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Quattro storie che ci raccontiamo sulla morte

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    Ho una domanda:
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    chi in questa sala, ricorda la prima volta che si è reso conto
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    che siamo destinati a morire?
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    Io sì. Ero un ragazzino,
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    e mio nonno era appena morto,
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    ricordo che alcuni giorni dopo,
    disteso sul letto di notte
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    cercavo di dare un senso
    a quello che era successo.
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    Cosa significava che era morto?
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    Dove era andato?
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    Era come se un buco nella realtà si fosse aperto
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    e l'avesse risucchiato.
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    Quindi mi venne in mente una domanda
    veramente scioccante:
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    se lui era morto,
    poteva succedere anche a me?
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    Quel buco nella realtà poteva aprirsi
    e risucchiare anche me?
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    Si sarebbe aperto sotto il mio letto
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    per risucchiarmi mentre dormivo?
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    Tutti i bambini prima o poi
    diventano consapevoli della morte.
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    Ovviamente succede in modi differenti
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    e solitamente succede per gradi.
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    La nostra percezione della morte
    si sviluppa man mano che cresciamo.
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    E se raggiungete i recessi bui
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    della vostra memoria,
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    ricorderete qualcosa di simile a quello che ho provato io
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    quando è morto mio nonno e mi sono reso conto
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    che poteva accadere anche a me,
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    quella sensazione che dietro ad ogni cosa
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    il vuoto sia in attesa.
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    E questo sviluppo nell'infanzia
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    riflette lo sviluppo della nostra specie.
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    Così come c'è stato in voi un momento dello sviluppo
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    come bambini, in cui la vostra idea di voi stessi e del tempo
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    è diventata abbastanza sofisticata
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    da farvi realizzare la vostra mortalità,
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    così ad un certo punto nell'evoluzione della nostra specie,
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    il senso del sé e del tempo di qualcuno dei primi uomini
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    è diventato abbastanza evoluto
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    da farli diventare i primi esseri umani a capire,
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    "Morirò".
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    Questa è, se volete, la nostra maledizione.
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    È il prezzo che paghiamo
    per essere così maledettamente intelligenti.
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    Dobbiamo vivere nella consapevolezza
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    che la peggior cosa che ci possa accadere,
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    un giorno sicuramente succederà,
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    la fine di tutti i nostri progetti,
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    delle nostre speranze, dei nostri sogni,
    del nostro mondo personale.
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    Viviamo tutti all'ombra della nostra personale
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    apocalisse.
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    Ed è spaventoso. Terrificante.
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    Così cerchiamo una via d'uscita.
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    Nel mio caso, all'età di cinque anni,
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    questo significava chiederlo alla mamma.
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    Quando per la prima volta chiesi
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    cosa accadesse quando si muore,
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    all'epoca gli adulti intorno a me
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    risposero con il tipico miscuglio anglosassone di disagio
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    e incerto spirito cristiano,
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    e la frase che ho sentito più spesso
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    era che il nonno
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    "era lassù e vegliava su di noi",
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    e se io fossi morto,
    cosa che ovviamente non sarebbe successa,
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    allora anch'io sarei andato lassù,
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    cosa che ha reso la morte una sorta
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    di ascensore esistenziale.
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    Tutto questo non sembrava molto plausibile.
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    All'epoca guardavo un programma di informazione per bambini,
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    era l'epoca delle esplorazioni spaziali.
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    Era tutto uno sfrecciare di razzi nel cielo,
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    che andavano su fin nello spazio.
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    Ma nessuno degli astronauti che tornava
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    ha mai menzionato di aver incontrato mio nonno
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    o una qualsiasi delle persone morte.
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    Ma ero spaventato,
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    e l'idea di prendere questo ascensore esistenziale
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    e di vedere mio nonno
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    mi sembrava migliore dell'essere risucchiato
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    dal nulla mentre dormivo.
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    Così, nonostante tutto, ci credetti,
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    anche se non aveva molto senso.
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    Questo processo mentale che ho percorso
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    da bambino, e che ho percorso più volte da allora,
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    anche da adulto,
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    è il prodotto di quello che gli psicologi chiamano
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    un condizionamento.
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    Il condizionamento è ciò per cui
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    sbagliamo sistematicamente,
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    ciò per cui sbagliamo i calcoli, giudichiamo male,
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    distorciamo la realtà o vediamo quello che vogliamo vedere.
