Di fronte a questa immagine, non rimarrete indifferenti, lo so, perché questa è un'immagine di guerra e ci tira fuori tanti sentimenti. Non è solamente la guerra che distrugge, la guerra che crea disastri, che crea ferite. È una guerra che porta fuori dei sentimenti molto, molto pesanti. Perché ho scelto questo quadro per parlarvi del mio tema? Perché vorrei che vi concentraste proprio su questi sentimenti, che sono non solo la devastazione, ma sono lo sgomento, la disperazione, ma anche l'incredulità e la paura. Ecco, questo è quello che provano tantissime donne in una guerra sotterranea che abbiamo di fianco tutti i giorni e che io ho scoperto praticamente quasi per caso. Era il 1990, mi sono avvicinata a degli avvocati che contestavano quella che allora era una decisione dell'America di attaccare l'Iraq, di attaccare i paesi che avevano il petrolio, e eravamo avvocati per la pace. E lì abbiamo contestato quel modo prepotente di dominio che si voleva imporre. Non so se qualcuno di voi ricorda, si parlava di una possibile terza guerra mondiale, la guerra del Golfo. In quella occasione una donna mi ha avvicinata in un'assemblea in cui parlavamo di tutte queste cose, mi ha detto: "Ma perché non vieni nella nostra associazione? Stiamo costruendo un gruppo di donne che si occupino di donne che subiscono violenza". Mi ha subito incuriosita. Sono andata, ho accettato questo invito e ho scoperto veramente una guerra sotterranea, una guerra che le donne raccontavano, ma ancora non si conosceva e non se ne parlava come se ne parla oggi. Ma chi erano queste donne? Erano tanti tipi di donne. C'era molto pregiudizio, si pensava che fossero solo donne disperate, senza mezzi, senza capacità, che non avessero studiato. In realtà no, mi sono ritrovata addirittura delle mie colleghe che mi raccontavano situazioni di violenze che veramente sembrano sempre incredibili. Casalinghe, manager, libere professioniste, persone di ceto basso, di ceto medio, di ceto alto, persone con capacità economiche. Normalmente si pensa che se uno ha capacità economiche non arrivi a certi livelli. Non è vero. Abbiamo subito detto che questa violenza era trasversale. E come mai allora continuava ad esserci? Un aforisma mi aiuta, che dice: "che è più facile entrare in quasi ogni cosa che uscirne". È proprio vero. Infatti noi ascoltavamo tutti quei racconti e dicevamo, "Come facciamo ad aiutare queste donne perché possano uscire dalla violenza?". Affiancandoci a loro e sostenendole. Quindi abbiamo cominciato a studiare che cosa si potesse fare in modo anche attento, competente, anche scientifico. Tutto però ci è sempre venuto dai racconti delle donne. Il ciclo della violenza è stato studiato alla fine degli anni '70 in America, Leonor Walker che era una terapista, avendo ascoltato tante donne lo ha costruito, lo ha proprio, diciamo, portato perché fosse a conoscenza di tutti come si possono sviluppare queste storie. E che cos'è il ciclo della violenza? Ci racconta come ci si entra in questo tunnel e quanto sia difficile uscirne. C'è una prima fase che è quella della crescita della tensione, che è quella della provocazione, dove ci sono tanti momenti molto particolari che... Tra l'altro ogni storia fa a sé. C'è la donna che ci racconta della pasta che non è piaciuta per un qualsiasi pretesto, e magari presa insieme al piatto, buttata al cestino. La pasta tirata sulla testa della donna. Tutti racconti che io ho ascoltato. E uno si domanda ma perché una donna rimane dentro a questa situazione? È la prima domanda che si fa in genere alle donne. Beh, io vi vorrei portare qui la voce di una donna che ho seguito e che è uscita dalla violenza e che mi piaceva lo dicesse perché è l'ha detto in maniera molto chiara proprio davanti ad un giudice questo perché. Perché ero innamorata di lui e pensavo che potesse cambiare. "Perché ero innamorata di lui e pensavo che potesse cambiare." È altrettanto tipico. Uno dice, "Mah, strano. Come mai queste donne stanno in questa situazione?". Eppure dobbiamo fare i conti anche con il sentimento. E l'altra cosa? Si passa da una fase quindi dove cresce la tensione, si