Whitney Pennington Rodgers: Ajay Banga, grazie di essere qui con noi oggi. Credo che questo incontro sia davvero significativo soprattutto nel pieno di una pandemia globale, in questo 2020, che ci ha svelato le disuguaglianze presenti nel mondo in tutto questo periodo di crisi. Sin da quando ha preso le redini di Mastercard, ha sostenuto questa idea dell'inclusione finanziaria. Allora, magari potrebbe dirci qualcosa proprio sull'inclusione finanziaria. Di cosa si tratta? E in che modo pensa possa cambiare le nostre vite? Ajay Banga: Sì, guardi, io ritengo che la crisi del COVID-19 abbia in qualche modo peggiorato le cose. Se c'erano stati dei progressi nel decennio precedente, nel contrastare la povertà e l'esclusione, forse adesso c'è una battuta d'arresto. Questo è dovuto al fatto che il virus ha minato alle minoranze e, in modo particolare, alle persone meno fortunate, così come alle imprese appartenenti a minoranze. Alcune di queste hanno subito gravi colpi durante questa crisi. Tuttavia, a prescindere da questa situazione, l'inclusione o esclusione finziaria è un problema sociale preesistente, le cui origini sono datate. Il vero problema è un altro. Ecco la realtà. Dei sette miliardi di abitanti nel mondo, quasi due miliardi non dispongono di servizi bancari o ne hanno con profondi disservizi. Vi spiego cosa intendo con questo: nel primo caso è ovvio, significa che non hanno alcun rapporto con le banche. Nessun rapporto. Nell'altro caso, pur avendo un conto, non sono parte attiva della vita finanziaria, non sono a conoscenza di cose che noi diamo per scontate, come ad esempio, accedere al credito quando è necessario, ad un prezzo ragionevole, o usufruire dell'assicurazione più consona alle proprie esigenze, fare cose di questo genere, risparmiare per i tempi duri consapevolmente. Tutto ciò viene fatto al fine di soddisfare il cliente. Ecco i disservizi. Quindi, due miliardi di persone nel mondo, secondo le statistiche della Banca Mondiale, sono "senza banca" o "con poca banca". E molte di queste persone non dispongono di una identità precisa, magari fornita dal governo. Pertanto, non possono mostrare o presentare nulla quando intendono noleggiare un'auto o prenotare un hotel, un volo, cosa che non fanno, per dimostrare che sono registrati nel sistema. La loro opinione non conta, spesso non vengono neanche censiti, né si considerano le loro opinioni sulle azioni del governo. Sono esclusi, tagliati fuori. E la parte peggiore è che questo problema si è aggravato negli anni, tanto da non poter essere risolto da un governo o da una sola banca o unica nazione. Richiede lo sforzo di tante persone all'opera. Richiede accordi tra il settore pubblico e privato, ma anche nel solo privato, al fine di cambiare davvero le carte in tavola. WPR: Quindi, se sto capendo bene, mi sembra sia una questione di fortuna se si vive in un luogo, si gode di uno status economico, se si ha accesso ai servizi finanziari se si è parte del sistema e si occupa un posto, se si ha un'identità finanziaria. AB: Sì, si hanno identità e opinioni. si ha accesso ai servizi finanziari. L'inclusione finanziaria ha così tante sfaccettature, ma ciò che conta è esserci, essere considerati essere degni di avere un'identità ed essere inclusi. Ecco cos'è l'inclusione finanziaria. WPR: Eppure sembra così semplice. Potrebbe avere un enorme impatto e so che è un piano d'azione che avete implementato nell'universo Mastercard, ma esiste anche in tante altre realtà. Perciò, parliamo un po' dell'aspetto pratico di questa inclusione finanziaria, nell'ambito di diversi enti e di diversi ambienti. AB: Innanzitutto, ha perfettamente ragione, sono in tantissimi coloro che stanno operando il cambiamento. E onestamente, senza di loro, non andremmo da nessuna parte. Nel nostro piccolo stiamo collaborando con altri perché non godiamo di un rapporto diretto con il cliente. Non c'è niente che io passa fare per migliorare la vita del cliente, in termini di inclusione perché non apro conti correnti, non faccio credito, non sottoscrivo assicurazioni e non ho un modo per far mettere da parte denaro in un fondo comune o altro. Per far sì che io possa agire, ho bisogno di banche, di tecnofinanze, compagnie telefoniche, governi, ma forse anche esercenti. Tutto l'ecosistema di coalizione dei volenterosi rappresenta i singoli ruoli delle diverse realtà cooperanti nell'inclusione finanziaria. Mi faccia fare degli esempi concreti. Se lei è un contadino e deve vendere i prodotti raccolti deve fare un viaggio di due giorni per raggiungere il mercato più vicino. Ora, è