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Ken Goldberg: 4 lezioni dai robot su come essere umani

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    So che vi suonerà strano,
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    ma io credo che i robot ci possano ispirare
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    ad essere persone migliori.
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    Sono cresciuto a Bethlehem, in Pennsylvania,
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    la patria della Bethlehem Steel.
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    Mio padre era un ingegnere,
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    e nel tempo mi ha insegnato
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    come funzionano le cose.
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    Sviluppavamo assieme progetti,
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    come modellini di razzi e macchinine da corse.
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    Questo è il go-kart che abbiamo costruito insieme.
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    Dietro il volante ci sono io,
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    con mia sorella e il mio migliore amico dell'epoca,
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    e un giorno
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    lui rientrò a casa, io avevo circa 10 anni,
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    e a cena annunciò
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    che per il nostro prossimo progetto avremmo costruito un robot.
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    Un robot!
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    Io ero davvero emozionato all'idea,
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    perché a scuola
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    c'era un bullo di nome Kevin,
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    che mi prendeva in giro
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    perché ero l'unico ragazzino ebreo della classe.
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    Quindi non vedevo l'ora di iniziare a lavorarci
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    per poter presentare a Kevin il mio robot.
    (Risate)
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    (Rumori robotici)
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    Ma non era questo il tipo di robot che mio padre aveva in mente.
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    Possedeva un'azienda specializzata in cromatura,
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    in cui si dovevano spostare
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    pesanti pezzi d'acciaio tra vasche di prodotti chimici,
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    quindi aveva bisogno di un robot industriale come questo
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    per sollevare i carichi pesanti.
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    Ma nemmeno mio padre ottenne il robot che desiderava.
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    Ci lavorammo per diversi anni,
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    ma erano gli anni '70,
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    e la tecnologia disponibile per i dilettanti
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    non era ancora abbastanza sviluppata.
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    Perciò papà continuò a fare questo lavoro a mano,
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    e qualche anno dopo
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    gli fu diagnosticato il cancro.
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    Ciò che il robot che cercavamo di costruire
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    gli stava dicendo non riguardava i carichi pesanti.
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    Era un segnale dell'esposizione ai prodotti chimici tossici.
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    Lui all'epoca non se ne rese conto,
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    si ammalò di leucemia
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    e morì all'età di 45 anni.
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    La sua morte mi distrusse,
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    e non dimenticai mai il robot che avevamo cercato di costruire insieme.
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    All'Università decisi di studiare ingegneria come lui.
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    Frequentai la Carnegie Mellon, e feci il dottorato in Robotica.
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    Studio i robot da allora.
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    Ciò di cui vorrei parlarvi
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    riguarda quattro progetti di robot
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    e come mi abbiano ispirato ad essere una persona migliore.
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    Nel 1993 ero un giovane professore della USC
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    e stavo avviando il mio laboratorio di robotica.
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    Era l'anno in cui nacque il World Wide Web.
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    Ricordo che furono
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    i miei studenti a parlarmene
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    e ne fummo davvero colpiti.
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    Iniziammo a smanettarci, e quel pomeriggio
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    capimmo che avremmo potuto usare questa nuova interfaccia universale
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    per permettere a chiunque nel mondo
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    di azionare il robot nel nostro laboratorio.
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    Quindi, invece di crearlo per combattere, o lavorare nell'industria,
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    decidemmo di costruire una macchina piantatrice
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    metterci al centro il robot,
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    e chiamarl Telegarden.
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    Avevamo messo una telecamera sulla pinza
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    del braccio robotico, creammo alcuni script speciali
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    e un software che permetteva a chiunque nel mondo di accedere
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    e, cliccando sullo schermo,
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    di muovere il robot
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    e di visitare il giardino.
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    Avevamo anche creato altri software
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    che permettevano di aiutare ad innaffiare il giardino
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    a distanza, e dopo averlo innaffiato un paio di volte,
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    venivano dati dei semi da piantare.
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    Certo, era un progetto di ingegneria,
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    e pubblicammo degli studi sulla progettazione
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    del sistema, ma lo vedevamo anche
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    come un'installazione artistica.
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    Dopo il primo anno, ci fu chiesto
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    dall'Ars Electronic Museum in Austria
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    di installare il progetto all'ingresso,
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    e sono felice di poter dire che rimase lì online,
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    24 ore al giorno, per quasi nove anni.
