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Title:
Basta formazione, Iniziamo a parlarne. Leondra Hanson. TEDxMinneapolis
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Description:
Sulla scia del movimento #MeToo, la gente continua a porre all’avvocato e formatrice Leondra Hanson la stessa domanda: “Che cosa facciamo adesso?”. Traendo spunto dalle sue osservazioni professionali e dalle sue esperienze personali, Hanson sostiene che dobbiamo cambiare le nostre conversazioni sulle molestie sessuali e sulla violenza. Dai programmi di formazione aziendale nei nostri luoghi di lavoro alle nostre interazioni personali con l’altro, ci esorta a reinventare come parliamo di violenza sessuale.
Leondra Hanson è entrata a far parte della facoltà del College of Liberal Arts di Hamline University nel 2008 dove ora insegna corsi attraverso il curriculum legale e presiede il dipartimento di studi legali. Il lavoro accademico e professionale di Hanson si concentra sulle donne e sul diritto, sulle molestie sessuali e sull’educazione legale. Prima che la professoressa Hanson insegnasse legge, faceva pratica, lavorando su casi di violenza sessuale, discriminazione e proprietà immobiliari - un’ampia gamma. Hanson amava il lavoro di consulenza e di difesa nel rappresentare i clienti su entrambi i lati. La sua specialità era di semplificare il complesso e di far sentire le persone a proprio agio durante il processo di contenzioso, una capacità che ha, senza dubbio, portato con sé nel mondo accademico. Hanson si è laureata al Concordia College di Moorhead, MN e JD presso l’Università del Minnesota. Ha fornito consulenza, prevenzione dei rischi e formazione di professionisti nelle risorse umane, in ambito legale, di difesa e nel settore immobiliare. La professoressa Hanson è un ex membro del consiglio di amministrazione della Coalizione del Minnesota contro l’aggressione sessuale e ha fatto parte dell’unità operativa dell’associazione legale alternativa dell'ordine degli avvocati del Minnesota.
Questo discorso è stato tenuto in occasione di un evento TEDx utilizzando il formato della conferenza TED ma organizzato autonomamente da una comunità locale. Ulteriori informazioni su https://www.ted.com/tedx
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Quando lo scorso anno
il Movimento #MeToo divenne virale
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fu scostata la tenda
e svelato un problema
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che da tempo era stato celato
agli occhi di tutti.
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Non restammo scioccati o sorpresi
nel venire a conoscenza di tali fatti,
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non si trattava di nuove statistiche.
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Ciò che in effetti venne svelato
fu la nostra carenza nell’agire,
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la nostra inadeguatezza nel reagire.
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Il Movimento Me Too raccolse le storie,
diede loro un volto e un nome,
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le portò avanti e ce le mise di fronte
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sollevando una nuova questione.
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Ci disse: “Abbiamo intenzione
di fare qualcosa al riguardo?"
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È per questo che, in qualità di avvocato,
insegnante e formatrice,
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la domanda che mi è stata posta
più frequentemente negli ultimi mesi è:
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“Allora, cosa facciamo adesso?"
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Cosa facciamo adesso?
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Per ciascuno dei miei ruoli dovrei essere
in grado di stilare un mucchio di idee,
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ma quando mi è stata fatta
questa domanda,
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non ho avuto nessuna grande intuizione.
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La prima volta in cui qualcuno
mi ha posto questa domanda, d'istinto
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ho detto la prima cosa
che mi veniva in mente, e cioè:
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“Penso che dovremmo
continuare a parlarne”.
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E ripensando alla risposta data
mi sono detta:
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“Non è forse troppo riduttivo?"
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Tuttavia, nel corso degli ultimi mesi
ho raccolto molte testimonianze
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in svariati contesti, formali e informali,
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da ogni genere di persone,
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e credo che la gente
si senta davvero a disagio.
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Continuo a ricevere i soliti commenti
e a sentire le stesse domande.
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La gente dice cose del tipo:
Cosa ne dici degli abbracci? Vanno bene?
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Devo aprire la porta del mio ufficio?
È sbagliato fare riunioni a porte chiuse?
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Mi innervosisco quando faccio
un complimento a una collega.
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E tutti vogliono parlare del limite.
