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Grazie.
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Sono molto contenta
di condividere con voi
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la mia esperienza di cambiamento
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nell'ambito professionale in cui opero,
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cioè la storia dell'arte,
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e in particolare
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la lettura dell'immagine.
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Va premesso che
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il mio primo incontro
con le opere d'arte
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avvenne nell'ingresso
della casa dei nonni.
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Lì c'erano sei quadretti
di paesaggio,
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che erano 30 centimetri
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per 18 di altezza, circa,
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e la cosa interessante era
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che spesso venivano sostituiti.
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Ora chiaramente penserete
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"ma che straordinari collezionisti
erano i suoi nonni?"
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Ebbene sì, confermo.
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Erano degli straordinari collezionisti,
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soprattutto nonna Luigia,
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ma di coperchi
di scatole di cioccolatini.
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Sua sorella,
la zia Ernesta,
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ogni Natale le mandava
una scatola di cioccolatini
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che aveva una riproduzione
di un'opera d'arte sul coperchio.
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Se la riproduzione
era un quadro di paesaggio
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allora avrebbe avuto l'onore
di essere messo in cornice.
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La nonna coinvolgeva anche me
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nella scelta del paesaggio da sostituire,
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perché rigorosamente
dovevano essere sei
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i quadretti all'ingresso.
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Certamente vi chiederete
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"Ma quale straordinaria capacità critica
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avranno mai avuto una signora
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che aveva fatto la seconda elementare
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e una bambina di quattro o cinque anni?"
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Eppure per noi era una cosa serissima.
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Con la lente d'ingrandimento
si guardavano i piccoli dettagli,
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si valutavano la luce e il colore,
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e a nessuna delle due, vi assicuro,
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è mai venuto in mente
che in realtà noi stavamo guardando
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delle banali,
forse anche malriuscite riproduzioni.
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Eppure sono convinta
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che devo proprio a nonna Luigia
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l'interesse e la passione,
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forse un po' anche l'ossessione
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per la lettura dell'opera d'arte.
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Immagini che, chiaramente,
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una volta arrivata al liceo,
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ho capito essere dei quadri
che stavano nei musei,
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essere in tanti posti,
soprattutto gli originali,
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non, certamente,
nell'ingresso della casa dei nonni.
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Al liceo, a dir la verità,
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c'è stato il primo cambiamento,
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perché le immagini
che ho iniziato a guardare
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erano riprodotte sul manuale
di storia dell'arte.
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Il mio vecchio manuale di storia dell'arte
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conteneva immagini patinate meravigliose.
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Una decina erano a colori.
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La maggior parte era in bianco e nero.
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Provate a pensare quale sforzo
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una studentessa liceale doveva fare
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per immaginare davanti
ad una fotografia in bianco e nero
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i colori della volta
della Cappella Sistina,
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di un quadro di Caravaggio,
di Kandinskij, di Pollock.
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Qualche anno fa ho ripreso in mano
il mio testo di storia dell'arte,
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quel vecchio manuale,
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e ho trovato un appunto
di fianco a un abito
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di una Madonna
in una scena della Natività.
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Diceva questo:
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"Rosa ciclamino sbiancato dalla luce".
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Non avevo scritto "rosa",
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no, "rosa ciclamino".
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"Rosa ciclamino" vuol dire
che quel rosa è carico di emozione,
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perché vuol dire
i ciclamini del bosco, il profumo,
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vuol dire l'effetto tattile delle foglie.
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Insomma, io al liceo ho capito una cosa:
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che l'opera d'arte,
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guardare l'opera d'arte
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educa all'immaginazione.
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E soprattutto che guardare l'opera d'arte
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è un passaggio assolutamente fondamentale,
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perché permette al nostro cervello
di creare dei collegamenti.
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Ed è con questa convinzione
che sono andata avanti negli studi,
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ho frequentato l'università,
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e in un'aula buia
i miei occhi e la mia mente
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si immergevano a guardare
quel fascio colorato
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che dal proiettore andava su un telo,
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e mi immergevo
in quelle straordinarie opere d'arte.
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Opere d'arte che poi, chiaramente,
andavo a ricercare sui libri.
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Talvolta, anche, mi capitava
di arrivare davanti all'opera d'arte
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con un senso di attesa
evidentemente straordinario.
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Ed è così che sono approdata,
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30 fa, a insegnare storia dell'arte.
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E qui un altro cambiamento.
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Un altro cambiamento perché,
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evidentemente, dovevo insegnare
ad altri a leggere le opere d'arte.
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Da giovane insegnante di arte
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avevo un'unica convinzione:
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che bisognava mettere gli allievi
davanti alle immagini,
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anche se erano delle immagini riprodotte.
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E fu così che iniziai,
30 anni fa, appunto,
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a fare lezione in un'aula
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che gi studenti
ribattezzarono "il pullman".
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Avete presente l'interno
di un pullman anni '80?
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C'era una stanza
che era l'archivio, a scuola,
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due metri di larghezza
per cinque di lunghezza.
