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Per me questo momento, questo TEDx
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è particolarmente emozionante
e significativo.
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Di sicuro perché sono tra amici:
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voglio confessarlo subito,
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è un momento particolare,
sono nella mia città.
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Ma perché, per la prima volta,
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vi racconterò di qualcosa
che è stato, per me, un sogno,
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un sogno che oggi
cercherò di farvi rivedere
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con occhi forse diversi.
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E voglio anche raccontarvi
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quello che, per me,
può essere un nuovo sogno.
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Partiamo da qui.
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Partiamo da quello che è stato
un secolo straordinario, il XX secolo.
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Straordinario in tutti i sensi,
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perché è stato un secolo di guerre,
un secolo di grandi scoperte,
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di geni, di scienziati.
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Un secolo che ovviamente
dobbiamo definire grande:
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ha condizionato completamente
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tutti i modi di pensare, e di essere,
della nostra contemporaneità.
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È stato anche un secolo
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che io mi sono permesso
di definire "semplice",
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ma perché in realtà è stato un secolo
di correnti di pensiero, di ideologie,
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un secolo che ha aiutato
tantissimo le persone
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ad avere una chiara idea di futuro.
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Idee che potevano essere
in lotta tra loro.
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Idee chiare, rivoluzionarie:
ma erano idee,
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idee di un nuovo futuro,
di un modo nuovo di vedere il mondo.
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A un certo punto, poi, questo mondo,
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fatto anche di contrapposizioni,
come dicevo prima,
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un mondo che viveva
del bipolarismo USA-URSS,
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Un mondo che ad un certo punto
si sgretola con il suo muro.
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Si sgretola, e le cose
sembrano semplificarsi:
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in realtà si complicano terribilmente
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perché il sistema economico
diventa decisamente più complesso,
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il sistema finanziario
diventa più complesso:
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un mondo che viene definito poi globale,
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cioè un mondo in cui
i confini non ci sono più,
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ma le dinamiche ci sfuggono.
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Non lo so se è una conseguenza.
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È bellissimo leggere la storia
come un'allegoria fantastica.
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In realtà non c'è
una conseguenza logica,
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ma nasce un’invenzione
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che ha creato, dagli anni 2000 in poi,
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il XXI secolo,
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un'invenzione che da subito
è stata definita disruptive, egualitaria,
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un'invenzione che andava al di là
delle divisioni geografiche,
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andava al di là delle disuguaglianze
sociali ed economiche,
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un'invenzione che ha il nome di Internet.
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Pensate che, proprio nel momento
in cui è stata inventata,
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c'erano più soluzioni tecnologiche
che andavano in quella direzione.
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Il World Wide Web in realtà permetteva,
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anche rompendo una
delle catene di trasmissione,
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di poter comunque mantenere
il collegamento, la trasmissione dei dati.
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Fu questa il grande carattere innovativo:
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e non a caso fu pensato
in un periodo di Guerra Fredda
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in cui, anche interrompendo
la trasmissione,
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si poteva comunque comunicare.
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Il World Wide Web, l'Internet,
è parte, credo, del sogno di tutti noi,
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di tutti quelli che l'hanno vissuto:
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è stato il mio primo grande sogno,
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perché era un sogno,
come vi dicevo prima, sociale,
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un sogno nel quale, a un certo punto,
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la rivista "Wired Italia",
con il suo direttore Luna,
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cavalca a tal punto da dire:
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"Dobbiamo candidare Internet
al Nobel per la Pace."
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Eh sì, scrive Veronesi -
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ho preso un estratto di alcuni
dei tantissimi articoli di quel periodo -
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scrive Veronesi:
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"Se il Web vincesse il Nobel,
dimostreremmo agli osservatori due cose:
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che eravamo determinati
a volgerlo al miglior utilizzo
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nell'interesse dell'umanità intera."
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Cioè eravamo determinati
a cambiare l'umanità intera.
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Non si parla di tecnologia:
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qui si parla di umanità,
di socialità, anche di economia.
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Questo è il grande sogno
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che dagli inizi del 2000,
possiamo dire, tutti hanno coltivato.
