Che cosa ha mangiato il mio cibo?
Vi siete mai fatti questa domanda?
Io me lo chiedo.
E vi dirò perché.
Vi condurrò in un viaggio
che comincia con questo adagio:
"Dimmi cosa mangi,
e ti dirò chi sei."
L'avete sentito tutti, vero?
Io sono il ranocchio.
Io sono Laurent, nato a Parigi
e da sempre
appassionato di cibo,
un "buongustaio nato",
come si suol dire.
Per me il cibo
è questo ambiente di ricchezza,
nel quale ogni giorno
scendevo in strada,
per comprare le verdure
o il pane.
E ogni fine settimana,
il sabato dopo le lezioni
venivo spedito da mia nonna
che cucinava
durante tutto il weekend,
preparando per i suoi
13 fratelli e sorelle
che venivano a pranzo la domenica.
Era una grande riunione.
Insieme andavamo al mercato
a prendere del pesce come questo qui,
in genere era questo, sì.
Questo era il suo preferito.
E il suo piatto preferito
era la Trout Amandine.
E questo è il modo di cucinarla,
davvero semplicissimo.
Si tostano in padella
delle mandorle e l'aroma,
il profumo, inizia a spargersi
per la stanza.
Si mettono da parte.
Si prende la trota,
si arrostisce in padella
e ci si mettono sopra
le mandorle.
Et voilà!
Buon appetito.
Semplicissimo, no?
Io ero un buongustaio,
ero veramente molto interessato al cibo.
Ho cominciato a scrivere guide
quando ero al college.
Ne ho scritte molte.
Con la recensione dei piatti.
Ho scritto recensioni
su 700 ristoranti parigini.
Ci andavo sempre due volte.
E sempre in incognito.
E ora ritorno
a quest'uomo,
Brillat-Savarin,
il mio mentore.
Non solo perché lo diceva lui,
ma anche perché scrisse
la "Physiologie du Goût"
200 anni fa.
Un riferimento per ogni chef
in ogni parte del mondo.
Significa "Fisiologia del gusto".
Meditazione gastronomica,
meditazioni trascendentali
dedicate al "gastronome Parisien".
Quello che intendeva realmente
è quello che metti nello stomaco,
certamente.
Ma anche,
usa tutti i tuoi sei sensi
quando inizi a pensare al cibo.
Innanzitutto, guardalo.
Poi, trova il tempo
di annusarlo,
cosa che inizia a stimolarti
l'appetito, giusto?
Quindi, procedi
a toccarlo,
e questa è la parte empirica.
E ora, ascolta.
Ascolta il viaggio
che il cibo ti acconta
... dov'è stato,
da dove proviene.
Poi puoi divorarlo,
oppure procedere con calma.
E assaporarlo.
E godertelo.
Voi mi direte:
"Aspetta, ma...
che c'è di così trascendentale?"
Beh, questo
è ciò che intende lui.
Il cibo dev'essere anche
divertimento.
Io ho studiato nutrizione
e marketing alimentare
in una grande azienda, Beatrice Foods
titolare di grandi marche.
Qualche anno dopo,
ho diretto quest'azienda
con sede a Parigi.
Quest'azienda esiste
da oltre 100 anni.
Ha creato prodotti alimentari
con l'aiuto di 200 chef
quando ho lavorato lì.
L'ho diretta per sei anni.
Abbiamo creato migliaia
di prodotti
di ogni categoria
possibile.
dagli "haricot verts" al "foie gras".
E la cosa migliore era
che ogni settimana avevamo degustazioni.
E io non me ne perdevo neanche una.
Si procedeva in questo modo,
erano degustazioni alla cieca
in cui si cercava di capire
cosa effettivamente contenesse
quel cibo, da dove venisse.
Una volta, ad esempio,
feci delle domande allo chef,
stavamo degustando
dell'olio d'oliva.
Non intingendoci il pane dentro,
semplicemente assaporando l'olio,
dal bicchiere, annusandolo.