chiaro che nel viaggio di ritorno, avrà con sé del denaro ricavato dalla vendita dei prodotti. Questo ha spesso terribili conseguenze. Inoltre, deve acquistare fertilizzanti. Deve fare avanti e dietro per far questo o la sua attività non frutterà, a meno che non mandi il suo coniuge. Tutto questo cambia se la collego, tramite un telefono, agli agricoltori, venditori di fertilizzanti e cooperative, per avere informazioni sulla coltura o sulle precipitazioni. O se le vendo i prodotti su un mercato migliore: online. Così riceverà i soldi su un conto online. Questa sarebbe la svolta. Sempre qualcosa che le cooperative agricole, i governi locali, le banche o imprese come la nostra, possono realmente facilitare. Lo stiamo facendo in Africa, in India e in una serie di nazioni nel mondo. L'idea è quella di ridurre a zero l'uso di denaro contante e farle avere accesso all'economia digitale. Immagini lo stesso contadino che riceve denaro dai prodotti venduti e la banca possa controllare le sue transazioni o possa, sulla base dei flussi di cassa, sottoscrivere dei prestiti vantaggiosi. Cosa che non sarebbe possibile senza un conto. Lo stesso dicasi per un altro esempio, come una microimpresa. Prendiamo una donna in Kenya o in India o in un paesino messicano, che apre un piccolo negozio proprio all'esterno di casa sua quando marito e figli non ci sono. E lavora per qualche ora al giorno vendendo alimenti per neonati, sapone o carta igienica o qualsiasi cosa si venda in quella zona. Quando arriva il furgone dell'azienda che sia Nestlé, Unilever o l'azienda locale Grupo Bimbo, e cerca di venderle prodotti di lunedì, martedì o mercoledì ad una certa ora, la donna compra ciò che può in contanti. Di solito, se paga in contanti, nessuno può farle credito, lei si priva di tutto il denaro per comprare quei prodotti prima che finisca la settimana. Le scorte finiscono. Non vende più. Immagini se invece avesse registrato tramite la digitalizzazione tutto quello che ha comprato e venduto in un conto corrente bancario con tutte le transazioni avvenute, avrebbe avuto 500 dollari in prestito per agevolare i suoi acquisti, e sarebbe consapevole dell'uso del credito. Questa si chiama inclusione. WPR: Una cosa mi ha colpita particolarmente mentre ha spiegato il concetto di inclusione finanziaria e come funziona: il fatto che dipenda dalla tecnologia, da smartphone, dall'accesso a internet. E sappiamo che molte persone hanno difficoltà ad averne accesso, nelle nazioni in via di sviluppo e non solo. Ci dica come questo potrebbe accentuare il divario digitale, e come risponde a coloro che criticano questo progetto. AB: Lei ha sollevato due questioni. Il divario digitale secondo me è un problema grave. Ma per essere chiari, gli esempi che ho fatto prima valgono sia per gli smartphone che per i vecchi cellulari. Basta avere una fotocamera per riconoscere un QR code e scattare una foto. E quanto al codice numerico, si può digitare sulla tastiera o si trova comunque un modo. Vi porto l'esempio dell'Egitto, dove abbiamo aperto portafogli digitali sui telefoni, non necessariamente smartphone, ma anche vecchi cellulari. Quindi, per chiarire, gli esempi di inclusione finanziaria non dipendono dagli smartphone, né dall'accesso a Internet in casa. Certo, serve un telefono, un cellulare come negli esempi che vi ho fatto. Ma nel caso delle microimprese, non è neanche necessario. In quel caso serve solo lo storico delle transazioni dei prodotti venduti o comprati, che devono essere digitalizzati e una banca in grado di finanziare. Ci sono comunque dei problemi in termini di infrastruttura di cui possiamo parlare. Ma nello specifico, il divario digitale credo sia un altro grande prolema che il COVID-19, sfortunatamente, non ha fatto che peggiorare, mostrando quella che era già una pecca della nostra società. Pertanto, sia che si tratti di una zona rurale americana, o di un esempio preso da Africa o India, Indonesia o Guatemala America o aree rurali, la connessione è un problema. Ci sono bambini bisognosi a New York, che non hanno accesso alla banda larga o computer di cui necessitano per istruirsi o seguire le lezioni, il che è una tragedia. E questo è un altro problema, Whitney, che emerge dagli esempi che ho fatto prima, che penso possa essere comunque risolto anche con l'uso dei vecchi cellulari. WPR: Sembra che il primo passo da fare sia forse quello di far cooperare i governi, assicurarsi che tutti abbiano accesso almeno ai cellulari o che in qualche modo possano comunicare così da partecipare a queste iniziative. AB: Penso che