti produciamo dati. Certo.
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Si stima che entro il 2030, tra 10 anni,
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saranno connessi, nel mondo,
125 miliardi di dispositivi.
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Una media di circa
15 dispositivi a persona.
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Produciamo già dati, quotidianamente.
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E ne produrremo
esponenzialmente di più.
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Nel 2018, le entrate di Google, Facebook
e Tencent messe insieme,
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sono state di 236 miliardi
di dollari americani.
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Ora, quanti di voi sono stati pagati
per i dati che hanno generato?
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Nessuno, giusto?
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I dati hanno un valore immenso,
ma sono controllati e monopolizzati.
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Siamo tutti materie prime umane
per quelle grandi aziende,
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ma nessuno viene pagato.
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non siamo nemmeno considerati
parte dell'equazione delle entrate.
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Quindi, ancora una volta,
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siamo senza dubbio uguali,
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e siamo ugualmente poveri.
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Qualcun altro possiede tutto
e noi non possediamo nulla.
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Suona familiare, vero?
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Quindi cosa dovremmo fare?
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Potrebbero esserci
degli indizi nella mia vita,
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dopo quel difficile inizio.
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Tutto migliorò negli anni '80
per la mia famiglia.
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Il sistema si sviluppava,
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e le persone potevano avere
un pezzo di quello che creavamo noi.
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"Gente che si tuffa nell'oceano",
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o "xia hai", in cinese,
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indicava chi lasciava un lavoro
nelle imprese statali
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per iniziare una propria attività.
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Possedere un'azienda privata
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diventò possedere macchine proprie,
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immobili, cibo, vestiti e oggetti.
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L'economia iniziò a girare
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e la vita delle persone a migliorare.
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Per la prima volta,
essere ricchi era glorioso.
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Così, quando negli anni '90
studiavo a Chengdu nella Cina occidentale,
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molti giovani ragazzi come me
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erano in pole position
per approfittare del nuovo sistema.
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Dopo essermi laureata all'università,
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ho co-fondato la mia prima società
e mi sono trasferita a Shenzhen,
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la nuovissima zona economica
che prima era un paesino di pesca.
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Vent'anni dopo,
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Shenzhen è diventata
una potenza dell'innovazione globale.
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La proprietà privata era una libertà
che prima non avevamo.
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Questo creò opportunità senza precedenti
per le nostre generazioni,
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che ci spinsero a studiare
e lavorare molto duramente.
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Il risultato fu che più di 850 milioni
di persone uscirono dalla povertà.
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Secondo la Banca Mondiale,
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il tasso di povertà in Cina nel 1981,
quando io ero piccola, era l'88 per cento.
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Entro il 2015, lo 0,7 per cento.
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Sono un prodotto di quel successo,
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e sono molto felice di poter dire
che oggi posseggo la mia società di IA,
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e conduco una vita dinamica e mondana,
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un cammino inimmaginabile
per una bambina dell'ovest della Cina.
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Certo, questa prosperità
è arrivata con uno compromesso,
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in termini di uguaglianza,
ambiente e libertà.
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E ovviamente non sono qui per sostenere
che la Cina abbia capito tutto.
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Non è così.
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Nemmeno che i dati siano paragonabili
alle risorse fisiche.
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Non lo sono.
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Ma la vita mi ha permesso di vedere
ciò che si nasconde davanti ai miei occhi.
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Attualmente, l'opinione pubblica
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è davvero concentrata sulle regole
e i problemi della privacy
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quando si parla di possesso di dati.
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Ma vorrei fare una domanda:
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e se guardassimo la proprietà dei dati
da tutt'altra prospettiva?
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E se il possesso di dati sia, in realtà,
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un problema personale,
individuale ed economico?
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E se, nella nuova economia digitale,
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potessimo avere un pezzo
di quello che creiamo
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e dare alle persone la libertà
di possedere i dati privati?
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Il concetto legale di proprietà
prevede il possesso,
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l'uso, il dono,
il passaggio, la distruzione,
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lo scambio o la vendita della risorsa
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a un prezzo accettato dal proprietario.
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E se dessimo la stessa definizione
ai dati individuali,
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in modo che ognuno
possa usarli, distruggerli,
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o scambiarli a un prezzo prescelto?
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Ma so che alcuni di voi direbbero:
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"Non scambierei mai e poi mai i miei dati,
per nessuna somma di denaro".
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Ma lasciate che vi ricordi
che è proprio quello che state facendo,
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solo che quella somma è zero.
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In più, la privacy è un problema personale
e dalle tante sfumature.
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Potreste avere il vantaggio di dare
più importanza alla privacy che ai soldi,
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ma per milioni di piccoli proprietari
di società in Cina,
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che non ottengono facilmente
prestiti bancari,
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usare i propri dati per avere
rapidi prestiti da prestatori con IA
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può soddisfare i loro bisogni più urgenti.
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Quello che è privato per uno,
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è diverso da quello
che è privato per gli altri.
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Quello che è privato per te ora,
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è diverso da quello che era privato
quando eri al college.
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O almeno spero.
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Siamo sempre impegnati,
a volte inconsciamente,
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a scendere a compromessi
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basandoci su convinzioni personali
e sulle diverse priorità.
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Ecco perché il possesso di dati
sarebbe incompleto
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senza il potere
di negoziare i prezzi.
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Permettendo alle persone
di fissare un prezzo,
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guadagniamo un mezzo che riflette
le nostre diverse preferenze personali.
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Ad esempio, potreste scegliere
di donare i vostri dati
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se il contributo
a una particolare ricerca medica
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ha un significato per voi.