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Perché c'è un limite, giusto?
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Certi comportamenti sono peggiori di altri
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Sono giunta alla conclusione
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che #MeToo rappresenti
un’opportunità per una resa dei conti
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ma sembriamo così ansiosi
di trovare una forma di riconciliazione.
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Esiste qualche nuova regola
da applicare per poter andare avanti?
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Penso che possiamo passare
dall’essere giudicati alla riconciliazione
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ma non finché non cambieremo discorso.
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Fortunatamente, come dovrebbe fare
ogni brava relatrice di Ted,
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mi sono munita di cinque punti,
finalizzati al cambiamento del discorso.
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(Risate)
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Punto primo, dobbiamo smettere
di fare formazione e cominciare a parlare.
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Dobbiamo smettere di fare formazione
sulle molestie sessuali.
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E penso che gli avvocati e chi si occupa
di risorse umane presenti in sala
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possano sentirsi un po' indispettiti.
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Per metterci tutti d’accordo,
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ho optato per una rapida formazione
sulle molestie sessuali di 30 secondi.
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Per fare ciò, ho rispolverato
una vecchia presentazione Powerpoint
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che utilizzai 15 anni fa
su questo argomento.
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Ed eccoci qua.
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Formazione in 30 secondi
sulle molestie sessuali.
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Ce ne sono di due tipi.
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Servono un sacco di parole
per spiegare queste due tipologie,
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specialmente la seconda.
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Persino i tribunali non sono
del tutto sicuri di cosa si tratti,
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sanno a malapena trattare di bullismo,
ma non è sufficiente.
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Non preoccupatevi,
si tratta solo di ciò che è illegale.
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Il vostro datore di lavoro
può porre maggiori limiti,
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segnalare un video inappropriato
recitato goffamente
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su un massaggio alle spalle
nella stanza delle fotocopie,
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(Risate)
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un promemoria per ricordarvi di chiamare
le risorse umane per qualsiasi dubbio.
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Non dimenticate che i supervisori possono
essere individualmente responsabili.
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Non siate minacciosi e visti come tali.
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(Applausi) (Urla)
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La formazione sulle molestie sessuali
non è cambiata
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negli ultimi decenni.
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Adesso puoi farla anche online
senza dover incontrare un’altra persona.
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(Risate)
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Ci si è sforzati di cambiarla
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ma il problema legato
alla formazione su tali molestie
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è che è radicato nella prevenzione
del rischio stesso.
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La formazione sulle molestie sessuali
esiste perché i tribunali dicono,
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“Datori di lavoro, se fate questi corsi
evitate responsabilità se accade qualcosa",
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La formazione sulle molestie sessuali
è nata dalle controversie giudiziarie
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ed è stata incrementata dagli avvocati.
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Ora, per il bene dei miei tre figli,
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essere stati cresciuti da avvocati
non è stato il peggior metodo educativo.
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(Risate)
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Ciononostante, è giunta l’ora
in cui la formazione sulle molestie sessuali
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prenda le distanze
da questa cornice di condiscendenza
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perché conversare è rischioso.
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Non saremo mai in grado di passare
dalla rivalsa alla riconciliazione
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se non siamo disposti
a percorrere un cammino rischioso.
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Punto secondo,
dobbiamo correre qualche rischio.
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Conversare è rischioso.
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Uno dei rischi da affrontare
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consiste nell'essere disposti
ad ammettere i nostri errori.
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Non ci siamo sempre impegnate
fino in fondo in questo tipo di discorsi
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e dobbiamo essere disposte ad ammetterlo.
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Nelle aziende, se i leader
possono farsi avanti e dire:
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“Sai, una volta la vedevo in questo modo
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ma ora la penso diversamente”.
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Questo spiana la strada
ad altre persone a fare lo stresso.
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Ma parlare di cose
che abbiamo sbagliato fa paura.
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Quindi comincio io.
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Questa sono io.
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Sono quella coi capelli ricci.
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Mentre la ragazza molto più giovane,
carina e bionda è la mia sorellina,
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e questo è il nostro cavallo,
si chiama Jim.
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Ho amato la mia infanzia nel Montana
e ho amato quella ragazza
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così forte e autonoma,
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anche se c’erano ancora
molte cose che ignorava.