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Due file parallele di sedie,
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uno stretto corridoio in mezzo,
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tende nere,
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un proiettore alle loro spalle,
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e davanti a loro, come se fosse
il parabrezza, appunto, di un pullman
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si proiettavano le immagini
delle opere d'arte.
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È chiaro che i loro occhi
si spalancavano
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davanti a quelle straordinarie immagini.
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E l'ora settimanale di storia dell'arte
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era un momento di immersione totale
in luci e colori.
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Ed è così che, pian piano,
educavo la loro immaginazione.
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Valutavano anche in un modo critico,
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chiaramente, le opere.
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Ora è certo, non mi serve più
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andare in anticipo a scuola
per selezionare le diapositive
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da mettere nel carrello.
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Ora anch'io uso il powerpoint
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e lì le immagini sono già ordinate.
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Se non trovo un'immagine non c'è problema:
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internet me la dà tranquillamente.
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Oggi con i ragazzi si va spesso in giro,
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si vedono tantissime opere,
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in Italia, in Europa.
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Bene, direte.
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È arrivata alla conclusione.
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I cambiamenti tecnologici
oggi ci danno la tranquillità assoluta
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di non aver bisogno di immaginare.
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Tanto basta un clic,
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e anche quello che non abbiamo
davanti ai nostri occhi ci appare.
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Ma siamo proprio sicuri?
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Che non abbiamo bisogno di immaginare?
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Di immaginare un rosa ciclamino
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mentre i nostri occhi stanno guardando
una foto in bianco e nero?
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Perché, per conoscere,
bisogna immaginare.
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E se è vero quello che sosteneva Einstein,
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che la conoscenza è limitata,
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l'immaginazione invece abbraccia il mondo,
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allora dobbiamo continuare
a educare a immaginare,
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la nostra immaginazione.
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Lo scorso dicembre
ho vissuto un'esperienza
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che mi ha confermato
che l'opera d'arte,
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e l'arte, sono sicuramente
degli strumenti particolarmente potenti
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per educare l'immaginazione.
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Anzi, ho avuto un'esperienza
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che mi ha detto
che siamo un po' tutti dei non vedenti.
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Si trattava di un incontro,
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di un progetto,
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realizzato dall'Associazione
Nazionale Ipovedenti di Milano,
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che si intitola "Descrivedendo".
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Era una sorta di sfida
lanciata a noi vedenti,
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perché dovevamo trovare
immagini e parole
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per raccontare, per descrivere
un'opera d'arte.
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L'opera d'arte scelta
era quella di De Chirico,
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una scena di gladiatori di De Chirico.
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Quella descrizione iniziava così.
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Per cominciare,
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immaginiamo un grande dipinto,
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di forma rettangolare,
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con il lato più lungo in orrizzontale,
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alto come una persona di media statura,
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e largo come un lenzuolo
matrimoniale steso.
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Riusciamo ad immaginarlo?
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Siete riusciti a vederlo?
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Forse se chiudiamo gli occhi sì.
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Vorrei che chiudeste un attimo gli occhi,
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per provare l'emozione che ho provato io,
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appunto, lo scorso dicembre.
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Allora chiudiamo gli occhi
e iniziamo a immaginare di vedere
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uno dei tre cavalli dipinti da De Chirico,
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quello che sta in mezzo,
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in piedi.
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Non è un cavallo molto grande,
anzi sembra più un pony.
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Sulla sinistra ha una coda gigantesca,
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voluminosa, riccia.
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Ecco, allunghiamo un attimo la mano.
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La riusciamo a toccare,
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dà la stessa sensazione di quando
ci passiamo una mano tra i capelli.
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Il quadro è chiaramente
molto più complicato di un cavallo,
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anche perché questo cavallo
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è in un groviglio di corpi nudi
di uomini, di gladiatori, appunto.
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Anzi, riapriamo gli occhi
e vediamolo, questo quadro.
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Capite che, ora farete pure fatica
a cercarlo, questo cavallo.
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È chiaro, la descrizione
era durata un quarto d'ora.
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Noi abbiamo guardato
questo quadro per un secondo.
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Ma vi posso assicurare che,
dopo quel quarto d'ora di descrizione,
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davanti, semplicemente, a un telo,
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anche chi è abituato a leggere le immagini
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aveva vissuto un'esperienza sensoriale
e immaginativa del tutto straordinaria.
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Ecco, adesso sì, sono arrivata
alla conclusione.
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Che cosa è per me, allora, il cambiamento?
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Per me il cambiamento significa
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guardare un'opera d'arte
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con gli occhi di una persona ipovedente.
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Cioè avere un nuovo, diverso
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punto di vista da cui guardare il mondo.
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In fondo, cambiare
significa proprio questo:
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avere un altro punto di vista,
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immaginare qualche cosa
che non riusciamo neanche a concepire.
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Grazie.
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(Applausi)
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Scusate.
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Prima di lasciarvi volevo
assolutamente ringraziare
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Catherine de Senarclens, perché
non sarei mai salita su questo palco
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se non ci fosse stata lei,
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che mi ha dato anche
il suggerimento iniziale
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per questa nostra conversazione.
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Grazie mille.
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(applausi)