Io parto con una domanda: il cibo può comunicare con il nostro DNA? E se comunica con il nostro DNA, può influenzare la salute? Pensiamo a una prima immagine: alle api. Abbiamo tre tipi di api: l'ape operaia, il fuco, e l'ape regina. Tutte e tre hanno il medesimo DNA, il medesimo genoma; ma l'ape regina è stata nutrita dalla larva con un cibo diverso: la pappa reale. E come vediamo, le dimensioni dell'ape regina sono differenti. Ma non solo le dimensioni: la sua funzione è differente. È l'unica, all'interno dell'arnia, che si può riprodurre, che può dare origine a una nuova colonia. Allora il cibo ha comunicato qualcosa al DNA, perché tutte hanno lo stesso DNA. E per capire questo, dobbiamo addentrarci nel molto piccolo, nel nucleo delle nostre cellule. Due micron, che racchiudono tre miliardi di basi, che è il nostro genoma, lungo circa due metri, molto impacchettato. Pensate che alla fine degli anni Novanta si pensava che dallo studio del genoma umano si avrebbero avuto grandi risposte sia di comprensione delle malattie ma anche di comprensione sul DNA. In realtà si è capito che eravamo solo all'inizio, perché solo il due - tre percento del DNA codifica per una proteina, e pertanto una funzione. Tutto il resto - pensate, il 98% - è un DNA che all'epoca era considerato "junk DNA", scusate il termine inglese. "Spazzatura" che serviva come backup per far sì che le mutazioni cadessero non sui geni. In realtà, con questo DNA si è scoperto che eravamo all'inizio di una nuova avventura: questo DNA era funzionale a regolare l'espressione dei geni. E come? Ci sono dei marcatori chimici sul DNA, delle bandierine che, durante lo sviluppo, vengono apposte sul DNA. Queste bandierine, che possono essere o dirette sul DNA o sulle proteine che avvolgono il DNA, o addirittura su alcuni RNA, che sono lo stampo del DNA anti-senso, vengono poste durante lo sviluppo affinché le cellule possano compiere la loro funzione. Pensate che noi abbiamo, nelle nostre cellule, in ogni nostra cellula, lo stesso medesimo DNA. Ma ogni cellula svolge una funzione differente: perché? Perché ha le prime parti del DNA differente, grazie a queste bandierine, questi marcatori che dicono a un gene: tu devi essere espresso in questa cellula, devi far sì che questa cellula abbia questa funzione e un'altra cellula un'altra. Per capire meglio, immaginiamo che il nostro DNA sia uno spartito orchestrale, e che i geni siano gli strumenti. Se suonassero tutti insieme, non ci sarebbe un'armonia, non ci sarebbe una sinfonia. Non sarebbe la musica, sarebbe solo rumore. In realtà, ogni gene sa perfettamente, grazie a queste bandierine, questi marker, quando entrare in funzione, quando suonare, quando stare zitto, se suonare forte, se suonare piano. Ecco, questa armonia si svolge in ogni secondo, in ogni istante, all'interno delle nostre cellule. E c'è uno studio estremamente interessante fatto sui topi - nella biologia si parte sempre da un modello sperimentale, e spesso sono i topi. A due mamme con la stessa genetica è stato dato da mangiare del cibo. A una mamma del cibo povero, povero di nutrienti; a un'altra mamma hanno dato da mangiare un cibo ricco di nutrimento. E soprattutto, particolari nutrienti, vitamine. Il risultato è stato che i cuccioli di queste due mamme hanno avuto un fenotipo, cioè una manifestazione di quello in cui sono differenti - addirittura il colore del manto è cambiato, perché il cibo ha comunicato una cosa differente, durante lo sviluppo di questi cuccioli, ai geni. Allora pensiamo al cibo ai nostri giorni. Abbiamo su questo piccolo pianeta, come dice Edgar Morin, persone che muoiono di fame, persone che mangiano in eccesso, abbiamo spreco di cibo. Abbiamo persone che si ammalano perché mangiano troppo, mangiano male. E abbiamo anche una situazione paradossale, chiamata deserto