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Riprendo appunto proprio Riccardo Luna
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che scrive qualche giorno fa,
o meglio qualche settimana fa,
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su la Repubblica,
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queste poche righe
che sono estremamente significative.
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"Il sogno è diventato forse realtà,
per me è diventata fortemente realtà;
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ma in quel luogo dove tutti
ci ritenevamo liberi, uguali,
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dove pensavamo a una vita
più umana, più onesta
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si sono affermate
delle piattaforme e delle regole.
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C'è un modello di business, oggi,
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che usa i nostri dati per tutto
tranne che per l'uguaglianza
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e che forse, anzi, mostra
proprio i nostri lati peggiori.
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È successo, così, che il più grande sogno
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e forse la stessa penna
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che aveva candidato Internet
al Nobel per la pace,
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scrive queste parole
così dure e così vere.
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Io mi sono dato delle spiegazioni.
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Voglio raccontarvi un po'
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quella che oggi è la realtà
del mondo della tecnologia.
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"Il sogno è diventato mercato", scrivo.
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Pensate solo che le grandi piattaforme,
"big tech" vengono chiamate,
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hanno una liquidità
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che oggi è pari al PIL
di uno Stato come la Svezia:
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potrebbero comprare tranquillamente
uno Stato, il debito di qualche Stato.
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Hanno una concentrazione di ricchezza
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come mai si è vista
nella storia economica mondiale.
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E poi c'è tutto un tema enorme,
un tema che conoscete tutti:
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il tema fiscale,
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un tema attualissimo,
un tema molto, molto europeo:
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come pagare meno tasse,
come non "restituire" i soldi allo Stato
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in cui in realtà
faccio profitto, eccetera.
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C'è anche un altro grandissimo tema,
che oggi viene chiamato "Gig Economy".
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Si parla molte volte, banalmente,
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della perdita dei posti di lavoro
per l’automazione;
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ma non è questo.
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È molto di più,
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perché oggi i sistemi intelligenti,
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come vengono chiamati
di "intelligenza artificiale",
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si basano tantissimo,
ancora, sul lavoro umano:
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ma è un lavoro che viene
"svalutato", in qualche modo.
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Pensate agli esempi della Silicon Valley,
dove mi raccontavano
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che per il riconoscimento
delle immagini nelle fotografie
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con l'intelligenza artificiale
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bisogna avere delle persone
che abbinano le immagini
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e dicono alla macchina:
quello è un cane, quella è una macchina.
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Questo lavoro manuale
è ancora fatto dagli uomini,
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questa economia del digitale
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in realtà sta portando a dei lavori
poco riconosciuti, poco retribuiti
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e poco valorizzanti.
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Ed ecco allora un altro ragionamento,
anche molto personale,
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quando si dice il "sogno disruptive",
questo sogno di innovazione, grandioso,
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oggi in realtà è molto meno vero.
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E le startup?
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Forse la domanda è:
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oggi potrebbe nascere
una Google, un Linux?
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Oggi c'è davvero ancora
quella possibilità creativa, dirompente,
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o forse il mercato si sta condizionando
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e anche lo sviluppo
tecnologico è condizionato?
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Pensate a questo dato:
il 75% dei venture capitalist
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supporta in USA imprenditori
di soli tre stati,
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in realtà di sole tre città
che sono New York, Chicago, San Francisco.
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E non stiamo parlando di disparità
tra Africa, Europa e USA;
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stiamo parlando di qualcosa
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che sta all’interno
dei confini degli stessi USA:
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dove c'è la più grande concentrazione
di venture capitalist
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e in realtà c’è completa disparità,
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ad esempio, per chi nasce in Texas
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per poter accedere
alle stesse opportunità.
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E credo ci sia molto poco
da dire su questo.
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Ed è la constatazione
che si è rotto il sogno democratico.
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Cambridge Analytica è un esempio
su cui è inutile soffermarsi.
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È molto bella la teorizzazione,
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la nuova teoria socio-economica
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della filosofa e sociologa Zuboff,
sul "Capitalismo della sorveglianza".