il telefono sia la svolta. Il fatto è che ci sono tante persone nel mondo con un telefono ma ci sono sempre due milioni che non ce l'hanno o non hanno accesso a internet, che è diverso. Bisogna trovare un modo per connettere queste persone. Non solo tramite il telefono. Ritorniamo all'esempio delle microimprese: il telefono non serve in quel caso. Per esempio, in Sudafrica, con l'amministrazione della sicurezza sociale, il governo dà ai cittadini una somma di denaro annua a coloro che non hanno un impiego. Le persone possono essere contatattate con una carta biometrica, accordo che abbiamo fatto con il governo che inserisce identità e dati biometrici su una carta e noi da remoto possiamo caricare la somma di denaro stabilita, escludere l'intermediario dal processo e permettere a quella persona di usare la carta, andare ad un bancomat, prelevare il denaro e andare di negozio in negozio. E credo che questo cambi tutto. Lo stesso avviene in altre nazioni. Ad esempio, per i rifugiati siriani che si recavano in Libano o in Grecia e via dicendo. Le organizzazioni umanitarie chiedevano un'identità ai rifugiati per permettere loro di avere accesso a qualsiasi forma d'aiuto. Inoltre, abbiamo anche convertito i dati in una semplice carta d'identità biomedica, riconoscibile da tutte le organizzazioni umanitarie così da non comprovare la propria identità tutte le volte. Una statistica mondiale dice che il 40 per cento dei dollari spesi dai governi per far godere i loro cittadini di prestazioni sociali viene perso. Si tratta di perdite. Perdite significa costi amministrativi. Io li chiamo furti. Perché si tratta di 40 centesimi in meno per una persona che non può permettersi di perderne mezzo. Gravissimo. Ecco cosa stiamo cercando di risolvere. Niente intermediari, solo digitale. Permettere al governo di gestire queste operazioni, permettere a banche, ONG e compagnie estere di intervenire correttamente, come nell'esempio dei rifugiati. Il Programma alimentare mondiale distribuisce cibo nei campi dei rifugiati. E noi li aiutiamo con gli alimenti. Loro acquistano cereali e li spediscono altrove perdendone quantità nel tragitto. Sulla carta c'è il valore del dollaro, carta che può essere usata dal solo rifugiato in un negozio certificiato dall'organizzazione. La carta può essere usata solo per scopi attinenti il programma alimentare mondiale, che prevede acquisto di cereali, verdura, frutta e latte. Questo permette all'organizzazione di evitare le perdite. Quello che cerco di dire è che non c'entra il digitale, quanto sfruttare le proprie risorse e le tecnologie di cui si dispone per applicarle in modo intelligente ed economicamente sostenibile ai problemi reali del mondo. Se si dispone di mezzi moderni, allora meglio ancora! Ma non usiamo la tecnologia come scusa per non agire. WPR: Bene, adesso ha tutto più senso. Aver messo in luce queste situazioni è un passo avanti verso una società senza contanti. Il che crea un modo per far circolare denaro senza necessità di contanti. Sono curiosa di sapere un po' come descriverebbe o com'è una società senza denaro contante. Quali sarebbero le sfide da affrontare? AB: Credo che la società senza contanti sia qualcosa di irraggiungibile e forse è meglio così. Il divario digitale esiste. Tuttavia, ci sono persone che ricorrono ai contanti perché si sentono a proprio agio, non sto parlando di transazioni illegali, ma di persone che preferiscono i contanti magari anziani, che non hanno dimestichezza con la tecnologia moderna. Quando mio padre era ancora qui si rifiutava di usare la carta. Usava solo contanti o assegni. E quando io lavoravo in banca e all'epoca ero amministratore delegato di Mastercard, mi guardava e mi diceva: "Filgliolo, ho una Mastercard grazie a te, ma non mi trovo." E lo capivo. Per questo bisogna considerare una società "senza contanti" tra virgolette. L'obiettivo per me è ridurre i contanti nell'economia. Ridurli a zero? Non sono d'accordo. Perché dico che diminuirli è un buon obiettivo? Perché i contanti sono alleati delle persone che hanno qualcosa da nascondere. Se non vuoi pagare le tasse, o vuoi fare qualcosa con i contanti che non sia proprio legale, ecco la tua opportunità. Ma se hai digitalizzato tutto, sei trasparente. Il denaro digitale è molto più agevole nell'uso, assicura la trasparenza economica. I meno abbienti non hanno accesso ai contanti e pertanto, non sono coinvolti in attività illegali. Ma a prescindere da questo, i contanti hanno un costo nella società che è stato calcolato da banche e università. È circa l'uno o due per cento