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    Il condizionamento di cui sto parlando
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    funziona così:
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    mettete qualcuno davanti al fatto
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    che siamo destinati a morire
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    e crederà a qualsiasi storia
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    che gli spiegherà che non è vero
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    anzi, che si può vivere per sempre,
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    anche se questo significa prendere l'ascensore esistenziale.
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    Possiamo vederlo
    come il più grande condizionamento di tutti.
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    È stato dimostrato con oltre 400
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    studi empirici.
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    Sono studi creativi, ma semplici.
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    Funzionano così.
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    Si prendono due gruppi di persone
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    simili sotto tutti i punti di vista importanti,
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    e si ricorda a uno solo dei due gruppi
    che siamo destinati a morire,
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    quindi si confrontano i loro comportamenti.
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    Così potrete osservare come la consapevolezza della mortalità
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    condiziona il comportamento.
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    Ogni volta si ottiene lo stesso risultato:
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    le persone consce della propria mortalità
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    sono più propense a credere alle storie
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    che dicono che si può sfuggire alla morte
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    e che si può vivere per sempre.
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    Ecco un esempio: uno studio recente
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    ha preso due gruppi di agnostici,
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    persone che sono indecise
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    in merito alle proprie credenze religiose.
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    Ad un gruppo è stato chiesto di pensare di essere morti.
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    All'altro gruppo è stato chiesto di pensare di
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    essere soli.
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    Quindi è stato loro chiesto nuovamente
    il loro orientamento religioso.
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    Quelli ai quali era stato chiesto
    di pensare di essere morti
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    avevano il doppio delle possibilità di esprimere fede
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    in Dio e in Gesù.
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    Il doppio delle probabilità.
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    Anche se all'inizio
    erano tutti agnostici allo stesso modo.
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    Instillata in loro la paura della morte
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    sono corsi da Gesù.
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    Questo mostra che ricordare alle persone la morte
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    le condiziona a credere, malgrado le prove,
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    e funziona, non solo per la religione,
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    ma anche per ogni sistema di credenze
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    che promette una qualche forma di immortalità,
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    sia che si tratti di diventare famoso
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    o di avere figli
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    o anche il nazionalismo,
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    che promette di continuare a vivere
    come parte del grande tutto.
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    Questo è il condizionamento che ha formato
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    il corso della storia dell'umanità.
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    La teoria dietro questo condizionamento
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    in oltre 400 studi
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    è chiamata la teoria della gestione del terrore,
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    e l'idea è semplice. È proprio questa.
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    Sviluppiamo la nostra visione del mondo
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    cioè, le storie che raccontiamo a noi stessi
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    sul mondo e sul nostro posto in esso,
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    per aiutarci a gestire
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    il terrore della morte.
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    Queste storie di immortalità
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    hanno migliaia di differenti manifestazioni
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    ma credo che dietro l'apparente diversità
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    ci siano in realtà quattro forme base
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    che queste storie di immortalità possono assumere.
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    Possiamo vedere come si ripetono
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    nella storia, con poche varianti
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    che riflettono il lessico del tempo.
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    Adesso introdurrò brevemente queste quattro
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    forme base di storie dell'immortalità,
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    e voglio tentare di darvi una qualche ragione
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    del modo in cui sono tramandate in ogni cultura
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    o generazione
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    utilizzando il lessico dell'epoca.
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    La prima storia è la più semplice.
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    Vogliamo evitare la morte,
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    e il sogno di farlo nel proprio corpo
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    in questo mondo per sempre
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    è il primo tipo di semplicissima storia sull'immortalità,
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    è all'inizio può sembrare plausibile,
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    ma in realtà, quasi tutte le culture nella storia dell'umanità
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    hanno avuto un qualche mito o leggenda
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    su un elisir della vita o fontana della giovinezza
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    o su qualcosa che promette di mantenerci in vita
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    per sempre.
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    L'antico Egitto ha un mito di questo tipo,
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    l'antica Babilonia, l'antica India.
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    Attraverso la storia Europea,
    li ritroviamo nel lavoro degli alchimisti,
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    e ovviamente, ci crediamo ancora oggi,
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    solo che ora usiamo questa storia utilizzando il vocabolario
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    della scienza.
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    Così cent'anni fa,
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    gli ormoni erano appena stati scoperti,
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    e le persone speravano che il trattamento ormonale
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    avrebbe curato l'invecchiamento e le malattie,
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    ora invece riponiamo le nostre speranze nelle cellule staminali,
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    l'ingegneria genetica, le nanotecnologie.
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    Ma l'idea che la scienza possa curare la morte
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    è solo un ulteriore capitolo nella storia
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    dell'elisir magico,
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    una storia vecchia quanto la civilizzazione.