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Ve ne propongo un piccolo estratto,
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il cui senso è che noi
siamo la materia grezza,
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le nostre esperienze diventano
come dei future finanziari,
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le nostre esperienze sono quella cosa
da condizionare, da manipolare
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affinché possa essere venduta.
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E più viene condizionato
il nostro comportamento,
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maggiore ovviamente saranno
i risultati economici di profitto
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che possono fare i grandi
della tecnologia.
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Una violazione delle libertà a dir poco,
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una distruzione anche
del sogno democratico,
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perché ovviamente sulla politica
questo ha un impatto incredibile.
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L'ultima considerazione è, quindi,
che dobbiamo ammetterlo:
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noi siamo passati da un'idea di democrazia
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alla prima, più grande
e forse veramente unica nella storia,
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oligarchia.
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I quattro, cinque più ricchi al mondo
non sono detengono la ricchezza,
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sono anche coloro che possiedono,
come dice la Zuboff, le nostre esperienze,
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che condizionano la nostra esperienza.
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Oggi i grandi della tecnologia
non sono solo quelli che hanno più soldi,
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sono anche quelli che entrano
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in tutti i meandri
della nostra vita sociale,
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ed è una cosa inedita.
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È una concentrazione di potere unica.
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Oggi bisogna dirlo, bisogna agire,
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perché c'è un’oligarchia
a tutti gli effetti.
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Allora voglio porre
due grandi interrogativi,
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di cui sicuramente non ho una risposta,
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però sono due interrogativi
che tutti noi adesso dobbiamo porci.
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Il primo è:
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come si può tornare a essere padroni
di uno sviluppo digitale a misura d’uomo,
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tornare a credere nell'innovazione
a misura d’uomo, definiamola sostenibile.
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La seconda domanda è, ovviamente,
come amplificare la voce della politica:
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ma senza assolutamente tornare indietro,
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cioè senza frenare quella che è
l’innovazione digitale.
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Quando si pensa a queste domande
incredibili, enormi,
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nel sognare un cambiamento
dello sviluppo del mondo,
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ci si rende conto che è molto difficile;
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perché tutti vogliono cambiare il mondo,
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ma nessuno vuole cambiare
se stesso, come prima cosa:
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e come seconda cosa, perché non si sa
assolutamente da dove partire.
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Ho provato allora a sforzarmi
di dare una risposta,
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invitandovi però un'altra volta
alla consapevolezza
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che la risposta sarà data
da tutti noi insieme,
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non sarà data da una persona sola.
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La prima parte della mia risposta
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è sicuramente che dobbiamo partire
dalla comunità, dal locale, da qui.
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Ho voluto riportare questa indagine
del Forum delle famiglie
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dove su un campione
di qualche migliaio di persone,
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alla domanda su chi fossero i loro leader,
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il 93% identifica il proprio primo leader,
il proprio esempio da seguire,
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all'interno della famiglia.
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E quindi quando si pensa, sempre,
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che dobbiamo trovare il grande leader
che cambierà il mondo,
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in realtà nel piccolo,
nella comunità, c'è tutto.
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Proprio stamattina, per caso,
o forse non per caso,
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ho sentito questo documentario
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di come è stata fatta la prima linea
della metropolitana di Milano.
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La cosa fantastica
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è che il prestito al Comune
lo diedero i cittadini stessi, i milanesi,
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I milanesi han fatto un prestito al Comune
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perché serviva quello sviluppo,
quella linea della metropolitana.
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nel dopoguerra.
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È il senso della comunità,
che fa sviluppo.
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Porto un esempio personale:
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la Funivia del Monte Maddalena di Brescia,
il cui progettista è stato mio nonno,
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Come tutti sapete, poi si è chiusa.
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È stata la maggiore società
ad azionariato diffuso
-
che ci sia stata a Brescia,
dopo la banca;
-
ed è stato un progetto di comunità,
-
perché si voleva - e oggi
si vuole ritornare indietro -
-
portare i bresciani,
con la funivia, sulla Maddalena,
-
È questo senso della comunità
che crea sviluppo,
-
ed è il primo passo da cui partire.