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O se avessimo gli strumenti
per dare ai dati comportamentali
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un prezzo di, diciamo, 100.000 dollari,
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dubito che un gruppo politico
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potrebbe decidere
o manipolare il vostro voto.
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Voi avete il controllo. Voi decidete.
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Ora, capisco che sembri
abbastanza improbabile,
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ma le tendenze indicano già
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un movimento crescente e molto potente
per il possesso dei dati individuali.
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Primo, le startup
stanno già creando strumenti
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per permetterci di riprendere
parte del controllo.
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Un nuovo browser chiamato Brave
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dà agli utenti "scudi coraggiosi" -
li chiamano proprio così -
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per bloccare le raccolte di dati
e i tracker aggressivi
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ed evitarne la perdita,
non come altri browser.
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In cambio, gli utenti riprendono parte
della trattativa e del potere di prezzo.
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Quando gli utenti scelgono
di accettare le pubblicità,
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Brave li premia con dei
"gettoni di attenzione base"
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che possono riscattare i contenuti
dietro i paywall degli editori.
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Io stessa ho provato Brave
per qualche mese.
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Ha già bloccato più di
200mila pubblicità e tracker,
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e mi ha fatto risparmiare molto tempo.
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So bene che alcuni interagiscono
più con il loro browser
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che con il loro partner, quindi...
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dovreste almeno trovarne uno
che non perde tempo e non è inquietante.
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Pensate che Google sia indispensabile?
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Pensateci bene.
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Un motore di ricerca è indispensabile.
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Google detiene solo il monopolio, per ora.
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Un motore di ricerca chiamato DuckDuckGo
non archivia le informazioni personali,
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non vi segue con le pubblicità
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e non traccia la vostra cronologia.
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Al contrario, mostra a tutti gli utenti
gli stessi risultati
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invece di basarsi
sulle vostre ricerche private.
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A Londra, una società chiamata digi.me
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offre un'app scaricabile
sul proprio smartphone
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che aiuta a importare
e raccogliere i dati generati
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dal proprio Fitbit, Spotify,
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account sui social media...
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Si può scegliere dove archiviare i dati,
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e digi.me aiuterà a far lavorare
per voi i vostri dati
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fornendo analisi
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che prima erano accessibili
solo alle grandi società di dati.
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A Washington, una nuova
iniziativa chiamata UBDI,
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Reddito di Base Universale dai Dati,
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aiuta le persone a fare soldi
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condividendo idee anonime
attraverso i propri dati
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per società che li utilizzano
per ricerche di marketing.
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Ogni volta che una società
acquista uno studio,
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gli utenti sono pagati in contanti
e punti UBDI per tracciare il contributo,
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potenzialmente,
fino a mille dollari all'anno
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secondo le loro stime.
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UBDI potrebbe essere un percorso fattibile
per il Reddito di Base Universale
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nell'economia dell'IA.
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Inoltre, la consapevolezza della privacy
e della proprietà dei dati
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sta crescendo velocemente
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dato che siamo tutti consapevoli di avere
un mostro libero nella nostra tasca.
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Sono madre di due ragazze preadolescenti,
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e fidatevi:
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la singola maggiore fonte
di stress e ansia di un genitore,
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almeno per me, è il rapporto
tra le mie figlie e la tecnologia.
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Questo è un accordo di tre pagine che io
e mio marito gli abbiamo fatto firmare
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prima che ricevano
il loro primo [cellulare].
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Vogliamo aiutarle a diventare
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cittadine digitali,
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ma solo se riusciamo a renderle
sveglie e responsabili.
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Le aiuto a capire quali dati
non dovrebbero mai essere condivisi.
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Infatti se mi cercaste su Google -
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no, scusate, se mi cercate
su DuckDuckGo,
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probabilmente trovereste molto
su di me e sul mio lavoro,
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ma non trovereste informazioni
sulle mie figlie.
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Quando cresceranno,
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se vorranno rendersi pubbliche,
sarà una loro scelta, non mia,
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anche se io insisto sul fatto
che siano le più belle,
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più sveglie e più straordinarie
del mondo, ovviamente.
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E so che molte persone
stanno facendo discorsi simili
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e prendendo decisioni di questo tipo,
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il che mi fa sperare
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che un futuro davvero brillante
e ricco di dati arriverà presto.
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Ma vorrei sottolineare
la clausola sei di questo accordo.
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Dice: "Non cercherò mai e poi mai
informazioni online
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che siano imbarazzanti
se viste da nonna Dawnie".
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Provatelo, è davvero efficace.
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Nel corso della storia,
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c'è sempre stato uno scambio
tra libertà e uguaglianza
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nella ricerca della prosperità.
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Il mondo è sempre rimasto nel circolo:
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accumulare ricchezza per ridistribuirla.
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Dato che le tensioni
tra classi più e meno agiate
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stanno scoppiando in molti Paesi,
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è nell'interesse di tutti,
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comprese le grandi società di dati,
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prevenire questa nuova forma
di disuguaglianza.
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Certo, la proprietà privata di dati
non è la soluzione perfetta o completa
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alla profonda e complessa domanda
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su cos'è che crea
una buona società digitale.
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Ma secondo la McKinsey,
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l'IA porterà 13 trilioni di dollari
all'economia nei prossimi 10 anni.
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I dati generati dai singoli
contribuiranno senza dubbio
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a questa enorme crescita.
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Non dovremmo considerare
almeno un modello economico
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che dia dei poteri alle persone?
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E se la proprietà privata ha aiutato
più di 850 milioni di persone
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a uscire dalla povertà,
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è nostro dovere,
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e lo dobbiamo alle future generazioni,
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creare un'economia di IA più inclusiva
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che dia potere alle persone
oltre che alle società.
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