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Title:
Come promuovere un dibattito produttivo e responsabile
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Description:
Uno scontro di idee è fondamentale per la creatività e il progresso, ma può anche essere profondamente dannoso e creare divisioni all'interno di aziende, comunità e famiglie. Come possiamo promuovere un dibattito produttivo, proteggendoci, allo stesso tempo, dai discorsi dannosi e dalla disinformazione? L’avvocato costituzionale Ishan Bhabha spiega gli approcci che le organizzazioni possono utilizzare per aggirare le differenze ideologiche e per portare in modo responsabile i fatti e il contesto nel dialogo.
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Speaker:
Ishan Bhabha
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Immaginate di avere un hotel
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e uno dei punti chiave
della vostra mission
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è l'impegno nel trattare i dipendenti
e i clienti allo stesso modo
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anche in termini di genere e religione.
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Un numeroso gruppo prenota
per tenere un evento lì
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ma guardando la prenotazione,
realizzate che sono un gruppo religioso
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e uno dei loro principi
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è che le donne dovrebbero rimanere a casa
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e non dovrebbero avere alcuna possibilità
di sviluppo professionale.
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Che fate?
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Ospitate l'evento,
facendovi criticare da alcuni
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o rifiutate, facendovi criticare da altri?
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Nel mio lavoro fornisco consulenza
alle organizzazioni su come creare regole
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per affrontare i disaccordi ideologici
e i discorsi controversi.
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Difendo i miei clienti
sia in tribunale che dal governo
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se le loro azioni sono contestate.
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Gli approcci che propongo
tengono conto dei danni reali
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che possono derivare da certi discorsi,
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ma, allo stesso tempo,
cercano di promuovere il dialogo,
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anziché evitarlo.
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Il motivo è che abbiamo bisogno
delle divergenze.
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La creatività e il progresso umano
dipendono da esse.
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Anche se può essere più semplice parlare
con qualcuno che vi dà sempre ragione
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è più istruttivo e, spesso,
più soddisfacente
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parlare con qualcuno che fa il contrario.
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Ma il disaccordo e la discordia
possono avere un prezzo.
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Il disaccordo, specialmente
sotto forma di discorsi d'odio,
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può causare ferite durature e profonde
e, a volte, sfociare in violenza.
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In un mondo in cui la polarizzazione
e l'innovazione crescono
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a un ritmo apparentemente esponenziale,
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la necessità di creare strutture
per un dibattito animato, ma non violento,
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è più importante che mai.
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Il primo emendamento americano
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può essere un buon punto di partenza
per cercare delle risposte.
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Voi, come me, potreste
aver sentito spesso qualcuno dire
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che i limiti alla libertà di opinione
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da parte di un datore di lavoro,
un sito web o qualcun altro
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violano il primo emendamento.
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Ma in realtà, il primo emendamento
ha poca o nessuna rilevanza.
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Il primo emendamento si applica solo
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quando il governo cerca di sopprimere
le opinioni dei propri cittadini.
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Di conseguenza, il primo emendamento
è di per sé uno strumento debole.
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Una categoria ristretta di interventi
può essere vietata per il loro contenuto.
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Quasi tutto il resto non può.
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Ma il primo emendamento non ha rilevanza
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quando parliamo di privati
che regolano il discorso.
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E questa è una cosa positiva,
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perché significa che I privati
hanno a disposizione
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una gamma di strumenti ampia
e flessibile che non censura,
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ma rendono l'oratore consapevole
delle conseguenze delle sue parole.
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Quello dell'università
è un periodo di libero scambio di idee.
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Ma alcune idee e le parole usate
per esprimerle
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possono causare disaccordo,
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se sia un evento volutamente provocatorio
ospitato da un gruppo di studenti
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o la trattazione di una tematica
controversa a lezione.
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Per proteggere la libertà intellettuale
e gli studenti più vulnerabili,
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alcune università hanno creato gruppi
per avvicinare l'oratore e l'ascoltatore,
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senza sanzioni,
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per ascoltare i rispettivi punti di vista.
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A volte gli studenti
non vogliono incontrarsi e va bene.
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Ma in altre circostanze,
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l'esposizione a un'opinione opposta
può portare alla consapevolezza,
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al riconoscimento
di conseguenze indesiderate
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e a nuovi punti di vista.
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In un campus, un gruppo di studenti
a sostegno degli israeliani
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e un altro a sostegno dei palestinesi
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si denunciavano costantemente
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per aver disturbato eventi,
strappato poster
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e per aver preso parte a scontri verbali.
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La maggior parte
di quanto riportato dagli studenti
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non violava il codice disciplinare,
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l'università invitò entrambi i gruppi
a sedersi intorno a un tavolo
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e ascoltare i rispettivi punti di vista
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liberi da ogni sanzione.
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Dopo l'incontro,
i disaccordi ideologici tra i gruppi
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rimasero gli stessi di prima,
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ma l'astio tra di loro
si dissipò notevolmente.
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Ovviamente ciò non succede sempre.
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Separando, però, le opinioni
dal sistema disciplinare,
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gli istituti di istruzione superiore
hanno creato un ambiente
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per un disaccordo produttivo
e un ampliamento delle prospettive.
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Abbiamo tutti dei pregiudizi,
non intendo in senso cattivo.
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Tutti noi siamo influenzati, giustamente,
dal nostro background familiare,
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dalla nostra educazione, dalle esperienze
e da mille altre cose.
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Anche le organizzazioni sono influenzate,
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soprattutto dai valori dei loro membri,
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ma anche dalle leggi cui sottostanno
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o dai mercati in cui competono.