-
E poi c'è un'altra cosa
di cui voglio parlarvi,
-
una novità di cui l'Italia, dopo gli USA,
-
è stata la prima
a certificare l’esistenza:
-
le società B-Corp.
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Ecco, è anche da qui che dobbiamo partire,
perché quando dobbiamo pensare oggi
-
a che cosa, effettivamente,
la comunità può fare -
-
perché un'idea non può
essere solo un'idea politica,
-
deve essere assolutamente
un'idea di progetto da cui partire,
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di progettazione comunitaria -
-
ecco allora c'è un modello, oggi,
ci sono queste società.
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Società Benefit, società a scopo di lucro
-
che però hanno l'unicità
-
di avere come obbligo,
all'interno dello Statuto,
-
il fatto di dover essere
a impatto sociale positivo.
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È un modello di società
-
che ha una caratteristica diversa
rispetto agli altri modelli societari,
-
e cioè che è riconosciuto
in tutto il mondo.
-
È il primo grande modello societario,
-
e "B-Corp" è il marchio
che lo contraddistingue,
-
che sono riconosciuti in tutto il mondo
-
e hanno l'obbligo di fare profitto,
ma a impatto sociale positivo.
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E allora, pensate a questo concetto:
-
la comunità,
-
la creazione di società B-Corp
che agiscano all'interno della comunità
-
e che abbiano ovviamente
una caratteristica fondamentale,
-
e cioè che siano ad azionariato diffuso,
-
come nell'esempio della funivia di Brescia
o quello della metropolitana di Milano.
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Ritornare a essere padroni di società
che fanno sviluppo sul territorio,
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guidare noi l’innovazione,
-
un'innovazione diversa,
un'innovazione etica.
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Permettetemi quindi di elencare
tre punti, secondo me principali,
-
su cui dovrebbe essere
disegnata questa B-Corp
-
che deve appartenere un po’
a tutta la comunità.
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Per prima cosa torniamo
al punto di partenza,
-
al grande secolo del Novecento,
-
che forniva grandi, chiare
e dibattute idee di futuro:
-
oggi ci sta mancando,
stanno mancando idee di futuro.
-
Ecco, dobbiamo tornare a pensarle:
ma non a livello mondiale,
-
dobbiamo tornare a pensarle
nella nostra comunità,
-
a scrivere e a riflettere
su delle idee di sviluppo futuro:
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come la vogliamo la nostra città?
-
Come la vogliamo la nostra regione?
-
Come lo vogliamo il nostro Stato?
-
Partendo da qui,
-
queste B-Corp devono essere
anche dei laboratori di pensiero,
-
devono tornare, assolutamente,
-
a dare la possibilità,
nei piccoli territori,
-
di pensare ad innovazione
disruptive e libera,
-
devono dare la possibilità alle start-up
-
di nascere e di dar seguito
ai loro proof of concept,
-
di provarci a tutti gli effetti,
-
di avere quella solidità
e quell’aiuto iniziale,
-
per poter cominciare a dare
libero sfogo alla propria creatività.
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Ma soprattutto, devono essere
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il focus dei fondi europei,
-
di tutto quello che sta
succedendo in Europa,
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perché oggi non possiamo
più pensare a una comunità
-
che non sia una comunità locale
ma anche europea.
-
Oggi dobbiamo avere un disegno di Europa,
un disegno etico di Europa,
-
e allora tutto quello che è Europa
deve tornare nella comunità.
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E ci vuole, questo collegamento:
non è solo un tema economico,
-
è soprattutto un tema di sviluppo,
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di sviluppo del futuro, di idee,
di sensibilità e di nuova società.
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Ecco, secondo me, una frase
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che riassume perfettamente,
come una fotografia,
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ciò che è la società dei nostri tempi.
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È una frase di Marina Abramovic,
un'artista contemporanea,
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che dice: "Ho capito qual è
il bisogno del pubblico, oggi.
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Che non è guardare a qualcosa,
ma essere parte di qualcosa.
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Credo che fare innovazione, oggi,
-
non possa più significare
guardare a un’invenzione,
-
guardare a una scoperta;
-
per fare innovazione, oggi,
dobbiamo esserne parte.
-
Grazie.
-
(Applausi)