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    Quel robot fu azionato da più persone
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    di qualsiasi altro robot nella storia.
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    Un giorno,
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    ricevetti una chiamata improvvisa
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    da uno studente,
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    che mi fece una domanda semplice ma profonda.
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    Mi chiese: "Quel robot è reale?".
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    Tutti gli altri lo avevano dato per scontato,
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    e noi sapevamo che era vero perché ci avevamo lavorato.
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    Ma io capivo cosa volesse dire,
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    perché sarebbe stato possibile fare un po' di foto
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    ai fiori di un giardino e, in sostanza, indicizzarli
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    in un sistema in modo da simulare
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    la presenza di un robot, anche se non c'era.
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    E più ci pensavo, meno riuscivo
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    a trovare una buona risposta che gli facesse riconoscere la differenza.
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    Fu proprio nel periodo in cui mi offrirono il posto
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    qui a Berkeley,
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    e quando arrivai feci visita a Hubert Dreyfus,
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    un professore di filosofia famoso in tutto il mondo.
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    Gliene parlai e lui disse:
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    "Questo è uno dei problemi più antichi e fondamentali
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    della filosofia. Risale allo scetticismo
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    e arriva fino a Cartesio.
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    È il problema dell'epistemologia,
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    lo studio su come facciamo a sapere se qualcosa sia vero."
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    Iniziammo a lavorare assieme
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    e coniammo un nuovo termine: telepistemologia,
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    lo studio della conoscenza a distanza.
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    Invitammo artisti di primo piano, ingegneri
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    e filosofi a scrivere saggi a riguardo
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    e i risultati sono tutti in questo libro,
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    edito dalla MIT Press.
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    Quindi, grazie a questo studente che ha messo in dubbio
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    ciò che chiunque altro aveva dato per scontato,
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    questo progetto mi ha insegnato una lezione di vita:
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    mettere sempre in dubbio le ipotesi.
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    Il secondo progetto di cui vi parlerò
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    è figlio del Telegarden.
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    Nel periodo in cui era in funzione, io e i miei studenti volevamo capire
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    come le persone interagissero tra loro
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    e come utilizzassero il giardino.
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    Perciò ci chiedemmo: e se il robot potesse uscire
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    dal giardino e spostarsi in un altro
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    ambiente interessante?
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    Se potesse andare, ad esempio ad una cena
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    alla Casa Bianca? (Risate)
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    Dal momento che eravamo più interessati al progetto del sistema
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    e all'interfaccia utente che all'hardware,
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    decidemmo che, invece di
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    sostituire l'essere umano con un robot per andare alla cena,
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    avremmo sostituito il robot con un essere umano.
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    Lo chiamammo il Tele-Attore.
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    Scegliemmo una persona
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    molto estroversa e socievole
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    e la equipaggiammo di un casco
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    con diversi strumenti: telecamere, microfoni
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    e uno zaino con connessione wireless;
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    l'idea era che potesse entrare in un ambiente interessante
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    e lontano e poi, tramite Internet,
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    le persone potessero sperimentare la stessa cosa,
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    in modo da vedere ciò che lei vedeva,
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    e soprattutto potessero partecipare
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    interagendo gli uni con gli altri,
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    proponendo idee su come avrebbe dovuto comportarsi
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    e dove sarebbe dovuta andare,
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    per poi trasmettere queste idee al Tele-Attore.
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    Ci fu data la possibilità di portare il Tele-Attore
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    ai Webby Awards a San Francisco,
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    l'anno in cui il presentatore era Sam Donaldson.
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    Appena prima che si alzasse il sipario, in 30 secondi
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    spiegai a Donaldson cosa avremmo fatto
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    e gli dissi: "Il Tele-Attore
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    si unirà a lei sul palco,
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    è un nuovo progetto sperimentale:
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    le persone lo seguono dai loro schermi,
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    il Tele-Attore ha delle telecamere,
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    dei microfoni e un auricolare nell'orecchio,
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    e la gente in rete gli dà consigli
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    su come comportarsi".
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    E lui disse "Aspetta un attimo,
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    ma questo è quello che faccio io!". (Risate)
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    Gli piacque molto l'idea,
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    e quando il Tele-Attore salì sul palco,
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    andò dritta verso di lui e gli diede un bacio
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    sulle labbra. (Risate)
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    Noi eravamo davvero stupiti.