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Una di queste
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è che se mi aveste chiesto all’epoca
e negli anni a seguire,
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se fossi una femminista,
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probabilmente la mia risposta
sarebbe stata “No”, ok?
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Poi, iniziando a vivere, ascoltare
e apprendere, la mia prospettiva è cambiata
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Ho ritenuto ci fosse spazio per tutti
al tavolo delle pari opportunità,
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persino per chi tra noi
guida col cambio manuale
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sella un cavallo e sculaccia un maiale.
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(Risate)
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Siamo tutti in viaggio,
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e dobbiamo essere consapevoli
dei nostri errori.
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Il rovescio della medaglia,
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è che dobbiamo essere aperti
anche ai viaggi degli altri,
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lasciare che commettano errori.
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Se ogni volta che in questo discorso
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pensiamo che qualcuno
stia sbagliando qualcosa,
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e la nostra reazione è di radunare
il nostro stormo di uccellini blu
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per mandarli su internet
a beccare fino alla morte,
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di certo non inviteremo la gente
a unirsi al discorso,
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non faremo che allontanarla.
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(Applausi)
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Punto terzo, abbiamo trovato del tempo
e abbiamo deciso di correre dei rischi.
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Di cosa stiamo parlando invece?
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Dobbiamo poter parlare
di potere, consenso, interruzione.
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Quando pensiamo alle notizie
che abbiamo visto
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che trattano casi di molestie sessuali
e violenze sessuali,
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è facile individuare dove sta il potere.
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Le persone nei notiziari
sono ricchi politici.
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Sono magnati dei media
che hanno controllo e potere
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non solo all’interno del loro ambiente,
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ma anche sulle leggi
e sulla mentalità popolare.
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Non devi essere un magnate dei media
o un ricco politico per avere potere.
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Il potere può esistere in una comunità,
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si tratta banalmente
di avere informazioni che altri non hanno,
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avere il controllo sui soldi di un altro.
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Può essere il parlare una lingua.
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Bisogna identificare il potere
e chi lo detiene nel nostro contesto,
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se ne abbiamo un po' e di che tipo è.
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Perché la violenza sessuale prospera
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quando le cattive intenzioni
incontrano il potere, l’occasione,
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e un basso rischio di essere puniti.
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Occorre identificare e parlare del potere.
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Ma i nostri discorsi sembrano
sempre andare nella stessa direzione
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e cioè quella di una storia finita male,
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un episodio sfortunato,
una comunicazione fraintesa.
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Penso che qualcosa
di più sinistro accada
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in quasi tutte le storie che conosciamo.
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Ma anche se a volte il problema
è dato dalla cattiva comunicazione
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allora perché non parliamo di permesso?
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Non parliamo di permesso
nell’educazione sessuale ai nostri figli,
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e non ne parliamo durante
la formazione nei posti di lavoro.
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E qui nello stoico Minnesota
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non sono sicura che ne stiamo parlando.
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Dobbiamo parlare di permesso.
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Quando dovremmo richiederlo?
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Come richiederlo?
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E come si fa a negarlo?
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(Applausi)
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Dobbiamo anche parlare di interruzione;
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non ci vuole molto
per trovare un testimone
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che non sapeva cosa fare o cosa dire
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o più semplicemente
ha scelto di non farlo.
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Perché è molto più semplice,
quando una nostra collega ci confida:
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“Sai, Bob mi fa sentire
davvero a disagio”,
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che il nostro primo pensiero
sia sempre: “È’ solo Bob”.
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Perché è così difficile chiedere
“Come mai?”, “Tutto bene?"
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“C’è qualcosa che posso fare?"
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Abbiamo bisogno di parlare di potere,
permesso e interruzione.
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Quarto punto, abbiamo bisogno
che la gente si presenti alle discussioni.
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Tengo molti discorsi su questi argomenti
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e spesso mi ritrovo a fissare
una mare di volti femminili.
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Ho fatto i cosiddetti
"calcoli dell’avvocato"
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durante le ultime due presentazioni
che ho tenuto,
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per vedere quali fossero le statistiche,
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e ho contato
che meno del 10% delle persone
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che partecipano a una discussione
#MeToo o a una sulle molestie sessuali
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sono uomini.