E lui mi disse:
"Sai che differenza c'è
tra tutti questi oli d'oliva?"
"È il 'terroir'... il terrreno,
questa è la differenza.
Il sole che ricevono è lo stesso."
Allora io chiesi:
"Dimmi anche del vitello.
Da dove viene?
E cosa ha mangiato?"
Lui rispose: "Beh, il vitello
è 'veau élevé sous la mère.'"
Che poi vuol dire "sotto la madre".
Era stato allevato così,
allattato dalla madre.
E la madre aveva mangiato
erba e fiori.
Sembra abbastanza normale, no?
Ma io aggiunsi:
"E questo vitello speciale,
che secondo te è il migliore,
dove si trova?
La risposta fu:
"A 3 ore circa da Parigi.
Possiamo andarci..."
E io: "Ci voglio andare.
Lo voglio vedere questo posto."
Così andammo.
Era un macello.
"Fin qui, tutto normale", dissi.
Ma volevo vedere, capire
cosa ci fosse di speciale in quel luogo.
La cosa veramente speciale
fu che, alla fine della visita,
chiesi al manager:
"Cosa ve ne fate delle carcasse
e degli scarti?"
"Ah - disse lui - facciamo
pellet per pesci."
"Cosa per pesci?"
"Pellet per pesci."
Mai sentito parlare
di pellet per pesci?
Io mai. Perciò dissi:
"E dov'è che lo fanno?"
"A due miglia da qui
c'è una fattoria,
lo fanno là,
c'è una fabbrica."
"Fish pellet, eh?
Posso andarci? Mi piacerebbe
vederlo questo posto."
Andammo anche lì,
si trattava
di un allevamento di trote
Cosa?
Sì. Un allevamento di trote.
Io rimasi allibito
nel vedere tutte quelle trote
ammassate nelle vasche.
Ce n'erano migliaia.
E volete sapere una cosa?
Mangiavano solo quello.
Il sistema è semplicissimo:
hanno centinaia di vasche,
milioni di trote,
che vengono alimentate a pellet
con meccanismo automatico.
Ma la cosa
che mi ha colpito di più
e che mi ha fatto
veramente arrabbiare
è stato l'odore di quel posto.
Era terribile.
E non era solo per le carcasse,
era l'interno
e tutto quanto
veniva usato per fare quei pellet.
E indovinate un po'?
Se siamo quello che mangiamo,
siamo anche ciò ha mangiato
il nostro cibo, giusto?
Pensateci un attimo.
La cosa mi rese
sì, davvero furioso
e disgustato.
E il risultato è stato
che non riesco più
a mangiare una trota.
Naturalmente,
ci sono molte ragioni
per cui a volte non si riesce
a mangiare qualcosa.
Direi che, in un certo senso,
noi non siamo soltanto
ciò che mangiamo, ma anche
ciò che non mangiamo.
Per moltissime ragioni...
forse perché non ci possiamo
permettere un certo cibo,
o perché siamo celiaci,
oppure a causa di allergie.
Altre volte vorremmo tanto
avere certi cibi a portata di mano,
invece purtroppo
viviamo in un deserto alimentare.
In questo caso
non resta altro
che comprare cibo confezionato.
Un'altra ragione potrebbe essere
di ordine religioso:
"Tu non ti nutrirai di questo."
Oppure: "Questo non è cibo... aspetta,
questo è un animale domestico."
O ancora, la stessa cultura potrebbe
considerare questo come cibo,
mentre altri dicono:
"No, no, no...
questa è una specie in estinzione,
non è mangiabile, no?"
In ogni caso, ho iniziato a chiedermi:
"Che cosa posso fare io
a questo proposito?
Che cosa possiamo fare
come collettività?