nutrizionale: io esco di casa, e in dieci minuti non riesco a recuperare cibo ricco di vitamine. Riesco a recuperare solo il cibo cosiddetto - non mi piace il termine, perché del cibo bisogna sempre avere rispetto - cibo che ha solo calorie ma non ha nutrienti essenziali. E la cosa più interessante è che l'ambiente, il cibo, lo stile di vita e anche le emozioni possono scrivere sul DNA. Possono parlare, col DNA. E questo scrivere può essere trasmesso - soprattutto se questo avviene durante i primi 1.000 giorni di vita del bambino, dal concepimento al terzo anno di età - questa scrittura può passare anche da una generazione a un'altra. C'è un'evidenza storica di questo passaggio intergenerazionale di quanto l'ambiente, e il cibo, abbiano influenzato la salute delle generazioni successive. Questo è uno studio storico, avvenuto in Olanda. Si è studiata una popolazione di 45 milioni di persone olandesi, che durante la Seconda Guerra Mondiale fu confinata in una zona molto ristretta dell'Olanda. Era inverno: da una parte c'erano le truppe tedesche, dall'altra parte i canali ghiacciati. Questa popolazione visse, per nove mesi circa, mangiando pochissimo, di stenti: arrivarono addirittura a mangiare, pensate, i bulbi dei tulipani. E si calcolò che mangiarono circa 500 Kcal al giorno. Si sono studiati i bambini nati dalle mamme che durante quel periodo erano in gravidanza, e che aspettavano. Questi bambini hanno mantenuto la "programmazione" delle loro mamme: le loro mamme avevano vissuto senza cibo, e quando sono nati, questi bimbi erano programmati a resistere all'assenza di cibo. A guerra poi finita, hanno avuto accesso al cibo e questi bimbi sono stati più esposti a una vulnerabilità sanitaria: più esposti a diabete, obesità, sovrappeso, malattie cardiovascolari e anche tumori. E questa vulnerabilità, questo aumento di rischio si è anche ripresentato nella seconda e adesso si sta studiando la terza generazione. Alllora dobbiamo pensare dal piccolo, perché il piccolo ci possa suggerire delle azioni da fare nel grande, per migliorare la società e per migliorare, anche, l'aspettativa di salute della nostra società, e ripensare all'origine delle malattie. Ed è il modo migliore di promuovere la salute: portare la scienza del piccolo, questi meccanismi meravigliosi che avvengono nelle nostre cellule, nelle scelte grandi. Investire soprattutto sulle classi che hanno meno consapevolezza di tutto questo. Che hanno accesso a cibo povero, perché costa poco, perché hanno magari un basso reddito, perché magari hanno anche una bassa scolarizzazione che non li può far accedere a questi tipi di messaggi. E soprattutto, investire nelle mamme, perché il diritto alla salute, sancito anche dalla Costituzione, sia un diritto, anche, di giustizia intergenerazionale. Dobbiamo pensare alla nostra salute, [che è] un bene prezioso, ma pensare anche di poterla trasmettere alle generazioni successive. E allora dobbiamo un po' risvegliarci, e questo è il mio risveglio. C'è un'origine che pone una vulnerabilità maggiore alle malattie: sono importanti i primi 1.000 giorni di vita del bambino. E c'è forse, questa è una domanda che mi faccio sempre, un'evoluzione silenziosa, che porta una società ad avere una prospettiva di salute diversa rispetto a un'altra, perché c'è un accesso al cibo differente? E questa evoluzione continuerà? Per fortuna può essere reversibile, se le condizioni cambiano. E se il cibo, che ovviamente mangia la mamma, mangiamo noi, cambia. Allora, se è vero che è importante, per la salute dei nascituri e anche delle generazioni successive, l'ambiente, il cibo che mangia la mamma, allora dobbiamo curare il cibo e tutto ciò che è l'ambiente attorno alle mamme, attorno a quelle che sono le nuove vite. Allora dobbiamo pensare ogni momento in cui una persona mangia. E curare, questo