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Eppure, continuo
a ricevere questa domanda,
¶
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di solito da donne alle conferenze:
¶
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“Cosa fare con gli uomini così
perbene nel mio ufficio?
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Lavoro con uomini davvero perbene
che vorrebbero fare qualcosa.
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Si sentono a disagio.
Come posso aiutarli?"
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La mia risposta è piuttosto semplice:
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partecipare.
-
Signori, abbiamo bisogno
che vi presentiate a questi incontri.
-
Anzi, come non detto.
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Voi avete bisogno
di presentarvi a questi incontri.
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Il 3% degli uomini subirà uno stupro
o un tentato stupro,
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e questi sono solo quelli denunciati.
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Molti di noi in questa stanza potrebbero
non subire mai una violenza sessuale;
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la maggior parte di noi
non commetterà mai una violenza sessuale.
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Ma avrà comunque un impatto su tutti noi.
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Ha un impatto su di noi adesso e in ogni
dialogo che sosteniamo nel posto di lavoro
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Quindi, la mia sfida, la mia speranza,
è che quando gli uomini si domandano
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se debbano aprire la porta
dei loro uffici per essere sicuri,
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certo, aprite la porta.
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Ma potete anche aprire
gli occhi, i cuori e le menti
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alle storie che #MeToo ci sta raccontando
e alla realtà di quelle storie?
-
Punto cinque: dobbiamo
mandare in pensione questo spettro.
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Siccome ne parliamo ogni momento,
-
da un lato, ecco la roba
che non è un grosso problema
-
e che probabilmente
dovresti superare.
-
Qui sotto c’è la roba
davvero terrificante.
-
È davvero orribile.
-
Non ci piace parlare dei fatti orribili,
-
praticamente mai.
-
Tendiamo a concentrarci
sui fatti più facili da superare,
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soprattutto al lavoro
e nella nostra formazione.
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Potremmo anche
non riuscire a superarli,
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perché quando parliamo
di abbracci e complimenti,
-
non credo nemmeno
che siano oltre il limite.
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Amo gli abbracci e i complimenti,
sono fantastici.
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Il problema di abbracci e complimenti
sussiste solo quando se ne abusa,
-
quando sono usati
per sminuire anziché sollevare.
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Ma passiamo così tanto tempo
al limite di quello spettro
-
che non riusciamo a indagare
su ciò che sta succedendo davvero,
-
e comunque non vogliamo credere
alla fine spaventosa.
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Vogliamo estrarre tutto da lì
e classificarlo qui.
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Allora, il punto è questo:
non è uno spettro.
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È un sistema.
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E finché non ci abitueremo all’idea
che potrebbe essere complicato
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parlare della sua interdipendenza,
delle sue complessità,
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allora non lo smantelleremo,
-
e abbiamo bisogno
di smantellare il sistema.
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Nella formazione utilizziamo un concetto
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che si chiama “il perché convincente”.
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L’idea di fondo è che se sappiamo
perché stiamo facendo qualcosa,
-
la faremo meglio,
la apprenderemo meglio
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e capiremo di più.
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Dobbiamo cambiare il motivo
di questa conversazione.
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Non possiamo non farlo
per evitare di essere denunciati.
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Dobbiamo avere un motivo più valido.
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E nel cercare di trovare motivi più validi
-
ci siamo inventati cose tipo:
“È meglio come risultato finale".
¶
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C’è un caso aziendale per questo:
-
se rendiamo davvero il posto di lavoro
più sicuro e migliore,
-
avremo una forza lavoro migliore,
produrremo più lavoro”.
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E questo è un motivo più valido,
-
anche se continuo a pensare
che non sia “il” motivo.
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Voglio raccontarvi il motivo per cui parlo
di violenza e molestie sessuali,
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il mio perché convincente.
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Ho una storia #MeToo da raccontarvi.
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Questa storia #MeToo non riguarda me.
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Questa è Suzie.
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Ho conosciuto Suzie
quando mi sono innamorata di suo fratello,
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e siamo diventate una famiglia
quando l’ho sposato.
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Quando sono entrata a far parte
della famiglia Hanson,
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Suzie era già stata violentata.