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    Ma scommettere tutto sull'idea di trovare un elisir
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    e restare vivi per sempre
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    è una strategia rischiosa.
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    Quando rivolgiamo lo sguardo alla storia
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    tutti quelli che hanno cercato l'elisir nel passato,
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    hanno un'unica cosa in comune
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    sono tutti morti.
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    Quindi c'è bisogno di un piano di riserva,
    ed è esattamente questo tipo di piano B
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    che offre il secondo tipo di immortalità,
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    ed è la resurrezione.
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    Tutto sta con l'idea che io sono questo corpo,
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    questo organismo fisico.
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    Accetto di dover morire
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    ma dice che, nonostante tutto,
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    risorgerò e potrò vivere ancora.
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    In altre parole, posso fare quel che ha fatto Gesù.
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    Gesù è morto, è rimasto tre giorni nella tomba,
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    è risorto ed è tornato a vivere.
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    L'idea che noi tutti possiamo risorgere e vivere ancora
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    è una credenza ortodossa, non solo per i Cristiani
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    ma anche per gli Ebrei e i Mussulmani.
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    Ma il nostro desiderio di credere a questa storia
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    è così profondamente radicato
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    che lo stiamo reinventando
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    per l'era della scienza
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    ad esempio, con la teoria crionica.
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    È la teoria secondo la quale al momento della morte,
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    si può essere congelati,
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    per essere scongelati nel momento in cui una tecnologia
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    sufficientemente avanzata,
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    consenta la riparazione, la rianimazione
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    e la resurrezione.
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    Alcune persone credono che un Dio onnipotente
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    ci farà risorgere a nuova vita,
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    mentre altre persone credono
    che lo farà uno scienziato onnipotente.
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    Per altri l'intera idea della resurrezione,
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    dell'arrampicarsi fuori dalla tomba,
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    è fin troppo simile ad un brutto film di zombie.
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    Questi ritengono il corpo troppo caotico,
    troppo inaffidabile
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    per garantire una vita eterna,
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    quindi ripongono le loro speranze nella terza opzione,
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    una storia dell'immortalità più spirituale,
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    l'idea che possiamo lasciarci indietro il nostro corpo
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    e continuare a vivere come anima.
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    La maggior parte delle persone sulla Terra
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    crede di avere un'anima,
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    e questa idea è centrale per molte religioni.
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    Benché nella sua forma attuale,
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    nella sua forma tradizionale,
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    l'idea dell'anima sia ancora molto popolare,
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    ciononostante la stiamo di nuovo
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    reinventando per l'era digitale,
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    ad esempio con l'idea
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    che si può lasciare il corpo
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    caricando la mente, l'essenza,
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    il vero sé, su un computer,
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    e così vivere come avatar nell'etere.
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    Ma naturalmente ci sono gli scettici che dicono
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    che se guardiamo le prove scientifiche,
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    in particolare le neuroscienze,
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    queste ci suggeriscono che la mente,
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    la nostra essenza, il vero io,
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    dipende molto da una determinata parte
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    del nostro corpo, e cioè, il cervello.
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    E così gli scettici possono trovare conforto
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    nel quarto tipo di storia di immortalità,
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    che è l'eredità,
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    l'idea che si può continuare a vivere
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    attraverso l'eco che si lascia nel mondo,
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    come il grande guerriero greco Achille,
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    che sacrificò la sua vita combattendo a Troia
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    così da conquistare fama immortale.
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    E la ricerca della fama è diffusa
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    e popolare come mai lo è stata,
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    e nella nostra epoca digitale,
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    è anche più facile da realizzare.
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    Non è necessario essere un grande guerriero come Achille
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    o un grande re o un eroe.
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    Tutto ciò che serve è una connessione Internet
    e un gatto divertente. (Risate)
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    Ma alcune persone preferiscono lasciare una più tangibile,
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    eredità biologica - i bambini, per esempio.
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    A molti piace sperare di continuare a vivere
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    come parte di un qualche bene maggiore,
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    di una nazione, di una famiglia o di una tribù,
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    della loro eredità genetica.
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    Ma ancora una volta, ci sono gli scettici
  • 11:18 - 11:20
    che dubitano che il lascito
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    equivalga veramente all'immortalità.
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    Woody Allen, per esempio, che ha detto,
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    "Non voglio vivere nei cuori dei miei compatrioti.
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    Voglio vivere nel mio appartamento."