momento. Può essere l'ospedale: non possiamo lasciare che il cibo diventi solo un servizio alberghiero. Il cibo deve trasmettere dei valori: deve essere importante trasmettere anche salute. Alle scuole, dove tanti genitori sono più preoccupati se i bambini non mangiano, ma mai si preoccupano se il bambino mangia male. Sempre la preoccupazione: mio figlio non mangia. Ma preoccupiamoci di cosa mangia, preoccupiamoci se quello che mangia è importante per la sua salute. Poi ci sono le aziende: in ogni momento, ma anche tra amici, un marketing della salute che può essere, anche, trasversale nella società. Pensiamo, in ogni momento in cui si mangia, quanto possiamo comunicare attraverso un cibo. Deve essere sempre buono, ma anche funzionale alla salute. Perché il cibo è un interconnessione tra il nostro passato, al nostro presente ma anche al nostro futuro. Ci interconnette con la Terra, perché il cibo è lavoro: viene prodotto e viene trasformato, dobbiamo averne grande rispetto. Con gli esseri viventi, con l'ambiente. Diceva una grande agronoma inglese che la salute dell'uomo, degli animali, della terra, dell'acqua e dell'aria è unica e indivisibile. E poi pensiamo: noi ci nutriamo di molecole che sono i carboidrati, dove il carbonio è in uno stato chimico di legame ad alta energia. E questo legame ad alta energia lo ricava da che cosa? Dalle piante! Perché le piante invece trasformano, grazie all'energia solare, una molecola di carbonio, che ha un legame a bassa energia, CO2, in ossigeno ad alta energia. Per la proprietà transitiva, noi possiamo dire che mangiamo grazie all'energia del Sole. Quindi dobbiamo rispettare questo tipo di ambiente intorno a noi. Ci ricollega all'interconnessione con noi stessi, con la nostra storia. Pensiamo ai profumi che ci evocano delle emozioni, i profumi della cucina della nonna. Pensiamo a Proust e alle Madeleine. Pensiamo a quanto il cibo lega la tradizione, la storia: è parte del nostro passato ma è parte anche nel nostro futuro. Ed è parte, anche, di quello che possiamo trasmettere alle generazioni successive. A volte, invece, si mangiano anche cibi standard, con dei profumi standard e sapori standard, e questo penso sia uno svilimento di quello che è un nostro organo di senso. Perché abbiamo cinque organi di senso, e l'organo di senso del gusto è un organo meraviglioso: abbiamo attraverso il gusto cinque gusti, ma attraverso l'organo vomero-nasale, e l'olfatto, milioni di possibilità di apprezzare sapori e profumi. A volte il cibo è industriale, molto processato, e un cibo che è sempre lo stesso, sempre uguale. E dobbiamo investire nella cultura del cibo, che è una cultura diversa dalla prevenzione, però possono avere davvero dei link in comune. E poi nutrire è il primo atto che svolge la mamma, nutrire e amare. Un cibo che nutre è un cibo che ama. E poi, ovviamente, le nostre tradizioni. Le nostre tradizioni che fanno sì che ci sia un quotidiano più frugale, ma sempre buono, e una festa che dobbiamo aspettare e attendere per poter condividere un cibo più ricco con i nostri cari. E allora l'epigenetica che cos'è? De "epi", greco, "sopra" il DNA. Tutte queste modifiche sopra il DNA. È un ponte che lega l'ambiente - ahimè, anche l'inquinamento - le emozioni, il cibo, che è un po tutto questo, al nostro DNA. Pensavamo che il DNA fosse un codice immutabile: alto; basso; occhi azzurri; occhi neri. In realtà abbiamo capito, attraverso questi ultimi studi - che non sono poi così recenti, perché ormai sono 15 anni che si studia in questo senso - che possiamo avere un dialogo col DNA, e possiamo anche trasmettere la nostra storia alle generazioni successive. Per, io penso, una prospettiva di salute più equa e uguale per tutti. E per permettere alle nuove generazioni di avere anche meno vulnerabilità a determinate malattie. Grazie. (Applausi)