Ed ecco che magicamente,
tre anni fa,
ricevo una telefonata
da un mio vecchio compagno
della scuola di business,
che mi dice: " Sai che a Harvard
abbiamo un nuovo programma,
cinque scuole si sono riunite
per formare una nuova struttura,
la Advanced Leadership, i cui membri
potranno fare dei progetti,
usando le conoscenze,
la tecnologia
e tutte le risorse
delle nostre scuole di Harvard.
Al che, risposi: "Ci posso provare,
fammi parlare con qualcuno della facoltà."
Quest'uomo ha cambiato
il mio percorso.
E la mia vita.
Perché quest'uomo,
- cioè Barry Bloom,
allora preside della
Harvard School of Public Health -
quando, a pranzo, gli raccontai
la mia storia della trota,
mi disse: "Hai maledettamente
ragione, c'è una gran differenza
fra trota d'allevamento
e trota selvatica.
Per inciso, è il contrario."
Mi disse: "Questa, vedi,
è la trota selvatica, quella più piccola.
Negli allevamenti le fanno
ingrassare a tempo di record."
" Ma non è tutto", continuò,
"Sembrano uguali,
ma in realtà
quella selvatica contiene più
sostanze salutari, come gli omega 3,
mentre più sostanze nocive,
come antibiotici e tossine
si accumulano in quelle
d'allevamento. E aggiunse:
"Sai che ti dico? Pensaci.
Resterai qui con noi
per uno studio
di un paio d'anni:
Può l'obesità avere a che fare
con tutto ciò?
Col fatto che modifichiamo
il nostro cibo in questo modo?
Così, ho cominciato a indagare.
E questa era la situazione nel 1985.
secondo il CDC.
C'erano già questi punti blu,
10% di obesità, il 10% della popolazione.
Dopo soli 5 anni,
è aumentata, passando
dal 10% al 15%.
E dopo 10 anni,
nel 1995, il 15% è l'area blu scuro.
E addirittura
cinque anni più tardi, si è dovuto
introdurre un altro colore, il giallo,
perché il 20% della popolazione,
nel 2000, è obesa.
Cinque anni più tardi,
si introduce il colore rosso.
In quegli stati ora c'è il 25%,
e dopo altri 5 anni, un altro colore
viene introdotto, rosso scuro,
il 30% nel 2010.
Ma non è finita qui.
Soltanto un anno dopo,
raggiunto il 35%, è stato necessario
aggiungere un altro colore.
Quale?
Il nero.
La situazione è piuttosto drammatica
se si pensa alle conseguenze,
come il diabete,
le malattie cardiovascolari,
molti tipi di cancro,
tutto dipende da ciò che mangiamo,
da quello che facciamo col cibo.
Si potrebbe continuare all'infinito.
E il problema non si riduce alla lista
delle malattie direttamente
associate con ciò che si mangia,
si tratta anche di costi:
147 miliardi di dollari ad oggi.
E dunque, di nuovo,
cosa possiamo fare al riguardo?
C'è una gran confusione.
Quando vedo un hamburger
come questo, come faccio a sapere
cosa c'è dentro?
C'è un'etichetta nutrizionale
che me lo dice?
Io non le so leggere.
Voi?
Io no.
I nostri figli
non sanno farlo.
Dove sono i grassi buoni
e quelli cattivi?
Lo sapete?
In questa immagine
c'è un grasso buono,
che, per puro caso,
è un acido grasso insaturo.
Ma com'è possibile saperlo?
Mi piacerebbe che grassi saturi
e grassi trans venissero chiamati 'grassi cattivi'.
È così che dovremmo chiamarli.
Ma guardiamo questo hamburger
più da vicino
perché voglio farvi da guida.
Come lo fareste un hamburger?
Manzo, lattuga, qualche cipolla,
forse sottaceti, formaggio, salsa,
ci mettete sopra un panino
ed è pronto.
E voilà.
Un po' di sale e pepe.
È così che lo fate a casa.
Anch'io faccio così.