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Non ne ho mai realmente parlato con lei.
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Non sapevo molto
di quello che era successo.
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Quello che sapevo vi suonerà
molto familiare:
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ha subito violenza sessuale al lavoro,
il suo lavoro part-time,
-
da qualcuno con il potere.
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Qualcuno poteva intervenire
e interrompere ma non l’ha fatto.
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Tutti volevano che se ne facesse
una ragione e lo superasse.
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C’era una causa in corso
e non poteva comunque parlarne.
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Quindi, non ne abbiamo mai
veramente parlato.
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Notavo che Suzie si sforzava
di fare tutte quelle cose,
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per superare e andare avanti,
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ma anche nei momenti felici
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portava con sé paura e rabbia
e un’ombra di vergogna.
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Solo più tardi compresi
che dietro quell'ombra
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c’erano i sintomi di un disturbo
da stress post-traumatico.
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Suzie e io facemmo una sola chiacchierata
di cui ho un ricordo molto nitido.
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Sapevo che finalmente era in terapia.
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Era l'estate del 2000 e le chiesi:
“Come sta andando?"
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Lei mi rispose “Abbastanza bene”
e poi disse “È un po' difficile, però".
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Le chiesi “Perché?"
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Mi disse:
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“Il mio terapista vuole che racconti
tutta la storia di ciò che mi è successo.
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Non ho mai raccontato tutta la storia”.
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Mi sentii spaventata e nervosa.
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Non ero sicura
di voler sentire tutta la storia .
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Non vogliamo sentire le cose orribili.
-
Quindi le dissi:“Perché no?"
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e mi rispose:“Sono così spaventata",
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non avrei mai più ascoltato
la storia di Suzie.
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Non ne avrei mai più parlato con lei.
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Rivelò i dettagli più spaventosi
al suo analista e ai suoi genitori,
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e poi morì suicida.
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La lasciammo al suo disturbo
da stress post-traumatico.
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Non ne avremmo mai più parlato.
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La morte di Suzie è stato
un momento decisivo della mia vita.
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Non solo per il mio dolore,
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ma perché mi ha riservato
il posto in prima fila
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per la devastazione di una delle persone
che più amavo al mondo.
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Quello che ho imparato con gli anni
è che quell’unico atto di violenza
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ha esteso le conseguenze
a così tante persone.
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Non riguarda solo gli autori e le vittime
di violenze sessuali;
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Riguarda tutti noi.
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Le conseguenze furono enormi.
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Ci furono persino conseguenze
per i miei figli
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che non erano nemmeno nati.
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Sono passati 18 anni
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e le nostre vite sono piene
di risate, vitalità e divertimento,
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ma ho sentito la sua voce
e visto la sua storia
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nelle voci di clienti e studenti e #MeToo
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e mi sono spesso chiesta
perché il ciclo non cambi mai.
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È stato deprimente vedere la stessa cosa,
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lo stesso cerchio di vergogna
e silenzio, ancora e ancora.
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E poi, l’anno scorso,
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sono diventata un po' ottimista.
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Sembra un po' strano pensare
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che #MeToo
avrebbe potuto rendere ottimista chiunque,
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ma lo fece.
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E ho capito che la ragione
che mi rendeva ottimista
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è perché quando il movimento
ha raccolto queste storie
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e le ha piazzate lì davanti a noi
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e ci ha detto: “Avente intenzione
di fare qualcosa al riguardo?"
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ci siamo detti: “Sì!"
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Abbiamo detto: “Il tempo è scaduto!"
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Abbiamo detto, “Adesso basta".
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Cominciammo a chiedere alla gente come me:
“Cosa facciamo adesso?"
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L'energia della gente con cui parlai,
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anche se sanno
che non stanno andando bene
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e anche se sanno che è complicato,
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l’energia della gente con cui parlo
è: “Facciamo qualcosa al riguardo,
-
ha un impatto su tutti noi".
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Quindi, il mio compito per voi è:
“Sì, andiamo avanti".
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Cambiamo questo discorso:
-
fatevi vedere, ascoltate, fatevi avanti.
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E fai quello che il mio istinto
mi ha suggerito fin dall’inizio:
-
continuiamo a parlarne.
-
Grazie.
-
(Applausi)