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    Così questi sono i quattro
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    tipi fondamentali di storie di immortalità,
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    e ho cercato soltanto di dare un quadro generale
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    di come queste siano state tramandate
    di generazione in generazione
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    con solo lievi variazioni
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    per adattarle alla società del momento.
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    E il fatto che essi si ripresentano in modo
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    similare, ma in sistemi di convinzioni differenti,
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    suggerisce, credo,
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    che dovremmo essere scettici della verità
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    di una particolare versione di queste storie.
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    Il fatto che alcune persone credano
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    che un Dio Onnipotente li resusciterà per vivere ancora
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    e gli altri credono che lo farà uno scienziato onnipotente
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    suggerisce che nessuna di queste storia sia credibile
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    sulla forza dell'evidenza.
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    Piuttosto, crediamo in queste storie
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    perché siamo condizionati a crederci,
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    e siamo condizionati a crederci
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    perché siamo così spaventati dalla morte.
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    Quindi la domanda è:
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    siamo destinati a condurre una vita
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    modellata da paura e negazione,
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    o possiamo superare questo condizionamento?
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    Beh, il filosofo greco Epicuro
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    pensava che potessimo.
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    Egli sosteneva che la paura della morte è naturale,
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    ma non è razionale.
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    "La morte", ha detto, "è nulla per noi,
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    perché quando siamo qui, la morte non c'è
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    e quando la morte è qui, non ci siamo noi."
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    Questa citazione ricorre spesso, ma è difficile
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    cogliere fino in fondo, interiorizzare davvero,
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    perché questa idea di non esserci più
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    è così difficile da immaginare.
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    Così 2000 anni più tardi, un altro filosofo,
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    Ludwig Wittgenstein, la mise in questi termini:
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    "La morte non è un evento della vita:
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    noi non viviamo per sperimentare la morte.
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    E così," aggiunse,
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    "in questo senso, la vita non ha fine."
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    Così è stato naturale per me da bambino
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    aver paura di essere inghiottito dal vuoto,
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    ma non era razionale,
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    perché essere inghiottiti dal vuoto
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    è una cosa che nessuno di noi
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    sperimenterà mai dal vivo.
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    Non è facile superare questo condizionamento perché
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    la paura della morte è così profondamente radicata in noi,
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    eppure quando vediamo che la paura stessa non è razionale,
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    e quando portiamo allo scoperto
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    i modi in cui ci può inconsciamente condizionare,
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    possiamo almeno iniziare
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    a cercare di ridurre al minimo l'influenza che ha
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    sulle nostre vite.
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    Trovo che sia d'aiuto vedere la vita
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    come un libro:
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    proprio come un libro è delimitato dalle sue copertine,
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    di inizio e fine,
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    così le nostre vite sono delimitate da nascita e morte,
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    e anche se un libro è limitato da inizio e fine,
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    può comprendere paesaggi lontani,
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    figure esotiche, fantastiche avventure.
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    E anche se un libro è limitato da inizio e fine,
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    i caratteri all'interno di esso
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    non hanno orizzonti.
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    Sanno solo dei momenti
    che compongono la loro storia,
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    anche quando il libro è chiuso.
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    E così i personaggi di un libro
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    non hanno paura di raggiungere l'ultima pagina.
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    Long John Silver non ha paura che
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    finiate la vosrta copia de "L'Isola del Tesoro".
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    E così dovrebbe essere per noi.
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    Immaginate il libro della vostra vita,
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    le sue copertine, il suo inizio e la sua fine,
    la vostra nascita e la vostra morte.
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    Potete conoscere solo i momenti in mezzo,
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    i momenti che compongono la vostra vita.
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    Non ha senso per voi aver paura
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    di ciò che è al di fuori di quelle copertine,
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    che sia prima della vostra nascita
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    o dopo la vostra morte.
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    E non vi preoccupate di quanto il libro è lungo,
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    che si tratti di un fumetto o un poema epico.
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    L'unica cosa che conta
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    è che lo rendiate una bella storia.
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    Grazie.
  • 15:09 - 15:13
    (Applausi)
Title:
Quattro storie che ci raccontiamo sulla morte
Speaker:
Stephen Cave
Description:

Il filosofo Stephen Cave inizia con una cupa ma convincente domanda: quando realizziamo per la prima volta che moriremo?
E ancora più interessante: perché gli essere umani così spesso si oppongono all'inevitabilità della morte? In questo monologo avvincente Cave esplora quattro racconti, comuni a tante culture, che ci raccontiamo "allo scopo di aiutarci ad affrontare la paura della morte".

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Video Language:
English
Team:
closed TED
Project:
TEDTalks
Duration:
15:33

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