Quello confezionato, però,
l'hamburger raffigurato qui,
è fatto in questo modo:
una spruzzatina di questo
con sciroppo di fruttosio,
una spruzzatina di quello,
e un altro po' di zucchero
e poi condimento,
conservanti,
coloranti,
aromi
e una spruzzatina di questo
e quest'altro e ancora coloranti.
E così via fino ad arrivare
ai monogliceridi.
Quel tipo di hamburger
da fast food
contiene 78 ingredienti.
Non sto scherzando.
Che fare?
Come dirlo ai nostri figli?
In che modo educarli
al cibo?
È molto difficile, sapete?
Vi dirò cosa ho fatto
con i nostri figli,
David and William,
che vedete nella foto.
Appena impararono a leggere,
dissi loro: "Beh, ora siete grandi,
potete venire con noi
al supermercato e riempire il carrello
con tutto il cibo che volete,
ma a una condizione:
dovete riuscire a capire l'etichetta
degli ingredienti sulla confezione."
E questo è il carrello che riempirono.
(Risate)
Lo so, è stato facile.
Forse un po' crudele. Mia moglie
mi disse: "No, questo non puoi farlo!"
Quindi, venivano da me -
certo, erano abbastanza svegli -
e mi chiedevano:
"Papà, che vuol dire 'monogliceridi'?
Adesso lo sappiamo.
"Ci puoi dire
'gomma di xantano'
che vuol dire?
Che cos'è un emulsionante?"
Ok, aspettate, cambiamo la regola.
Nuova regola:
se il prodotto ha più di 5 ingredienti,
forse non è il caso
di metterlo nel carrello.
Introdussi poi un'altra regola:
Se l'etichetta sulla confezione
dice 'modificato',
qualunque sia la cosa 'modificata',
non ne voglio sapere.
Perché è roba veramente cattiva.
Niente cibo modificato in casa nostra,
intesi?
Ecco,
noi abbiamo fatto così.
E ora torniamo all'hamburger.
La mia domanda iniziale era:
che cos'ha mangiato?
Di cosa si è nutrito, quel manzo?
Quel manzo,
quella buona carne,
che tanto desiderate,
si sarà pasciuta,
come voi sperate
di erbe e di fiori?
Non esattamente, vero?
Ecco quello che mangiano
oggi i bovini.
Non sto scherzando.
Mangiano granturco
perché non c'è erba.
Questi bovini sono costretti
ad alimentarsi elcusivamente di mais,
oppure di soia, a volte.
vi sembra normale?
Parliamo un attimo del panino.
Voi penserete che il panino
sia una cosa facile, vero?
È pane.
Un semplice
pezzo di pane, si sa,
quattro ingredienti, facilissimo.
Va bene: farina, lievito, sale e acqua.
Non serve altro.
Ma il panino confezionato,
quello che si compra al supermercato,
è un panino di questo tipo.
C'è dentro sciroppo di mais
ad alto tenore di fruttosio,
più zucchero,
glucosio e fruttosio,
e ogni genere di oli e [roba]
che io neanche conosco.
E così via fino
ai monogliceridi.
In questo panino ci sono,
in genere, 32 ingredienti.
Questo è un panino vero,
da fast food.
Ancora granturco.
Perché c'è tanto zucchero?
Che ci facciamo
con tutto questo granturco?
Voglio concludere
con l'insalata
prima di parlarvi
di tecnologia.
Che cosa ha mangiato la lattuga?
L'insalata che piace a me,
quella con cui sono cresciuto, è questa.
Questa è Rue Mouffetard,
dove vivevo a Parigi,
dove si trovano
insalate di tutti i tipi,
per tutti i gusti.
E queste sono le bancarelle.
Le insalate hanno nomi diversi:
dalla rucola alla romana, alla riccia.
Ma questa?
Prima di tutto è molto fredda
e poi non sa di nulla.
Sarà per quello
che la chiamano "iceberg".
(Risate)
Ma, a parte gli scherzi,
di cosa si è nutrita?
Questa è la mia domanda.
Di terreno.