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    Non ce lo aspettavamo.
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    E lui fu grandioso. Per tutta risposta, l'abbracciò
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    e andò tutto benissimo.
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    Quella sera, mentre mettevamo a posto,
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    chiesi al Tele-Attore in che modo i Tele-Registi
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    avessero deciso di farle dare un bacio a Sam Donaldson.
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    E lei disse che non lo avevano deciso loro.
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    Disse che poco prima di salire sul palco,
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    i Tele-Registi stavano ancora discutendo sul da farsi,
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    allora lei salì sul palco e fece
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    quello che le sembrò più naturale. (Risate)
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    Quindi, il successo del Tele-Attore quella sera
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    nacque dal fatto che lei fosse un'attrice fantastica.
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    Sapeva quando fidarsi del proprio istinto.
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    Dunque questo progetto mi ha insegnato un'altra lezione di vita:
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    nel dubbio, improvvisa. (Risate)
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    Il terzo progetto è nato
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    dall'esperienza fatta quando mio padre era in ospedale.
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    Si stava sottoponendo ad una terapia,
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    una cura chemioterapica, ed esiste un'altra terapia
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    chiamata brachiterapia, in cui minuscoli semi radioattivi
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    vengono inseriti nel corpo per curare i tumori.
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    E come potete vedere qui,
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    i chirurghi inseriscono aghi nel corpo
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    per posizionare i semi, e tutto ciò -
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    tutti gli aghi vengono posizionati in parallelo,
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    quindi capita spesso che alcuni aghi
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    penetrino organi delicati, e di conseguenza,
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    danneggino questi organi, causando danni
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    che portano a traumi ed effetti collaterali.
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    Allora io e i miei studenti ci chiedemmo se
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    potessimo modificare il sistema
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    in modo che gli aghi entrassero da diverse angolazioni.
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    Abbiamo fatto una simulazione, sviluppato
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    degli algoritmi di ottimizzazione e, in simulazione,
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    abbiamo dimostrato di essere in grado di evitare
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    gli organi delicati pur raggiungendo la copertura
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    dei tumori con le radiazioni.
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    Al momento stiamo lavorando con dei dottori della UCSF
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    ed ingegneri della John Hopkins,
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    e stiamo costruendo
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    un robot specializzato, con diverse articolazioni che permettono
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    di inserire gli aghi da infinite angolazioni diverse.
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    E come potete vedere qui, riescono a evitare gli organi delicati
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    e arrivare comunque nei punti interessati.
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    Quindi, mettendo in dubbio, il presupposto che tutti gli aghi
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    debbano essere paralleli, da questo progetto ho imparato
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    una lezione importante: nel dubbio,
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    se il sentiero è bloccato, giragli intorno.
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    Anche l'ultimo progetto ha a che fare con la robotica medica.
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    Nasce da un sistema chiamato
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    robot chirurgico da Vinci,
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    un dispositivo in commercio.
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    È stato usato in più di 2000 ospedali in tutto il mondo:
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    l'idea di base è permettere al chirurgo
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    di operare comodamente nel suo sistema di riferimento,
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    ma molti dei compiti minori in chirurgia,
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    come la sutura, sono monotoni e ripetitivi,
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    e oggi sono tutti compiuti
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    sotto controllo diretto ed esclusivo del chirurgo,
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    che col passare del tempo si affatica.
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    Ci siamo chiesti
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    se fosse possibile programmare il robot
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    per fargli compiere alcuni compiti minori,
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    permettendo al chirurgo di concentrarsi
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    sulle parti più complesse dell'operazione
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    e ridurre inoltre i tempi in sala operatoria,
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    nel caso in cui il robot compiesse queste attività un po' più velocemente.
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    È difficile programmarli a svolgere attività delicate
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    come questa, ma il mio collega, Pieter Abbeel,
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    che lavora qui a Berkeley, ha sviluppato
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    una nuova serie di tecniche per insegnare ai robot tramite l'esempio.
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    È riuscito a far loro pilotare elicotteri,
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    anche con acrobazie incredibilmente interessanti e belle,
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    solamente tramite l'osservazione di piloti esperti.
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    Ci siamo quindi procurati uno di questi robot,
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    abbiamo iniziato a lavorare con Peter e i suoi studenti,
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    e abbiamo chiesto a un chirurgo di eseguire
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    un compito tramite il robot:
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    dopodiché, noi chiediamo al robot
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    di eseguire il compito,
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    e registriamo i suoi movimenti.