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Queste influenze possono costituire
gran parte dell'identità aziendale
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e possono essere fondamentali
per attirare e trattenere i talenti.
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Ma questi pregiudizi, come li chiamo io,
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possono costituire una sfida,
soprattutto quando si tratta
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di tracciare il confine tra chi può
e chi non può parlare.
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La tentazione di trovare
un discorso pericoloso,
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solo perché non siamo d'accordo,
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è reale.
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Ma è altrettanto reale il danno
che può derivare da certe parole.
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In queste situazioni,
un terzo può aiutare.
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Ricordate l'hotel e la decisione
di permettere o meno
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l'evento del gruppo religioso?
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Invece di prendere una decisione
complessa e seduta stante
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sull'identità e sul messaggio
di quel gruppo,
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l'hotel potrebbe rivolgersi
ad una terza parte.
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Ad esempio,
il Southern Poverty Law Center
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che ha una lista dei gruppi d'odio
negli Stati Uniti.
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Oppure il suo gruppo di esperti esterni
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con background diversi.
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Affidandosi a terze parti
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per fissare dei limiti fuori dal contesto
di un evento specifico,
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le aziende possono prendere decisioni
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senza essere accusate di agire
mosse da egoismo o pregiudizi.
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Il confine tra fatti e opinioni
non è ben definito.
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L'Internet dà la possibilità
di pubblicare una qualsiasi opinione
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su qualsiasi argomento esistente.
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Per dei versi, è una cosa giusta.
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Permette l'espressione
di opinioni minoritarie
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e responsabilizza coloro
che sono al potere.
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Ma la possibilità
di pubblicare liberamente
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significa che notizie non verificate
o completamente false
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possono diffondersi rapidamente
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e questo è molto pericoloso.
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Rimuovere un post o bannare un utente
è una decisione difficile.
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A volte, può essere appropriato,
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ma ci sono anche delle alternative
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per promuovere un dibattito
produttivo e responsabile.
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Twitter ha iniziato
a contrassegnare dei tweet
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come ingannevoli o contenenti
affermazioni non verificate.
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Piuttosto che bloccare
l'accesso a quei tweet,
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Twitter rimanda a una fonte
che contiene maggiori informazioni
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in merito all'affermazione fatta.
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Un buon esempio, anche attuale,
è la pagina sul Coronavirus,
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che fornisce informazioni in tempo reale
sulla diffusione del virus
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e su cosa fare se si è positivi.
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Per me, questo approccio ha senso.
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Invece di evitare il dialogo,
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questo porta più idee,
fatti e contesto alla discussione.
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Sapendo che le proprie affermazioni
verranno confrontate
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con quelle di fonti più autorevoli,
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si può incentivare già da subito
un dialogo più responsabile
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Fatemi concludere con un'amara verità:
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gli approcci descritti
possono favorire un dialogo produttivo
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e isolare i dialoghi veramente pericolosi.
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Inevitabilmente, dei discorsi
rientreranno in una zona grigia,
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magari profondamente offensivi,
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ma con il potenziale di contribuire
al dibattito pubblico.
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In questa situazione, in generale,
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credo si debba parlare di più,
invece che parlare di meno.
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Ecco il perché.
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Per prima cosa, c'è sempre il rischio
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che un'idea innovativa o creativa
venga repressa
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perché considerata strana e pericolosa.
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Quasi per definizione,
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le idee innovative mettono
in discussione le tradizioni.
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Quindi, se un'idea sembra
offensiva o pericolosa,
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potrebbe essere perché lo è
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o potrebbe essere che si abbia
paura del cambiamento.
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Permettetemi di suggerire che anche se
il discorso ha poco o nessun valore,
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questa carenza dovrebbe essere
segnalata con un dibattito aperto,
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non con la soppressione di esso.
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Tanto per essere chiari,
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il falso può portare a danni devastanti
nel mondo reale,
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pensiamo al rogo delle donne
accusate di essere streghe
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nell'Europa del XV secolo
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o al linciaggio degli afroamericani
nel Sud degli Stati Uniti
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o al genocidio del Ruanda.
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L'idea che bisogni sempre discutere
le affermazioni false
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non è sempre vera,
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ma penso che, il più delle volte,
questo possa aiutare.
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Un famoso caso della giurisprudenza
del primo emendamento ce lo dimostra.
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Nel 1977, un gruppo di neonazisti
voleva organizzare una marcia
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nella verde e tranquilla
periferia di Skokie, Illinois,
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dove vivono moltissimi
di superstiti dell'Olocausto.
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Il consiglio comunale ordinò subito
di fermare i nazisti
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e loro gli fecero causa.
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Il caso arrivò fino alla Corte suprema
per poi tornare indietro.
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I tribunali ritennero che i neonazisti
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avessero il diritto di marciare,
di mostrare le loro svastiche
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e di fare il saluto nazista.
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Quando arrivò il giorno della marcia,
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dopo l'intero contenzioso,
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si presentarono solo 20 neonazisti
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davanti al Federal Building
di Chicago, Illinois,
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contro i 2000 manifestanti accorsi
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per rispondere
al messaggio di odio dei nazisti
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con un messaggio di inclusione.
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Secondo il giornale Chicago Tribune
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la marcia nazista si vanificò nel nulla
dopo soli 10 minuti.
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La violenza a Charlottesville, Virginia,
e in tutto il mondo
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dimostra che queste storie
non finiscono sempre così.
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Per me, però, quella di Skokie
rimane una buona storia
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che dimostra che alla fallacia
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e al fallimento morale
dei discorsi d'odio
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si può rispondere non sopprimendoli,
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ma controbilanciando
con idee buone e nobili.
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