Voi penserete: "La mia insalata
mangia il terreno"
proprio come l'olio d'oliva.
Tutto ritorna alla terra.
Semplice, no?
Buona terra, acqua buona
... facile.
Solo che... nel nostro caso,
ci si trova di tutto,
un po' di questo, un po' di quello.
Tutti questi agenti inquinanti.
E ancora ci chiediamo:
Cosa dovremmo fare?
Sono ritornato alle 5 scuole,
abbiamo lavorato insieme.
Ho insegnato nel programma per due anni.
Ho riunito 11 studenti di quelle scuole
attorno a un tavolo
e ho detto:
"Cosa possiamo fare?"
Se potessimo stabilire un nuovo standard
di informazione nutrizionale
in un posto in cui,
invece di dover leggere quelle etichette,
che i nostri figli non sanno leggere -
e che neanche noi comprendiamo -,
avessimo informazioni semplici
sulle sostanze nutritive
all'interno della scatola,
in modo da sapere
quanto zucchero, quanto sale,
quanti grassi cattivi
ci sono in quella scatola,
qualunque ne sia il contenuto.
Lo stesso varrebbe
per ogni hamburger, per ogni cibo,
ogni pizza comprata per strada,
saprei sempre cosa c'è dentro.
Di nuovo, i nutrienti.
Immaginate di poter conoscere
quelli di una ricetta vista in TV,
oppure della ricetta di vostra nonna,
quella torta di mele,
poterli conoscere inserendo
gli ingredienti visti in tv
oppure la ricetta:
quanti grassi cattivi,
quanto zucchero?
"Beh, si può fare," mi hanno risposto,
"È facile.
C'è un'app per questo, la faremo noi."
E così è stato.
Abbiamo creato un'app,
una nuova soluzione
un nuovo standard
per presentare la nutrizione
in modo semplice,
con comandi azionati a voce.
Si può parlare al telefonino
dicendo "petto di pollo"
e leggere le informazioni
su calorie, zuccheri, sale
e grassi cattivi contenuti in quel cibo,
con un linguaggio semplice,
e un semplice grafico,
una piccola batteria.
È veramente semplice:
innanzitutto è un database molto ampio
che comprende ogni cibo
possibile e immaginabile,
di qualunque catena di negozi.
Hanno collaborato al progetto
65 studenti provenienti
da tutte le scuole
della zona.
Quindi, abbiamo creato questa soluzione
che è semplicissima
perché è a comando vocale
e anche divertente da usare.
Non ci si deve più preoccupare
delle informazioni nutrizionali.
Ho ricevuto una email
da una ragazza di Baton Rouge,
dove ho fatto una presentazione
su questo proprio pochi giorni fa,
che mi diceva: "Sa una cosa?
Mia figlia Lydia - eccola -
dapprima era molto entusiasta
dell'app
per via del microfono,
poteva parlare
e ricevere informazioni,
ma ora la sta usando molto seriamente.
Mi dice: 'Mamma, guarda!
Ci sono un sacco di grassi cattivi
nella tua barretta ai cereali."
(Risate)
Il mio sogno
è di trasmettere tutto questo
alla prossima generazione,
perché è una cosa
che i nostri figli capiscono,
perché hanno la capacità
e le competenze per usare la tecnologia.
Noi la porteremo al livello in cui un giorno
sarà addirittura possibile,
usando un telefono parlante
e sensibile agli odori,
identificare che cosa c'è
nella nostra trota.
I peptidi, le molecole.
Potremmo riuscire
a distinguere quella buona,
da quella cattiva.
Che cosa c'è in quella trota?
Come si è alimentata?
Lo voglio sapere.
Dunque:
che cosa ha mangiato il mio cibo?
Chiedetevelo e ricordate:
dobbiamo mettere i nostri figli
nella condizione
di impostare questo nuovo standard
se vogliamo avere una possibilità
di debellare l'obesità.
Insieme, possiamo farlo.
Grazie.
(Applausi)