del PIL. Copre i costi di stampa, sicurezza, distribuzione e impiego dei contanti. Dall'uno al due per cento del PIL. Sono certo che ci sono modi migliori per usare il PIL, che possiamo mettere in gioco riducendo il ruolo dei contanti nell'economia. Nel processo, ci sono intermediari che godono di potere nel dare prestazioni sociali ai rifugiati. Intendo questo. Questo è un buon impiego. Trasparenza, migliore fiscalità, minor riciclaggio di denaro. Tutto ciò di cui mi occupo e promuovo da anni. Ma non zero contanti. WPR: Pensa ci sia un modo per raggiungere questo obiettivo in quanto società? Come possiamo riuscirci? AB: Sì, potremmo. Se considera nazioni scandinave come ad esempio la Svezia o la Corea del Sud. Sono nazioni all'avanguardia che hanno ridotto al massimo i contanti. In Svezia, praticamente tutti usano forme digitali di pagamento, come carte, app o telefoni con cui pagano, cose di que genere, per i consumi intendo. Persino nei bagni pubblici nelle vie della Svezia, si paga con il telefono, si inserisce un codice, che viene rinviato una volta detratta la quota. Si inserisce il pin e basta. Io lo chiamo "click e via". Si va nel bagno pubblico con un click. Vedete com'è avanti la Svezia! I contanti che circolano sono esigui. Eppure, ci sono continui dibattiti pubblici in merito alla gestione di alcune zone svedesi in cui si prediligono i contanti. Bisogna prestare attenzione. Pensate, come raggiungono i contanti i punti di distribuzione in una nazione? Attraverso banche e bancomat. Se questi diventano poco redditizi e i bancomat vengono chiusi, la situazione si aggrava. Quindi bisognerà permettere ai commercianti di usare i contanti così da poter ancora usufruirne da un sistema di distribuzione. Non da un bancomat, ma da un esercente. Ci sono tanti modi per farlo bene, ma bisogna esserne consapevoli. Sappiamo di non aver ancora raggiunto quell'obiettivo ma presto ci riusciremo. WPR: Chiaramente, quando si intende trasformare la società, eliminando i contanti, o quando ci si pone questo obiettivo, sorgono preoccupazioni in merito ai dati e alla privacy e lei in passato ha detto che è fondamentale che i clienti tengano sotto controllo i loro dati e la loro privacy. Come possiamo riuscirci? Come sarebbe la realtà se ci riuscissimo? AB: Whitney, questa è un'ottima domanda. Io credo che la risposta sia nel cuore di tutte le azioni in ambito digitale che faremo nei prossimi 10, 20 anni l'internet delle cose, il 5G, i dati. Queste cose sono correlate e vanno alla velocità della luce, giusto? Se si pensa al numero di dispositivi che saranno connessi nei prossimi cinque, dieci anni, e cosa può fare il 5G per portare l'intelligenza artificiale nelle nostre case, questo genererà enormi quantità di informazioni. Dal frigorifero, all'auto dalla passeggiata, agli occhiali tecnologici, fino agli smartwatch, tutto quanto. Persino le scarpe, se sei un corridore. Perciò bisogna raggiungere un punto in cui ci si prende delle responsabilità su come si usano e interpretano i propri dati. E così, Mastercard, con una serie di imprese, ha delineato una serie di regole riguardo i dati. La prima è proprio quello che ha citato lei. Sono i vostri dati, sta a voi controllarli. Nel senso che ognuno dovrebbe sapere quali si rilevano. Ognuno deve poter dire "Non voglio diffondere questi dati." In parole povere, non in accordi legali di 12 pagine che risultano incomprensibili. E ognuno dovrebbe poter beneficiare dei dati che sono stati usati sia direttamente, che indirettamente, in un modo comprensibile. E se io, in quanto impresa rilevo i dati di un cliente per agevolare la mia attività, devo rilevarne la minor quantità possibile nel lavoro che svolgo con lui. Poi, dovrei preservare ciò che lo riguarda, con cautela. Permettergli di detrarli o rimuoverli quando desidera. Non sono cose complicate. Sono i dati del cliente, lui può controllarli. Dovrebbe poterli rimuovere quando vuole, deve sapere quali sono stati rilevati. Rilevo il minimo numero di dati e li proteggo. Se questo non si verifica, i consumatori boicotteranno le imprese. Man mano che acquisiscono conoscenza e maggiore dimestichezza, cosa fondamentale, saranno in grado di dire: "Non voglio che vengano utlizzati i miei dati per certi scopi, Voglio sapere perché vengono utilizzati." Rendere i clienti consapevoli dei loro dati è la missione fondamentale di un'economia basata sui dati nei prossimi 10, 20 anni. WPR: Grazie infinite, Ajay, è stato un incontro interessante. Grazie per essere stato qui con noi oggi. AB: Grazie mille e a presto. Buona fortuna.