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    Ecco un esempio. Userò il numero otto,
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    disegnando il numero otto come esempio.
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    Ecco cosa appare quando il robot -
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    ecco cosa ha tracciato il robot,
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    in questi tre esempi.
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    Sono molto meglio di quelli che farebbe un principiante
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    come me, ma sono comunque imprecisi e irregolari.
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    Quindi registriamo tutti questi esempi, i dati,
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    e poi eseguiamo una serie di fasi.
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    In primis, usiamo una tecnica chiamata curvatura spazio-temporale dinamica
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    proveniente dal riconoscimento vocale, così da
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    allineare provvisoriamente tutti gli esempi,
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    dopodiché applichiamo il filtro di Kalman,
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    una tecnica che proviene dalla teoria dei controlli, che ci permette
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    di analizzare statisticamente tutto il rumore
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    ed estrarne la traiettoria desiderata che ne è alla base.
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    Dopodiché prendiamo le dimostrazioni umane,
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    tutte rumorose e imperfette,
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    e ne estraiamo una traiettoria dedotta del compito
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    e la sequenza di controllo del robot.
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    Poi lo eseguiamo sul robot,
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    osserviamo cosa succede,
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    e sistemiamo i controlli usando una sequenza di tecniche
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    chiamate apprendimento iterativo.
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    Dopodiché aumentiamo un po' la velocità,
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    osserviamo i risultati, sistemiamo di nuovo i controlli,
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    e osserviamo cosa succede.
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    Ripetiamo il tutto diverse volte,
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    ed ecco il risultato.
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    Questa è la traiettoria del compito,
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    ed ecco il robot che si muove a velocità umana.
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    Qui a quattro volte la velocità umana,
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    qui a sette volte.
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    Ed ecco il robot che opera a dieci volte
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    la velocità umana.
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    Quindi siamo in grado di far compiere ad un robot un compito delicato,
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    come un'attività chirurgica minore,
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    a dieci volte la velocità umana.
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    Questo progetto, grazie all'esercizio che richiede
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    e all'apprendimento, al fare una cosa ripetutamente,
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    insegna una lezione, ossia:
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    se desideri fare bene qualcosa,
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    non si scappa: devi fare esercizio, esercizio, esercizio.
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    Ecco dunque quattro lezioni che ho imparato
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    dai robot negli anni,
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    e il campo della robotica è migliorato molto
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    nel tempo.
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    Oggi uno studente delle superiori può costruire
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    robot simili a quello industriale che provai a costruire con mio padre.
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    E ora ho una figlia,
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    che si chiama Odessa.
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    Ha otto anni,
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    e anche a lei piacciono i robot.
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    Dev'essere genetico. (Risate)
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    Vorrei tanto che avesse potuto conoscere mio padre.
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    E ora sono io ad insegnarle come funzionano le cose,
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    Insieme elaboriamo dei progetti, e mi chiedo
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    quali lezioni ne trarrà.
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    I robot sono le più umane
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    tra le nostre macchine.
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    Non possono risolvere tutti i problemi del mondo,
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    ma credo che abbiano qualcosa di importante da insegnarci.
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    Vi invito tutti a pensare alle innovazioni
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    a cui siete interessati,
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    alle macchine che desiderate,
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    e a pensare a cosa potrebbero dirvi,
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    perché ho il presentimento
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    che molte delle nostre innovazioni tecnologiche,
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    i dispositivi che sogniamo,
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    possano ispirarci ad essere essere umani migliori.
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    Grazie. (Applausi)
Title:
Ken Goldberg: 4 lezioni dai robot su come essere umani
Speaker:
Ken Goldberg
Description:

Più i robot diventano parte della nostra vita quotidiana, più siamo costretti a esaminarci come persone. A TEDxBerkeley, Ken Goldberg condivide con noi quattro lezioni molto umane che ha imparato lavorando coi robot. (Registrato a TEDxBerkeley.)

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English
Team:
closed TED
Project:
TEDTalks
Duration:
17:09
Anna Cristiana Minoli approved Italian subtitles for 4 lessons from robots about being human
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Anna Cristiana Minoli edited Italian subtitles for 4 lessons from robots about being human
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