fanno delle provocazioni piccole o grandi, alla fase dove scoppia la tensione. Scoppia con un'aggressione, ma attenzione che non è solo un'attenzione fisica. Può essere anche un'aggressione verbale, può essere anche un impaurire attraverso la rotture di oggetti, attraverso lo sbattimento delle porte, attraverso tutta una serie di atti che portano a dire, "Qui decido io quello che si fa e come lo si fa". E allora questa è la fase in cui, dallo smarrimento iniziale, si arriva proprio allo sgomento, perché è una persona che ti vuole bene che ti sta facendo quella cosa, è una persona a cui tu magari hai affidato tante confidenze, un pezzo della tua vita. E quindi, se è sgomento, come reagisce? Vi voglio portare ancora la voce di questa donna. Ho sempre nutrito la speranza che fosse anche colpa mia, e che comportandomi diversamente tutto questo non sarebbe successo. Ecco, lei dice: "Ho nutrito la speranza che fosse anche colpa mia". Addirittura. Questa è una frase che fa rabbrividire. Io quando l'ho sentita e l'ho letta nel processo penale pensavo di avere sbagliato anche a leggerla. In realtà è proprio così. Lei spera che sia così per darsi la possibilità di uscirne. Il problema è che non se ne esce, perché cosa succede? C'è la fase della cosiddetta "Luna di miele", che è quella forse alla fine anche più pericolosa, anche più pericolosa dell'aggressione, perché fa pensare ad una donna che il pentimento e le attenzioni amorevoli che in quel momento il violento porta per riuscire a recuperare una situazione che forse sta perdendo di mano, eh, forse lo faranno cambiare, forse succederà qualcosa per cui non ci sarà più, quella situazione lì non si ripeterà. Invece Leonor Walker ci dice proprio che questo è un ciclo che va a ripetersi, è un tunnel e noi quando intercettiamo le donne vorremmo che in quella fase, tra il secondo momento del maltrattamento e quello della luna di miele decidessero, perché quello è il momento giusto per poterne uscire, è il momento in cui lo sgomento si trasforma in paura, qui tornano i sentimenti di una guerra, e si può cambiare qualcosa. E invece il ciclo ricomincia se da lì non se ne esce e si crede a quel pentimento. Vorrei farvi sentire per l'ultima volta la voce di questa donna. Quello che non capivo è come lui dopo le liti mostruose in cui mi insultava nei modi peggiori, "Vaffanculo, stronza", parolacce di ogni tipo, quando si calmava voleva avere un rapporto sessuale con me, e io non potevo dire di no, altrimenti sarebbe ricominciato tutto da capo. Ecco, lei aveva già messo in conto di non potere dire di no, perché altrimenti ricominciava tutto da capo. La paura, la paura che paralizza una donna che sta dentro questa situazione è quella che consente al violento di procedere e di andare avanti. In tutte queste fasi, quando si arriva al maltrattamento, quando si riprende il ciclo, il maltrattamento che arriva la volta successiva, lo dico sempre, a tutte le donne che incontro, è un maltrattamento che è sempre più grave, e quindi è importantissimo poter fare il passo di uscita il prima possibile. E quali sono i numeri della violenza di genere in Italia? Forse li avrete anche già sentiti. Una donna su tre, tra i 16 e i 70 anni, ha subito violenza, e alla fine l'ISTAT ha calcolato che sono 7 milioni queste donne, di cui 4,5 milioni hanno subito violenza sessuale e un milione e più ha subito violenza sessuale ancora più grave, cioè stupri o tentati stupri. Questa è la situazione dei numeri. Sono numeri che non cambiano, sono numeri che si ripetono, sono numeri che abbiamo fatto emergere anche con il lavoro dei centri antiviolenza. Ma con il nostro lavoro abbiamo messo in evidenza anche i costi. Perché noi dobbiamo, anche, porci questa domanda: che cosa succede quando una donna subisce violenza? Succedono tantissime cose comunque anche all'esterno, e quindi andare ad un pronto soccorso, richiederà un terapeuta, prenderà dei farmaci, chiamerà la polizia, forse farà una denuncia, la denuncia sembra che sia quella che risolva tutto. Non è detto che questo sia, anzi molto spesso non lo è, purtroppo. Ci sono tribunali che lavorano costantemente su questi temi. Ci sono tutte le spese legali, le spese dei servizi sociali e le spese, anche, dei centri antiviolenza che fanno la loro parte. E tutti questi costi, moltiplicati per il fattore produttività, perché una donna che subisce violenza non sarà a livello sociale la stessa persona, non potrà essere attiva come lo è chi vive serenamente, più o meno, la propria vita. Che risultato dà questa operazione? È stata stimata in 26 miliardi di Euro. E noi riteniamo che sia anche sottostimata, sto parlando dell'Italia, non sto parlando del mondo, ovviamente. E nel 2017 in Italia, circa 50.000 donne si sono rivolte ad un centro antiviolenza. Capite che qui i numeri non tornano. I numeri sono tutti da rivedere e tra poco vi dirò anche come, per coinvolgere tutti noi in quello che possiamo fare, anche se non lavoriamo in un centro antiviolenza. Perché questo? Perché noi vi vorremmo anche, soprattutto le donne, vedere nel nostro centro, anche aiutarci. In tanti modi si può aiutare un centro antiviolenza, ma qui oggi non voglio chiedervi questo tipo di aiuto. Né un aiuto personale, né un aiuto economico, dal punto di vista dello starci e del sostenere, perché in genere sulla violenza si fa sempre questo passaggio. Quello che vi vorrei chiedere invece è quello di aiutarci tutti a ridurre questo numero di donne che devono rivolgersi ai centri antiviolenza. Come, direte voi? Eh, qui la situazione la dobbiamo valutare tutti insieme, perché oggi si parla di cambiamenti e noi dobbiamo pensare che purtroppo su questo tema di cambiamento non ce n'è stato moltissimo, perché anche la manager, anche la persona che ha disponibilità economiche, culturali, capacità rientra dentro questa situazione, perché è una questione di relazioni intime. Si dice che la violenza sia un rapporto, sia determinata da un rapporto di dominio tra generi. Se questo è vero allora vediamo un attimo, perché c'è la prevenzione che è importante, per noi. In che cosa può consistere la prevenzione? La prevenzione la possiamo fare tutti, incominciando dall'educazione, dall'educazione dei nostri figli. Io dico sempre, ci sono stereotipi che noi non riusciamo ancora a scalfire. Al maschietto si dice, "Non piangere come una femminuccia", il maschietto lo si iscrive a calcio, lo si iscrive a rugby, gli si fanno fare sport, diciamo, di una certa forza, virulenza; alla femmina si dice, "Non fare il maschiaccio, comportati bene, sii educata, sii carina", soprattutto "Sii carina". Quando noi facciamo tutto questo... Tante femmine, tantissime ragazzine vanno a danza, la danza ormai è tutto il mondo delle ragazzine. Allora quando noi facciamo questi passaggi, rischiamo di avere costruito una struttura che porta quell'uomo o quella donna, quel futuro uomo, quella futura donna a potere entrare dentro questo meccanismo, perché è un meccanismo dove qualcuno domina e qualcun altro rimane sotto. Allora, badate, sicuramente qui in questa sala ci saranno persone che o hanno subito violenza o hanno agito in violenza. E, se i numeri e la statistica ce la raccontano giusta, come io credo, dovremmo cominciare a farci delle domande su come noi ci comportiamo, e questa è la prima cosa scomoda che io vi dico, perché se noi continueremo a comportarci in questo modo, saremo anche conviventi con certe forme di violenza. Se noi giriamo la testa, ad esempio, rispetto all'amica, rispetto alla collega, rispetto al collega che si può comportare in maniera non scorretta, di più, che si può portare in maniera aggressiva, perché tanto ad una donna si possono dire tante cose, non reagirà nello stesso modo in cui potrebbe reagire un uomo. Ecco, allora mettiamo le basi per questo. Quindi quello che vi chiedo è di cambiare, di cambiare il nostro modo di pensare, sapendo che le donne stanno dentro quel ciclo della violenza perché noi a volte giriamo anche la faccia dall'altra parte o perché noi abbiamo costruito quel modo di stare delle donne dentro alle situazione e i rapporti di coppia. Quindi cambiare le nostre menti per cambiare le nostre azioni e forse per essere un po' più liberi e felici tutti. Grazie. (Applausi)